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Capitolo 1
L’interazione genitore-figlio:
dalla sensibilità materna al costrutto di Mind Mindedness
L’importanza della diade genitore-figlio per lo sviluppo della psiche umana è
uno dei pochi concetti cardine trasversalmente condivisi dalle varie discipline
psicologiche, a partire dalla dottrina psicoanalitica fino ad arrivare all’odierna
psicologia dello sviluppo.
Vero è che ben differente è stata, nel corso del tempo, l’accezione di questa
stessa diade, considerata a lungo, probabilmente a causa dell’egemonia del
pensiero freudiano, esclusivamente in termini di pura teoria (Holmes, 1993;
Freud, 1905; A. Freud, 1978; Klein, 1930)
1.1 Bowlby e la teoria dell’attaccamento
Merito di aver riportato la concezione del rapporto madre-figlio dall’universo
astratto della metapsicologia psicoanalitica al mondo concreto delle interazioni
umane è quasi interamente da ascrivere a John Bowlby e alla sua teoria
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dell’attaccamento, con cui lo studioso inglese ha operato una rivoluzione
paradigmatica nel panorama delle scienze sociali.
All’epoca di Bowlby, infatti, si parlava di relazione madre-bambino ancora in
termini di dibattito tra coloro che la intendevano come espressione di un legame
libidico – pulsionale (dove la madre è amata puramente per il suo fornire
nutrimento) – vedi Anna Freud (1978; Holmes, 1993) e i freudiani ortodossi – e
coloro che la immaginavano come rappresentazione fantasmatica interna alla
mente (dove la madre è il seno che nutre, che si scinde in “oggetto buono”
quando gratifica e “oggetto cattivo” quando è assente) – vedi Melanie Klein
(1930; Holmes, 1993) e i suoi seguaci.
In entrambi i casi si parla di una coppia madre-bambino completamente irreale,
ideale, non calata nella realtà tangibile dei rapporti effettivi, quotidiani,
osservabili, come quelli con cui Bowlby aveva avuto costantemente a che fare,
dal suo volontariato nella scuola di bambini disadattati, succursale di
Summerhill di Neill, al suo lavoro alla Child Guidance Clinic insieme agli
operatori sociali, ai suoi primi scritti, come “Forty-four juvenile thieves: their
characters and home life” (Bowlby, 1944) o il rapporto commissionato
dall’O.M.S. sulla salute mentale dei bambini abbandonati (Bowlby, 1951).
Per Bowlby, inoltre, sia la posizione classica della teoria pulsionale sia quella
delle relazioni oggettuali non tenevano sufficientemente conto della natura di
legame psicologico primario, non derivante da altri istinti quali la nutrizione o la
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sessualità, del rapporto madre-figlio. Nuovi spunti per descrivere in modo più
appropriato questa relazione sono da lui intravisti, invece, grazie agli apporti
derivatigli da un’altra tipologia di studi scientifici, che allora stavano vivendo un
momento di rinnovato favore: gli studi etologici.
In particolare si interessa ai lavori di Lorenz (1949) sulle risposte di imprinting
delle oche e sui loro segnali di angoscia quando vengono separate dalla madre,
o dal suo surrogato, indipendentemente dal fatto che essa fornisca loro il cibo.
E a quelli di Harlow (1958), che compie gli ormai famosi esperimenti sulle
scimmie rhesus, dimostrando come i loro piccoli preferiscano passare il tempo
attaccati ad una “madre fantoccio” che non li nutre ma procura loro calore
tramite una stoffa morbida e spugnosa rispetto alla “madre fantoccio” allattante,
cioè provvista di biberon ma non accogliente al tatto.
Da queste osservazioni naturalistiche Bowlby trova conferma che anche nelle
specie non umane il legame col proprio genitore non si riduce al semplice
soddisfacimento del bisogno di nutrizione – vedi le scimmie di Harlow; così
come del fatto che il sistema di attaccamento risponda a motivazioni biologiche
ataviche, quali la protezione dai predatori, per cui i piccoli hanno l’esigenza di
star vicino in ogni momento alle loro madri e di segnalarne la separazione
tramite manifestazioni di ansia – vedi le oche di Lorenz.
