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INTRODUZIONE
Intendo iniziare la mia tesi dando una breve descrizione del percorso che mi ha
portato a scegliere quest’argomento da una parte così affascinante, ma al contempo
così ancora poco conosciuto e consolidato, tuttora in fase emergente e bisognoso di
ulteriori sperimentazioni.
Poco prima di iniziare il corso di laurea specialistica incominciai una percorso di
ricerca spirituale in cui entrai a contatto con la filosofia orientale, con le pratiche
esoteriche, con la medicina alternativa ed in particolare con la meditazione. Iniziai a
frequentare svariati ambienti, a leggere numerosi libri e soprattutto a sperimentare in
prima persona diversi tipi di meditazione. La cosa mi entusiasmava molto e
soprattutto mi affascinava pensare a queste pratiche, che le persone di allora avevano
sviluppato per contrastare la sofferenza fisica e psicologica e che sebbene ai nostri
giorni esistano ormai terapie efficaci e sperimentalmente testate, (quali
farmacoterapie, psicoterapie, cure supportate dall’uso di sofisticati e innovativi
macchinari ad alta precisione), l’uso della meditazione è tuttora tenuto in grande
considerazione ed una fetta sempre crescente della popolazione mondiale ne ricorre
alla pratica. Tale constatazione mi portò a due riflessioni: la prima era che
probabilmente le terapie sviluppate dalla scienza moderna non sono sufficientemente
efficaci nel contrastare le molteplici sofferenze a cui l’uomo è da sempre sottoposto,
ma questo mi sembrava già alquanto palese. La seconda era che le pratiche meditative
potrebbero non essere solamente pratiche religiose o usanze sviluppate da determinati
gruppi etnici ormai superate, ma che forse vi è alla base una reale efficacia. Forse
davvero gli studiosi e i saggi di tanto tempo fa, avendo a lungo esaminato la
sofferenza umana coi mezzi a loro disposizione, svilupparono, per contrastarle, delle
tecniche tuttora valide poiché basate su principi generalizzabili.
Queste mie riflessioni le riprenderò più avanti. Ora vorrei spendere qualche parola per
meglio spiegare a cosa ci si riferisce parlando di meditazione.
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Spesso quando si parla di meditazione ci si ricollega subito alla tradizione buddista
ormai antica di 2500 anni. Infatti si narra che il suo fondatore: Siddharta Gautama
Shakiamuni (vissuto approssimativamente tra il 558 a.C. e il 478 o 487 a.C.) un
giorno decise di partire per capire l’origine della sofferenza nel Mondo e trascorse 6
anni in viaggio, sperimentando ogni genere di pratica ascetica. Ad un certo punto,
dopo 3 giorni di intensa meditazione, raggiunse sotto l’albero di Pippala,
l’illuminazione, il risveglio (Bodhi) alla realtà ultima delle cose e da lì venne
chiamato il Buddha (risvegliato). Da lì passò la vita a diffondere i propri
insegnamenti nei quali era contenuta l’origine delle sofferenze dell’uomo, ovvero i
desideri, e le regole da seguire per liberarsi da tali sofferenze (Dharma) e in tal modo
fermare il ciclo delle rinascite (Samsara) raggiungendo uno stato di pace e silenzio
eterno di estinzione (Nirvana). Nei suoi insegnamenti, tramandati attraverso degli
scritti (Sutra) compaiono anche le descrizioni delle tecniche meditative che, come le
diverse diramazioni del pensiero buddista, sono ormai diventate svariate. Alcuni
esempi di meditazione possono essere: la visualizzazione di immagini guidata, la
ripetizione di particolari suoni (mantra) o gesti (mudra), come ad esempio la
meditazione trascendentale, l’osservazione di immagini considerate evocative di
potenti energie spirituali (mandala). La meditazione praticata dal Buddha ed insegnata
nel suo “Discorso sui fondamenti della presenza mentale” (Satipatthana Sutra) pare
però essere stata la Vipassana, che nell’antica lingua indiana Pali significa:
comprendere le cose come sono realmente. Questa certamente rappresenta la
meditazione per eccellenza, nel senso che è quella più semplice ed immediata ed
anche la più conosciuta: consiste nello star seduto col busto in posizione eretta,
focalizzando la propria attenzione sul respiro, osservando e accettando tutto ciò che
nella mente affiora. Più precisamente prevede i seguenti momenti:
Contemplazione del corpo
Consapevolezza del respiro
Consapevolezza delle posizioni del corpo
Consapevolezza delle azioni del corpo
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Consapevolezza delle parti del corpo
Consapevolezza degli elementi
Nove contemplazioni del cimitero
Contemplazione delle sensazioni
Contemplazione della mente
Contemplazione degli oggetti mentali
In riferimento ai cinque ostacoli (desiderio sessuale, malizia, indolenza,
ansia e dubbio)
In riferimento ai cinque aggregati dell'appropriazione (aggregato della
materia, delle sensazioni, delle formazioni mentali, delle forze istintive e
della coscienza)
In riferimento alla sei basi interne e alle sei basi esterne dei sensi (occhi,
orecchie, naso, lingua, corpo e mente, e le realtà esterne corrispondenti)
In riferimento ai sette fattori del risveglio (presenza mentale, investigazione dei
fenomeni, risveglio dell'energia, gioia, serenità, concentrazione ed equanimità). Da
qui dovrebbe emergere un senso di accresciuta autoconsapevolezza, soprattutto del
fatto che gli stati mentali sono eventi transitori e che quindi la realtà stessa, come noi
la percepiamo e la viviamo, è transitoria, quindi impermanente, illusoria. Tale
scoperta porterebbe quindi alla verità del mondo fenomenico ed alla sua conseguente
neutralizzazione.
