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INTRODUZIONE
Non chiedermi cosa è la povertà perché l’hai incontrata
nella mia casa. Guarda il tetto e conta il numero dei
buchi. Guarda i miei utensili e gli abiti che indosso.
Guarda dappertutto e scrivi cosa vedi. Quello che vedi è
la povertà.
(Kenya, 1997 da “Poverty Reduction Strategies: A Review. New
York: United Nations World Summit for Social Development”)
Questa tesi si colloca nell‟alveo dell'importante tematica concernente la povertà.
Nello studio della povertà, è di basilare importanza la definizione che se ne dà.
L‟obiettivo del seguente lavoro è quello di fornire una nozione condivisa di che cos‟è la
povertà e di proporre una misura della stessa a partire da alcune classi di indici.
Pertanto, dopo aver definito il concetto di povertà, passeremo a selezionare gli strumenti
di misurazione più idonei. Tra essi si ricordino la linea di povertà, che ha lo scopo di
separare i poveri dai non poveri; le scale di equivalenza, che permettono di confrontare
il reddito di una generica famiglia, in termini di tenore di vita, con quello di una
tipologia familiare di riferimento; gli indici di povertà. Infine, si farà una scelta delle
informazioni disponibili, sulla base della strumentazione utilizzata.
Il presente lavoro si articola in tre capitoli ed ognuno tratta dei temi chiave.
Nel capitolo 1 si definisce che cos‟è la povertà. Si fa una prima distinzione tra
povertà come privazione assoluta e povertà intesa in termini relativi.
Nel primo caso, per povertà si intende l‟impossibilità di soddisfare i bisogni di base.
Nel secondo caso, si definisce la povertà come uno stato di esistenza, di un membro di
una data comunità, peggiore dello standard della comunità a cui l‟individuo o la
famiglia appartiene. Secondo il primo approccio ci si basa sull‟individuazione di un
paniere di sussistenza; secondo l‟altro, su uno standard di riferimento per la comunità
sociale, come il tenore di vita. Se si parla in termini di povertà relativa, allora sono
poveri coloro che, seppure dispongono dei mezzi di sussistenza fondamentali, non sono
in grado di mantenere il tenore di vita ritenuto normale nella società in cui vivono.
In relazione alla misurazione della povertà, l‟analisi si articola in due fasi strettamente
connesse: una prima fase di identificazione dei poveri e una seconda fase che ha lo
scopo di aggregare i dati riguardanti i poveri, sulla base dei quali ottenere un indice
complessivo di povertà. Se ci si riferisce alla povertà come privazione assoluta, essa
viene posta in stretta relazione con il concetto di minimo di sussistenza. Si definiscono
povere le famiglie che dispongono di una quantità di risorse inferiore ad un limite
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stabilito. Nel fissare il limite si tiene conto delle esigenze minime per sostenere le spese
per il vitto, l‟abbigliamento e l‟affitto dell‟abitazione in relazione alla composizione del
nucleo familiare.
Si definiscono quindi delle soglie o linee di povertà, variabili secondo la dimensione e
la composizione demografica dei nuclei familiari. Attraverso tale analisi emerge
l‟importanza di definire delle scale di equivalenze tra famiglie diverse. Viceversa,
qualora ci si riferisca al concetto di privazione relativa, occorre individuare un
indicatore di posizione come la media o la mediana, al di sotto del quale si è poveri in
senso relativo.
In questa parte distinguiamo un‟analisi della povertà di tipo univariato da una
multivariata. Nel primo caso si farà riferimento ad una sola grandezza, quale il reddito o
la spesa per consumi; nel secondo caso si farà riferimento non solo a condizioni di
privazione economica ma anche, ad esempio, a fenomeni quali l‟esclusione dalla vita
politica o sociale.
L‟attuazione pratica di un approccio multidimensionale, comporta non pochi problemi,
compresa la difficoltà di dare una definizione dello status di povero.
