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livello di studi di laboratorio, finalizzati ad una interpretazione coerente dei meccanismi di
interazione microscopici..
L’argomento, però, esula dalle finalità della tesi, orientata piuttosto ad un inquadramento razionale
delle norme attuali, basate sugli effetti immediati.
Di grande interesse scientifico è, inoltre, l’aspetto della percezione del rischio elettromagnetico da
parte della popolazione, che è di gran lunga maggiore del rischio effettivo.
Una tale percezione distorta del rischio, spiegabile a livello sociologico da tutta una serie di cause
legate alla particolare natura dei campi elettromagnetici, produce spesso un effetto sanitario a livello
di ansietà persino maggiore dell’effettivo danno prodotto dal campo stesso.
A tal fine sono di fondamentale importanza la qualità delle informazioni fornite dai mezzi di
divulgazione scientifica e, ancor più, la solidità dei risultati scientifici stessi, che mirano a superare
l’incertezza esistente sulla materia così da fornire, in maniera definitiva ed inequivocabile, una tanto
attesa prova di innocuità dei campi elettromagnetici.
Il percorso logico della tesi parte dalla descrizione esaustiva delle principali sorgenti artificiali di
campo presenti nelle aree densamente popolate, seguito dai metodi e dagli strumenti di misura
ambientali; attraverso i modelli dosimetrici esistenti, quindi, si passa alla valutazione
dell’esposizione umana, misurando quanto campo (o quanta potenza) si accoppia al corpo umano, al
fine di stabilire dei livelli di soglia per l’esposizione, che costituiranno i limiti di base delle
normative, da cui, poi, si estrapoleranno i livelli di riferimento per i campi ambientali, al fine di
verificare la conformità di un sito.
Partendo dalle frequenze più basse, le principali sorgenti di campi elettrici e magnetici alle ELF che
si incontrano nelle aree abitate sono gli elettrodotti, distinguibili principalmente in base alla
tensione di esercizio.
Limitatamente alla situazione italiana, si riscontrano tensioni massime di 380 kV per gli elettrodotti
ad altissima tensione, usati per il trasporto di energia elettrica su grandi distanze, ma la situazione
espositiva più comune riguarda le linee ad alta tensione (220-132 kV) usate per la distribuzione
primaria, quelle a media tensione (15 kV) abitualmente interrate nelle aree urbane ed infine quelle a
bassa tensione che servono i quadri contatori delle abitazioni (380 – 220 V).
Le cabine di trasformazione sono, inoltre, un’altra importante sorgente ELF in aree urbane.
Dalle basi teoriche dell’elettromagnetismo, si considerano separatamente i campi elettrico e
magnetico prodotti da tali dispositivi a frequenza industriale.
Viste le lunghezze d’onda in gioco, inoltre, la situazione espositiva è sempre “in campo vicino” ed i
campi stessi sono imperturbati dalla presenza del soggetto esposto.
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E’ possibile trattare il problema elettromagnetico delle linee elettriche in maniera analitica in forma
chiusa, data la semplicità delle geometrie coinvolte:
si calcola l’unica componente (verticale) del campo elettrico, che risulta crescente con la tensione di
esercizio, decrescente con la distanza dalla linea in direzione trasversale al suolo e con l’altezza dal
suolo dei conduttori;analogamente si calcolano le due componenti (verticale e orizzontale
perpendicolare alla linea) del campo di induzione magnetica, che risultano crescenti con la corrente
che fluisce (2 kA caso peggiore), decrescenti con la distanza dalla linea e con l’altezza al suolo dei
condottori.
Per una tipica configurazione a 380 kV, occorre un franco minimo di 11 metri per soddisfare le
condizioni dettate dalla normativa di non superare i 5 kV/m per il campo elettrico.
Tale distanza assicura ampiamente le specifiche di sicurezza per l’induzione magnetica (inferiore ai
100 µT), essendo presente un picco non superiore ai 20µT.
Dai calcoli matematici si evince, inoltre, un drastico decadimento di entrambi i campi oltre i 20
metri in direzione trasversale dalla proiezione al suolo del centro della linea.
