3
PREFAZIONE
Dai primi anni ‘90, in Italia, la criminalità minorile ha mostrato un incremento in
termini quantitativi e un cambiamento a livello qualitativo. Si è infatti registrato un
forte aumento dei tassi di denuncia, sia per i ragazzi al di sotto dei 14 anni (non
imputabili seconda la legislazione italiana), sia per gli adolescenti fra i 14 e i 18
anni.
1
Tale situazione va inserita in un contesto che vede un aumento della
dispersione scolastica parallelo all’incremento della disoccupazione minorile e
giovanile, soprattutto e in modo specifico nelle regioni meridionali. E in tali aree,
cioè Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, il problema principale è il possibile
rapporto di strumentalizzazione, di tipo generale e specifico, fra criminalità
organizzata di stampo mafioso e minori.
Purtroppo tale situazione non è solo un grosso rischio, ma è già realtà; i Tribunali
per i Minorenni delle quattro regioni sopra citate possiedono già prove certe del
coinvolgimento dei minori nelle attività illegali delle varie associazioni mafiose.
2
PerchØ nonostante il lavoro quotidiano e incessante delle forze dell’ordine, di
magistrati, insegnanti e genitori, la violenza mafiosa continua a vincere? PerchØ
molti ragazzi e bambini ripongono la loro fiducia in queste organizzazioni, e ne
diventano parte attiva? E soprattutto, che ruolo può avere un educatore, che cosa si
può fare concretamente, a livello di prevenzione, per colpire tale fenomeno criminale
alla base?
Il mio lavoro di tesi parte proprio da domande come queste. Ciò che mi propongo è
capire il legame tra minori e organizzazioni mafiose, individuare le ragioni di tale
collegamento e provare a presentare delle alternative, delle risposte al problema
dell’inserimento dei minori nei circuiti illegali della criminalità organizzata.
Ciò che emerge in modo evidente, fin dall’inizio, è l’estrema complessità del
fenomeno mafioso.
Le organizzazioni mafiose sono nate come gruppi criminali, con scopi di profitto e
potere, basati sull’uso dell’intimidazione e della forza, e sulla capacità di adattarsi
1
De Leo - Strano - Pezzato - De Lisi Evoluzione mafiosa e tecnologie criminali, Giuffrè Editore,
Milano, 1995
2
De Leo G. La devianza minorile, Carocci, Roma, 1998
4
perfettamente al territorio in cui sorgono. Peculiarità principale delle organizzazioni
mafiose è, poi, la rete di relazioni che intrecciano nella vita quotidiana delle
persone, attraverso attività economiche, legali o illegali, commistioni politiche con
le istituzioni pubbliche, accordi con altri gruppi criminali.
Il fenomeno mafioso si sviluppa piø facilmente dove viene a mancare il potere di
controllo delle popolazioni, a causa di gestioni amministrative che non assicurano la
partecipazione democratica dei cittadini alla vita sociale. La mafia trae sostegno da
questi sentimenti di estraneità, indifferenza e passività, e se ne avvale per sostituirsi
allo Stato nel soddisfacimento di alcuni bisogni primari dei cittadini, offrendo loro
lavoro e protezione.
E questo è uno dei motivi principali che possono spingere i giovani a entrare nel
circuito delle organizzazioni criminali. Sostanzialmente tale coinvolgimento avviene
tramite due possibili percorsi: uno è la famiglia e l’altro la strada, il campo di
azione principale delle cosche mafiose.
Il nucleo familiare è il luogo fondamentale su cui si pongono le basi per la crescita
di un individuo: egli svilupperà la propria concezione del mondo secondo i valori e
gli insegnamenti dei genitori e delle persone a lui piø vicine. Perciò, se i genitori o le
altre figure di riferimento, presentano ai giovani valori quali la violenza, la forza, la
supremazia verso i piø deboli, è ovvio supporre che i ragazzi accoglieranno tali idee
come valide, e su queste fonderanno il proprio stile di vita.
L’appartenenza al gruppo mafioso, inoltre, può rappresentare per un adolescente la
possibilità di soddisfare sia dei bisogni materiali, che altrimenti non potrebbe
permettersi, sia dei bisogni di tipo psicologico-affettivo. Infatti, obbedire alle regole
della famiglia mafiosa, permetterà loro di essere riconosciuti dalle figure adulte, di
essere accolti da una comunità per loro importante: i loro fondamentali bisogni di
appartenenza e di sicurezza saranno soddisfatti.