La meditazione pare però avere origini ancora più antiche: nella tradizione Indù
antica di 5000 anni è pratica fondamentale quella dello Yoga, considerato appunto
vera e propria disciplina scientifica che, se praticata porta ad un’enorme ed accelerata
crescita interiore. Attraverso tale pratica infatti la persona supera i limiti del proprio
corpo (riuscendo a mantenere per tempi lunghissimi le posizioni più impensabili) e
insieme placa il flusso della propria mente, raggiungendo uno stato di completa
padronanza di corpo e mente, che a sua volta implica un profondo silenzio interiore e
una grande autoconsapevolezza (ma senza pensiero). In tale stato diviene possibile il
risveglio dell’energia cosmica primordiale (kundalini) che si dice sia attorcigliata
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come un serpente dormiente nell’osso sacro di ogni persona, ma che, una volta
risvegliata, si snoda e risale lungo la schiena toccando i sette nodi energetici
principali (chakra) ed infine esce dall’ultimo di essi posto alla sommità del capo,
fondendosi con l’energia dell’intero cosmo. Il tal modo il praticante (yogi) diviene
tutt’uno con l’essenza divina universale.
Nelle sacre scritture indiane, i Veda (Conoscenza), considerate le più antiche del
mondo scritte presumibilmente tra il XV secolo a.C. e il XII secolo a.C., già
compaiono varie tecniche e rituali religiosi volti a raggiungere la conoscenza diretta
dell’entità divina suprema (Brhaman). Ma una descrizione vera e propria del concetto
e dello scopo dello Yoga, è contenuta nel Bhagavad Gita (Il canto del Divino
Signore), considerato il Vangelo dell’induismo e contenuto nel grande poema epico
Mahabharata. Yoga significa “Unione”, quindi superamento di ogni dualismo, ed è
attraverso tale pratica che il saggio, “unificato” dalla disciplina, abbandona il frutto
dell’azione, superando così l’apparente contraddizione fra azione e non azione: la
rinuncia non consiste nel rifiutare l’azione, ma nel distaccarsi dalle conseguenze che
ne possono derivare. Ci sono diversi elementi che si sovrappongono fra l’induismo ed
il buddismo, sia a livello filosofico che nella pratica della meditazione. Entrambi
mirano allo scopo di creare un silenzio interiore ed un distaccamento dal proprio
modo di vedere e pensare la realtà , dai propri desideri e dai propri scopi, placare la
mente e raggiungere in tal modo la consapevolezza della realtà ultima delle cose,
senza rimanere intrappolati nella realtà fenomenica transitoria ed illusoria (Maya). Il
fatto sembra anche abbastanza ovvio, dato che il Buddha nacque e visse in India e
crebbe sotto l’influsso di credenze ed usanze indù. Altre pratiche meditative erano
pure diffuse in Cina prima dell’avvento del buddismo: infatti nella tradizione Taoista,
antica di 4000 anni, è pratica essenziale il Qi Gong, insieme di tecniche statiche e
movimenti praticati allo scopo di sviluppare la padronanza dell’energia vitale (Chi).
