4
PREMESSA
La parola «Mistica» ha origine greca, nella radice del verbo myein, che indica
l'atto di chiudere, anzi di socchiudere, gli organi dei sensi, ed è in connessione con il
concetto religioso arcaico di 'mistero', che indicava una dimensione non tanto
misteriosa quanto iniziatica, riservata a coloro che erano stati adeguatamente istruiti,
anche attraverso un processo di purificazione. In questo senso myste era l'iniziato al
mysterion, mystagogo colui che introduceva al mistero stesso. Scopriamo così che,
prima di tutto, questa parola si riferisce proprio alla segretezza e all'incomunicabilità
dell'esperire il sacro.
L'ineffabilità e la vaghezza del termine ha una diretta relazione con i diversi
modi con i quali la stessa dimensione mistica è stata accostata e vissuta,
corrispondendo, quindi, alle nozioni della Divinità che santi e mistici hanno
tramandato nei loro scritti e nei loro discorsi: come una Edith Stein che parla di un
contatto con Dio per mezzo della fede che individua come «l‘unica via verso
l‘incomprensibile Iddio, e che solo allora le verrà concessa la contemplazione mistica,
il raggio di tenebra, la misteriosa sapienza di Dio, la conoscenza oscura e vaga: che
riconosce come l‘unica adatta all‘incomprensibile Iddio, che acceca l‘intelletto
presentandoglisi sotto forma di tenebra»; o come in Eckhart, in cui Dio è descritto con
una teologia al negativo, come un Non-Essere, un Nulla, il Vuoto. E come si potrebbe,
d'altronde, spiegare l‘incomprensibile, il vuoto o il nulla?
La Mistica può essere per esteso una intera disciplina spirituale che tenta di
gettare un ponte verso l'Assoluto. Ma parlare di Mistica, che da «aggettivo», nel
passato, solo in epoca più recente ha assunto il valore di «sostantivo», comporta tener
presente i diversi approcci che sono stati seguiti nel tempo, da quello esperienziale a
quello speculativo.
Sottolineando la dimensione esperienziale, si può asserire che «La mistica è
l‘esperienza diretta e passiva della presenza di Dio».
1
Misticismo è l'esperienza di Dio senza mediazioni, è la comunicazione con il
Numinoso, la comunione con il Divino.
Il momento mistico rappresenta quel vertice nel quale si trova possibilità di rico-
_____________________________________
1. A. Deblaire, Temoignage mystique chretienne. in Studia missionalia 26, 1977, 117.
5
noscimento di una religione con un'altra. Questa è l‘ipotesi sulla quale si fonda questo
lavoro.
Partendo da una definizione della mistica come tratto esperienziale libero da
quella che potremmo definire la struttura portante di ogni religione, il fenomeno mistico
è forse l‘unico elemento trasversale alle religioni: è traccia, vissuto, impronta che
attraversa tutto l‘universo religioso permeando cristianesimo, ebraismo, islamismo,
induismo, buddismo e altro ancora...
Per arrivare a riconoscere quelli che possono essere i punti ragionevolmente
simili tra le diverse religioni, occorre prima essere consapevoli delle caratteristiche
fondative che interpretano ed esprimono la sostanza e la forma di ogni religione.
Il mio intento è di mettere a confronto due religioni che esprimono la loro
radicale differenza e quindi l‘apparente impossibilità di trovare tra di esse quello che è
stato detto in merito alla funzione della dimensione mistica. Una dimensione presente
invece in ogni religione e capace di liberare, liberandosi, il campo da quelle che sono
le «scorie» per lasciare fulgida l‘essenza, fulgida e ravvisabile in ogni religione come
un raggio di sole sta allo stesso sole da cui nasce. Poi, proprio partendo dalle
differenze, arrivare ad individuare le assonanze nei rispettivi tratti comuni.
E per meglio rappresentare gli emisferi opposti dello stesso pianeta religione,
prenderò in esame il cristianesimo per quanto attiene all‘Occidente e di contro il
Buddismo per quanto attiene all‘Oriente.
Ad un‘ipotetica domanda che mi fosse volta sul perché di questa scelta, sento
di rispondere perché trovo che entrambe, forse meglio di ogni altra religione colta
nella sua essenza e messa a confronto, non potrebbero meglio rappresentare o
incarnare la diversità in portato soteriologico, culturale, esistenziale, strutturale e
quant‘altro si possa dire.