Per quanto riguarda le sorgenti urbane di campi elettromagnetici a RF e MW, occorre riferirsi agli
impianti di radio-telecomunicazione, in particolare agli impianti broadcasting radiotelevisivo che
rappresentano la situazione espositiva più critica a causa delle elevate potenze d’uscita (fino a 100
kW) e per le particolari frequenze di lavoro (87,5-108 MHz per Radio FM) che ricadono nel range
di risonanza dell’assorbimento di potenza elettromagnetica da parte del corpo umano.
Da un’analisi attenta delle potenze d’uscita in relazione alle frequenze di lavoro di tutte le altre
sorgenti di campo a RF e MW, quali le stazioni radio-base (SRB), i ponti radio, le stazioni di
terra per collegamenti via satellite, i radar a microonde, si evince che il caso peggiore di
esposizione è rappresentato dal broadcasting radiotelevisivo.
In tale situazione, ed in generale per l’esposizione a campi RF, ci si riferisce sempre al caso di
“campo lontano” o radiativo, assumendo valide tutte le approssimazioni tipiche della teoria delle
Antenne nella zona di Fraunhofer, ovvero di un’onda piana che si propaga consistentemente
all’equazione di Helmotz, che, in definitiva, esprime il legame tra il campo elettrico e campo
magnetico descritto dalle equazioni di Maxwell.
Avendo caratterizzato le principali sorgenti, si passa alla descrizione degli strumenti di misura
adoperati normalmente per la rilevazione dei livelli ambientali dei campi elettromagnetici, cioè per
le cosiddette misure di esposizione.
Per le ELF vi sono misuratori di campo elettrico e misuratori di campo magnetico:
entrambi sono formati, essenzialmente, da una sonda sensibile al campo, collegata tramite cavo
coassiale ad un rivelatore, spesso costituito da un voltmetro.
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Per il campo elettrico si usano sensori di piccole dimensioni per non perturbare il campo, in cui si
cerca di minimizzare l’effetto di prossimità dell’operatore.
I sensori a potenziale flottante, quelli con riferimento a potenziale di terra ed i misuratori
elettro-ottici sono i modelli più utilizzati, basati, i primi, sull’induzione di una carica elettrica su
metà conduttive, gli elettro-ottici sull’effetto Pockels.
Per il campo magnetico si usano sensori a bobina basati sulla Legge di Faraday.
Per quanto riguarda i misuratori di campo elettromagnetico alle alte frequenze, occorre un’analisi
preliminare per decidere se è sufficiente una misura a banda larga, semplice ed economica, oppure
se è necessario procedere ad una misura a banda stretta, per ottenere una descrizione più
dettagliata delle sorgenti presenti nel sito di interesse, nel caso in cui il valore globale misurato
ecceda i limiti stabiliti dalle norme.
In generale i sensori saranno delle antenne calibrate il cui segnale captato è inviato ad un
analizzatore di spettro per l’analisi frequenziale.
I rivelatori saranno di tipo quadratico, a diodo o a termocoppia.
Particolare attenzione deve essere posta nelle metodologie di misura, che deve seguire particolari
protocolli stabiliti dalle norme CEI.
La calibrazione dei sensori, inoltre, è di fondamentale importanza al fine di ridurre, per quanto
possibile, gli errori e l’incertezza della misura.
Il SIT in Italia provvede a stabilire una catena di riferibilità degli strumenti, avendo calibrato
attentamente un prototipo attraverso la tecnica del campo noto, ricavato da considerazioni teoriche
all’interno di piastre conduttrici (per il campo elettrico a 50 Hz), all’interno di una cella di Helmotz
(per il campo magnetico a 50 Hz), o all’interno di una cella TEM o una camera anecoica (per i
campi a RF).
Caratterizzate le sorgenti e descritti i metodi di misura ambientali, cioè dei campi esterni, è
necessario valutare l’accoppiamento del campo con i tessuti umani, al fine di poter stabilire dei
limiti di base in termini di alcune grandezze fondamentali (J, SAR), direttamente legate all’effetto
biologico, che sono correlati ai campi interni.
