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Introduzione
Nel mio elaborato di tesi riprenderò la questione dei
cosiddetti “popoli indigeni” da me affrontata già per la mia tesi
di laurea triennale. In realtà, come spiegavo nel mio primo
lavoro, sarebbe preferibile parlare di questi popoli come di
“società” o “comunità tradizionali”, poichØ il termine
“indigeni” viene utilizzato in forma generica per indicare i
nativi di un certo luogo, essendo stato coniato in passato dai
nuovi arrivati nelle terre di conquista per designare chi era lì
prima del loro arrivo.
L’accezione racchiude in sØ peraltro un’allusione a
qualcosa di sbagliato, anacronistico, fuori posto; oppure, in
un’ottica “benevola” e per così dire “indulgente” gli “indigeni”
apparirebbero come soggetti folcloristici, che suscitano un
curioso interesse, quasi come oggetti di turistico divertimento,
a parer mio.
Per questo motivo ho utilizzato il termine “indigeni”
soltanto per convenzione e virgolettato.
Il mio interesse speciale per i popoli “indigeni” della
Colombia, popoli che in questo paese costituiscono delle
minoranze etniche a livello demografico, come vedremo piø
avanti nella mia tesi, è emerso in me grazie all’esperienza di
stage nell’anno 2010 presso il Centro di Documentazione sui
Conflitti Ambientali di Roma.
Il CDCA è un osservatorio creato dall’Associazione Asud
per il monitoraggio, l’analisi e la diffusione di informazioni
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relative ai conflitti ambientali e sociali dovuti allo sfruttamento
di risorse naturali nel “Sud” del mondo.
Obiettivo del CDCA è quello di informare l’opinione
pubblica italiana ed europea; dar voce alle comunità ed ai
popoli del “Sud” del mondo che non hanno accesso ai mezzi di
comunicazione; avvicinare il “Sud” ed il “Nord” del mondo
attraverso un processo di comprensione reciproca e di
costruzione di spazi comuni.
Il CDCA si propone di contribuire al dibattito politico in
corso in Italia, come in tutto il mondo, sulla grave crisi
ambientale che sta vivendo il nostro pianeta, sul progressivo
esaurimento dei principali beni comuni e l’assenza di politiche
responsabili per la protezione delle risorse naturali e delle
comunità residenti; fenomeni che delineano numerosi conflitti
ambientali e sociali. Sono infatti all’origine di guerre,
violazioni dei diritti umani, impoverimento biologico ed
economico.
A partire dai conflitti studiati e divulgati dal CDCA, un
altro proposito del Centro è quello di contribuire al
rafforzamento dei processi di democrazia partecipata e dei
meccanismi internazionali che possono essere messi in atto per
la difesa dei beni comuni e dei diritti umani delle popolazioni
danneggiate nel “Sud” del mondo, anche grazie al contributo
dell’Assessorato Regionale del Lazio all’Ambiente e alla
Cooperazione, oltre alla Vice-Presidenza del Consiglio
Comunale di Roma. La stessa associazione fa parte della Rete
Italiana per la Giustizia Sociale ed Ambientale (RIGAS).
Lo stage mi ha dato l’opportunità di svolgere un lavoro di
ricerca e monitoraggio decentrato di alcuni casi studio di
conflitti socio-ambientali, riguardanti per l’appunto alcuni
popoli “indigeni” della Colombia. Tra le mie mansioni vi era
poi quella di effettuare traduzioni dall’inglese e dallo spagnolo
9
di articoli del sito web dell’associazione e di documenti 2009-
2010 dell’ONIC (Organización Nazionale dei Popoli Indigeni
della Colombia) sui popoli “indigeni” a rischio di estinzione
fisica e culturale in questo paese.
A dare un valore aggiunto al mio stage e ad ampliare la mia
comprensione sui diritti umani, che tratterò nella mia tesi
approfondendo il caso delle minoranze etniche colombiane, è
stato poi il Corso di Formazione sui Diritti Umani,
organizzato dalla Provincia di Roma (con la collaborazione del
Forum Provinciale per la Pace, i Diritti Umani e la Solidarietà
Internazionale di Roma, e curato da varie organizzazioni non
governative operanti nel campo della solidarietà e del
volontariato).