Analizzando la povertà come problema multidimensionale, Amartya Sen dice
che essa è qualcosa di più della semplice mancanza di reddito. Egli pensa alla povertà
come la mancanza di abilità di essere qualcuno o fare qualcosa, e chiama ciò col termine
funzionamenti. Mentre la mancanza di reddito certamente limita la nostra abilità di
“funzionare” in certi modi, esso non è l‟unica cosa. Repressione politica, handicap fisici
o la mancanza di servizi sociali come le scuole o gli ospedali, limitano allo stesso modo
il nostro agire.
Il capitolo 2, presenta l‟approccio all‟analisi della povertà via dominanza
stocastica seguito da Jean-Yves Duclos. Si fa riferimento ad una serie di studi pubblicati
nell‟Ottobre 2006 dall‟ Economic Journal, con particolare interesse per il paper “Robust
Multidimensional Poverty Comparison”. Si evidenzia l‟importanza di implementare il
concetto attraverso comparazioni di povertà, che tengano conto della deprivazione
analizzata su differenti dimensioni e quindi sulle correlazioni tra di esse. Si evince che
le comparazioni di diversi standard di povertà differiscono da quelle che si basano
esclusivamente sul reddito.
I metodi analizzati da J-Y Duclos e dal suo gruppo di ricerca (D. E. Sahn e S. D.
Younger), e ancor prima i contributi di Atkinson e Bourguignon, sono più generali di
due altri metodi apparentemente intuitivi. Il primo è l‟approccio condotto dalle Nazioni
Unite attraverso l‟elaborazione dello Human Development Index. Quest‟ultimo indice è
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una media di tre dimensioni di benessere che sono il reddito, l‟aspettativa di vita e
l‟alfabetizzazione. Il problema è che i pesi attribuiti alle variabili sono arbitrari e
cambiano al cambiare delle stime sulla povertà.
Il secondo approccio è quello che confronta ciascuna dimensione di benessere “one-at-
time” . Per esempio, si può cercare di vedere se la povertà di reddito è minore nel Paese
A rispetto al Paese B, poi aggiungere le comparazioni relative all‟aspettativa di vita e
all‟alfabetizzazione. Se il Paese A mostra meno povertà in ognuna delle dimensioni
rispetto al Paese B, allora si può concludere che la povertà è inferiore nel primo Paese.
Risulta chiara l‟importanza di considerare una genuina comparazione della povertà a
livello multidimensionale, cioè non soffermarci soltanto alla dimensione individuale
“one-at-time”, che si basa esclusivamente sul reddito, ma analizzare anche la
correlazione tra le varie dimensioni. Questo è vero perché, dal punto di vista etico, è
peggiore per qualcuno essere povero su una o più dimensioni, per esempio l‟istruzione e
la salute, che non esserlo in tutte le dimensioni.
Spesso i dati a disposizioni sono caratterizzati da errori di misura, che rendono
difficile comprendere l‟estensione della povertà e la sua gravità. Per essere certi che la
povertà sia cambiata nel corso del tempo o che sia diversa tra due Paesi, occorre rendere
lo studio della deprivazione più “robusto”. Occorrono pertanto indicatori e strumenti
flessibili.
Tra questi emergono gli indici di povertà correntemente in uso e le curve di dominanza
stocastica che permettono di individuare, in qualsiasi confronto tra due o più
distribuzioni, quale sia la più disuguale (dominanza stocastica di primo ordine). Queste
curve sono usate per determinare se la povertà, la disuguaglianza o il benessere sociale
sono maggiori in una distribuzione piuttosto che in un‟altra, sulla base di classi generali
di indici e per diversi range di possibili linee di povertà. Cosa accade, però, se le curve
si intersecano? Per stabilire in quale distribuzione c‟è minore povertà, bisogna utilizzare
un criterio più restrittivo, calcolando l‟area sottesa alla curva di incidenza della povertà
(come varia l‟incidenza della povertà al variare della linea scelta). In questo caso si
parla di dominanza stocastica di secondo ordine.
