5
Il secondo capitolo è dedicato agli strumenti che vengono
maggiormente utilizzati per la misurazione della resilienza. In primo
luogo sarà brevemente spiegata la differenza tra strumenti di tipo
quantitativo (di cui fanno parte le scale della resilienza reperite in
letteratura) e qualitativo (ciò che ci si propone di sviluppare). In
seguito verrà presentata una rassegna dei principali strumenti al
momento utilizzati per misurare il costrutto in esame. In conclusione
verranno introdotti i due modelli descrittivi della resilienza, il modello
de “i pilastri” (Grotberg, 1995) e quello de “la casita” (Vanistendael,
1996), che hanno costituito il punto di partenza per lo sviluppo degli
strumenti qualitativi.
Il terzo ed il quarto capitolo presenteranno i suddetti strumenti
sviluppati a partire dai due modelli descrittivi. Verranno inizialmente
definite le ipotesi metodologiche che ne hanno guidano lo sviluppo e
l’applicazione, per poi procedere alla loro valutazione critica tramite
l’analisi dei contenuti emersi e degli strumenti stessi così come sono
stati costruiti. I due strumenti si propongono di analizzare le
caratteristiche individuali e relazionali dei soggetti (il campione
comprende ragazzi dai 6 ai 14 anni di età) da due diversi punti di
vista: in particolare lo strumento derivante dalla casita è costituito da
una griglia di osservazione compilata da una figura adulta che
costituisca un riferimento per il soggetto mentre dal modello dei
pilastri è derivata un’intervista semistrutturata in grado di cogliere le
percezioni del soggetto stesso. Infine verrà proposto un confronto tra
i contenuti emersi da questi due strumenti, per verificarne la
compatibilità ed avere un’idea della coerenza delle informazioni
raccolte. Seguirà una discussione critica dei risultati di tale confronto.
6
CAPITOLO 1: LA RESILIENZA
Introduzione
Definire un costrutto ampio come la resilienza è un compito
complesso: questa può essere infatti riferita ad un individuo, ad una
relazione, ad un gruppo o ad una comunità, e comprende varie
definizioni che ne sottolineano i diversi aspetti.
In questo capitolo verranno elencate le principali definizioni di
resilienza, proposte da alcuni dei più importanti studiosi del concetto.
Si vedrà quindi nel dettaglio come ogni definizione ponga in evidenza
le differenti accezioni del costrutto, cercando infine di darne una
descrizione completa e comprensiva di tutte le sue caratteristiche.
La resilienza viene inoltre utilizzata all’interno di molte branche della
psicologia che contribuiscono ad approfondirne e ad ampliarne le
varie dimensioni. Anche in questo caso, si vedrà come le discipline
psicologiche appartenenti a diversi ambiti facciano uso della
resilienza a seconda della propria peculiarità, sfruttando la versatilità
e la complessità del costrutto in esame.
Dopo aver definito in modo completo la resilienza e gli ambiti in cui
essa viene applicata, verranno analizzati dettagliatamente i fattori in
grado di facilitarne lo sviluppo a livello individuale (fattori di
personalità, caratteristiche e competenze del soggetto), relazionale e
comunitario (contesti in grado di favorire la comparsa di
comportamenti resilienti).
In conclusione verranno elencate alcune linee guida utili a
promuovere questi fattori protettivi, in modo da contribuire alla
facilitazione e al mantenimento di condotte resilienti.
7
1. Definizione
“Resilienza: [dal latino Resilire „saltare indietro, rimbalzare‟] 1
Capacità di un materiale di resistere ad urti improvvisi senza
spezzarsi. 2 Idoneità di una persona ad affrontare le avversità e a
superarle”. (Zanichelli, 2009, pagina 1886).
Il termine resilienza, nell’ambito delle scienze fisiche, è un parametro
per misurare la resistenza dei materiali. Solo nei dizionari più recenti
si può trovare il termine riferito anche all’essere umano, ad indicare
sia l’attualità del concetto in esame, sia il crescente interesse che sta
assumendo per la psicologia.