Ed è da qui che si deve ripartire per modificare la realtà delle cose, dalla
soddisfazione dei bisogni che hanno i ragazzi.
¨ necessario, quindi, iniziare dall’educazione: in famiglia, a scuola, nelle strade,
nelle istituzioni. Deve essere l’educazione alla legalità, alla democrazia, alla
nonviolenza, la risposta che la società civile e lo Stato danno ai valori distorti,
portati avanti dalle organizzazioni mafiose. Vanno formati dei cittadini che credano
in valori quali la democrazia, la pace, la convivenza civile, il rispetto reciproco fra
le persone, cittadini che credano nelle leggi che loro stessi hanno creato e scelto. Si
5
deve realizzare un consistente e continuo lavoro di prevenzione, una risposta della
società civile che si opponga al dominio delle organizzazioni mafiose.
Il progetto di animazione di strada in un quartiere di Reggio Calabria, cui ho
partecipato, e che presento nell’ultimo capitolo, è solo un esempio di un’attività che
può presentarsi come alternativa alla capacità delle organizzazioni mafiose di
imporre il loro controllo sul territorio. Il lavoro in strada può essere pensato come
strumento per offrire un’alternativa ai bambini e ai ragazzi che vivono in ambienti
ad alta densità mafiosa, o che appartengono a nuclei familiari legati alla criminalità
organizzata.
L’operatività di strada, intesa sia come educazione, sia come animazione, ha il
grande vantaggio di partire dalla strada, luogo privilegiato dalla mafia per ottenere
e mantenere il proprio potere. Le organizzazioni mafiose, infatti, cambiano il
rapporto dei cittadini con il territorio, che non è piø punto di riferimento per
l’individuazione di bisogni e la ricerca di risorse, ma che può diventare area ostile
anche per gli operatori, perchØ occupata dai ragazzi contro i servizi stessi.
Se è vero che la mafia continua a controllare grandi zone del territorio nazionale,
anche perchØ riesce a soddisfare alcuni bisogni fondamentali delle persone, come la
fiducia, il senso di appartenenza, il lavoro, è proprio creando nuove risposte a tali
bisogni che si può sperare di combatterla.
Offrire nuove possibilità alle famiglie con difficoltà economiche, ai ragazzi senza
lavoro, presentare delle alternative ai bambini che non hanno altri spazi per giocare
se non la strada, potrebbe essere un modo per evitare che le organizzazioni mafiose
continuino a trovare degli affiliati e ad imporre il proprio volere sui cittadini.
6
CAPITOLO 1
LA MAFIA
1.1. Etimologia e definizione
Nell’immaginario collettivo, alimentato da stereotipi diffusi dai mass media e dalla
scarsa informazione di molte persone, la mafia spesso rappresenta un fenomeno che
riveste caratteri di eccezionalità: fatti clamorosi di cronaca, sparatorie, bombe,
tradimenti, vendette, uccisioni. Quasi fosse un qualcosa di straordinario e per certi
versi “spettacolare”.
In realtà la questione va posta in altri termini, essendo molto piø complessa ed
articolata.
“La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una
sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”
3
ha sostenuto il giudice Giovanni
Falcone, volendo chiarire che in quanto realtà umana la mafia è una questione
complessa, in continua evoluzione, e perciò difficile da conoscere. Infatti il rischio
principale in cui si incorre nel cercare di dare un’unica definizione di mafia, che ne
comprenda la complessità, è la frammentarietà.
La definizione che si può trovare in un dizionario della lingua italiana come ad
esempio lo Zingarelli, è “mafia (o arcaico maffia), dall’arabo “mahjas” millanteria, è
organizzazione criminosa sorta in Sicilia nella prima metà del XIX secolo
pretendendo di sostituirsi ai pubblici poteri nell’attuazione di una forma privata di
giustizia, che si regge sulla legge della segretezza e dell’omertà e che ricorre a
intimidazioni, estorsioni, sequestri di persona e omicidi allo scopo di proteggere
interessi economici privati o di procurarsi guadagni illeciti”
.4
3
Falcone G. - Padovani M. Cose di Cosa Nostra, Rizzoli, Milano, 1992, p.154
4
Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, edizione XII, Zanichelli, Bologna, 1995
7
Il termine “Maffia” è usato per la prima volta in documenti ufficiali per indicare
“un’associazione malandrinesca” in un rapporto inviato nell’aprile 1865 dal Prefetto
di Palermo, Filippo Antonio Gualterio, al ministro dell’interno.