Nella mia tesi tratterò dunque il tema delle minoranze
etniche della Colombia a rischio d’estinzione fisica e culturale;
condizione che riguarda tutti i popoli “indigeni” della
Colombia, secondo i dati dell’ONIC.
Ciò che li contraddistingue consiste nel fatto di essere
portatori di una diversità culturale, che li induce a reclamare il
diritto ad essere considerati nella loro specificità, distintamente
dal resto della popolazione. Questa diversità si esplica nel loro
attaccamento profondo alle tradizioni, comprensive di un
sistema di cure mediche tramandate di generazione in
generazione da tempi ancestrali, delle proprie lingue, sistemi di
governo, credenze religiose, sistema economico e d’istruzione.
Questa diversità ha d’altra parte condotto alcune di queste
popolazioni ad un’integrazione particolarmente sofferta alla
cultura maggioritaria, che ha imposto loro una deculturazione
forzata nel corso del tempo.
Inoltre, il mancato riconoscimento da parte dello Stato di
gran parte dei loro territori ancestrali li ha costretti a vivere
confinati in riserve (resguardos), in cui l’accesso alle loro
10
risorse tradizionali di sostentamento risulta incredibilmente
ridotto, e in questo senso la loro sopravvivenza viene messa a
repentaglio.
A livello giuridico ho mostrato come la Costituzione del
1991 abbia segnato un profondo cambiamento di principi e
valori rispetto alla Costituzione del 1886, grazie al
riconoscimento dello Stato come “Stato Sociale di Diritto”; al
riconoscimento della diversità etnica e culturale della nazione
ed all’obbligo dell’amministrazione pubblica alla sua tutela.
Ciò è stato possibile introducendo nella Costituzione un ampio
catalogo di diritti umani.
Allo stesso tempo ho messo in luce le contraddizioni del
sistema politico colombiano, il quale si è dimostrato incapace
di far sì che questi riconoscimenti avessero un risvolto pratico:
in specie di farsi garante di una condizione di pace, di sicurezza
e tutela dei diritti dei popoli “indigeni” presenti nel paese.
Nel clima di violenza del conflitto armato che affligge la
Colombia ormai da cinquant’anni, si svela infatti una
connivenza sotterranea tra le grandi multinazionali che si
occupano dell’estrazione petrolifera nei territori “indigeni”,
unitamente alle organizzazioni criminali per la produzione di
cocaina ed allo Stato stesso, con i gruppi militari regolari ed
irregolari.
Tutto ciò ha portato all’instabilità sociale; agli ostacoli per
la realizzazione dei doveri pubblici, con particolare riguardo
all’obbligo di tutelare la diversità, attraverso
l’implementazione di azioni positive per la costruzione dello
Stato Sociale di Diritto.
In questo contesto le comunità “indigene” sono sottoposte a
continui atti di violenza ed a sfollamenti forzati dai loro
territori ad opera di attori armati che violano i loro diritti umani
e collettivi. Questi diritti vengono d’altra parte ribaditi
11
all’interno di Strumenti Internazionali (convenzioni,
risoluzioni), Diritti Costituzionali e Strumenti Nazionali (leggi,
decreti, risoluzioni) che si integrano con il Diritto Proprio
(detto anche Diritto Ancestrale), costituito dalla consuetudine
millenaria di questi popoli.
In questo senso l’ONIC svolge un ruolo importante per la
loro difesa, occupandosi degli effetti avversi sui diritti dei
popoli “indigeni” provocati dal conflitto armato interno, dalla
povertà, dalla discriminazione, dall’abbandono istituzionale, e
dall’imposizione di un modello di sviluppo estraneo e
devastante per la loro cultura.
Di fronte appunto a questo rischio di estinzione l’ONIC fa
appello all’umanità intera per un supporto deciso a favore della
vita, della resistenza e della sopravvivenza di questi popoli.