Analogamente secondo Bowlby (1969; 1973; 1980), quindi, il bambino nasce
dotato di una serie di comportamenti geneticamente predeterminati, che
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svolgono un’importante funzione adattiva. Questi comportamenti (quali il pianto,
il sorriso, l’aggrapparsi, il vocalizzare, ad esempio), definiti comportamenti di
attaccamento, fanno parte di un sistema comportamentale il cui scopo è
garantire al bambino la vicinanza fisica con l’adulto, proprio per le suddette
motivazioni biologiche ataviche, cioè la propria sopravvivenza. Il sistema
comportamentale di attaccamento viene attivato dalle informazioni riguardanti la
distanza del bambino dal suo caregiver primario che, solitamente, coincide con
la madre; qualora la distanza dalla madre venga considerata eccessiva, si
innescano immediatamente i comportamenti di attaccamento, che persistono
finché non venga ripristinata l’adeguata vicinanza col caregiver. Non a caso la
teoria dell’attaccamento è stata descritta anche, nella sua essenza, come una
teoria spaziale (Holmes, 1993).
Il sistema di attaccamento non è, comunque, per Bowlby, che uno dei tanti
sistemi comportamentali attivi nel bambino, che dispone di altri importanti
sottosistemi come il comportamento di esplorazione, quello di affiliazione,
quello di paura (Bowlby, 1973).
Il funzionamento ottimale del bambino dipende, per lui, dalla capacità di
coordinare tutti questi sistemi comportamentali, alcuni dei quali in competizione
tra loro (come, ad esempio, quelli di attaccamento e di esplorazione), in un
insieme integrato e armonico che non assicuri solo la sopravvivenza, ma anche
la padronanza dell’ambiente.
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La coordinazione dei diversi sistemi comportamentali richiede la presenza di
processi di controllo e di integrazione di ordine superiore (Cassibba, D’Odorico,
2000). E’, cioè, necessaria l’esistenza di un processore di informazioni a livello
centrale che permetta la costruzione di un “modello operativo interno” (internal
working model) dell’ambiente e dei suoi parametri più rilevanti, tra cui le
informazioni relative alle proprie capacità di raggiungere, in condizioni bene
definite, determinati obiettivi. Le ripetute interazioni del bambino con il mondo
esterno, dunque, portano allo strutturarsi di modelli operativi del comportamento
prevedibile delle figure significative, di se stesso e dell’interazione fra tali diversi
comportamenti (Bowlby, 1973).
Per Bowlby la costruzione di tali modelli è influenzata da almeno due fattori: la
quantità di tensione cui è sottoposto il sistema comportamentale di
attaccamento, e la disponibilità delle figure di attaccamento ad alleviare queste
tensioni.
Nel caso in cui il bimbo sia costretto ripetutamente ad affrontare situazioni di
stress o a sperimentare con una certa frequenza l’inacessibilità della figura di
attaccamento, tenderà a costruire una rappresentazione dell’ambiente come
pericoloso ed una rappresentazione di sé e degli altri come persone non capaci
di mitigare o eliminare situazioni di pericolo. Ciò comporterà un suo timore
nell’esplorazione dell’ambiente e una sua mancanza di fiducia circa la
possibilità di sentirsi al sicuro. Inoltre, quasi certamente dubiterà delle sue
capacità di padroneggiare l’ambiente e della possibilità di fare affidamento sugli
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altri. Al contrario, se il bambino potrà usufruire di quella che, per prima, Mary
Ainsworth (1982) definisce “base sicura”, cioè una atmosfera di calore,
accoglienza e disponibilità creata dalla figura di attaccamento per la persona
che le si attacca, sarà favorita la sua curiosità e il suo comportamento di
esplorazione, poiché avrà fiducia di ritrovare il supporto del suo caregiver
primario, qualora la situazione lo richiedesse (pericolo o eccessiva distanza). Il
“modello operativo interno” che avrà immagazzinato sarà quello di una persona
che si prende cura di lui, sensibile e affidabile e di un sé meritevole di amore e
di attenzione, e in base a ciò costruirà le sue relazioni di attaccamento future.
Come si vede si è passati da una concezione della diade madre-figlio come
semplice ipotesi speculativa della presenza, all’interno della mente individuale,
di figure metafisiche in tal luogo introiettate, alla considerazione del rapporto tra
una determinata madre ed un determinato figlio, alle presenze e alle assenze
concrete dell’una nei confronti dell’altro all’interno, prima che della sua mente,
della sua vita. Grazie alle riflessioni di Bowlby è diventato importante, quindi,
valutare le modalità delle reali interazioni tra caregiver primario e bambino, delle
loro separazioni e dei loro ricongiungimenti effettivi, delle frequenze con cui
questi avvengono e, soprattutto, della connotazione affettiva dei loro scambi.
E’ diventato, cioè, rilevante considerare l’aspetto qualitativo dell’interazione, non
più esclusivamente la sua ricaduta soggettiva nel mondo intrapsichico
individuale.