La dosimetria, appunto, tenta di fornire risposte analitiche a questo problema, sfruttando modelli
matematici per la risoluzione in forma chiusa delle equazioni di Maxwell (dosimetria teorica),
risolvendo il problema per via numerica dopo aver tradotto le equazioni differenziali dal continuo al
discreto mediante differenze finite (dosimetria numerica), o, infine, misurando direttamente le
grandezze dosimetriche di base (dosimetria sperimentale).
Spesso si usa un approccio integrato dei tre metodi per avere una stima sufficientemente validata
della densità di corrente indotta J, grandezza fondamentale in bassa frequenza e fino ai 10 MHz,
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e della potenza dissipata per unità di massa, cioè il SAR, grandezza fondamentale alle alte
frequenze.
Come detto esse sono direttamente legate all’effetto biologico provocato dall’esposizione, vale a
dire l’induzione di corrente alle basse frequenze (elettrostimolazione) e l’effetto termico alle alte.
Valgono, al proposito, le due equazioni fondamentali che legano la J ed il SAR al campo elettrico
interno:
J = σEint [A/m²]
SAR = ∆W/ρ∆V = 1/ρ σ Eint² = c dT/dt [W/Kg]
E’ evidente che la capacità di conduzione e, di conseguenza, di dissipazione di un tessuto
dipendono drasticamente dalle caratteristiche dielettriche dello stesso, vale a dire la sua
conducibilità e la sua permittività dielettrica, considerando, in prima approssimazione, il tessuto
“trasparente” al campo magnetico, vale a dire con permeabilità magnetica relativa circa unitaria.
Per capire approfonditamente come un campo si accoppia ad un tessuto biologico altamente
complesso, è indispensabile modellare lo stesso in base alla variabilità dei suoi parametri dielettrici,
in particolare considerando la dipendenza dalla frequenza della permittività dielettrica relativa
complessa (mezzo dispersivo), nonché considerando i fenomeni dissipativi legati alla conducibilità
in bassa frequenza e alla parte immaginaria della permittività in alta frequenza (perdite per
orientazione dipolare).
Data l’enorme inomogeneità del mezzo, inoltre, occorre considerare i tre fenomeni di rilassamento
dipolare che riguardano la parte reale della permittività dielettrica (costante dielettrica relativa) che
intervengono a varie frequenze di lavoro.
In base a tale caratterizzazione, si evince che il campo elettrico è fortemente schermato in bassa
frequenza, a causa dell’elevato valore della εr, mentre penetra più facilmente al crescere della
frequenza, ma con profondità di penetrazione ridotta a causa delle dissipazioni dovute ad una
conducibilità crescente.
Un approccio integrato tra analisi teorica e modelli numerici permette di ottenere i seguenti risultati
dosimetrici, per esposizione umana sotto un elettrodotto a 380 kV:
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ξ E si riduce di 4x10^8 a 50 Hz (trascurabile)
H penetra inalterato (“trasparente” µr ~ 1)
ξ La densità di corrente indotta nel corpo è proporzionale, attraverso un fattore di forma, ai
campi esterni ed alla frequenza; le correnti indotte magneticamente sono circonferenziali
e numericamente più rilevanti per sezioni significative del corpo.
ξ Il modello numerico mostra come sia il campo elettrico che magnetico sono entro i limiti di
norma, inducendo una J complessiva dell’ordine di J = 0,16 mA/m² nella zona cuore-
cervello, ampiamente al di sotto dei limiti ICNIRP ’98 di 2 mA/m².
Nel caso di esposizione nei pressi (50 metri) di un impianto broadcasting FM a 10 kW , un analogo
approccio integrato permette di ottenere i seguenti risultati:
ξ L’assorbimento presenta andamento risonante attorno alla frequenza di lavoro, cioè su 70
MHz ed è massimo per polarizzazione E; ciò è del tutto consistente con la teoria del dipolo
hertziano per il quale si ha il massimo dell’assorbimento per un ellissoide prolato di asse
maggiore h = 0,4 λ.