5
Giuseppe Pitrè, storico delle tradizioni popolari siciliane, sostiene che nel primo
sessantennio del XIX secolo i termini mafia e derivati erano usati nel rione Borgo di
Palermo con significato di perfezione ed eccellenza. “Una ragazza bellina, che
nell’insieme abbia un non so che di superiore e di elevato ha della mafia, è mafiusa,
mafiusedda […] All’idea di bellezza la voce mafia unisce quella di superiorità e di
valentia, e parlando di un uomo, è coscienza d’esser uomo, sicurtà d’animo e
saldezza, ma non mai braveria in cattivo senso, non mai arroganza, non mai
tracotanza.” Pitrè afferma che la mafia “non è setta nØ associazione, non ha
regolamenti nØ statuti […] Il mafioso non è un ladro, non è un malandrino […] La
mafia è la coscienza del proprio essere, l’esagerato concetto della forza individuale,
l’unica sola arbitra di ogni contrasto.”
6
Un’altra definizione della mafia quale essa era alla fine del XIX secolo ce l’ha
tramandata Gaetano Mosca, studioso di problemi economici. “Il sentimento di mafia,
o meglio lo spirito di mafia si può descrivere in poche parole: esso consiste nel
reputare segno di debolezza o di vigliaccheria il ricorrere alla giustizia ufficiale, alla
polizia ed alla magistratura, per la riparazione dei torti o piuttosto di certi torti
ricevuti.”
7
Nel suo libro “Cento anni di mafia” Giuseppe Guido Loschiavo, alto magistrato
siciliano, sostiene che la parola mafia ha origine dal vocabolo arabo “maha” che
significa cava di pietra, e non dal vocabolo “mahias” che significa spacconeria. Tale
tesi deriva dal fatto che nelle cave di tufo del trapanese si rifugiavano i cospiratori
politici e gli organizzatori delle squadre rurali, i “picciotti”, che combattevano con
Garibaldi. Erano considerati “uomini d’onore”, e la parola mafia era usata per
indicare doti particolari di fascino, forza e bellezza.
8
Dopo l’unificazione d’Italia la voce mafia cambia il suo significato originario e
diventa sinonimo di violenza, di prepotenza, di brigantaggio. Questo cambiamento
sembra esser stato favorito anche dal successo di una rappresentazione teatrale. Nel
5
Pezzino P. Una certa reciprocità di favori, Milano, 1990, p.99
6
Pitrè G. Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, vol. II, Libreria Pedone Lauriel,
Palermo, 1889, p.287-292
7
Mosca G. Che cosa è la mafia, Laterza, Roma – Bari, 2002, p.5
8
Loschiavo G.G. Cento anni di mafia, Vito Bianco Editore, Roma, 1962
8
1863 Giuseppe Rizzotto, artista drammatico palermitano, porta in scena il dramma “I
mafiusi della Vicaria” (vicaria in dialetto siciliano significa carcere), che ritrae gli usi
e i costumi della vita carceraria dell’epoca, il modo di parlare, i riti e le leggi della
consorteria mafiosa.
Giovanni Lorenzoni, presidente della Commissione Parlamentare sulle condizioni dei
contadini nelle province meridionali e nella Sicilia del 1910, ha definito la mafia non
come un’associazione, ma come “l’esagerazione del sentimento di sØ, del principio di
non tollerare offese, della deliberata volontà di ripararle a qualsiasi costo”
.9
La mafia
è tale in quanto trova nella cultura siciliana una legittimazione del suo
comportamento; è quindi un prodotto della Sicilia stessa.
Tale tesi ha trovato diversi sostenitori nel corso degli ultimi due secoli. Famoso è il
discorso tenuto, in occasione delle elezioni amministrative palermitane dell’agosto
1925, dall’ex Presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando: “Ora vi dico che
se per mafia si intende il senso dell’onore portato fino all’esasperazione,
l’insofferenza contro ogni forma di prepotenza e sopraffazione, portati sino al
parossismo, la generosità che fronteggia il forte ma indulge al debole, la fedeltà alle
amicizie, piø forte di tutto, anche della morte, se per mafia si intendono questi
sentimenti e questi atteggiamenti, sia pure con i loro eccessi, allora in tal senso si
tratta di contrassegni indivisibili dell’anima siciliana e mafioso mi dichiaro e sono
fiero di esserlo!”.