Ma ciò che mi fece maggiormente riflettere sulla natura della meditazione, fu il fatto
che nella mia ricerca spirituale entrai a contatto con numerose realtà che proponevano
concetti e tecniche del tutto simili alle meditazioni buddiste ed indù, molte di esse
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erano estranee a tali tradizioni e spesso venivano addirittura presentate come
insegnamenti sconosciuti di Gesù, con tanto di documenti di prova (vedere Edizioni
Amrita, collane: “Libri di Anne e Daniel Meurois-Givaudan” e “Saggezza giudaico-
cristiana”). Pare infatti che diverse documentazioni storiche, trovate di recente in
Tibet e nel Mar Rosso, testimonino il passaggio di Gesù (in età giovanile) nelle terre
d’Oriente, specialmente in India, dove studiò i principi religiosi, l’arte della
predicazione e la meditazione. Iniziò a delinearsi l’idea che la meditazione fosse una
realtà molto più ampia piuttosto che limitata alla semplice tradizione orientale.
Ancora: vari testi riportano studi approfonditi che conducono ad una conclusione:
tutte le religioni moderne e le conoscenze esoteriche hanno avuto un’origine comune
nell’antico Egitto. Inoltre pare che proprio nella nostra epoca, teatro di sconvolgenti e
rivoluzionarie scoperte scientifiche, stia cominciando a delinearsi una nuova visione
dell’uomo e del mondo, nella quale son appunto contemplati anche il riconoscimento
di un ceppo comune da cui deriverebbero tutte le religioni ed il passaggio di massa ad
una consapevolezza superiore. Analizzando per un attimo le più recenti scoperte
scientifiche: nel campo della fisica quantistica è stato sottolineato che la realtà
osservata non è slegata dal suo osservatore e che anzi l’osservatore stesso, nell’atto
dell’osservare, condiziona l’accadere del fenomeno. In più anche la teoria cognitivo
comportamentale e i suoi derivati affermano che i nostri stati mentali e il modo in cui
esperiamo la realtà, è mediato e interpretato secondo le nostre credenze ed assunti di
base, e che quindi anche le nostre reazioni comportamentali ed emotive sono frutto
del nostro modo di pensare, più che conseguenze dirette degli eventi che viviamo.
Queste scoperte sono in totale accordo con le affermazioni di Lampis (1993) e con ciò
che predicarono Maestri come Buddha e Krishna, ovvero che la realtà come noi la
vediamo è un’illusione transitoria, frutto del nostro modo di pensare, e che un
cambiamento nel nostro modo di pensare e di percepire può portarci a costruirci una
realtà migliore, in cui essere più consapevoli di noi stessi e più liberi dai nostri
problemi esistenziali. La costante pratica della Meditazione conduce a questo
cambiamento di prospettiva.
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Tutte queste ultime considerazioni si ricollegano al discorso lasciato in sospeso
alcune pagine fa, ovvero che: la pratica meditativa potrebbe essere una disciplina
universale, praticabile con buoni risultati in ogni luogo ed ogni epoca. Ne sono la
prima dimostrazione alcune ricerche in cui si son trovate modificazioni fisiologiche e
neurologiche durature in soggetti con una lunga pratica meditativa alle spalle, come
ad esempio i monaci buddisti.
Il fatto è che la struttura fisica dell’essere umano è per lo più uguale per tutti, così che
la nostra fisiologia e il funzionamento del nostro organismo son del tutto simili a
quelli degli altri esseri umani presenti nel globo e si può pure dire che sian rimasti
bene o male gli stessi dei nostri antenati. Quindi: come costanti esercizi di body
building producono in chiunque un aumento della massa muscolare, non vedo perché
la meditazione non dovrebbe portare gli stessi cambiamenti a chiunque la pratichi
costantemente. E’ anche vero che nel corso dei secoli si son sviluppate nuove
malattie, causate dagli sconvolgimenti dell’atmosfera terrestre e dall’utilizzo di nuove
tecnologie, capaci di produrre sostanze e radiazione per molto tempo sconosciute. E’
inoltre vero che i disturbi mentali, in particolar modo, sono strettamente collegati alle
situazioni di vita che un determinato individuo deve affrontare e che tali situazioni
dipendono fortemente dal contesto culturale e dall’epoca in cui avvengono. Ma è
altrettanto vero che se l’organismo umano ha un funzionamento simile per tutti gli
esseri umani, ipoteticamente qualsiasi organismo ha dentro di se la possibilità di
sviluppare reazioni simili in presenza di stimoli ambientali simili, a dispetto
dell’appartenenza a qualsiasi etnia o epoca storica. Nello specifico il sistema nervoso
(centrale o periferico) presenta la stessa struttura e lo stesso funzionamento per ogni
essere umano. Naturalmente si hanno alcune piccole differenze individuali, per non
parlare poi di coloro che nascono con dei deficit e delle malformazioni, ma a mio
avviso son più le somiglianze che le differenze. Ciò mi porta a supporre che:
l’innumerevole gamma delle nostre reazioni psicologiche e comportamentali ad un
qualsiasi stimolo, sia potenzialmente disponibile a tutti gli esseri umani. A supporto
di questo vi è il fatto che i disturbi mentali presentano costellazioni sintomatiche
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simili e categorizzabili e che anche i fattori di rischio e di causa possono essere
raggruppati e categorizzati. Naturalmente ciò che determina le differenze riscontrabili
fra diversi individui è da ricollegarsi alle esperienze di vita, uniche ed irripetibili per
ogni essere umano. Ma è da notare che: anche gli stati mentali di coloro che vengono
definiti mentalmente disturbati, sono stati che ognuno di noi può potenzialmente
provare e che anzi probabilmente ciascuno di noi almeno una volta nella sua vita ha
provato. Chi non si è mai sentito in ansia per una situazione che stava per affrontare?