Nel Cristianesimo vediamo che tutto è attraversato dall‘essere persona,
potremmo dire che è la religione della persona. Già nel Vangelo di Giovanni
(Prologo), parlando degli inizi dei tempi vediamo chiaro il riferimento al verbo che si
fa persona. Nella stessa storia della Creazione, di cui ci parla il libro della Genesi,
vediamo rappresentato uno degli atti fondamentali, la creazione dell‘uomo fatto
addirittura ad immagine e somiglianza di Dio. La persona resta sempre al centro,
partendo come già detto dall‘atto della creazione, come pure nei momenti di
insegnamento, la centralità della persona viene affermata sia quando viene esortata
6
alla donazione di sé nell‘atto di amore, dal dare il mantello al porgere l‘altra guancia,
sia quando viene esortata alla rinuncia del sé e allo svuotamento di sé che porterà
l‘apostolo Paolo ad affermare «non più io ma Cristo»
2
. Sempre e comunque c‘è la
persona come oggetto di interesse e riferimento. La persona anche quando è Dio
che si svuota di Sé tanto da annichilirsi per prendere le sembianze di uomo,
3
fino a
quando nell‘atto estremo salvifico è comunque Cristo uomo che dà la sua vita,
risuscitando con un corpo immortale primo tra tutti i viventi
4
che alla fine dei tempi
riprenderanno comunque un corpo personale.
Anche nel grado sommo della mistica assistiamo «all‘incontro», comunque un
incontro che pur passando per l‘annullamento di sé stesso è verso Qualcuno che
guarda, al quale anela per una immersione e perdita totale di sé nella prospettiva di
vita nuova e cieli nuovi.
Di questa centralità all‘interno del Cristianesimo dell‘incontro attraverso la
conoscenza della persona, ci parla Sant‘Agostino: «Io conoscerò te che mi conosci, io
ti conoscerò come tu mi conosci. Tu potenza dell‘anima entra in lei, portala alla tua
altezza, perché senza macchia né ruga ti si offra ad essere posseduta.»
5
Tutto ciò se pur sommariamente tratteggiato, trova il suo contrario nel
Buddismo.
Nella religione Cristiana abbiamo colto come caratteristica fondante quella
della persona che è creatura conosciuta da sempre (Salmo 139) in tutto il suo percorso,
dall‘essere già presente nel pensiero di Dio fino alla caduta, dalla successiva proposta
di salvezza (kerigma/dono) sino alla vita eterna, e la mantiene anche nel grado più
elevato dell‘esperienza mistica in cui incontra la personalità della deità.
Invece nel Buddismo, dal cielo già sgombro di deità, non essendo una
religione atea ma neppur teista, partendo dall‘immagine di Buddha seduto nella
quiete, insieme alla consapevolezza che la modalità dell‘esistere è il vuoto,
6
si può
incominciare a delineare quello che è il diverso percorso per raggiungere quello stato
mistico che fa incontrare, secondo la nostra l‘ipotesi di lavoro, ogni religione nei suoi
_____________________________________
2. Lettera di San Paolo ai Galati, 2:20
3. Lettera di San Paolo ai Filippesi, 2:6,7.
4. I Lettera di San Paolo ai Corinzi 15:20.
5. S.Agostino, Confessioni, Libro X, in B. Forte – V. Vitiello, Dialoghi sulla fede e la ricerca di
Dio, Città Nuova, – 2005, 10.
6. Mauricio.Y. Marassi, Il Buddismo Mahāyāna attraverso i luoghi, i tempi e le culture. La Cina,
Marietti 2009, 35 s.
7
tratti di possibile assonanza. Mettendo da subito in luce quella che, secondo il
pensiero Buddista che sto prendendo in esame, è una contraddizione in termini, cioè il
parlare di incontro, là dove «il non attaccarsi a nulla» è premessa e scopo. Il pensare il
non pensare non pensando, è così che il «Bodhisattva, il grande essere, dovrà produrre
un pensiero non sostenuto, vale a dire un pensiero che in nessun luogo sia sostenuto,
un pensiero non sostenuto da vista, da suoni, da odori, gusto, oggetti del tatto o oggetti
della mente»
7
. Il sostenersi vuoto nel vuoto, appunto pone fuori dalla relazione, da
ogni tipo di relazione, anche quella sublimata e trasfigurata nella notte nera inondata
dalla luce entro l‘esperienza mistica, è un praticare il «come» stare in quel continuo
esercizio volto al non attaccamento, fondamento di ogni liberazione dal determinato, e
non l‘andare verso… , incontro a …. , «apprendere la via di Buddha è apprendere se
stesso. Apprendere se stesso è dimenticare se stesso»
8
. Dimenticanza di sé che è vita
nel vuoto, quel vuoto che non è in attesa di essere colmato, ma vacuità, quella stessa
vacuità di cui sono tutte le cose. Vacuità come assenza di essere e non essere… Da
potersi immaginare come uno spazio, liberandolo dalla determinazione che lo
identifica come «uno spazio», vuoto in cui il sole alto allo zenit non può creare ombre,
appunto proprio perché privo di possibili determinazioni che lo abitino. «Perciò, è
detto in un sutra, che se vi è una persona che giunge a percepire quello che è oltre i
pensieri, costui sta procedendo verso la conoscenza di Buddha»
9
. Conoscenza che sa
che non c‘è nulla da conoscere se non la liberazione da tutto ciò che è esperibile,
perché conoscere è comprendere la vera natura delle cose che è vacuità, la quale non
sta a significare un estremo da dover raggiungere, una direzione obbligata verso
l‘annichilimento e l‘eliminazione drastica dell‘io, ma la consapevolezza di uno stato,
di un modo di essere, l‘unico in cui «l‘essenza» è il vuoto stesso.
