Ovvero: è possibile rispondere univocamente a bisogni differenti? È possibile
parlare dello sviluppo in un’ottica unilaterale?
Alcune analisi verteranno, invece, sulla dimensione del terzo settore e
delle reti sociali; ciò che ci si chiede è se all’interno di tali dimensioni siano
possibili espressioni di sviluppo differenziate. Il terzo settore, collocato tra stato e
mercato, che tipo di risposte elabora?
Un’altra ipotesi di questo lavoro è rappresentata dalla possibilità di
interpretare lo sviluppo come processo riferibile a dimensioni plurime, quali le
economiche, umane, solidali. Per poter operare delle riflessioni in merito si è
deciso di sottolineare l’importanza assumibile dall’attore sociale.
L’immigrazione è certamente un tema complesso da affrontare ed analizzare. Ciò
che si può cogliere di tale fenomeno dipende largamente dalla “piattaforma
mentale” dell’individuo che intende analizzarlo. Nessun ricercatore è tabula rasa:
ognuno di noi ha un sub-strato (più o meno conscio) di pre-concetti e “categorie
interpretanti” che utilizza per cercare di comprendere la realtà che lo circonda. Per
poter tentare di comprendere un fenomeno tanto complesso e composito quale
quello dell’immigrazione, è necessario riconoscere l’esistenza dell’alterità.
Uno degli scopi di questo lavoro di tesi è operare delle riflessioni
sull’immigrato come attore sociale, in grado di attuare delle strategie peculiari
utili per l’elaborazione di processi di sviluppo (non meramente economico).
Inoltre, un altro fine di questa tesi consiste all’approfondimento di una prospettiva
interpretativa particolarmente efficace per analizzare lo sviluppo inteso come
insieme di risorse di cui l’attore sociale immigrato dispone: questa prospettiva è
l’insularità. L’uso di questo approccio teorico consentirà di poter operare delle
9
interpretazioni su alcune realtà sociali considerate negli aspetti caratteristici e
distintivi, rispetto alla realtà circostante. Dette realtà socio-culturali possono
essere lette attraverso la categoria dell’insularità, proprio perché rispecchiano
(almeno parzialmente) quei requisiti che, solitamente, appartengono alle isole
geografiche (per esempio, una regolazione sociale auto-elaborata, l’uso di pratiche
differenti rispetto a quelle diffuse nella realtà più ampia e circostante). La
considerazione principale riguarderà l’interpretazione di quei tratti salienti
caratterizzanti, appunto, tali isole: i tratti distintivi sono da considerarsi del limiti
o delle risorse? Nel presente lavoro si cercherà di analizzare quegli approcci che
reputano le peculiarità insite in ogni realtà sociale nella loro qualità limitante. E’
opinione della scrivente che le salienze, le peculiarità, inserite entro un discorso di
sviluppo, possano rappresentare, invece, le risorse attivabili ed elaborabili da parte
di coloro che costituiscono le realtà sociali definibili, appunto, isole.
E’ necessario premettere che alcune scelte riguardanti l’assunzione di
determinate categorie concettuali, piuttosto che altre, deriva parzialmente
dall’esperienza Erasmus che io ho fatti in Spagna, nel 2003. Grazie a questa borsa
di studio di mobilità studentesca (finalizzata allo scambio interculturale), ho avuto
l’occasione di essere inserita in un’associazione che si occupa di immigrati e
rifugiati politici: il suo nome è Casa Grande. Qui mi sono resa conto che
l’immigrato non è interpretabile solo entro categorie di passività e disagio; gli
immigrati della Casa Grande sono veri e propri attori partecipi della vita
dell’associazione. Gli immigrati, assieme agli operatori dell’associazione,
contribuiscono, infatti, all’elaborazione delle risposte adeguate da offrire rispetto
ai bisogni che, di volta in volta, vengono espressi.
10
Un altro aspetto che si è potuto rilevare durante l’esperienza in Casa
Grande è la capacità di attivazione delle risorse detenuta degli immigrati. I
migranti, spesso, costituiscono in maniera del tutto informale (ma non per questo
non organizzata o strutturata) delle reti sociali; esse rappresentano una dimensione
privilegiata entro cui gli immigrati riescono ad elaborare quelle risposte che,
invece, sono considerate peculiarità delle politiche istituzionali. Entro la
dimensione reticolare, gli immigrati pongono in essere delle vere e proprie
strategie (talvolta suppletive) di risposta al bisogno.
Si tenterà quindi di analizzare in maniera approfondita alcuni elementi
considerati fondamentali quando si parla di sviluppo e immigrazione: la
solidarietà e la reciprocità.
Verrà condotta anche una lettura di quelle che, in Italia, hanno
rappresentato le disposizioni giuridiche in materia di immigrazione.
L’interesse primario di questo lavoro è scardinare alcune delle dicotomie e
delle assolutizzazioni riguardanti lo sviluppo e l’immigrato, e cercare, invece, di
porre in rilievo le reali e concrete possibilità che l’immigrato possa essere
interpretabile come attore sociale in grado di costruire dei veri e propri percorsi
di sviluppo, i cui esiti non sono riferibili esclusivamente alla realtà immigrata
(presente in una data società d’accoglienza), ma, anzi, riferibili proprio alla nuova
società d’accoglienza.
La visione prospettica assunta in questo lavoro, si propone di leggere
l’immigrato come agente ed attore, entro la categoria dell’insularità e del co-
sviluppo, in una dimensione comunitaria.