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1.2 Mary Ainsworth e la sensibilità materna
Uno dei punti di forza dell’approccio concettuale di Bowlby è il suo impegno nel
prestare sempre attenzione al dato empirico: la teoria poggia le sue fondamenta
sul’osservazione dell’interazione genitore-figlio piuttosto che sulle ricostruzioni
retrospettive di ciò che può essere o non essere accaduto nel passato di una
persona. Prende inoltre le mosse dall’osservazione dello sviluppo normale, che
può sicuramente essere usato come parametro per comprendere la
psicopatologia, ma che non viene inferito da conclusioni tratte dall’analisi di casi
clinici. Questi aspetti, uniti ad una vocazione, espressa fin dai suoi esordi, alla
multidisciplinarietà, ben definiscono il carattere maggiormente scientifico e
moderno della teoria dell’attaccamento rispetto alle teorie ad essa coeve sul
ruolo del rapporto madre-figlio nella genesi della personalità umana.
Un ulteriore elemento che ha sicuramente contribuito alla diffusione delle idee
di Bowlby è stato l’averne resa possibile l’operazionalizzazione, grazie ad una
procedura sperimentale ideata da un’altra ricercatrice, sua collaboratrice per un
breve periodo alla Tavistock Clinic: Mary Ainsworth.
La Ainsworth, che aveva lavorato con Bowlby e Robertson all’inizio degli anni
Cinquanta ad un’indagine sugli effetti a lungo termine delle separazioni precoci
dalla figura materna, era interessata in modo peculiare allo studio delle
differenze individuali nelle relazioni di attaccamento, con particolare attenzione
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alla loro eziologia e alle relative conseguenze sullo sviluppo successivo del
bambino.
Proveniente da una tradizione di ricerca di tipo osservativo, Ainsworth privilegia
l’accuratezza del dato rilevato, sulla cui base analizzare la presenza di tali
differenze. Forte dei risultati dei suoi sette mesi di osservazione in Uganda,
ritornata in patria si occupa di verificare l’applicabilità dei pattern di interazione
riscontrati in Africa anche alle madri e ai bambini nordamericani in una ricerca
longitudinale iniziata alla John Hopkins University di Baltimora.
Dalla mole dei dati raccolti tra la popolazione Ganda, Ainsworth (1963; 1967)
deriva la prima verifica documentata delle tesi bowlbiane in contesto
extraeuropeo, appurando la presenza di un legame di attaccamento anche nelle
diadi genitore-figlio di quella lontana cultura. Era infatti evidente che i bambini
sapessero discriminare la madre da altre figure, rispondendo in maniera
specifica e distinta alla sua presenza (ad esempio, il modo con cui la
salutavano, le sorridevano o si orientavano verso di lei con lo sguardo) o alla
sua assenza (ad esempio, piangendo se qualcun altro li prendeva in braccio o
se lei usciva dalla stanza). Emergono, inoltre, considerevoli differenze, nelle
varie famiglie osservate, in merito alla frequenza, all’intensità e alla modalità
con cui i bambini organizzavano i comportamenti di attaccamento per
rispondere ai segnali materni. Queste stesse osservazioni sono state replicate
nell’ambito dello studio longitudinale condotto da Ainsworth nel Maryland a
partire dal 1962. Anche in questo studio le interazioni madre-bambino sono
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state esaminate in un contesto naturalistico (il domicilio del genitore), e si sono
svolte, inoltre, con una certa frequenza (ogni tre settimane fino al 17° mese di
vita dei bambini) e una determinata durata (quattro ore consecutive, per un
totale di settantadue ore per ciascuna diade).
Dall’analisi e dal confronto degli elementi salienti ricavati dalle precedenti
ricerche, effettuate in contesti così diversi, Ainsworth identifica alcune tipologie
di eventi che, a suo parere, rappresentano gli indicatori prototipici della qualità
delle relazioni di attaccamento, ovvero nello specifico ritiene illuminanti le
risposte dei bambini alla separazione e alla riunione con il loro caregiver
primario (Ainsworth, Bell, 1970; Ainsworth, Bell, Stayton, 1971).
Viene così ideato quel “dramma in miniatura in otto parti”, come lo definisce
Bretherton (1991), quello strumento alternativo per la valutazione
dell’attaccamento che fin dalla sua prima pubblicazione è stato usato in ben
oltre trenta differenti studi (Van Ijzendoorn, Kroonenberg, 1988) e che più di
ogni altro test o dissertazione accademica ha cooperato alla divulgazione e alla
sistematizzazione del pensiero bowlbiano: la Strange Situation.