L‘unico incontro possibile è quello che non potrà avere corpo perché il corpo
si è già dileguato.
Tratteggiati sommariamente i profili dei due modi di porsi rispetto all‘incontro
possibile o meno, mio intento sarebbe quello di cogliere all‘interno del Cristianesimo
e del Buddismo quegli elementi trasversali presenti in entrambi aventi a volte forme
comuni ed intenti diversi, o intenti comuni con forme diverse.
_____________________________________
7. Mauricio.Y. Marassi, Il Buddismo Mahāyāna attraverso i luoghi, i tempi e le culture. La Cina,
op.cit., 87.
8. Mauricio.Y. Marassi, ibidem, 151.
9. Mauricio.Y. Marassi, ibidem, 199.
8
Vorrei concludere con un pensiero, che trovo significativo sia come premessa
che a scopo propedeutico a quanto da me esposto fin qui di Karl Rahner (Sacerdote,
filosofo friburghese dei primi anni del ‗900), secondo il quale vi è nell‘uomo l‘innata
vocazione all‘assoluto :
«L‘uomo religioso del futuro dovrà essere un mistico, uno che ha fatto
esperienza, oppure non sarà affatto religioso».
9
I. Dall'immagine di Dio all'esperienza
Dal proclama della morte di Dio, che con Nietzsche diviene una specie di lutto
liberatorio, ad una Esistenza così maestosamente indicibile da essere percepita come il
«totalmente altro», che Barth svela in contrapposizione, è in questo clima culturale che
si viene a delineare una sorta di «confinamento» di Dio, vuoi perché se ne può fare a
meno, vuoi perché nessuna realtà può compararlo. In questo contesto di esilio di Dio,
ove anche l‘analogia ha fatto il suo tempo, si creano le condizioni favorevoli a far
rinascere un uomo, che da quanto abbiamo già visto per mezzo delle parole di Rahner,
ha l‘assoluto dentro e che si pone quale interprete tra la sua dimensione orizzontale e
quella verticale in cui svetta quella del divino.
Come fenice che rinasce dalle sue proprie ceneri, l‘uomo «posseduto e vissuto
da Dio raggiunge, per una trasformazione d'amore, anche se in una luminosa caligine,
l'esperienza saporosa dello stesso Dio».
1
Quell‘uomo che da religioso si fa mistico, dove religioso, secondo l‘etimo
«relígere», sta per raccogliere, mettere insieme, legare atti e formule religiose, mentre
mistico, sempre stando all‘etimo di derivazione greca («myo») significa letteralmente
«chiudere», chiudere le labbra, gli occhi, farsi «ascolto». Quell‘ascolto di chi è
consapevole che parlare di Dio è portare Dio dentro le categorie della conoscenza
umana, esponendosi al rischio di ridurlo a proprio manufatto da «usare» se non
addirittura da «gettare» quando diventato obsoleto, mentre ascoltare Dio è nutrirsi del
totalmente altro che si lascia raggiungere.
Prendendo in prestito le parole di Vitiello, possiamo individuare come nella
dichiarata morte di Dio si possa cogliere quel seme che per diventare vita deve prima
morire:
«Il fascino e il pericolo del nostro tempo è proprio qui: nel nichilismo della
morte di Dio. Sembrerà strano, anzi blasfemo, sentir parlare del ―fascino‖ della morte
di Dio in questa sede. Ed è certo strano, anzi blasfemo, se con l'espressione ―morte di
Dio‖ si intende la liberazione dell'uomo dai lacci della religione e della
superstizione.»
2
Quella religione che si può fare laccio e che nell‘unire separa fino a
_____________________________________
1. G. Agresti. L'uomo nuovo. Saggio di antropologia cristiana., EDB, 1979, 130.
2. B. Forte – V. Vitiello, Dialoghi sulla fede e la ricerca di Dio, Città Nuova, – 2005, 21.
10
portare ad antiche e nuove guerre di religione.
«Ma ―nichilismo‖ non è solo questo. Anzi, questo nichilismo è la
contraffazione dell'esperienza del nulla, la negazione dell'esperienza del deserto, cui
anche Nietzsche si richiamava. L'esperienza religiosa del nichilismo – sì, vi è anche un
nichilismo religioso – è l'esperienza di un più alto sentimento di Dio, che oltrepassa
ogni immagine umana di Dio. Il Nulla di Dio è: Dio oltre Dio, il Mistero oltre la verità,
l'Essere oltre il conoscere. La ―morte di Dio‖ è espressione ambigua, doppia. Non dice
ancora il Nulla di Dio, dice però la fine dell'immagine umana di Dio, spesso, troppo
spesso confusa con Dio.»