Si può definire in generale la resilienza come la capacità di un
essere umano di resistere ad eventi avversi e mantenere un
equilibrio funzionale nonostante le condizioni ambientali siano
sfavorevoli. I primi studi in merito sono nati dall’osservazione che
alcuni bambini considerati svantaggiati in quanto esposti a contesti
rischiosi presentavano comunque un livello di competenza che
permetteva loro di adattarsi all’ambiente ed evolversi positivamente
(Garmezy, 1974; Rutter, 1979). Da queste osservazioni prende avvio
il cambiamento dell’ottica patocentrica (che assume la
corrispondenza tra rischio e disagio), verso un’attenzione più
marcata nei confronti di ciò che nell’essere umano resta sano,
funzionale, verso ciò che può essere considerato una risorsa. Tali
osservazioni risultano innovative in quanto si inseriscono in un
contesto dove prevale l’utilizzo di un approccio basato sul deficit,
sull’identificazione dei sintomi e della relativa terapia, sull’equazione
“rischio = problema”. In quest’ottica il comportamento resiliente
sarebbe considerato “parte dell‟inspiegabile variabilità presente nelle
analisi dei ricercatori” (Zimmerman, 1994, pagina 1).
I primi studiosi di resilienza cercano invece di affrontare,
comprendere e spiegare questa interessante variabilità.
8
Prima di passare alla trattazione dettagliata del concetto di
resilienza occorre considerare che nell’affrontare le questioni relative
all’essere umano è di fondamentale importanza conoscere la cultura
di riferimento all’interno della quale esse sono inserite. È infatti
possibile riconoscere, all’interno della caratterizzazione dei vari
concetti, i valori fondamentali derivanti dallo sfondo culturale a cui le
persone appartengono e in cui crescono. Ogni cultura ha infatti una
forma specifica di esprimere i valori e le norme, derivante dalla
storia, dalle regole e dalle esperienze condivise, che influenza le
credenze ed il comportamento dei singoli.
Per quanto riguarda nello specifico il concetto di resilienza, si può
notare come nella sua versione occidentale vengano sottolineate
caratteristiche come l’autonomia e la capacità di affrontare con le
proprie forze le situazioni difficili; nella cultura orientale sono la
capacità di vivere in armonia con la collettività e la collaborazione ad
essere considerate forme opportune di vita (Putton e Fortugno,
2006).
Le forme attraverso le quali si articola la resilienza sono inoltre
determinate da specifiche condizioni storiche e socioeconomiche:
“per noi occidentali non è, come per chi abita in altre parti del mondo,
sopravvivere alla fame e agli orrori delle guerre, ma è la capacità di
superare le difficoltà ordinarie della vita, come quelle che si possono
incentrare nell‟adolescenza, nella genitorialità, nella vita di coppia,
nel lavoro e quelle straordinarie (…) come ad esempio una malattia
grave” (Putton e Fortugno, 2006, pagina 9) .
Il contesto culturale offre lo spazio interpretativo per dare significato
agli eventi (anche di quelli traumatici). È importante capire come
l’individuo e la collettività interpretino questo tipo di eventi in quanto
la natura del trauma (o meglio come esso viene percepito, che
significato gli viene dato) è una variabile che determina l’utilizzo e le
caratteristiche dei comportamenti resilienti.
9
Esiste infatti un senso di coerenza collettivo, oltre che personale, che
influenza in egual modo gli individui in quanto facenti parte di una più
ampia collettività, che ne determina il senso di appartenenza e di
identità personale e collettiva. Il concetto di resilienza può assumere
quindi diverse accezioni e sfumature a seconda del contesto in cui è
inserita. Parallelamente agli elementi culturali, il sistema di valori che
caratterizza una determinata società o contesto veicola allo stesso
modo il senso che viene dato al concetto di resilienza. In questo
caso si fa riferimento alla dimensione delle dinamiche socio-
simboliche che definiscono le caratteristiche di quella entità
sovraindividuale che costituisce la trama della comunità stessa
(Mannarini, 2004). Ad esempio, “nelle culture in cui la famiglia è
debole e la scuola non è un valore, sono la delinquenza e i rapporti
di violenza a diventare dei tutori di sviluppo. Il bambino resiliente, a
quel livello della sua strutturazione psichica e in quel preciso
contesto culturale, sarà un ottimo mascalzone, attaccabrighe e ladro,
predisposto alle astuzie relazionali” (Boris Cyrulnik, 2005, pagina 25).