A mettere in pericolo la loro vita sono soprattutto quelle
politiche nazionali e globali di sfruttamento territoriale per le
ricerche del petrolio e del carbone; per la costruzione di dighe
atte alla produzione di energia idroelettrica e coltivazioni di
palma oleosa per la produzione di biodisel ed agrocombustibili;
o per la produzione di cocaina (si tratta di politiche criminali in
questo caso) e per la lotta a questa stessa produzione. Ma in
particolare focalizzerò la mia attenzione sullo sfruttamento
territoriale legato all’estrazione petrolifera, alla produzione di
cocaina ed alla lotta a questa produzione.
Spiegherò come gli effetti di questi megaprogetti risultino
indubbiamente devastanti ed impossibili da riparare, se si pensa
alle vaste aree territoriali che vengono completamente distrutte
nel loro aspetto naturale, e sottratte con la forza alle comunità
che vi vivono; le quali in questo modo vanno a perdere le loro
fonti di nutrimento e di sussistenza.
Questi megaprogetti sono rappresentativi di una visione
monista e dominante di sviluppo di stampo tipicamente
occidentale, ossia di uno sviluppo orientato
12
all’implementazione di grandi progetti volti all’accaparramento
della maggiore quantità possibile di risorse; per soddisfare la
sete di possesso e di denaro degli investitori e dei
narcotrafficanti, orientata ad un mero profitto economico.
Questo tipo di sviluppo rivela tutta la sua incompatibilità
con lo sviluppo proprio dei popoli “indigeni”, legato al
mantenimento di culture tradizionali nell’ambito di progetti
produttivi di piccola o media scala che invece favorirebbero la
sopravvivenza di queste popolazioni riducendone il rischio
d’estinzione.
Tali politiche di sviluppo economico appoggiano quindi gli
interessi privati delle grandi aziende, che hanno preso piede
soprattutto in seguito ai trattati di Libero Commercio
nell’ambito del processo di negoziazione tra Stati Uniti,
Canada ed Unione Europea.
La legislazione colombiana, d’altra parte, ha assunto
recentemente un taglio propizio alla realizzazione di questi
interessi, aggravando la condizione di precarietà e di mancanza
di tutela effettiva in cui vertono le popolazioni “indigene”, e
rinnegando così i diritti ad esse riconosciuti in passato.
Da parte sua, infatti, lo Stato colombiano tende oggi a
negare l’esistenza di popoli insediati nelle zone di interesse dei
vari progetti, smentendo quanto invece affermato in passato.
Il contesto di guerra ha perciò favorito un terreno propizio
per la realizzazione di questi megaprogetti, poichØ per portarli
a compimento, come abbiamo detto, viene fatto
frequentemente ricorso a gruppi armati.
Affronterò poi la questione relativa alle condizioni di
povertà in cui vertono questi popoli, condizione che diventa
causa d’invisibilità sociale e politica, e che rende piø
difficoltoso il pieno esercizio e la garanzia dei diritti sia a
livello nazionale che a livello locale.
13
In particolare, traccerò un quadro dei diritti maggiormente
violati, come: il diritto alla vita fisica e culturale,
all’alimentazione, alla salute, all’autodeterminazione e ad un
governo proprio, all’uguaglinaza; illustrando, attraverso dei
casi specifici, come queste violazioni contribuiscono a
minacciare la sopravvivenza dei popoli “indigeni” della
Colombia.
Nella mia conclusione ripercorrerò infine la questione dei
conflitti sociali ed ambientali, mettendo in luce l’aspetto
patologico della modernità e del relativo modello di sviluppo
propugnato dalla società dominante occidentale: un modello di
sviluppo volto al mero profitto economico, alla crescita
incessante dei bisogni materiali e privilegio di pochi.
Modello che si vorrebbe accettato universalmente, ma che
di fronte alla crisi ambientale, perdite culturali, ed alle milioni
di vittime di crimini che questo sviluppo genera ha dimostrato
la sua assoluta insostenibilità, anche in vista delle future
generazioni.
Questo schema di sviluppo verrà descritto chiaramente in
contrapposizione a quello ecologico e sostenibile dei popoli
“indigeni” (che peraltro costituiscono i soggetti piø vulnerabili
allo sviluppo propugnato dal “Nord” del mondo).