3
Ma se il mistico è colui che chiude gli occhi e la bocca, come l‘etimo
suggerisce, necessaria al mistico è la condizione del silenzio, fin nella sua stessa
espressione il mistico è quindi segnato dal rimando al silenzio: un rimando
paradossale, perché appunto, come nel caso del nulla che è qualcosa, si tratta di un
silenzio che ha un nome, che viene espresso. Si tratta anzi di un silenzio che deve
essere rotto dal mistico stesso, se questi vuole configurarsi come tale. Vedremo più
oltre che una tale impossibilità di tener fede a questo compito indicato dall‘etimologia
dello stesso termine «mistica», questa necessità di parlare su ciò di cui bisogna tacere,
per usare le parole di Wittgenstein, rappresenta uno degli aspetti ricorrenti del
linguaggio dei mistici. Essi si consegnano a ciò che è chiuso. E così facendo lo
aprono, lo dischiudono. Ma proprio in una tale apertura lo vogliono tuttavia
salvaguardare, riaffermandone il carattere di indisponibilità. Si delinea dunque la
tensione che contraddistingue la specifica struttura della logica mistica. Si tratta di una
tensione irrisolvibile in maniera dialettica, cioè semplicemente affermando che, in
definitiva, ciò che è nascosto è in effetti destinato ad essere rivelato, ciò per cui vige il
silenzio finisce necessariamente per essere espresso. Forse il ricorso alla nozione di
paradosso potrà aiutarci ad approfondire la questione. È proprio nel paradosso, ovvero
nell‘affermare asserzioni contrarie ad opinioni evidenti, che si apre e si innesta la
dimensione mistica, per quel suo stare tra la consapevolezza di muovere passi
sull‘orlo del baratro che lascia attoniti e la necessità di dare in qualche modo voce o
visibilità a ciò che sta oltre quel baratro come il totalmente altro che passando lascia
un fruscio. «Sul monte santo Elia fa l‘esperienza di Dio: nell‘intimità del nascondimento,
_____________________________________
3. B. Forte – V. Vitiello, Dialoghi sulla fede e la ricerca di Dio, op.cit., 21
11
nell‘ascolto profondo della caverna, il Signore gli passa vicino…Elia ascolta il silenzio,
coprendosi il volto in segno di adorazione e di attesa, e risponde alla voce silente che
chiama, abbandonato all‘invisibile».
4
Ascoltiamo in tal proposito ciò che ci fa osservare Vannini: «La
riservatezza e il silenzio cui il ―mistico‖ fa riferimento non hanno infatti niente a che
vedere con la dimensione cosiddetta esoterica, o iniziatica, in cui si tratterebbe di
presunte rivelazioni segrete, riservate a pochi: tutto ciò è radicalmente estraneo allo
spirito aperto e universalistico della mistica e ne rappresenta anzi la contraffazione
piena – è mistificatorio, non mistico. Il silenzio contraddistingue invece la
contemplazione e la fa appunto ―mistica‖ per il semplice motivo che il linguaggio
comune stenta ad esprimere l'essenziale dell'esperienza specifica della mistica, che è
esperienza di unità, anzi esperienza dell'Uno. […] Il linguaggio comune ha difficoltà ad
esprimere questa esperienza perché è strutturato secondo l'opposizione soggetto-
oggetto: funziona perciò perfettamente finché deve parlare di un io e di un Dio come
realtà separate, come questa penna e questo tavolo, ma zoppica (e perciò diventa
equivoco ed anche sospetto per i custodi dell'ortodossia) quando tenta di dire
l'esperienza della profonda unione io-Dio, nella quale l'io non è più il piccolo io
psicologico, centro di volontà particolare, e Dio non è più l'Essere supremo, alto ed
Altro. Ad una grande mistica italiana del Cinquecento, Caterina da Genova, apparve
chiara l'assurdità della parola ―io‖, come se designasse una realtà sostanziale
affermativa: tale realtà non v'è, perché è Dio a costituire il nostro vero e più profondo
―io‖. Nello stesso tempo, però, altrettanto assurdo è usare il termine Dio, come se si
trattasse di un ente tra i tanti, di un oggetto fra gli oggetti: la mistica ha dunque bisogno
di una dialettica, che non resti intrappolata nella rete delle (false) opposizioni e, di fronte
alla insufficienza del linguaggio comune, predilige il silenzio.»
5
Il dare voce e visibilità a ciò che viene avvertito come indicibile trova nella
mistica, che secondo Maritain è il grado più alto del sapere, possibili modalità: vediamo
allora la mistica del distacco, forse meglio conosciuta come mistica speculativa,
distacco da tutto ciò che è e che s‘impone immediatamente. Distacco da se stessi,
riconoscendo la radice egoistica, appropriativa del nostro essere. Il tema del
___________________________________
4. Davanti al Profeta del fuoco: un racconto che chiede sequela - Omelia di Bruno Forte,
Arcivescovo di Chieti -Vasto - 21 Giugno 2006.