Chi non è mai stato di umore depresso di fronte ad una delusione o ad un problema
che lo ostacolava? Chi non ha mai pensato, almeno una volta, che gli altri ce
l’avessero con lui senza una ragione precisa? Ciò che però differenzia un disturbo
psicologico da un semplice stato mentale, è che il disturbo mentale è divenuto per
l’individuo un ostacolo al buon proseguimento della sua vita quotidiana. Ancora una
volta tale differenza è dovuta alle diverse situazioni vissute da ogni persona, uniche
ed irripetibili.
Cosa c’entra in tutto questo la meditazione? Il grande Maestro indiano Osho definisce
la meditazione come: un modo di essere, uno stato in cui la mente entra in profondo
silenzio e il meditatore rimane in presenza di ciò che realmente è, ma che non è
spiegabile ne comprensibile se non con l’esperienza diretta. Le tecniche definite
meditative sarebbero quindi solo delle semplici vie (e ve ne sono davvero svariate),
attraverso le quali una persona, dopo un’assidua e costante pratica, raggiungerebbe lo
stato di meditazione, stato che, arrivati ad un certo livello di esperienza, può essere
raggiunto direttamente, senza l’ausilio di alcuna tecnica. Ecco che per meditazione
allora si potrebbe anche intendere uno stato mentale, che come tutti gli altri stati
mentali è potenzialmente raggiungibile da chiunque, a patto che vengano seguite le
giuste “procedure”. Per quanti ancora pensano che la meditazione sia una pratica
religiosa strettamente legata alla sua tradizione d’origine e ormai superata, posso
concedere che: gli orientali potranno pur essere più predisposti a questo tipo di
discipline, poiché appartengono al loro bagaglio culturale e perciò sono a loro più
familiari, ma oppongo il fatto che tali pratiche se fossero superate non sarebbero così
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ampiamente sopravvissute fino ai nostri giorni, e che se fossero solo valide all’interno
della loro religione o cultura d’origine, non sarebbero soggette ad una così rapida
espansione e non riscuoterebbero un così crescente interesse. Invece il loro aumentato
successo è dovuto alla sempre maggior soddisfazione di chi, pur appartenete ad altre
culture, decide di sperimentarne l’efficacia e ne trae notevoli benefici. Mantenere una
visione scettica sulla meditazione sarebbe come sostenere che: l’uso della terapia
cognitiva contro la depressione ideata da Aaron T. Beck dovrebbe essere limitata solo
alla società americana degli anni’70, oppure che l’efficacia della vaccinazione
inventata da Pasteur fosse valida solo per la società francese del 1800. Invece queste,
ed un’infinità di altre scoperte, sono state diffuse e tutt’ora sono utilizzate in quasi
tutto il mondo. Uguale è la meditazione: un’insieme di pratiche atte a produrre uno
specifico stato mentale, sviluppate millenni orsono da arcaici ricercatori, che
cercarono di trovare delle terapie valide alla sofferenza umana che è universale.
Ovviamente l’improvvisa e recente espansione di tali tecniche è anche dovuta allo
sviluppo di vie di comunicazioni sempre più rapide e ad ampio raggio ed alla
globalizzazione, che sempre di più sta portando alla mescolanza di svariate culture
diverse. Inoltre non si può del tutto paragonare terapie quali la terapia cognitiva o la
vaccinazione alla meditazione: le prime sono state diffuse poiché operazionalizzate ed
esaminate con rigore scientifico, la meditazione manca di questo passaggio ed anzi è
a rischio di essere utilizzata da truffatori interessati solamente a sfruttarne la
popolarità a scopo di lucro, come succede con ogni moda del momento e come io
stesso ho potuto constatare frequentando diversi ambienti di meditazione. Non si può
poi assolutamente fare affidamento sui risultati divulgati e sponsorizzati dalle stesse
associazioni o persone che si proclamano maestri di meditazione, occorrono invece
dati scientifici controllati e replicabili, per valutare la validità di una disciplina.