Terminerò poi questo discorso parlando della necessità per
i governi e per le istituzioni nazionali ed internazionali di
formulare delle politiche piø rispettose della diversità, sulla
base dei valori dell’interculturalità, della plurinazionalità e dei
diritti della natura. A questo proposito enucleerò le principali
richieste dei popoli “indigeni” della Colombia a livello
nazionale ed internazionale, affinchØ vengano intraprese delle
azioni urgenti per la loro sopravvivenza.
14
In ultimo luogo illustrerò il ruolo dell’antropologia nei
processi di sviluppo, ed in particolare l’utilità delle ricerche
etnografiche per l’elaborazione di programmi concreti di aiuti
umanitari, analizzando una molteplicità di approcci.
Vedremo in particolare l’originale prospettiva di Latour, il
quale utilizza il termine “black-boxing” in riferimento alla
tendenza, in riferimento a quel lavoro tecnico-scientifico
mirato a creare sviluppo – ad essere reso invisibile da un
discorso che tende a magnificare gli effetti di tale sviluppo;
lasciando nell’ombra le modalità utilizzate per giungere a tali
risultati; senza considerare le variabili che intervengono in tale
processo, e la complessità del contesto nel suo insieme.
Inoltre mostrerò, rifacendomi alle teorie di David Lewis e
David Mosse, come in un processo di sviluppo interagiscono
attori di diversi status sociali, con risorse ed obiettivi differenti,
per i quali il concetto di sviluppo può assumere significati
altrettanto diversi.
In questo contesto viene dato risalto alla figura dei
cosiddetti “brokers”, il cui ruolo consiste nel mediare tra le
diverse visioni del mondo, punti di vista e sistemi di
conoscenza: sono figure di interconnessione tra le comunità
locali, le amministrazioni, i donors, ed i beneficiari, etc. Hanno
dunque il compito di negoziare sui ruoli, le relazioni tra i vari
attori e le differenti interpretazioni.
Questi molteplici approcci ci permettono di individuare i
meccanismi che intervengono in questo quadro politico-
economico internazionale, fondato sulla sperequazione delle
risorse; ed in cui sono inserite le agenzie e le istituzioni per lo
sviluppo a livello mondiale.
15
Capitolo 1
Le minoranze etniche della Colombia a rischio
d’estinzione
1. Minoranze etniche o “popoli indigeni” e la loro
definizione
Come vedremo piø avanti nella mia tesi, in Colombia
vivono una molteplicità di popoli per così dire “indigeni” che
costituiscono una minoranza della popolazione, e che si
distinguono per la loro diversità etnica e culturale. Per questo
motivo quando mi riferirò a questi popoli utilizzerò il termine
di “minoranze etniche” o quello di “popoli indigeni”, poichØ
nel caso della Colombia questi due termini coincidono in realtà
in uno stesso concetto e significato. Illustrerò poi sulla base di
quali dimensioni demografiche questi popoli possono essere
considerati una minoranza rispetto all’intera popolazione del
paese; e come queste minoranze rappresentano delle vere e
proprie nazioni interne alla piø grande nazione colombiana, nel
quadro di una duplice nazionalità.
Coloro che attualmente vengono definiti “popoli indigeni”,
solo negli anni ottanta escono alla luce del sole, quando
l’opinione pubblica dei paesi ricchi prende atto della loro
specificità culturale, economica e sociale. Eppure le cosiddette
popolazioni indigene non rappresentano per nulla un nucleo
16
esiguo della popolazione mondiale, al contrario, costituiscono
la maggior parte della popolazione del “Sud” del mondo. Sono
queste popolazioni fortemente legate ad usi e costumi
tradizionali, che per la loro unicità sviluppano un profondo
senso di identità che tende a non conformarsi con i valori della
cultura dominante.
Non esiste una definizione univoca di “popoli indigeni”. In
ambito internazionale, la Convenzione 169 dell’ILO definisce i
popoli indigeni come:
discendenti di quelli che vivevano nell’area prima della
colonizzazione. Hanno mantenuto le proprie istituzioni sociali,
economiche, culturali e politiche dopo la colonizzazione e la
creazione di nuovi stati <www.internazionalebasso.it> [data
di ultima consultazione: 20 gennaio 2011].