5. M. Vannini. Introduzione alla Mistica, Morcelliana 2000, 14.
12
distacco è centrale nella riflessione sulla mistica in quella che si può davvero chiamare
una meta-mistica, compiuta da una corrente di pensiero della quale sono noti
esponenti Eckhart e Taulero.
«L'atto di estrema penetrazione ed estrema onestà che contraddistingue il vero
mistico non è infatti altro che un estremo e profondo esame di coscienza, ossia il
riconoscere la radice sempre egoistica della volontà, cui l'intelligenza serve proprio
come un servo, e dunque la radicale finitezza e malizia dell'io, in quanto agglomerato
psicologico. Tale riconoscimento, che è il distacco, porta all'istante fuori dalla servitù
del volere, fuori dallo psicologico, nella regione della libertà e dello spirito. Tale
regione appare come il vero essere, dell'uomo e di Dio, che cessa – se mai era presente
– di configurarsi come un ente (Dio è un ente solo per i peccatori, dice in proposito
Meister Eckhart) ed assume perciò anch'esso la sua vera natura di spirito. Questa è
l'esperienza fondamentale per la conoscenza di noi stessi, e proprio in essa è chiaro
che noi non siamo quel particolare ed accidentale io psicologico, bensì l'universale
spirito.»
6
La mistica dell‘unità, che porterà Eckhart ad affermare che «tutto è uno». Il
dualismo è frutto di un‘illusione. Ma l‘apparenza è sempre già superata, anche se,
come in una sorta di incomprensibile, scandalosa «follia», esso continua a riproporsi.
In verità invece, come dice Eckhart: «Molta gente immagina Dio lassù e noi quaggiù.
Ma non è così: Dio e io siamo una cosa sola».
7
La mistica cosiddetta sponsale, in cui viene evocata la simbologia biblica
nuziale, quale espressione tipica dell'alleanza tra Dio e l'uomo. L'unione tra Dio e
l‘uomo è vista ed interpretata come la comunione tra lo Sposo e la sposa. Si tratta di
una comunione d'amore, in cui l'Uno si dona all'altro, nel segno di un amore libero e
gratuito, di risposta all'iniziativa dell'Amore sovrano. Questa mistica è riferibile alle
esperienze di figure come Santa Teresa D‘Avila, San Giovanni della Croce in cui
l‘incontro assume toni addirittura «carnali» ricorrendo ad espressioni come sposo…
Nell‘opera Il Cantico spirituale, San Giovanni della Croce parla dell‘anima come la
«sposa» che ricerca lo «sposo» rappresentato da Gesù Cristo e che è angosciata per
averlo perso; entrambi saranno pieni di gioia una volta che si saranno ritrovati e
riuniti.
_____________________________________
6. M. Vannini., Introduzione alla Mistica, op.cit.,16.
7. Meister Eckhart, Sermoni tedeschi, a cura di M. Vannini, Adelphi, 1994, 111.
13
Nei tempi più recenti arriviamo ad una mistica del quotidiano, in cui l‘incontro
con Dio viene veicolato ed espresso con i suoi frutti in una dimensione, mi si passi il
termine poco ortodosso, «on the road». Significativo il pensiero di Bonhoeffer che si
pone in modo critico nei confronti della religione che si caratterizza nel produrre uno
sdoppiamento della realtà in due mondi, per favorire il distacco interiore da questo
mondo passeggero, oscuro, caduco e il passaggio al mondo definitivo, luminoso,
permanente. Una sorta di unità, già colta nel pensiero antico di Plotino prima e di
Eckhart e Taulero poi, ma capovolta, per cui non è l‘uomo ad elevarsi, perdendosi
nell‘indefinito mare della divinità, ma è Dio ad essere portato tra le pieghe
dell‘umanità. senza comunque essere svilito. Più tardi, sempre Maritain dirà che solo
dilatando i confini dell‘umanità dell‘uomo verso Dio, l‘uomo potrà riappropriarsi,
valorizzandola, della sua vera natura, pensata per lui da Dio stesso. Per Bonhoeffer
l'Evangelo non propone un distacco da questo mondo, ma, secondo la linea
dell'Incarnazione, l'immersione in questo mondo. L'Evangelo unifica la realtà: Dio nel
mondo, non Dio e il mondo.
Anche per la coscienza secolarizzata il mondo è uno, ma senza Dio, dato che
Dio appartiene all'aldilà. Il cristianesimo secondo Bonhoeffer scopre Dio nell'al di
qua, e su questa scoperta egli incentra la sua ricerca, una ricerca di Dio che non può
avvenire lontano dal mondo, evadendo dalle realtà storiche. E qui possiamo
individuare una sorta di ascesi intramondana di cui il mistico si fa interprete. Per
imparare a credere occorre evitare una duplice fuga: la fuga religiosa che si sottrae dal
mondo e la fuga secolare che si libera di Dio per muoversi agevolmente nel mondo.
