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INTRODUZIONE
L’interesse per questa ricerca trova origine dall’esperienza personale, segnata dal
vivere cristiano e dalla vita militare, attraversata piø volte da interrogativi impellenti del
tipo: Un cristiano può essere soldato? E un cristiano può impegnarsi in un lavoro che
implica l’utilizzo delle armi e la possibilità di uccidere?
Nella società, dinanzi al nodo della guerra, con le violenze e il carico di sangue
che comporta, se da un lato risulta difficile immaginare il militare che impegnato in
operazioni di peacekeeping, differentemente dall’addestramento ricevuto, porta la pace
armato, dall’altra risulta ancora piø incomprensibile, quando ad abbracciare questa
professione è un cristiano che deve rispettare i precetti non uccidere e porgere l’altra
guancia.
Ma perchØ la società nonostante veda impiegate le Forze Armate rispetto al
passato, in missioni umanitarie, di mantenimento alla pace e di soccorso alle popolazioni,
in cui diversi nostri connazionali hanno perso anche la vita per il nobile scopo di rendere
salva quella degli altri, quando questa stava per essere offesa, violentata o soppressa,
continua ad essere turbata nei sentimenti dal cristiano che abbraccia la vita militare?
¨ proprio a questi interrogativi che questa ricerca vuole fornire delle risposte,
senza alcuna pretesa di dare una parola definitiva su un argomento tanto delicato, su cui
da tempo si discute, spiegando chi siamo, cosa facciamo e cosa desideriamo, per far
comprendere e rendere piø chiaro il senso della vita di persone normali, carichi di affetto,
di sentimenti, che vestendo l’uniforme vengono spesso, per pregiudizio e
disinformazione, indicati come strumento della guerra, lasciando spazio a diversi
fraintendimenti sulla propria natura e sui fini che essa persegue.
Pertanto la ricerca sociologica, che ha sfiorato anche questioni morali e
antropologiche, è iniziata dalle problematiche legate ai nuovi conflitti, alle cosiddette
“guerre asimmetriche”, dall’analisi delle cause e delle caratteristiche, in termini di attori
coinvolti, contesti politico-economici correlati, le dinamiche, le tecniche belliche, le armi
moderne utilizzate, evidenziando la sostanziale differenza tra i conflitti del passato, la cui
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minaccia e l’esigenza di uno stato di pace ha condotto alla nascita dello Stato e
all’istituzione delle Forze Armate, e quelli combattuti nell’oggi, che si inseriscono in quei
contesti di erosione dell’autonomia e della capacità dello Stato di garantire la sicurezza
ai propri cittadini.
Da qui si è giunti ad analizzare l’incline tenenza dell’uomo alla guerra, di quella
che è la visione storica di una lotta interiore che l’uomo affronta tutta la vita per la
maggior parte del tempo in modo silenzioso, condannando miglia di persone ad una
esistenza breve per motivi di espansione del proprio potere e di dominazione. Nello stesso
momento si è osservato la capacità e il desiderio di pace che hanno condotto l’uomo in
ogni epoca a realizzare situazioni pacifiche e mai come nel nostro tempo alla creazione
di organizzazioni mondiali diretti al mantenimento della pace, a cui si affianca l’opera
della Chiesa che interpella continuamente tutti i cristiani, compresi i militari, affinchØ si
adoperino per stabilire la pace nel mondo.
