Introduzione
Nella classificazione del DSM-V , la schizofrenia e i disturbi psicotici rientrano
all' interno della categoria dei " Disturbi dello spettro schizofrenico e altri
disturbi psicotici".
Questa condizione, della quale si faticano ancora ad identificare con precisione l'
eziologia, i meccanismi di funzionamento e le strategie di intervento, si
manifesta negli individui tramite aspetti peculiari, che possono essere riassunti
in:
• allucinazioni ( più frequentemente uditive e a sfondo persecutorio),
• deliri, di solito a sfondo paranoide
• anomalie della forma del pensiero ( per es. perdita dei nessi associativi o
fuga delle idee).
• eloquio disorganizzato ( per es. povertà, deragliamento o incoerenza);
• ridotta espressività emotiva, avolizione, anedonia, abulia;
• frequente associazione con deficit cognitivi o progressivo deterioramento;
• comportamento psicomotorio anomalo (per es. manierismi, stereotipie,
catatonia).
La compromissione dell' esame di realtà, aspetto centrale di queste condizioni, fa
inoltre sì che la schizofrenia e gli altri disturbi psicotici siano fortemente
invalidanti dal punto di vista del funzionamento globale. I soggetti che ne sono
affetti tendono fortemente ad auto- escludersi dalla relazione con gli altri e col
mondo, a causa spesso degli altissimi livelli di manaccia percepita dall' esterno.
Inoltre, come si evince dalla letteratura che verrà presentata nei prossimi capitoli,
un ruolo molto importante viene giocato dalla vergogna, che si sviluppa in queste
persone nel corso della vita e lungo il decorso della malattia, e dallo stigma
sociale, sia percepito che effettivo.
Negli ultimi anni sono stati fatti notevoli progressi circa le strategie di intervento
1
per i pazienti psicotici, soprattutto l' avvento degli antipsicotici atipici ha
permesso una buona gestione dei deliri e delle allucinazioni, riducendo
sensibilmente gli effetti collaterali delle molecole delle prime generazioni.
Tuttavia ancora non si è in grado di ottenere dei risultati soddisfacenti
relativamente all' area dell' affettività di questi soggetti, che continuano a soffrire
di importanti manifestazioni di appiattimento e mancanza di motivazione, con
gravi conseguenze sulla partecipazione e sull' adesione ad un piano terapeutico di
medio-lungo periodo.
Le strategie di intervento di terza generazione del paradigma cognitivo
comportamentale, che possiamo suddividere in interventi basati sulla
meditazione mindfulness, sull' accettazione e sulla compassione, si stanno
facendo strada nel panorama scientifico e si stanno applicando in molti ambiti
della salute mentale e del benessere personale. È però nei primi anni di questo
millennio che si sono condotti i primi studi clinici sugli effetti di queste strategie
applicate ai disturbi psicotici. Grazie a questi si è iniziato ad ipotizzarne i
benefici e si sono aperte le porte ad una letteratura copiosa sul tema che, ad oggi,
è in grado di fornire numerosi spunti per indagini future. Ciò che sembra
contraddistinguere questo tipo di strategie da quelle utilizzate tipicamente per i
disturbi psicotici sembra la loro efficacia nel migliorare il funzionamento
globale dei soggetti. Ciò che questi approcci sembrano stimolare sono gli aspetti
relativi alla capacità di sapersi relazionare a sè e ai propri sintomi di malattia
secondo un' attitudine maggiormente consapevole e accettante. Invertendo la
propria tendenza ad innescare manovre di evitamento e lotta, le persone che
hanno potuto usufruire di uno dei tre protocolli, o di interventi integrati,
sembrano aver quindi modificato il loro stile di percepire gli altri e il mondo in
maniera minacciosa. In certi casi, laddove è stato previsto un follow- up, si è
talvolta assistito ad un vero e proprio cambiamento nel percorso di vita.
L' intento di questo elaborato è dunque quello di offrire una panoramica della
letteratura in merito agli interventi di terza generazione applicati ai disturbi
2
psicotici. Il documento di compone di tre parti principali: il primo capitolo
riguarderà un' introduzione al concetto di mindfulness, che rappresenta il
substrato su cui si fondano tutte e tre le metodologie prese in considerazione. Si
accennerà alle sue radici storiche, come vedremo antichissime, per capire il reale
significato di questo termine, ad oggi spesso inflazionato e, talvolta, usato
impropriamente. Ne osserveremo poi gli sviluppi e il modo in cui è stato
declinato nel corso degli ultimi decenni affinché si potesse definire un costrutto
adatto all' applicazione clinica e all' indagine scientifica.
Il secondo capitolo invece analizzerà più nel dettaglio ciascuno dei tre approcci
di nostro interesse, per capirne gli assunti generali e in che modo risultano utili
nella pratica clinica.
Nel terzo capitolo si è cercato invece di illustrare, tramite un excursus della
letteratura, come le strategie di terza generazione sono state ulteriormente
riadattate perla popolazione con diagnosi di schizofrenia o di altri disturbi
psicotici, e di indagarne i livelli di sicurezza e i benefici quando ad essi vengono
applicati.
3
1.
Cos' è la mindfulness: storia e caratteri generali
1.1 Definizione del termine
"Mindfulness" è un vocabolo anglosassone derivante dall' aggettivo mindful,
traducibile letteralmente con " memore". Ad oggi quindi, quando parliamo di
Mindfulness, ci riferiamo ad un' attitudine mentale permeata di consapevolezza,
attenzione al momento presente, accettazione e non- giudizio.
Quello che oramai è diventato un termine di uso comune, e molto in voga nella
cultura occidentale, deve però le proprie origini ad epoche ben più antiche e a
luoghi lontani dall' Europa: esso infatti deriva dalla parola " sati" che, in pali
1
,
significa " presenza mentale" o " ricordare".