Il capitolo 3, approfondisce il lavoro di Sabina Alkire e James Foster pubblicato
nell‟OPHI Working Paper Series 2008, ed è messo a confronto con i contributi di Tsui,
trattati nella parte introduttiva dello stesso capitolo. Tra i diversi articoli presi a
riferimento, riveste particolare importanza il paper “Counting and Multidimensional
Poverty Measurement”. Si cerca di individuare una nuova metodologia per analizzare la
povertà multidimensionale, distinguendo due fasi fondamentali. La prima fase consiste
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nell‟identificazione dei poveri, la seconda nell‟aggregazioni di diversi valori in un‟unica
misura di povertà. In quest‟ultimo caso si devono rispettare una serie di proprietà
desiderabili e si rende necessario distinguere i dati in ordinali e cardinali, poiché
un‟analisi erronea della povertà, si ripercuoterebbe negativamente sulla misurazione
della stessa.
Infine, nello stesso capitolo, si analizzano le relazioni dell‟approccio di
Pattanaik-Xu (Cfr: “On Ranking Opportunity Sets in Term of Freedom of Choice”,
Reserches Economiques de Louvain; “On Preference and Freedom”, Theory and
Decision; “On Diversity and Freedom of Choice”, Mathematical Social Sciences) con il
noto “capability approach” di Amartya Sen e con la strategia di identificazione, che
cerca di rispondere al quesito: chi è da considerarsi povero e chi no?. Lo scopo è di
sviluppare il tema del valore intrinseco attribuito alla libertà. Quest‟ultima rappresenta
un set di opportunità per cui, presi due insiemi, la scelta dipende solo dal numero di
opzioni presenti in ogni set di opportunità.
Da questa analisi si ricavano diverse chiavi di lettura, che permettono di evidenziare i
punti di forza e di debolezza dei vari approcci.
Il capitolo si conclude con alcune considerazioni sulla misurazione della povertà
multidimensionale, mettendo a confronto i dati di due Paesi estremamente diversi come
gli Stati Uniti e l‟Indonesia.
Al termine di questa digressione, l‟elaborato si chiude con una serie di riflessioni
conclusive, attraverso cui si forniranno spunti di dibattito per altri eventuali studi
inerenti la povertà multidimensionale, vista l‟attualità del tema trattato.
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1. LA POVERTA‟
1.1. Povertà di cosa?
La povertà è un concetto che è difficile da definire. Solitamente si pensa ad essa,
innanzitutto, come scarsità di mezzi di sussistenza, impossibilità di soddisfare i bisogni
primari. Quella che in un primo momento sembra una parola chiara e di ovvio
significato viene usata in una larga serie di situazioni reali diverse tra loro, ugualmente
designate col termine povertà.
Povero è l‟anziano che vive della pensione sociale; ma povero può essere anche
l'altro anziano che ha invece la pensione minima che è tuttavia insufficiente rispetto ai
suoi pur limitati bisogni. Povera è poi quella famiglia in cui entra sì un reddito da
lavoro, ma di consistenza così esigua da non bastare fino alla fine del mese. Aumenta
sempre di più il numero di coloro che, pur avendo uno stipendio “medio”, si dichiarano
poveri perché hanno chiara la sensazione di doversi privare di troppe cose che sono
invece normalmente disponibili per le altre famiglie tra le quali vivono. Il confine della
povertà continua così a non essere definito. Questa difficoltà di dare un significato alla
povertà si traduce anche nella difficoltà di stabilire precisamente quanti e quali siano i
poveri nel mondo. Quello che rimane sicuro è che, nonostante i notevoli progressi
economici che sono stati fatti negli ultimi anni, le condizioni di vita non sono migliorate
per tutti. Inoltre, nel mondo contemporaneo, il concetto di povertà ha lasciato spazio a
quello più ampio ed articolato di esclusione sociale, che sembra essere una condizione
ancora più diffusa.