Nel tentativo di definire l’ampio concetto di resilienza, si fa
riferimento a due correnti principali: quella americana e quella
francese.
La prima corrente fa coincidere la resilienza con il recupero
dell’equilibrio precedente al trauma. L’individuo resiliente è quindi
colui che è in grado di mantenere intatto il suo funzionamento ad un
livello ottimale nonostante le avversità, e la resilienza è la capacità di
mantenere o recuperare questa sorta di equilibrio omeostatico.
La corrente francese amplia il concetto, riferendosi anche alla
dimensione dell’apprendimento e della crescita post-traumatica. “La
resilienza (…) è più della resistenza e più ampia della adattabilità,
che è solo uno dei suoi componenti” (Manciaux, 2003, pagina 21) : la
persona resiliente è quella che dal trauma apprende nuove capacità
e competenze, risulta rinforzata e approda ad un livello superiore di
funzionalità e adattamento rispetto al passato. Ad esempio può
10
verificarsi lo sviluppo di un maggiore senso di efficacia personale, le
relazioni di aiuto e sostegno possono andare incontro ad un
incremento ampliando di conseguenza le competenze sociali o può
essere osservata l’attuazione di comportamenti prosociali e altruistici
con persone che vivono la stessa situazione. Questo non vuol dire
che l’evento stressante venga dimenticato o del tutto superato:
l’individuo rimane in grado di affrontare le situazioni, rispondere agli
imprevisti e mantenere ad un livello ottimale il suo funzionamento,
inserendo l’evento traumatico nella sua storia personale e
accettandola come esperienza di vita. Occorre infatti tenere ben
presente la differenza tra elaborazione (che permette appunto
questo tipo di prospettiva rispetto al trauma risultando quindi
costruttiva per un adattamento positivo alle circostanze) e negazione
(tentativo adattivo ma non funzionale di evitare i sentimenti negativi
legati al trauma e le sue conseguenze).
A questo proposito si esprimono vari autori che seguono questa
corrente di pensiero: Manciaux afferma che “essere resiliente non
significa recuperare nel senso stretto della parola, ma crescere verso
qualcosa di nuovo […], occorre fare un salto in avanti, aprire porte,
senza negare il passato doloroso, ma superandolo” (2003, pagina
53)
Un altro importante studioso di resilienza, Boris Cyrulnik (2005,
pagina 7), osserva che “la storia dell‟umanità è costellata di gruppi
umani e persone che (…) sono riusciti a resistere, far fronte,
trasformare, integrare e costruire una personale e collettiva
resilienza”.
In questa tesi si farà maggiormente riferimento alla corrente
francese, estesa poi anche all’ambiente sudamericano che ne segue
la linea e ne approfondisce le teorie.
E’ un fatto noto anche al senso comune che esistano persone
maggiormente in grado di altre di resistere agli eventi avversi, che
escono da situazioni considerate ad alto rischio mantenendo intatte
11
competenze e immagine di sé. Lo studio della resilienza cerca di
spiegare scientificamente questa caratteristica che considera propria
dell’essere umano, e passa dal considerarla un attributo di pochi
“invulnerabili” ad una caratteristica più o meno latente in ogni essere
umano che può essere coltivata e sviluppata in ognuno e in ogni
comunità.
Lo studio della resilienza ha come obiettivo l’identificazione delle
caratteristiche dell’individuo e dell’ambiente che possono
promuovere o inibire le competenze e gli attributi correlati al costrutto
in esame e dei processi sottostanti a queste dinamiche (fattori di
protezione e fattori di rischio).
Si possono disporre lungo un continuum le varie tipologie di reazione
che un individuo può assumere davanti ad un evento traumatico (B.
Vera Posek et al., 2006).
Alcune persone, in seguito all’esposizione ad avvenimenti stressanti,
sviluppano patologie. Questo è il campo maggiormente studiato dalla
psicologia tradizionale, che cerca di individuare le cause di tale
reazione disfunzionale per trovare soluzioni in base ai sintomi e ai
disagi presentati dal soggetto. E’ anche possibile che in alcuni
individui la patologia resti latente per un determinato periodo di
tempo e che si sviluppi un disturbo vero e proprio anche anni dopo il
trauma.