Tutto ciò ha permesso di fissare lo sguardo sulla vita militare all’interno della
Chiesa con le sue dispute, con le sue contraddizioni, offrendo prospettive per rendere note
le capacità, la semplicità e la normalità di uomini e donne che vivono come missione il
proprio spirito di servizio impostato su una vita fatta di sacrifici e di disciplina per la
difesa del bene comune, della verità e della vita; di quei militari di cui si parla solo quando
muoiono, creduti troppo spesso dei mercenari che non vedono l’ora di imbracciare il
fucile e fare tabula rasa del mondo; di uomini che vivono la guerra che inevitabilmente
gli trasforma la vita per quello che vedono, per quello che subiscono e fanno. Le
emozioni, la paura che ogni istante può essere l’ultimo, la tensione, l’adrenalina, il
pensiero delle famiglie rimaste a casa, la vita e la fede di uomini chiamati ad affrontare i
nuovi conflitti svolte in un’arena di violazione sistematica delle leggi di guerra, con il
ritorno a forme spesso arcaiche di combattimento, rivolte alla popolazione civile, che, a
sua volta, entra a far parte dello scontro in maniera attiva, con conseguente mescolamento
continuo tra parti in guerra e non, tra oppressori e oppressi, tra vittime e carnefici; guerre
che vedono da un “lato” un militare super addestrato e tecnologicamente avanzato e
dall’altro un avversario, privo di uniforme, che non rispetta alcuna regola di ingaggio, che
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si nasconde spesso dietro lo sguardo gentile e accogliente di una donna o il sorriso di un
bambino, esponendo in tal modo il militare a situazioni atipiche, imprevedibili e inattese.
In ultimo l’attenzione è stata rivolta alle missioni di pace dove si evidenzia la
figura del soldato di pace rispetto al vangelo, l’ambiente operativo di grande complessità,
frutto dei cambiamenti geostrategici avvenuto nell’ultimo ventennio, il nuovo approccio
delle Forze Armate con la società, il confronto delle missioni di pace con la guerra, che
vedono l’evoluzione degli uomini in uniforme, l’ordinamento, l’impiego, per conoscere
nell’intimo quella che è la personalità del militare e della famiglia che lo sostiene; lo
sviluppo, il processo di trasformazione organizzativa e relazione negli ultimi tempi, i
processi di evoluzione tattica che hanno portato uomini e donne con le stellette, grazie
anche alla guida dei Cappellani che la Chiesa ordinariato militare gli pone accanto, ad
essere “Esercito della gente, nella gente”.
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I
SI VIS PACEM PARA BELLUM
I.1. Il concetto di deterrenza
Il nostro tempo ha visto il proliferarsi delle forme piø consuete e asimmetriche della
guerra ed è stato segnato da svariate esortazioni per la pace. Conseguenzialmente, a tale
fenomeno si sono intensificati i tentativi per arginarne lo sviluppo, con nuovi strumenti
internazionali e sovranazionali, rafforzando le cosiddette “paci armate”, manifestazione
di ciò che la romanità ha espresso con il noto motto “si vis pacem para bellum” ossia “se
vuoi la pace prepara la guerra”, vale a dire se vuoi evitare di essere aggredito mostra di
essere forte militarmente attraverso la detenzione di arsenali, di strutture, di personale
sempre aggiornato e addestrato. ¨ proprio nel mantenimento della pace, bene
fondamentale dell’umanità, che la strategia della deterrenza, finalizzata ad impedire il
conflitto almeno momentaneamente senza agire sulle cause, insieme allo strumento di
difesa militare assume un ruolo rilevante
1
.
La deterrenza, come etimologicamente definita, è l'arte di creare nell'animo
dell'eventuale nemico il terrore di attaccare. ¨ un insieme di condotte ed azioni tese ad
influenzare i comportamenti e l’agire di un soggetto in modo da minimizzare la possibilità
che esso aggredisca un altro soggetto o metta in essere comportamenti o azioni giudicate
lesive, sia tra persone che tra Stati. Si differenzia dalla dissuasione per il livello della
minaccia utilizzata per ridurre la possibilità di azioni lesive indesiderate
2
.
Nella realtà questo strumento politico militare, che ha una componente
specificamente strategica, finalizzato a far mantenere a chi lo utilizza il suo stato di
superiorità nel confronto armato e politico, si traduce in due modi. Il primo è la creazione
di una forza tale da interporsi tra il nemico e i suoi obiettivi impedendogli di trarre
vantaggi dalla sua azione violenza, la cosiddetta “deterrence by denial”, da sempre
utilizzata dagli Stati in caso di pericolo. Il secondo, invece, è quello della “deterrence by
1
Cfr. E. DI NOLFO, Storia delle relazioni internazionali. Dal 1918 ai giorni nostri, Laterza, Milano 2007.