10
Qualche anno dopo, Cesare Mori, questore e prefetto di Trapani e Palermo durante il
fascismo, nel libro “Con la mafia ai ferri corti” chiarisce che la mafia trae origine da
alcune particolarità del carattere e della storia siciliana ed è una cosa distinta e
separata dalla malvivenza, e la definisce “uno speciale modo di sentire, di intendere e
di agire che, per affinità mentale e psichica, accomuna tra loro, in determinate
attitudini morbose, elementi a particolar tempra spirituale, isolandoli nell’ambiente
come in una specie di casta.”
11
Nel 1972 Francesco Cattanei, presidente della Commissione Parlamentare
d’inchiesta sulla mafia, definisce il fenomeno mafioso come “esercizio di autonomo
potere extralegale e come ricerca di uno stretto collegamento con tutte le forme di
9
Lorenzoni G. La mafia e l'omertà in "Polis", anno I, n.2, 1987, p.336
10
Aymard M. - Giarrizzo G. (a cura di) Stato violenza società, La Sicilia, Torino, 1987, p.973
11
Mori C. Con la mafia ai ferri corti, Mondadori, Milano, 1932
9
potere e in particolare di quello pubblico, per affiancarsi ad esso, strumentalizzarlo ai
suoi fini o compenetrarsi nelle sue stesse strutture.”
12
Compito istituzionale della Commissione era cercare e fornire tutte le informazioni
necessarie riguardanti la mafia che consentissero alle istituzioni, alla politica, alla
società, alla cultura, di assumere un comportamento non piø disomogeneo e confuso,
ma chiaro e compatto nei confronti di tale fenomeno. Nella relazione conclusiva
dell’inchiesta del 1976 il presidente della Commissione, Luigi Carraro, evidenzia il
fatto che connotazione specifica della mafia è l’essere costituita dall’incessante
ricerca di un collegamento coi pubblici poteri.
13
Piø recentemente il sociologo Umberto Santino ha definito la mafia come un sistema
di violenza ed illegalità, finalizzato all’accumulazione del capitale e all’acquisizione
e gestione di posizioni di potere. La violenza mafiosa pertanto non rappresenta un
incontrollato istinto omicida, ma risponde ad una precisa e razionale logica di
guadagno.
14
Oggi, quindi, si ritiene che la mafia sia una forza che partecipa alla formazione degli
equilibri sociali e politici del sistema di potere. Non è una semplice associazione per
delinquere: la subcultura della violenza e dell’omertà fornisce quell’elemento
necessario affinchØ un’organizzazione per delinquere possa essere definita mafiosa.
1.2. Origini ed evoluzione
Anche oggi, come in passato, parte dell’opinione pubblica spesso tende ad
identificare e collegare il fenomeno mafioso alla Sicilia e ai suoi abitanti. ¨ invece
oramai appurato che associazioni criminali di stampo mafioso sono sorte e nate
anche in altre regioni d’Italia, e che proliferano anche all’estero.
L’accostamento mafia-Sicilia può risultare piø corretto solo nel momento in cui si
pensa al fatto che storicamente tale fenomeno criminale è nato nell’isola, dove ha
trovato precise caratteristiche storiche e sociali, che ne hanno permesso lo sviluppo e
l’evoluzione.
12
Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia, relazione dell’On. Cattanei F., V legislatura,
Roma, 1972, p.153
13
Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia, relazione dell’On. Carraro L., VI legislatura,
Roma, 1976
14
Santino U. La mafia interpretata, Soveria Mannelli, Catanzaro, 1995
10
Le prime notizie sulla mafia siciliana risalgono alla prima metà dell’Ottocento, nel
triangolo territoriale che ha ai vertici le città di Palermo, Trapani e Agrigento.
I nobili della Sicilia occidentale - principi, duchi, conti, marchesi - vivevano dei
feudi che possedevano. In campagna imperversano “i briganti”, nei cui ranghi
confluivano i contadini oppressi dalla fame e ribelli alla loro miseria, latitanti che, se
catturati, venivano giustiziati per le imprese del loro passato, e soldati disertori.
Contro i briganti, i signori usavano “i bravi”, cioè quei loro servi abili e addestrati
nell’uso delle armi.
Questo ricorso alla giustizia privata è proseguito anche dopo l’unificazione d’Italia.
La presenza dello Stato nella società meridionale si è configurata, fin
dall’Unificazione, come una presenza debole. Ciò ha fatto in modo che la mafia, fin
dal principio, si delineasse come un’organizzazione che assume dei ruoli pubblici per
eccellenza, che di norma sarebbero di competenza dello Stato.