In altri individui è invece possibile osservare un recupero naturale: i
disagi causati dal trauma scompaiono col tempo manifestando la loro
funzione di adattamento per il soggetto che stava vivendo una
situazione di difficoltà.
Infine, ed entriamo qui nel campo della resilienza, esistono individui
che riescono a superare gli eventi stressanti mantenendo un
equilibrio funzionale o addirittura scoprendo risorse latenti e
insospettate che gli permettono di superare le avversità.
12
Boris Cyrulnik descrive a tal proposito i meccanismi psichici messi in
gioco in queste dinamiche di reazione al trauma, considerando sia la
dimensione soggettiva e che quella relazionale.
L’asse intrapsichico comprende i mezzi utilizzati dal soggetto per
valutare e fare fronte al trauma e ai suoi effetti (attribuzione di
senso), per gestire le emozioni ad esso connesse, la pianificazione
di strategie per superare la crisi e l’effettiva capacità di mettere in
atto tali comportamenti.
Considerando l’asse relazionale, si afferma che il soggetto in una
situazione di crisi cerca nell’ambiente relazioni di sostegno e risorse
nel rapporto con persone che credono nelle sue capacità. Tale asse
è correlato al primo nella misura in cui sia in grado di offrire uno
spazio dove sviluppare le capacità del soggetto e le sue risorse
interiori. In particolare è il gruppo familiare a svolgere tale funzione e
a diventare fonte di resilienza.
Diversi autori hanno fornito delle definizioni del concetto in
esame; qui di seguito vengono riportate le più utilizzate, in modo da
identificarne le somiglianze e dare come conclusione una definizione
riassuntiva.
Masten e Garmezy (1984) la definiscono come la capacità di
adattamento dell’individuo esposto a fattori biologici di rischio o
eventi di vita stressanti, includendo nella definizione anche il fatto
che debba esistere l’aspettativa di poter far fronte ad eventi
stressanti successivi.
Tale definizione è chiara e di immediata comprensione, ma parla del
processo di adattamento senza considerare il dispiegarsi delle
interazioni tra l’individuo e il suo ambiente che sull’adattamento
hanno una forte influenza.
E’ da notare invece l’enfasi sulle aspettative future, che come si
vedrà in seguito sono fondamentali per lo sviluppo e il mantenimento
di comportamenti resilienti.
13
L’importanza delle interazioni tra uomo e ambiente è invece
fortemente sottolineata dalla definizione di Rutter (1992), che parla di
un insieme di processi sociali e intrapsichici che danno la possibilità
di vivere un’esistenza sana pur avendo quotidianamente a che fare
con un ambiente disagiato. Questi processi si combinano nel tempo
dando luogo a combinazioni “fortunate” tra le caratteristiche del
bambino e il suo ambiente familiare, sociale e culturale. Di
conseguenza la resilienza non può essere considerata come un
attributo innato, né come una capacità che il soggetto acquisisce
spontaneamente durante il percorso di sviluppo. Si tratta piuttosto
del risultato di un processo interattivo che si instaura tra il soggetto e
il suo contesto.
Questa definizione amplia la prospettiva prendendo in
considerazione la variabilità individuale, seppur non espressa in
modo evidente, che può scaturire dalle interazioni tra le diverse
situazioni in cui il soggetto vive e le sue caratteristiche originali che
possiede in quanto persona. Questa definizione rende meglio la
complessità del costrutto in esame e del suo possibile sviluppo,
aprendo la strada alle considerazioni sui fattori di protezione e di
rischio per promuovere la resilienza nell’individuo.
Anche Zimmerman (1994) parla di fattori e processi della
resilienza, processi in grado di interrompere la traiettoria che va
dall’esposizione del soggetto a contesti rischiosi al presentarsi di un
disagio o di un comportamento deviante, portando verso un esito
positivo la via dello sviluppo anche in presenza di avversità.