Il dibattito interdisciplinare in tema di povertà è stato negli ultimi decenni assai vivace,
la letteratura ha raggiunto dimensioni considerevoli e molteplici sono stati gli studi che
hanno dato origine ad una diversità di approcci, ad ognuno dei quali è corrisposta
un‟attenta definizione e concettualizzazione. Il risultato è che, nel tempo, sono state
formulate svariate definizioni di povertà: non la povertà, ma, piuttosto, diverse povertà.
È bene sottolineare che l‟esistenza di aree di povertà non appartiene in modo
esclusivo alle sole società più arretrate. Nei Paesi sviluppati permangono situazioni di
disagio e di deprivazione. È presente un interesse diffuso nei confronti del problema
della povertà, tuttavia non esiste una convergenza di opinioni sul significato da
attribuire al termine, né sui metodi di analisi e di misurazione più idonei a fornire
indicazioni in merito all‟intensità con cui essa si manifesta, né sull‟individuazione delle
cause che possono essere all‟origine del fenomeno.
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Un importante aspetto che emerge a prima vista in questo campo di studi è la grande
distanza che separa le elaborazioni concettuali dall‟applicazione empirica. Al grado di
sofisticazione nelle tecniche di analisi e di misurazione sviluppate in campo teorico
corrispondono drastiche semplificazioni in sede applicativa.
Analizzando più in profondità la questione, vi è innanzitutto una necessaria
distinzioni da fare tra due tipi di approcci, unidimensionale da un parte e
multidimensionale dall‟altra. L‟approccio più tradizionale alla povertà è l‟approccio
unidimensionale. Esso è basato essenzialmente sulla definizione e misurazione della
stessa a partire da un‟unica variabile, sia essa il reddito o sia essa la spesa. Da qui deriva
l‟identificazione della povertà come mancanza di benessere economico, ossia come la
caduta di un indicatore monetario al di sotto di una soglia oggettiva: la linea di povertà.
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In questo contesto, insomma, i numerosi concetti di povertà formulati sono tutti
riconducibili alla tradizionale distinzione tra povertà assoluta e povertà relativa. Il primo
concetto è legato al livello di vita minimo accettabile ed è, quindi, indipendente dal
contesto sociale e temporale. Qui la definizione di povertà avviene senza alcun
riferimento alle condizioni di vita prevalenti nel resto della comunità. Il secondo
concetto, quello di povertà relativa si basa, invece, sull‟assunzione che la condizione
sociale di un individuo non può essere definita se non a partire dall‟ambiente nel quale
egli vive, per cui persone, famiglie, gruppi di popolazione possono essere considerati
poveri quando mancano di risorse per raggiungere quei tipi di alimentazione,
partecipare a quelle attività ed avere quelle condizioni di vita e comodità che sono
abituali o almeno approvati nella società alla quale appartengono.
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Analizzare la povertà
in termini di scarsità di reddito pone numerosi problemi: la definizione delle variabili, la
derivazione dei bisogni minimi, la scelta degli indicatori, la definizione della linea di
povertà con tutti i problemi che da essa derivano.
Come definire la povertà? In modo soggettivo oppure oggettivo, in modo
assoluto o relativo? Per definire il concetto di privazione relativa bisogna servirsi del
reddito medio o mediano? Come scegliere le scale di equivalenza? Quale unità statistica
di riferimento adottare: famiglia, nucleo familiare o individuo? Questi sono solo alcuni
dei principali interrogativi che si pongono gli studiosi.
Più di recente l‟intesse si è focalizzato sul fatto che una misura di povertà deve
essere definita a partire da una molteplicità di variabili. Il reddito è solo una delle
dimensioni della povertà. Questo approccio focalizza l‟attenzione sulla qualità della vita
1
Cfr: Gasper D., (2003).
2
Towensend, P., (1979).