Ancora, possiamo citare la definizione suggerita dal
relatore speciale Martinez Cobo alla Sottocommissione delle
Nazioni Unite per la Prevenzione delle Discriminazioni e
Protezione delle Minoranze (1986):
Comunità, popoli e nazioni indigene sono quelle che,
mantenendo una continuità storica con le società precedenti
all’invasione e precoloniali che si sono sviluppate nei loro
territori, si considerano distinte da altri settori delle società
attualmente dominanti in questi territori o in parti di questi.
Rappresentano un settore non dominante della società e sono
determinati a conservare, sviluppare e trasmettere alle
generazioni future i propri territori ancestrali e la propria
identità etnica come base per la continuità del popolo in
armonia con le proprie istituzioni sociali, i sistemi legali e la
cultura ” ( ibidem ).
17
Infine, la veterana presidente del Working Group on
indigenous People all’interno delle Nazioni Unite, Erica Irene
Daes, nei suoi rapporti descrive i popoli indigeni come:
(…) discendenti di gruppi che occupavano il territorio di un
paese nel momento in cui arrivavano altri gruppi con culture e
origini etniche differenti. L’isolamento da altri settori della
popolazione del paese gli ha permesso di preservare quasi
intatti i costumi e le tradizioni ancestrali, le quali sono simili a
quelle caratterizzate come indigene. Sono situati, anche se non
formalmente, sotto una struttura statale che incorpora
caratteristiche nazionali, sociali e culturali diverse dalle
proprie (Daes I.: 2000).
Con il termine “aborigeno” invece ci si riferisce
generalmente ai nativi del continente australe, mentre alle
popolazioni originarie del continente latino-americano viene
attribuito il termine “indio” o “amerindiani”.
18
2. Per un chiarimento etimologico
Quando nel nostro linguaggio utilizziamo i termini
“aborigeno” e “indigeno”, dobbiamo considerare che questi
sono entrambi termini di origine latina. Sono quindi termini
italiani, europei. Con essi si indicano i nativi di un certo luogo.
Tuttavia non è consuetudine chiamare aborigeno od indigeno
un parigino (o un milanese) in ragione del fatto che sia parigino
(o milanese) di provenienza.
Anche nelle traduzioni dei dizionari, è possibile osservare
come il significato dei suddetti termini venga circoscritto a
quelle popolazioni che abitavano determinati territori prima
ancora che l’attuale cultura dominante vi si imponesse. Sono
quindi termini coniati dai nuovi arrivati per designare chi era lì
prima del loro arrivo, con un’accezione piuttosto negativa: vi è
una sottile allusione a qualcosa di sbagliato, anacronistico,
fuori posto; oppure, in un’ottica piø “benevola” ed
“indulgente”, gli indigeni diventano soggetti folcloristici - che
suscitano un curioso interesse, quasi consistessero in oggetti di
turistico divertimento, a parer mio.
Solo con l’universalismo illuministico è riuscita a farsi
strada l’idea che nessun essere umano possa essere considerato
straniero in alcuna parte del mondo. Ciò nonostante, questo
principio sembra acquisire validità esclusivamente in
riferimento ad alcuni; gli altri, i cosiddetti indigeni, rimangono
stranieri anche là dove sono nati.
In realtà queste parole e questi concetti, retaggio
dell’epoca coloniale, resteranno a far parte del linguaggio e piø
in generale della forma mentis dell’europeo ricco, erede dei
colonizzatori, perlomeno fin quando quest’ultimo continuerà a
sentirsi tale. Riconoscere i diritti di tutti elimina infatti la
presunzione con la quale utilizziamo l’intervento umanitario
con lo spirito del donatore, di chi elargisce doni gratuiti,
19
quando invece si tratta semplicemente di rispettare i “diritti
universali dell’uomo”, e il nostro intervento non è che
l’attuazione di un dovere storico; che non sarà però portato a
compimento finchØ si parlerà di indigeni od aborigeni senza
render chiaro che indigeni od aborigeni siamo tutti o non è
nessuno (Sarti T.: 2001).