Le definizioni fin qui citate non fanno alcun riferimento alla
possibilità di ampliare la resilienza a livello comunitario, dimensione
presa invece in considerazione da Vanistendael (1994), che
definisce il concetto come la capacità di una persona o di un sistema
sociale di affrontare in modo adeguato le difficoltà in una forma
socialmente accettabile. Vi è qui una considerazione anche sul
versante culturale più ampio, che fornendo agli individui che ne
14
fanno parte lo sfondo di riferimento per dare significato agli eventi e
alle proprie azioni vincola inevitabilmente anche il concetto in esame.
L’autore distingue inoltre due diverse componenti temporali della
resilienza: la capacità di mantenere la propria integrità sotto
pressione (nell’immediato) e la capacità, a lungo termine, di costruire
un percorso di vita positivo nonostante l’esposizione ad eventi
avversi.
La dimensione comunitaria è ripresa anche dalla definizione
pubblicata dalla Fondation pour l’Enfance (2000), secondo la quale
resilienza è “la capacità di una persona o di un gruppo di svilupparsi
in modo adeguato per continuare ad avere aspettative positive verso
il futuro nonostante eventi destabilizzanti, condizioni di vita difficili e
traumi anche gravi”. Anche la dimensione delle aspettative per il
futuro ha qui rilevanza.
Grotberg (1995) sottolinea altri due importanti attributi della
resilienza: il suo carattere universale (è descritta come una
caratteristica presente a livello potenziale in ogni individuo che deve
essere promossa fin dall’infanzia) e la dimensione di crescita post-
traumatica (la capacità di far fronte alle avversità, superarle e
addirittura uscirne trasformato).
Come Rutter, un altro importante studioso della resilienza, Boris
Cyrulnik (2000), nella sua definizione pone l’enfasi sui processi e
sulle interazioni dell’individuo con l’ambiente, paragonando la
resilienza ad una trama composta dall’intreccio di due fili: quello dello
sviluppo e quello affettivo e sociale. Gli individui resilienti sono in
grado di reperire in se stessi, nell’ambiente e nelle relazioni le risorse
per fronteggiare i momenti di crisi. Sono valorizzate in questa
definizione le dimensioni dell’affettività e del sostegno sociale.
La definizione di Marie Anaut (2003) menziona per prima il fatto
che la resilienza, oltre a non essere una caratteristica innata, non è
presente in modo costante lungo l’arco di vita del soggetto. Una
persona può sviluppare comportamenti di tipo resiliente in certe
15
situazioni ma non avere le risorse necessarie per affrontare
situazioni successive di diverso tipo ed entità. Resilienza non
significa quindi invulnerabilità.
Assumendo una prospettiva psicosociale, Francesca Emiliani
(1995) afferma che la resilienza si sviluppa nelle relazioni e si fortifica
grazie alle esperienze di successo che incrementano l’autostima e
l’efficacia personale, aggiungendo alle caratteristiche menzionate
nelle definizioni citate la dimensione degli attributi di personalità del
soggetto.
Viste queste definizioni di resilienza, si possono riassumere le
sue caratteristiche principali:
ξ Esistono due componenti che insieme fanno sì che si possa
parlare di resilienza: la resistenza ad un trauma (adattamento) e la
capacità di ricostruire il proprio equilibrio crescendo come individuo e
sviluppando le proprie competenze personali.
ξ La resilienza è caratterizzata da una dimensione temporale: si può
essere resilienti nell’immediato, ma ciò che permette di mantenere
un equilibrio funzionale è la capacità di creare un sistema di
aspettative positive che guidino l’azione e diano fiducia all’individuo.
Inoltre, tale caratteristica non rimane stabile lungo il corso di vita del
soggetto ma dipende dal suo livello di sviluppo al momento del
trauma (e quindi dalle competenze acquisite dall’individuo durante il
suo cammino di sviluppo) e da caratteristiche contingenti che
possono variare nel tempo.
ξ La resilienza è correlata ad alcune caratteristiche di personalità
che possono essere sviluppate grazie ad un ambiente che offra il
sostegno adeguato: autostima, senso di efficacia personale, corretta
percezione delle proprie capacità e limiti, da cui deriva la capacità di
pianificazione realistica di obiettivi e strategie per raggiungerli. Le
caratteristiche innate, come ad esempio il temperamento, che
possono influenzare la creazione di relazioni non sono menzionate.