Bisogna quindi stare attenti all’infinità d’offerta presente sul mercato, anche
nell’ambito delle pratiche meditative, le quali, per il fascino che esercitano,
potrebbero portare chi è eccessivamente ingenuo e fiducioso a grossi danni sia
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economici che mentali. Infatti come ogni pratica, va eseguita nel modo corretto e
sotto la supervisione di una guida qualificata.
Quindi a mio avviso, per dimostrare di essere una pratica tutt’ora valida e
generalizzabile, la meditazione deve superare il rigore della ricerca scientifica ed
essere adeguatamente operazionalizzata, deve dimostrare che: se è davvero slegata da
vincoli culturali e temporali, può essere tradotta anche nel linguaggio scientifico e
nelle categorie di significato tipiche del pensiero occidentale, pur mantenendo
inalterata la sua esecuzione pratica ed i suoi effetti terapeutici. Solo allora potrà essere
veramente paragonata a qualsiasi altra terapia praticata nell’ambito della sanità sia
fisica che mentale.
A questo scopo ho deciso di dedicare la mia tesi alla ricerca di una validazione delle
tecniche meditative e per questo ho avuto bisogno d’analizzare le ricerche scientifiche
che hanno dimostrato, con metodo adeguato, quali sono le possibilità d’applicazione
della meditazione nell’ambito dei disturbi psicologici, su quali disturbi risulta efficace
e quindi può essere impiegata e su quali risulta esserlo di meno o non risulta per
niente esserlo; qual’è (se c’è) il grado d’efficacia e quali sono gli elementi costitutivi
che ne permettono l’azione. Quindi, in definitiva: quali limiti comporta e quali
opportunità offre. L’ultimo problema da risolvere era che il termine meditazione è
troppo generico, comprende svariate tecniche, molto diverse e a volte in contrasto tra
loro e probabilmente anche le possibilità di utilizzo e gli effetti sul praticante variano
a seconda del tipo di tecnica praticata. Abbiamo però detto che la meditazione
buddista Vipassana, poiché è la più semplice ed anche la più diffusa, può essere
considerata la meditazione per eccellenza e probabilmente è anche la più studiata dai
ricercatori. Infatti durante la mia raccolta di materiale in letteratura, trovai che è
proprio la Vipassana la più sottoposta ad analisi scientifica e che in america è meglio
conosciuta come: Insight Meditation o meditazione di Mindfulness.
Mindfulness deriva dalla fusione di “mindfull awereness” che a grandi linee potrebbe
essere tradotto con “consapevolezza a mente vuota”, o “consapevolezza attenta” ma
ne riparlerò meglio più avanti. Per ora è sufficiente sapere che: la letteratura sulla
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Mindfulness è proliferata esponenzialmente nell’ultimo decennio e che continua ad
apparire con crescente frequenza. Quest’incremento d’interesse e popolarità può
essere attribuito alla sua efficacia nell’alleviare una larga gamma di disturbi. Durante
la mia ricerca bibliografica ho trovato diverso materiale sull’uso clinico e anche
sull’operazionalizzazione della Mindfulness e quindi, sotto suggerimento del mio
relatore, ho deciso di preparare una tesi che ha come soggetto: una “Rassegna
sistematica sull’efficacia clinica della Mindfulness”.
La tesi, dopo un’introduzione che cercherà di presentare il più esaurientemente
possibile l’argomento che ho scelto e gli assunti di base dai quali parto, proseguirà
con una prima parte, in cui ci sarà uno spazio per qualche riferimento ai correlati
psicofisiologici e neurologici, uno sui vari costrutti teorici, uno sulle scale di misura e
un ultimo sulla descrizione dei risultati generali, ottenuti dalla sua pratica su
popolazioni cliniche. Tengo a precisare che: essendo una tesi di psicologia clinica il
focus della mia rassegna riguarderà quasi totalmente l’applicazione in ambito clinico
psicologico, seguirà per cui una seconda parte nella quale ogni capitolo esaminerà, di
volta in volta, l’applicazione della Mindfulness a specifici disturbi psicologici, con
relative considerazioni. L’ultima parte presenterà infine un insieme di considerazioni
generali e conclusioni.