Dio e mondo sono congiunti, sono riconciliati nella figura del Cristo. Nel prendere le
distanze da una concezione di un Dio separato dal mondo Bonhoeffer segnala tre
forme inautentiche di conoscenza di Dio: la concezione del Dio come onnipotente, il
Dio nell'aldilà, del Dio tappabuchi, che colma i buchi della nostra ignoranza, del Dio
scappatoia come risorsa estrema a cui ricorrere ed aggrapparsi nei momenti critici
della vita, quali possono essere la morte e la sofferenza. Sempre secondo il pensiero di
Bonhoeffer occorre vivere Dio interamente nell'al di qua. È la trascendenza dell'al di
qua, che si manifesta nell'avvicinarsi all'altro. Trascendenza nell'al di qua è scoprire
tutte le possibili dimensioni della vita. La religione non è un settore, ma una
dimensione della realtà, in cui vivere sperimentando l'ascesi della parola, riservata alla
14
preghiera, l'ascesi dell'azione, riservata esclusivamente alla pratica della giustizia in
mezzo agli uomini.
In questa trascendenza nell‘al di qua si realizza così quella mistica, secondo il
pensiero di Rahner «nascosta», per cui è possibile «dentro la vita quotidiana, il
ritrovamento di Dio in tutte le cose».
8
La mistica che si fa incontro, esperienza vissuta.
Esperienza non nel senso vago di fenomeni misteriosi o espressione di semplice
religiosità, ma nel senso di conoscenza sperimentale delle profondità di Dio, ovvero
nel senso di passione delle cose divine che porta l‘anima fino a provare in fondo a se
stessa il tocco della deità e a sentire ―tangibile‖ la vita di Dio. Conoscenza personale
di Dio che si fa contatto, che coinvolge l‘uomo nella sua totalità di anima e corpo,
sentimento e ragione a cui ogni uomo può avere accesso nell‘unico spazio che gli è
concesso, ovvero nell‘oggi della sua avventura esistenziale.
Scrive Rahner: «Debbo venire a capo della vita così come mi è stata data e
quale è in realtà. E se mi adopero in tal senso in modo davvero radicale e assoluto,
sono un cristiano e un uomo spirituale. In altre parole: la situazione concreta in cui un
uomo deve saper affrontare la sua vita cristiana è senz‘altro un aspetto necessario
della stessa spiritualità. »
9
Vannini delinea in modo esaustivo questa mistica del quotidiano: «Una delle
accuse che si fanno – o si facevano – più di frequente alla mistica era quella di porre
l'uomo in una dimensione tutta interiore, separata dal mondo, dalla storia, dal
consorzio umano, dalla politica – in breve, in una dimensione astratta, di fuga dalla
vita reale. Tale accusa coglie certamente nel segno per alcuni aspetti, forse anche
diffusi in certi ambienti e in certi tempi, ma che però non sono quelli essenziali della
mistica in senso forte. Anzi, in questo senso, è vero proprio il contrario, giacché la
ricchezza e profondità interiore sfociano sempre, naturalmente, nell'azione. Essa può
assumere aspetti diversi, a seconda delle circostanze: può avere un carattere
spiccatamente religioso, caritativo, ma anche esplicarsi direttamente nel sociale e nel
politico, ed è comunque tutt'altro che fuga dalla realtà. Non occorre dilungarci su
questo, perché la storia è piena di figure di mistici che furono uomini (e donne) di
contemplazione e, insieme, potentemente attivi nel loro tempo: basti pensare a Bernardo
_____________________________________
8. K. Rahner, Esperienza dello Spirito santo. in Dio e rivelazione. - Nuovi saggi VII, Edizioni
Paoline, 1981, 298.
9. A cura di P. Imhof e H Biallowons, Confessare la fede nel tempo dell’attesa. Interviste, Città
Nuova, 1994, 97.
15
di Chiaravalle, Caterina da Siena, Ignazio di Loyola. Vogliamo invece sottolineare
come sia proprio il superamento della volontà personale, elemento essenziale della
mistica, a costituire la fonte inesauribile dell'energia caritativa che muove il mistico.
La fine della volontà è infatti fine della servitù al soggetto psicologico ed ai moventi
piccoli, utilitaristici, egoistici, del suo agire. È così la conquista di uno spazio infinito
di libertà, di sempre rinnovata apertura alle cose e alle creature, nella totale
disponibilità ad amarne e ad averne cura. Nel completo distacco niente fa più da
ostacolo a questa spontanea, naturale, gioiosa disponibilità: non gli interessi, non le
ideologie – materiale che si è lasciato dietro le spalle come accidentale, inessenziale.
―Senza perché‖, come la rosa degli splendidi distici silesiani, che ―fiorisce perché
fiorisce, a sé non bada, che tu la guardi non chiede‖, l'uomo del distacco trova in ogni
istante moventi di azione. Piccola o grande che sia, secondo quel che le circostanze
permettono a ciascuno, l'azione ha così sempre la stessa qualità: muta il ―che cosa‖,
ma non il ―come‖, ed è perciò dello stesso valore, sia che si governi uno Stato, sia che
si accudisca un bimbo.»