L’Unità d’Italia in Sicilia ha accelerato fortemente un processo di fine della struttura
feudale delle campagne, nel momento in cui ha integrato l’economia siciliana in
quella del resto del paese. Inoltre, il nuovo governo piemontese si è sovrapposto alla
struttura sociale siciliana senza riuscire ad interagire positivamente con essa.
Conseguenza di questi cambiamenti è stata che nelle campagne i grossi latifondisti,
che avevano detenuto interamente il potere fino a quel tempo, hanno iniziato ad aver
bisogno sempre piø di qualcuno che garantisse loro un controllo effettivo delle
proprietà, sia per difendersi dal brigantaggio, sia per resistere alle nascenti pretese
delle classi contadine per una piø equa distribuzione del prodotto del loro lavoro.
Questo ruolo di controllo sociale, che in altri paesi ed anche in altre zone d’Italia è
stato tipicamente un compito affidato alla classe borghese imprenditoriale, è stato
assunto in Sicilia da alcuni personaggi che hanno preso il nome di “campieri”
(perchØ controllavano i campi) o “gabellotti”, poichØ riscuotevano, per conto del
padrone, le “gabelle”, cioè le tasse. La prefettura di Palermo, nel 1875, registrava che
“la mafia, causa principalissima del male, è indomita sempre e mantiene
vigorosamente se stessa e rinnova le assottigliate schiere dei malandrini”.
15
Il fatto che la mafia sia nata nelle zone rurali non deve far pensare che essa sia un
fenomeno isolato e distinto rispetto alla mafia che si è sviluppata e vive tuttora nelle
città. Salvatore Lupo ha sostenuto che, fin dalle origini del fenomeno mafioso, il
ruolo delle città, come luogo politico e commerciale, è stato sempre molto
15
Minna R. Breve storia della mafia, Editori Riuniti, Roma, 1984
11
importante.
16
Dalle campagne, i mafiosi arrivano in città e riescono ad ottenere una
buona posizione di potere anche a Palermo, dove già nel 1875 creano associazioni
commerciali che all’inizio riguardano soprattutto i mugnai e i pastori.
Gli anni fra i due secoli rappresentano il punto piø alto di attenzione alla mafia da
parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica nazionale, senza però alcun
cambiamento rilevante nella situazione reale, e il fenomeno mafioso continua a far
parte della storia quotidiana della Sicilia.
Con l’avvento della Sinistra al governo, le condizioni politiche dell’isola cambiano
molto dal 1875 al 1915, e intanto i legami politici fra classe dominante e mafiosi
diventano piø personali e diretti.
Periodo fondamentale della storia della mafia è l’avvento del fascismo. Diviene
evidente che la funzione della mafia di concorrenza con i poteri dello Stato non può
essere tollerata da un regime che monopolizza la forza, e ha un controllo totalitario
sull’Italia. Perpetuare un sistema come quello mafioso sarebbe stato “imbarazzante”
per un’ideologia che considera lo Stato come un’identità assoluta. E mafia e fascismo
entrano in collisione.
Il 22 ottobre 1925 si insedia a Palermo il prefetto Cesare Mori, che sarebbe passato
alla storia con il soprannome di “prefetto di ferro”. I suoi metodi si rivelano subito di
estrema decisione e violenza. Tali condotte vengono perseguite per anni: si
effettuano migliaia di arresti senza preoccuparsi di incarcerare degli innocenti. Si
procede all’arresto ed alla condanna per associazione per delinquere sulla base di un
semplice sospetto o della cosiddetta “notorietà mafiosa”.
Il fascismo si è impegnato a fondo nella lotta contro la mafia con una severa azione
repressiva, ma non è riuscito a debellarla. La mafia ha sempre battuto tutti i regimi, è
sempre stata rapida nel mimetizzarsi e nell’addomesticarsi, pronta ad adeguarsi ad
ogni nuovo ordine sociale, per poi tornare piø agguerrita di prima.
Che la mafia, sconfitta sul piano militare, covasse in realtà sotto la cenere e
mantenesse un suo controllo sulla società siciliana sembra confermato dalle vicende
dell’estate del 1943, in occasione dell’arrivo in Sicilia degli Alleati. I mafiosi d’alto
rango, avendo favorito lo sbarco delle truppe alleate, vengono considerati dagli
statunitensi come antifascisti e hanno come premio la libertà di ricostituirsi, di agire
e arricchirsi, riacquistando in breve tempo prestigio e soprattutto potere.
16
Lupo S. Storia della mafia, Donzelli, Roma, 1993