Vista dunque l’ambiguità dell’allocuzione popoli
indigeni, sembrerebbe in realtà piø appropriato parlare di
società tradizionali (Palmeri P.: 2007). A dirla con le parole di
Paolo Palmeri:
L’allocuzione Indigenous Peoples ha dunque una
connotazione generica. Società tradizionali invece mette
l’accento sulla conservazione dei modi e comportamenti di
una cultura tramandata di generazione in generazione, sul
fatto che sono delle comunità, che sono società ai margini del
MdPC e che sono economie di sussistenza (Palmeri P.: 2007:
59).
Per questo motivo utilizzerò nel mio elaborato di tesi il
termine “indigeni” soltanto per convenzione e virgolettato.
Volendo dare una definizione che ne evidenzi dei tratti comuni
e le caratterizzi a livello nazionale ed internazionale, si può
affermare che, quando parliamo di indigenous peoples, ovvero
di società tradizionali, ci riferiamo a quelle comunità che
preesistono alla cultura dominante del paese in cui vivono, e
che si distaccano completamente da questa conservando
costumi, abitudini, visioni del mondo, e valori che li vincolano
ad un sistema di tradizioni ancestrali. Abitano aree territoriali
che i propri antenati avevano scelto per lo sviluppo della
propria comunità, e che in un percorso millenario sono rimaste
nelle mani dei discendenti; oppure sono relegati in aree
20
imposte in seguito a persecuzioni o in base alla volontà
dell’invasore.
Ad ogni modo l’autodefinizione, la cui rilevanza viene
sottolineata nella Convenzione 169, è un passo fondamentale
per l’autodeterminazione di queste società, ed i loro
rappresentanti hanno da sempre lottato per la libertà di
esprimere in prima persona le proprie caratteristiche distintive,
definendo in questo modo i parametri in base ai quali
determinare i membri costitutivi del proprio popolo
<www.internazionalebasso.it> [data di ultima consultazione:
20 gennaio 2011].
21
3. Minoranze etniche della Colombia sull’orlo della
sopravvivenza
Il governo colombiano ha riconosciuto l’esistenza di 87
“popoli indigeni” nel paese
1
, costituiti in tutto da 1.392.623
individui, che vivono per la maggior parte in zone rurali, e
rappresenterebbero il 3,3% della popolazione nazionale
(Dipartimento Amministrativo Nazionale di Statistica: 2007,
in: ONIC: 2010)
2
. Ciononostante l’Organición Indígena de
Colombia (ONIC) ne conterebbe ben 102
3
. Queste popolazioni
sono insediate lungo tutto il territorio nazionale, tuttavia in
alcune zone si riscontra una maggiore densità demografica,
come la Guainía, la VaupØs, la Guajira, l’Amazzonia, e la
Vichada (ONIC: 2010). Solo una piccola percentuale di questi
popoli abita in zone urbane, anche se negli ultimi anni si è
assistito ad un «progressivo processo migratorio verso le aree
urbane del paese» (ONIC: 2010: 19)
4
, processo legato
all’appropriazione delle terre delle riserve “indigene”, come
pure allo sfollamento forzato, causato da gravi violazioni dei
1
Dipartimento Amministrativo Nazionale di Statistica (Departamento
Administrativo Nacional de Estadística, DANE). Colombia: una Nación
Multicultural. Su diversidad Øtnica, Istituto di Censimento e Demografia
(Dirección de Censos y Demografía), maggio 2007. Disponibile su:
<http://www.dane.gov.cov/files/censo2005/etnia/sys/colombia_nacion.pdf>
[data di ultima consultazione: 20 gennaio 2011].
2
Questi dati sono stati raccolti sulla base del Censimento Nazionale
elaborato dal Dipartimento Amministrativo Nazionale di Statistica
nell’anno 2005, consultabile nella pagine web:
<http://www.dane.gov.co/files/censo2005/etnia/sys/colombia_nacion.pdf>
[data di ultima consultazione: 20 gennaio 2011] .
3
Si veda la pagina web dell’ONIC nella lista completa dei 102 popoli
“indigeni” della Colombia: <www.onic.org.co> [data di ultima
consultazione: 20 gennaio 2011] .
4
Dipartimento Amministrativo Nazionale di Statistica, ibidem.