ξ Il modello numerico (FDTD) permette di evidenziare gli “hot spots”, cioè i punti caldi a
maggior assorbimento; tutto ciò nell’ottica di poter considerare, nel modello numerico, un
SAR locale da sommare, cubetto per cubetto, in ragione della massa.
ξ Il SAR Total-body , indicativo del riscaldamento globale, non eccede 0,4 W/Kg
Questi importanti risultati danno un’indicazione ed una spiegazione razionale alle basi biofisiche
delle normative vigenti, il cui principio fondamentale è quello di basarsi su dati scientifici accertati
e consolidati, vale a dire, fino ad oggi, sugli effetti immediati.
Si stabiliscono dei limiti di base in termini di J e SAR che non devono mai essere superati e, da
questi, dei limiti derivati in termini di campi ambientali, che possono essere oltrepassati purchè
non lo siano i limiti di base.
L’ampia rassegna presente in letteratura conduce a definire dei valori numerici indicativi del livello
di soglia per un effetto biologico significativo, stabilito per la densità di corrente in bassa frequenza
a J= 10 mA/m² , confrontabile con il normale livello di fondo dell’attività del cuore e del cervello
(ECG,EEG), e per il SAR total-body in alta frequenza ad un valore pari a SAR=0,4W/Kg,
convenzionalmente pari al valore di attivazione del sistema di termoregolazione.
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Tale valore, ripercorrendo a ritroso la strada della dosimetria, corrisponde ad una densità di
potenza incidente di onda piana pari a 100W/m², ridotta di un fattore 10 in zona di risonanza.
Da tali valori si ricavano, con le inevitabili variabilità da norma a norma e con le peculiarità delle
singole leggi nazionali, i limiti di base per i lavoratori, su cui vengono poi applicati ulteriori fattori
di protezione per la popolazione.
Una approfondita analisi comparativa delle linee guida e norme internazionali può essere trovata
nella tesi, da cui possono trarsi, a scopo riasssuntivo, le conclusioni raggiunte dal gruppo di lavoro
che elaborò la normativa ICNIRP ’98 che, fino ad oggi, è il più importante punto di riferimento in
materia.
In bassa frequenza (0-10 kHz):
Limiti di base : J = 2 mA/m²
Livelli di riferimento : E = 5 kV/m , B = 100 µT
In alta frequenza (10 kHz-300GHz)
Limiti di base : SARm = 0,08W/Kg
SARloc = 2- 4 W/Kg (su 10 gr.)
Livelli di riferimento : E(V/m) H (A/m) P (W/m²)
Sottorisonanza 87 0,7 -
Risonanza. 27,5 0,07 2
Assorbimento Sup. 61,4 0,16 10
La situazione delle norme e leggi italiane sulla materia è improntata su posizioni di maggiore
protezione, in nome di un non meglio precisato principio di precauzione sancito dall’Unione
Europea.
La legge quadro del 22 febbraio 2001 riordina la legislazione precedente, cui peraltro fa
riferimento, dichiarando tra i suoi obiettivi la tutela della salute e del paesaggio, nonché
l’incoraggiamento della ricerca scientifica.
Ad oggi in Italia vigono, in base a tale legge, le norme stabilite nel DPCM del 23 Aprile 1992 per la
50 Hz e nel DM del 10 settembre 1998 per le RF e MW.
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La prima conferma sostanzialmente le linee guida internazionali, prevedendo inoltre delle fasce di
rispetto per le costruzioni nei pressi di un elettrodotto, la seconda stabilisce inizialmente dei livelli
consistenti con le norme internazionali anche se, per precauzione, abbassa i valori dei campi
ambientali a livelli del normale rumore di fondo di un’area abitata, indipendentemente dalla
frequenza.
Tale scelta iper-protezionistica (6 V/m per il campo elettrico) non sembra avere un grande
fondamento scientifico, per cui è auspicabile una rivisitazione della norma italiana sulla base dei
risultati ottenuti dalle commissioni internazionali ed in virtù di una corretta applicazione del
principio di precauzione stabilito dall’Unione Europea.