2
Cfr. M. ANNATI – P. VALPOLINI, Dizionario della guerra moderna, Mursia, Milano 2002, 10-13.
7
punishment” che si realizza con la minaccia di rappresaglia al nemico, in caso di attacco,
che va ad annullare sistematicamente tutti i vantaggi da loro acquisiti con l’azione di
guerra. Questa strategia risulta credibile solo se la nazione che intende praticarla ha la
potenzialità tecnologica e militare tale da essere incisiva sul terreno al fine di incutere un
danno funzionale intollerabile agli avversi. ¨ in questo contesto che si instaura il principio
“si vis pacem para bellum”, con la corsa verso armamenti sempre piø sofisticati per
dimostrare, cosi come di recente ha fatto la Corea del Nord con i test dei missili balistici,
percepiti poi come minaccia dalle super potenze, di essere forte militarmente e capace di
difendersi.
Nel linguaggio propriamente militare, è definito deterrente un qualsiasi sistema
d'arma costruito in modo da prevedere un utilizzo in caso di attacco. Tipico caso sono le
armi nucleari strategiche, concetto utilizzato nel periodo post-bellico alla seconda guerra
mondiale, quando a causa della formazione di un bipolarismo entro due schieramenti ben
delineati le due superpotenze mondiali (USA-URSS), utilizzarono il mezzo deterrente per
spaventare l’avversario politico. L'equilibrio che scaturì da questo processo, modificò
totalmente la geopolitica mondiale, portando le nazioni verso un periodo di ricostruzione
travagliato ed insito di caos politico e sociale.
La strategia atomica, si manifesta attraverso la diplomazia coercitiva, che utilizza
come espediente le armi nucleare per impedire o fermare un'azione di uno Stato che sia
stata intrapresa ma non condivisa da quelli rivali, o mediante la semplice deterrenza,
minacciando l’uso dell’arma nucleare per dissuadere lo Stato avversario nel compiere
un’azione indesiderata. In entrambi i casi, lo scopo principale dei capi di Stato delle
potenze rivali è quello di evitare lo scoppio di un conflitto con armi di tipo nucleare, che
avrebbe come conseguenza la distruzione totale degli schieramenti
3
.
La strategia della deterrenza si espleta, anche attraverso le uniformi che svolgono
una funzione dissuasiva/detentiva oltre che distintiva e rappresentativa dell’autorità
statale su un dato territorio. In tal caso per “dominare” l’altro, si adottano elementi
psicologici che concernono il linguaggio del corpo. Infatti, è per questo motivo che i
3
Cfr. F. MAZZEI – R. MARCHETTI – F. PETITO, Manuale di politica internazionale, Egea, Milano 2010, 217-
250.
8
militari tendono ad enfatizzare quegli elementi del corpo o del portamento che hanno un
significato di netta superiorità. Ad esempio il portamento eretto con lo sguardo alto, la
muscolatura ben sviluppata, l’utilizzo di grosse giubbe, cinturoni e copricapo, che
contribuiscono a rendere i movimenti piø rigidi piø marziali, sono fattori decisivi nel
trasmettere dominanza.
Questa strategia, che ha come base l’interazione continua tra i membri della società
e i tutori dell’ordine, si presenta sotto forma di contrasto piscologico diretta alla ritenzione
non fisica della violenza. Essa colpisce la psiche umana e tende ad indurre e a conformare
il comportamento di ognuno alle regole della società. Alla base di questa deterrenza
cautelare psicologica, vi è la consapevolezza della propria colpevolezza rispetto a delle
norme. Questo nel concreto rappresenta un processo volontario di contromisura alla
condotta antisociale. ¨ una dissuasione nascosta silenziosa e inconsapevole, ottenuta
anche attraverso la presenza dei tribunali con lo scopo di acquisire un effetto psicologico,
che combatte la percezione di insicurezza diffusa fra la gente e restituisce tranquillità
4
.