10
Un mondo abitato da Dio diventa il luogo necessario di ogni possibile
esperienza, spazio aperto in cui si dischiude ad ogni uomo l‘inaspettato incontro con la
gratuità, che nessun altro forse come il mistico può e sa gustare. Perché il mistico è
proprio colui che sa aprirsi per accogliere. Propenso come egli è a quel disporsi alla
pervasione della divinità, sa vivere e sperimentare la gratuità. Gratuità che è la base del
rapporto Dio - uomo. Quell‘uomo consapevole di essere amato per primo da Dio, come
scrive l‘evangelista Giovanni (1° Giovanni 4:19), Concetto ripreso da Sant'Agostino
quando dice di essere conosciuto da Dio ancor prima di conoscere lui stesso Dio. Amore
gratuito perché in alcun modo dovuto e, soprattutto, perché non commisurato alla
limitatezza della risposta umana.
È nella consapevolezza dell‘uomo religioso di questa «immanenza» di Dio che
l‘esperienza della gratuità, che si fa tra le pieghe del quotidiano, apre la via alla
dimensione mistica. La storia di donne e di uomini che nella ferialità della loro
esistenza sono stati toccati nell'intimo dall'incontro con questo amore totalmente
gratuito nella quotidiana fatica del vivere, è la testimonianza di come l‘uomo religioso
venga trasformato in «mistico», di come egli acquisisca l'inedita capacità di guardare a
_____________________________________
10. M. Vannini, Introduzione alla Mistica, op.cit., 21.
16
se stesso, agli altri, alle vicende della storia con lo stesso sguardo amorevole di Dio.
Egli è, e non può che «essere mistico del quotidiano» perché nella trama profonda
delle sue concrete relazioni o nella banalità dei giorni tutti uguali, e non altrove,
incontra, ama e testimonia il «suo» Dio.
11
Il distacco dal mondo per il mistico non è espressione di disprezzo per il
mondo, esso piuttosto consiste in una necessaria, se pur faticosa, presa di distanza da
una esistenza superficiale ed erroneamente autosufficiente. Il mistico sa che solo in un
contatto che si fa immersione trova il suo habitat naturale.
Vannini ci fa notare che operando un balzo indietro nel tempo e usando il
linguaggio della filosofia scolastica, Eckhart scrive: «Infatti che l'opera divina è quella
che ha Dio per sola causa formale, ovvero quella compiuta in spirito di carità, senza
alcun altro movente che la cosa stessa, senza alcun altro fine che il suo bene. … nel
silenzio, con una fede senza parole, il mistico vive in ogni istante la vera estasi, che
non consiste in eccezionalità dei sensi, ma nell'azione quotidiana, per la quale tutta la
realtà viene trasfigurata, diventa epifania divina e fonte di gioia infinita: è l'estasi della
carità.»
12
Dopo aver già affrontato la necessità da parte del mistico di dare visibilità
all‘incontro che ha con Dio, incontro che si muove nello spazio abissale del silenzio
che necessita di farsi voce, possiamo vedere come, a fatica, il mistico trova parole in
grado di «dire» l‘indicibile.
Partendo dalla consapevolezza, come Velasco fa notare, che: «Il mistico non
parla semplicemente di Dio come il teologo; parla di Dio che gli si è manifestato in
un'esperienza. Da qui la sua concretezza, in contrasto con l'astrazione propria di altri
registri del linguaggio, come nel caso della teologia. Da questo deriva anche
l'abbondante contenuto psicologico e affettivo della maggior parte dei testi mistici,
perfino negli autori più speculativi, come Meister Eckhart,»
13
allora possiamo anche
comprendere la ricerca e l‘uso di parole che «esprimono, innanzitutto, un'esperienza,
l'esperienza di una realtà trascendente. Compito del linguaggio-mistico non è di
introdurre nuovi oggetti o nuove verità. In esso si produce una trasmutazione che
deriva dal cambiamento segreto di chi riceve quelle verità. Il linguaggio del mistico si
_____________________________________
11. A cura di Piero Ciardella, La conversione mistica del cristiano.Percorsi e figure. Ed.Paoline,
Milano 2005,11 s.
12. M. Vannini, Introduzione alla Mistica, op.cit., 22.
13. J. M. Velasco, Il fenomeno mistico, Jaca Book 2001, 51.
17
caratterizza in quanto gli oggetti cui si riferisce, imbevuti di coefficienti d'interiorità,
servono a descrivere quello che questi oggetti divengono a poco a poco per il
soggetto»
14
«…il simbolo è il linguaggio radicale, originario di questa esperienza,
fondante-fondata nella quale, proprio grazie al simbolo, il mistico prende coscienza
della Presenza non oggettiva – anteriore e fonte di possibilità del soggetto e degli
oggetti – non data, vale a dire, aggiunta all'uomo, ma che dà, lo origina e lo pervade
come la dimensione della sua profondità ultima.