1.2 Le radici storiche della pratica di consapevolezza
Nel paragrafo precedente si è accennato ad una matrice asiatica del termine
sanscrito " sati", da cui deriva il moderno " mindfulness", collocabile
approssimativamente attorno all '80 a.C. Ciò però non deve indurre a pensare
che la nascita della pratica di consapevolezza sia sovrapponibile al tempo in cui è
stato coniato il termine che la indica e che utilizziamo oggi. Secondo Amadei
( 2013)
2
sembra infatti che le origini della ricerca di consapevolezza risalgano ad
un periodo compreso tra l' 800 a. C e il 200 a.C., in aree geografiche che si
estendevano tra la Grecia e la Cina; aggiunge che addirittura già nello
Zoroastrismo in Persia e negli insegnamenti dei profeti ebraici in Palestina erano
1 Forma arcaica di linguaggio medio- indiano, appartenente alla lingua indoeuropea, con cui è stato
tradotto il Tipitaka, canone buddista della tradizione Theravada , risalente approssimativamente all'
80 aC.
2 G. AMADEI , Mindfulness. Essere consapevoli, Bologna, Il Mulino, 2013.
5
presenti accenni a pratiche e speculazioni che rimandavano alla necessità di
coltivare uno spazio di lucida consapevolezza. Ma la dottrina che sicuramente ha
teorizzato la tematica in maniera più approfondita è quella del buddismo indiano,
che raccoglie gli insegnamenti del Buddha sotto il nome di Dharma: l'
Abhidarma e il Vishuddimagga sono i testi filosofici riferibili a questa tradizione
che maggiormente hanno contribuito alla concettualizzazione della pratica della
consapevolezza, costituendone dei dei veri e propri compendi .
1.3 Caratteri generali
La mindfulness è una pratica ad oggi molto diffusa, le cui applicazioni
contemplano svariate sfumature, sia per ambito di applicazione, sia per
metodologia utilizzata. Si va da quello clinico, a quello della gestione dello stress
della vita quotidiana, alle tecniche di team building in contesti aziendali, e così
via.
Tuttavia esiste un nucleo originario imprescindibile che ne definisce i
fondamenti, le finalità e i mezzi per praticarla.
Nel Sutra sui quattro fondamenti della consapevolezza, ossia la trascrizione di
uno dei discorsi più famosi del Budda, è contenuto il cuore della presenza
mentale, secondo le teorizzazioni originarie di questo concetto: essa si basa sull'
osservazione consapevole del corpo, delle sensazioni, dei pensieri e degli oggetti
mentali ( dharma
3
).
L'osservazione del corpo racchiude quella del respiro, delle posizioni, delle
azioni e delle componenti del corpo.
L' osservazione delle sensazioni comprende il discernimento di quelle piacevoli,
spiacevoli, neutre e il loro sorgere, perdurare e scomparire
4
.
L' osservazione della mente prevede che il praticante riconosca desiderio, odio,
confusione, concentrazione, distrazione, formazioni interne
5
e liberazione.
3 termine che comprende sia gli oggetti sia i contenuti mentali.
4 Secondo la concezione buddista tutti i fenomeni sono impermanenti, ossia sorgono, perdurano e
cessano.
5 si suddividono in due nodi: i cinque nodi ottusi ( confusione, dubbio, orgoglio, rabbia e desiderio) e i
6
L'osservazione degli oggetti mentali riguarda: i cinque aggregati costituenti la
persona ( ossia forma, sensazioni, percezioni, formazioni mentali e coscienza), la
consapevolezza degli organi sensoriali e dei loro oggetti, dei fattori che inducono
al risveglio
6
e delle quattro Nobili Verità
7
.
La meditazione, seduta o camminata, concentrativa o analitica, che
approfondiremo meglio nei capitoli successivi, è considerata lo strumento
attraverso cui è possibile coltivare la consapevolezza.
Ma perché dunque è così importante allenare la mente ad essere un' osservatrice
presente e attenta ai fenomeni che si manifestano nel sistema mente- corpo nel "
qui ed ora"? Il passo riportato di seguito risponde con estrema chiarezza a questa
domanda:
"Venerabile maestro, una persona che vive in consapevolezza farà pochi
errori. Mia madre ripete sempre che una ragazza deve fare attenzione a
come cammina, come sta in piedi, come parla, come ride e come agisce,
per evitare pensieri, parole e azioni che danno dolore a se stessa e agli
altri".
"Proprio così, Sujata. Una persona che vive in consapevolezza sa che
cosa sta pensando, dicendo e facendo. E può evitare pensieri, parole e
azioni che danno dolore a se stessa e agli altri.
"Bambini, vivere con consapevolezza significa vivere nel momento
presente. Si è sempre consci di ciò che accade dentro di noi e attorno a
noi. Si è in contatto immediato con la vita. Vivendo in questo modo, si
cinque nodi acuti (visione che considera il corpo come il sè, visioni estremistiche, visioni errate,
visioni falsate, visioni superstiziose). La confusione, o ignoranza, è il nodo originario da cui derivano
tutti gli altri, ed è quindi il più difficile da sciogliere.
6 Nel buddismo il "risveglio" è inteso come la suprema e perfetta illuminazione. I sette fattori sono: il
risveglio della consapevolezza, dell' investigazione dei fenomeni, dell' energia, della gioia, della
calma, della concentrazione, del lasciar andare.
7 L' esistenza della sofferenza; la causa della sofferenza nella legge di causa- effetto; la cessazione
della sofferenza tramite il superamento delle cause che l' hanno originata; la pratica della " Via di
Mezzo" è il Sentiero per la liberazione dalla sofferenza secondo l 'insegnamento buddista.
7