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più che sulla ricchezza posseduta, permettendo, oltre ad una descrizione più attenta del
fenomeno, una spiegazione più appropriata delle cause. In questo approccio si
distinguono delle analisi multivariate quali l‟indice sulla povertà umana del Rapporto
sullo Sviluppo Umano delle Nazioni Unite e l‟approccio dei funzionamenti e delle
capability di Amartya Sen
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. Secondo quest‟ultimo la povertà è legata all‟accesso alle
risorse, non alla loro esistenza o meno, alla capacità e possibilità di poter disporre di
beni necessari, piuttosto che alla semplice disponibilità di risorse di un Paese.
1.2. Misure di povertà e di esclusione sociale: concetti, metodi, indici
La valutazione statistica della povertà si articola in due fasi strettamente
connesse: la fase di identificazione dei poveri e quella dell‟ aggregazione dei dati
riguardante i poveri allo scopo di ottenere un indice complessivo di povertà.
1.2.1. Povertà assoluta e povertà relativa
L‟analisi economica della povertà riprende diversi concetti legati alla
disuguaglianza. Il problema della povertà si distingue da quello della disuguaglianza
poiché presuppone l‟identificazione dei soggetti da considerare poveri. Secondo Sen
4
,
però, la povertà di una persona non può essere indipendente da quanto sono poveri gli
altri, per cui non è un concetto assoluto, ma tanto meno relativo, altrimenti ci sarebbe
una sovrapposizione dei concetti di povertà e disuguaglianza. L‟identificazione dei
soggetti poveri o delle famiglie povere è definita rispetto ad una soglia di povertà. È
definita povera una famiglia il cui reddito o la cui spesa per i consumi è inferiore o
uguale alla soglia di povertà, cioè si deve valutare quanto in media la spesa delle
famiglie povere è percentualmente al di sotto della linea di povertà. Quest‟ultima può
essere definita rispetto ai redditi o alla spesa per i consumi secondo diverse modalità.
Esistono due criteri principali per definire la soglia di povertà: uno assoluto,
l‟altro relativo.
Secondo il criterio assoluto si definisce povero chi non può soddisfare i bisogni di base,
cioè chi manca di beni fondamentali come la qualità del cibo, i vestiti, la casa, poiché
esiste un minimo assoluto necessario per vivere. Pertanto la soglia è definita rispetto a
un paniere minimo di beni, sufficiente ad assicurare la sopravvivenza della famiglia. In
3
Premio Nobel per l‟Economia 1998.
4
Cfr: Sen, A., (1985).
8
quest‟ottica, la povertà in termini assoluti è definita come l‟incapacità di acquistare tale
paniere.
Al contrario, seguendo il criterio relativo, la soglia è definita in relazione allo standard
di vita medio della comunità di riferimento. Comunque, la percezione di cosa sia un
adeguato o accettabile standard di vita dipende dalle regole condivise di una data
comunità a cui si appartiene. Perciò la povertà dovrebbe essere giudicata “non da alcuni
standard di vita assoluti e definiti storicamente, ma in relazione a standard
contemporanei”
5
. I criteri da adottare per la povertà dovrebbero essere relativi al
periodo e alla comunità considerati. “Una camicia di tela, non è rigorosamente parlando,
necessaria all‟esistenza, ma attualmente, nella maggior parte d‟Europa, un giornaliero
rispettabile si vergognerebbe di apparire in pubblico senza una camicia di tela; la sua
mancanza denoterebbe quel disgraziato grado di povertà cui si presume che nessuno
possa arrivare senza una condotta estremamente cattiva”.
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Di norma lo standard di vita medio viene fatto coincidere con il valore medio o mediano
dei redditi familiari.
Analizziamo nel dettaglio i due tipi di approcci. Nel primo caso, il concetto di
povertà assoluta si basa sull‟idea che sia possibile determinare un paniere di beni e
servizi primari il cui consumo è necessario per non vivere in uno stato di privazione, o
per dirla alla Sen, per non vedersi negata la possibilità “di essere qualcuno o fare
qualcosa”. In quest‟ottica, il mancato raggiungimento del livello di spesa prefissato,
indica una condizione di povertà assoluta. Pertanto bisogna definire i bisogni di base
che una persona deve soddisfare per vivere in modo decoroso.