Il simbolo sarebbe, quindi, la parola fondamentale dell'esperienza mistica nella
quale si rivela e si realizza la relazione con l'essere che costituisce l'essere dell'uomo e
che si esprime, secondo le tradizioni, come abisso senza nome, come assoluto, come
persona, come amore»
15
Anche in questo caso ricorrere all‘etimo della parola «simbolo» può essere
utile a fare luce sul perché sia così ricorrente all‘interno del linguaggio dei mistici. Il
simbolo, dal greco symbolon, «segno di riconoscimento». Da symballein «mettere
insieme» : syn «con, insieme» più bàllein «mettere, gettare». Il simbolo mette insieme
elementi e logiche diversi, ne sintetizza e nel contempo amplia il significato. Combina
influenze consce e inconsce, spirituali e istintuali, in conflitto o in processo di
armonizzazione.
Preso in esame il significato etimologico del termine e quanto sia presente il
carattere simbolico nel linguaggio mistico, trovo interessante riportare alcune
considerazioni di Paolo Stauder nel suo lavoro La memoria e l’attesa. Egli, pur
usando una terminologia di carattere non propriamente religioso fa un‘analisi della
parola simbolo che coglie la condizione iniziale della separazione di due elementi, e
precisa che nel significato stesso di simbolo è implicito il suo valore di
ricongiungimento, di riunire due realtà di per sé differenti, di mettere insieme.
Quest‘analisi ci può aiutare a giustificare l‘uso del simbolo nel linguaggio della
mistica e a comprendere quanto esso sia appropriato e riconducibile alla relazione del
mistico con Dio, più precisamente quanto sia utile ad esprimere quel «lanciarsi
attraverso», e «gettarsi», proiettandosi verso, che è tipico del mistico.
«Il lanciare contenuto nel symbolon mi pare molto importante poiché rivela an-
___________________________________
14. J. M. Velasco, Il fenomeno mistico, op.cit. 51 s.
15. J. M. Velasco, ibidem, 61.
18
che la presenza del rischio, comporta un salto e forse una caduta: nascere significa
andare al di là dei limiti, accettare l'avventura rischio del dirigersi verso l'altro, del
proi-ettarsi nel mondo»
16
.
Stauder citando Reisnik ci fa notare che il significato etimologico del termine
«simbolico» dunque implica: da un lato, la separazione dell'individuo dal suo essere
originario (proiettarsi nella realtà esterna) e, dall'altro, il tentativo di «mettere
insieme» lo spazio del sé con quello del non sé, la vita con le cose. In modo ancora più
chiaro e convincente Salomon Resnik definisce così questa proprietà del simbolico:
«Il symbolon propone un confronto tra l'essere e il non-essere, tra l'essere del
corpo e l'essere del mondo. Uscire nel mondo vuol dire ―spaziarsi‖(...), lanciarsi (...)
verso l'imprevisto, l'ignoto... ».
17
Stauder fa rilevare che «il rischio consiste proprio in questo: nella possibilità di
non riuscire a collegare questi due spazi e, di conseguenza, rimanere nell'ambito della
caduta e della separazione. Nel caso contrario, la possibilità di fondersi con lo spazio
del non essere implicherebbe, in ugual misura, la perdita del proprio sé.»
18
Dopo aver affrontato il ricorso al simbolo nel linguaggio mistico non si può
non cogliere anche il frequente ricorso alle figure della retorica. Come dice Velasco:
«Gli espedienti più chiaramente espressivi della trasgressione del linguaggio mistico
sono, senza dubbio, oltre alla metafora il paradosso e l‘antitesi. »
19
«E‘ noto universalmente – afferma G. Scholem – che le descrizioni date dai
mistici delle loro esperienze e del mondo del divino sono piene di paradossi di ogni
specie e genere.»
20
Continua Velasco con il dire che «vi sono mistici che sembrano aver fatto del
paradosso lo strumento di comunicazione per eccellenza. Questo è il caso di Angelus
Silesius (1624-1677) che della propria opera dice: ―perché i versi che leggerai
contengono molti paradossi strani e parole contraddittorie, massime elevatissime e
sconosciute al volgo sulla divinità segreta, sull‘uguaglianza con Dio e la deificazione
o divinizzazione o altre cose dello stesso ordine, alle quali, data la loro forma breve si
potrebbe attribuire un significato condannabile, o una cattiva intenzione, è necessario
___________________________________
16. S. Resnik, L'esperienza psicotica, Boringhieri, 1986, 27.
17. S. Resnik, ibidem, 216.
18. P. Stauder, La memoria e l’attesa, QuattroVenti, 1999, 147.
19. J. M. Velasco, Il fenomeno mistico, op.cit., 54.
20. G. Sholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Einaudi, 18.