Composta da una sequenza di otto (appunto) brevi eventi immaginati
appositamente con la finalità dapprima di suscitare un comportamento di tipo
esplorativo e, in seguito, attraverso una serie di situazioni moderatamente
stressanti, di dirigere l’attenzione del bimbo verso la ricerca di prossimità e di
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mantenimento del contatto con la madre, è pensata per essere svolta in
laboratorio, videoregistrata e successivamente codificata.
La procedura di codifica è stata elaborata da Ainsworth insieme ai suoi colleghi
Blehar, Waters e Wall (1978) e si basa essenzialmente sulla presenza di indici
in quattro diverse categorie comportamentali: la ricerca di prossimità, il
mantenimento del contatto, l’evitamento e la resistenza. Le prime due categorie
sono rappresentative di un tipo di attaccamento sicuro, le altre due di un
attaccamento insicuro, rispettivamente insicuro-evitante (A) e insicuro-
resistente (C). A queste tre iniziali categorie ne è stata aggiunta in un secondo
tempo una quarta, ulteriore, da Main e Solomon (1986), per la necessità di
classificare bambini che esibiscono comportamenti difficilmente ascrivibili alle
tipologie precedenti per la caratteristica mancanza di strategie comportamentali
chiare ed organizzate e la tendenza a mostrarsi disorientati e/o impauriti al
momento della riunione con il caregiver.
Essendo il legame di attaccamento propriamente il frutto di una relazione, ad
ognuna delle “etichette” con cui viene catalogato, in base ai suoi indici
comportamentali, un bambino si associa un corrispondente comportamento
materno “scatenante”. Ad esempio, è stato dimostrato (Ainsworth 1982; Isabella
1993) che un attaccamento di tipo A - insicuro-evitante – è legato ad un
comportamento respingente da parte della madre, soprattutto durante il periodo
dagli 8 ai 12 mesi. Ainsworth (1971, p. 222) descrive in questo modo il gruppo
di mamme appartenenti alla suddetta tipologia: Il loro comportamento
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caratteristico non era solo profondamente insensibile, ma anche estremamente
rifiutante e insieme interferente. “Non riuscivano a porsi nella prospettiva del
bambino
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né si lasciavano guidare dalle sue iniziative. Il problema non era tanto
quello di ignorare i segnali del bambino, quanto il non saper modellare il proprio
comportamento su di essi, con il risultato che i loro interventi erano quasi
sempre arbitrari. […] Per la loro mancanza di attenzione verso il bambino erano
spesso interferenti, mostrandosi poco disposte a cooperare o a prendere
decisioni insieme a lui”. Riguardo, invece, alle mamme dei bimbi di tipo C -
insicuro-resistente, esse sembrano doversi associare ad un comportamento
incostante durante il primo anno di vita (Isabella, 1993; Isabella, Belsky 1991):
paiono “sopraffatte dall’ansia ad ogni richiesta del bambino”, per cui, per “non
soccombere, si trovano costrette a ignorarlo, a “non curarsi del suo pianto”, e
quando poi alla fine si decidono “a fare qualcosa, il loro intervento è
assolutamente incoerente rispetto ai segnali del bimbo” (Ainsworth 1971, p.
222).
Scenario completamente differente quando la madre è stata sensibile e
responsiva alle comunicazioni del figlio e l’interazione tra loro è stata
generalmente positiva: in questo caso il bimbo è in grado di usare la madre
come base sicura, da cui esplorare anche una situazione insolita come quella
propostagli dalla procedura della Strange Situation.
*
corsivo nostro
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Tenderà, perciò, a rispondere allo stress introdotto dagli episodi di separazione
con un comportamento di attaccamento più intenso, relativamente immune da
ambivalenze e non ostacolato da comportamenti difensivi opposti per evitare la
vicinanza della madre.
Questo schema di interazione, proprio dell’attaccamento sicuro (B), va
considerato, secondo Ainsworth, sano e normale, poiché riflette un equilibrio
ottimale tra sistema comportamentale di attaccamento e sistema
comportamentale di esplorazione, entrambi necessari alla sopravvivenza della
specie.
Diventa, quindi, di primaria importanza isolare le caratteristiche materne che
favoriscono il conseguimento di questo auspicabile risultato.
Per Ainsworth, le madri dei bambini sicuri “sono chiaramente le più sensibili,
attente ai segnali del bambino e capaci di percepire le cose dal suo punto di
vista
*
. Sono inoltre disponibili, accettanti e non interferenti. La madre [di un
bimbo sicuro] tratta suo figlio come una persona distinta; inoltre rispetta ciò che
fa e evita di interromperlo. Accetta le sue esplorazioni, che lo allontanano da lei,
proprio come accetta il suo desiderio di contatto e interazione, che lo
avvicinano” (Ainsworth 1971, p. 221).
*
corsivo nostro.