Come è noto, da tempo, l’abbigliamento e l’apparenza fisica, che influenzano di piø
della personalità, rivestono un ruolo importante nello sviluppo di una relazione sociale.
Infatti, l’uso dell’uniforme o divisa, che identifica una persona con un potere coercitivo,
una potenziale capacità di arrestare e usare la forza per ristabilire l’ordine, ha un efficace
impatto psicologico tale da suscitare emozioni che vanno dall’orgoglio al rispetto, alla
paura, alla rabbia e alla percezione di sicurezza. La divisa, ha un linguaggio codificato e
trasmette potenza e autorità, solo se chi la indossa, dimostra di averne cura e
contemporaneamente si mostra professionale, attento, fermo e autorevole, facendo
percepire la forza cosi da intimidire l’eventuale aggressore
5
.
La peculiarità di queste strategie, potenziate dai mass media e dalla tecnologia, è
che influiscono solo in parte su rapporti di forza reale, poichØ si concentrano sulla
percezione che i singoli hanno delle proprie forze e di quelle altrui, e dei vantaggi-
svantaggi reciproci.
4
Cfr. M. COSTA, Psicologia militare. Elementi di psicologia per gli appartenenti alle forze armate, Franco
Angeli, Milano 2016
3
, 395-400.
5
Cfr. G. FERRARI, «L’immortale fascino dell’uniforme», in Rivista Militare. Periodico dell’Esercito
Italiano 148/2 (2004), 78-85.
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Alla soglia del ventunesimo secolo, le innovazioni tecnologiche che hanno portato
a grandi passi avanti nell'industria bellica, hanno perso il loro carattere strettamente
militare in funzione dell’evoluzione sociale in ambito mondiale, piø votata alla difesa che
all’offesa, ma soprattutto in funzione dei nuovi accordi che le nazioni hanno allacciato tra
di loro in materia economica e politica attraverso le organizzazioni internazionali. Questo
processo evolutivo, fra le altre cose, però ha visto nascere anche nuovi gruppi, di
pressione politica nelle piccole organizzazioni clandestine, ma soprattutto in quelle a
carattere terroristico che approfittando dell'avanzamento delle nuove tecnologie,
continuano ad utilizzare le vecchie armi come strumenti di ricatto a livello internazionale.
La tecnologia ha migliorato gli armamenti, ma ha anche portato i conflitti su una
dimensione asimmetrica, dove la strategia della deterrenza, che da qualche tempo si è
spostata anche sul mercato del lavoro considerando le potenze a livello internazionale
sulla loro produttività, diventa evanescente
6
.
I.2. Nuovi scenari di guerra
Dal primo conflitto mondiale in poi, con l’uso della tecnologia bellica è mutata la
lotta armata. La guerra tradizionale di un tempo combattuta con vasti eserciti che si
avvalgono di armamenti pesanti e si scontrano in grandi battaglie si è convertita in forme
piø anarchiche e volatili di uso della violenza, in uno scontro asimmetrico tra un esercito
regolare da una parte e gruppi sovversivi di diversa natura che non rispettano regole e che
usano tattiche indeterminati dall’altra.
La minaccia asimmetrica nasce particolarmente quando uno degli antagonisti, non
potendo misurarsi alla pari, sceglie comportamenti e tattiche che esulano dal confronto
militare. Si tratta sempre e comunque dì una situazione conflittuale, in cui chi utilizza
questi mezzi è un avversario, che si pone come obiettivo quello di vincere la sua guerra.
Le tipologie e i mezzi di questi attacchi sono svariati, si va dalle azioni terroristiche
contro obiettivi militari o civili al sabotaggio contro i rifornimenti energetici e i sistemi
informatici. In quest’ultimo caso si parla di cyber warfare o di guerra cibernetica, che è
6
Cfr. S. MARINEO, Globalizzazione la Terza Guerra, Verdechiaro – Nexus, Baiso 2016, 3-73.