Tale approccio dà luogo, tuttavia, a due ordini di problemi. In primo luogo le
valutazioni degli esperti che consentono di determinare la soglia non sono mai
totalmente oggettive, poiché sono gli individui a decidere quali beni includere nel
paniere. In secondo luogo, la povertà assoluta, per come è definita la soglia, tende a
ridursi nel tempo in presenza di un reddito reale pro-capite e di una spesa per consumi
crescenti. Quest‟ultima considerazione è confermata dal fatto che prima meno persone
potevano accedere al paniere minimo.
Il metodo rimane tuttavia valido per due motivi principali, primo perché nei Paesi
sviluppati permette di individuare le famiglie che hanno difficoltà a raggiungere gli
standard minimi vitali; secondo, perché nei Paesi in via di sviluppo, dati i bassi livelli di
vita, è ancora oggi il miglior modo per valutare la povertà.
5
Cfr: Vercelli A., Borghesi S., (2007).
6
Adam Smith, (1776), trad. it. Torino Utet, (1975).
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Concentrando ora l‟attenzione sulla povertà relativa, la misurazione secondo tale
approccio, permette di tener conto dell‟evoluzione delle norme e dei costumi sociali di
una collettività. Nell‟accezione relativa è povero colui che possiede risorse inferiori a
quelle possedute in media dagli altri membri della società in cui vive.
Anche questo approccio, come il precedente, presenta però diversi punti deboli: la
povertà relativa non cambia se i redditi di tutti gli individui si muovono nella stessa
percentuale, inoltre può aver un andamento pro-ciclico, cioè se il ciclo va bene le
famiglie hanno un reddito maggiore, ma emerge il paradosso di un aumento in termini
assoluti mentre cresce la disparità tra ricchi e poveri. Infine il concetto di povertà tende
a confondersi con quello di disuguaglianza.
L‟economista Sen afferma che “la privazione relativa non può essere l‟unica base per
giudicare la povertà. Ad essa si dovrebbe accompagnare un‟analisi della povertà in
termini di privazione assoluta.” Egli unisce i due concetti con quello di abilità, mettendo
in evidenza che non è importante ciò che uno ha, ma l‟uso che se ne fa. Ciascun bene ha
infatti diverse caratteristiche che danno a chi lo possiede l‟abilità di fare qualcosa, che
dia utilità o felicità. In accordo con questa visione c‟è una sequenza logica che va dalla
proprietà del bene, alle sue caratteristiche, alle abilità permesse da tali caratteristiche,
fino all‟utilità fornita da tali abilità. La distinzione tra queste quattro categorie permette
di definire sia il concetto di standard di vita, sia quello di povertà. Lo standard di vita è,
infatti, strettamente legato all‟abilità di fare.
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La mancanza di beni di prima necessità è una forma di povertà. Tuttavia, anche la
mancanza di beni che evitano il disagio nel contesto sociale di riferimento può essere
configurata come una forma di povertà. Una persona non povera ha pertanto l‟abilità
non solo di soddisfare i propri bisogni fisici, ma anche di evitare il disagio in caso di
mancato raggiungimento degli standard di riferimento.
Questa visione è già presente in Adam Smith
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, il quale sosteneva che una persona
povera non solo non ha l‟abilità di soddisfare i propri bisogni fisici di base, ma neanche
può “evitare la vergogna” generata dall‟incapacità di raggiungere certi standard. Quindi
la nozione è relativa allo spazio dei beni, ma la capacità di evitare la vergogna è un
bisogno assoluto.
7
Cfr: Baldini, M., Toso, S., (2004). Capp. 2-3-5.
8
È il maggior rappresentante della filosofia scozzese del „700.