11
Capitolo 1
Diverse teorie sullo sviluppo
“Il mettere in ordine è
profondamente diverso dal
mettere a posto”
[Alberto Merler]
1
1.1 Alcune riflessioni preliminari sul concetto di sviluppo
Nella ricerca scientifica l’opportunità delle scelte linguistiche e lessicali ha
un ruolo estremamente importante, e la scelta dei termini adeguati assume un
ruolo chiave nell’esposizione, in particolare, quando l’oggetto di studio del
ricercatore è costituito dalla società e dalle dinamiche in essa esistenti. A partire
dalla scelta del concetto che il ricercatore compie per orientare la propria
indagine, può essere rilevato un substrato di categorie, interpretazioni, pregiudizi
2
ed elaborazioni della realtà (consce ed inconsce) presenti nella sua mente.
3
Taluni concetti e termini utilizzati nella quotidianità e interiorizzati dal
“senso comune” sono deducibili - se non implicitamente dedotti - da modalità di
1
A. Merler, Introduzione. Ovvero la felicità di “avere per mestiere la propria passione”, in A.
Merler, M. L. Piga, Regolazione sociale, insularità e percorsi di sviluppo, EDES, Sassari, 1996, p.
15.
2
Nel senso popperiano del termine; Popper affermava che ognuno di noi è tabula plena, ed il
pregiudizio non deve intendersi con accezione negativa, ma solo come elemento costitutivo della
nostra mente.
3
A. Marradi, Concetti e metodo per la ricerca sociale, La Giuntina, Firenze, 2000.
12
pensiero e concettualizzazioni più generali e forse altre, rispetto a quella società
che soventemente li utilizza. E’ inverosimile che il concetto di “significato” possa
avere, invece, carattere di universalità, e lo è ancor meno nelle scienze sociali,
laddove per società non si intenda tanto un assemblamento di individui, quanto un
amalgama di persone con le proprie esistenze, tessute su rapporti continui di
scambio con ciò e con coloro che le circondano; ossia, come dicono i francesi:
tout se tient.
Uno degli argomenti su cui si dibatte ampiamente è quello relativo allo
sviluppo. Il significato che viene attribuito a questo termine (derivante dal latino)
è quello di “dipanamento, di scioglimento dall’impiccio, incremento,
progresso”
4
: termini, questi, che rimandano ad una concezione di sviluppo
dinamico e differenziante. Molte scuole di pensiero hanno cercato di descrivere,
attraverso differenti teorie ed approcci, le dinamiche relative allo sviluppo,
cercando di fornire un’ esplicazione oggettiva di situazioni e fenomeni non
sempre oggettivabili. Più rari sono stati, invece, gli approcci che hanno posto
l’attenzione sulle peculiari modalità attraverso cui “ci si sviluppa” che non
rientrino nella categoria dell’universalizzabile e del globalizzabile.
L’analisi delle prospettive interpretative riguardanti i temi dello sviluppo,
può risultare utile per cercare di descrivere, spiegare, e con una certa soglia di
errore, prevedere quali mutamenti potrebbero avvenire nei processi di regolazione
sociale di una data realtà, e quali implicazioni potrebbero derivare dall’attuazione
di un processo di sviluppo piuttosto che un altro.
4
L. Castiglioni, S. Mariotti, Il vocabolario della lingua Latina, latino-italiano italiano-latino,
Loesher Editore, Torino, (II ed.) 1990, p. 1869-70.
13
Come rilevano Bagnasco e Barbagli in una definizione introduttiva sul
concetto di sviluppo: “Con riferimento al problema dello sviluppo, i sociologi
hanno studiato soprattutto i caratteri sociali e culturali che in una data situazione
lo favoriscono o lo ostacolano e le sue conseguenze sociali
5
: come nascono gli
imprenditori e come cambia la struttura di classe, per esempio, come la religione
e i valori tradizionali influenzano le motivazioni economiche, le funzioni
economiche della famiglia, la formazione del mercato del lavoro, i processi di
mobilità territoriale e sociale, i rapporti tra economia formale ed informale
[Smelser 1976]”.
6
Ciò fa ben comprendere come lo sviluppo sia legato saldamente al concetto
di economia che, secondo varie definizioni, si fonda sull’attività normativa
(formale o informale) atta alla gestione ed organizzazione dei beni materiali ed
immateriali, utili per il raggiungimento del benessere da parte della comunità di
riferimento. Questa è un’attività talmente importante da essere presente presso
ogni cultura, comunità, stato, gruppo sociale, seppur espressa con modalità
differenti. Se, precedentemente all’introduzione della moneta, l’economia era
prevalentemente basata sullo scambio di merci, alcune situazioni ed avvenimenti
storico-sociali hanno creato le basi per la diffusione di prassi e mentalità
economiche di sviluppo che avrebbero, in seguito, condotto ad un’unica matrice
modale.
Si è avuto, grazie anche alle nuove possibilità di spostamento sul globo e
relative scoperte, un passaggio da un’organizzazione economico-politica di tipo
colonialista-liberista ad una gestione economica connessa ad un sistema
5
A proposito delle teorie sui limiti sociali allo sviluppo, cfr F. Hirsch, I limiti sociali allo sviluppo,
Bompiani, Milano, 1981.
6
Cfr. A. Bagnasco, M. Barbagli, A. Cavalli, Corso di Sociologia, il Mulino, Bologna, 1997, p.514.
14
economico-politico di tipo capitalista, tipico dell’Occidente industrializzato. Una
diffusione, questa, tanto pervasiva (se non invasiva in alcuni frangenti) da creare
confusione persino nel definire “quale” e “dove” sia l’Occidente; se i parametri di
riferimento sono quelli geografici, le difficoltà di circoscrivere l’Occidente non
sussistono, ma quando si passa all’utilizzo di parametri diversi, quali, ad esempio,
quelli di tipo economico (intesi spesso in termini di ricchezza monetaria) esso non
ha fissa dimora. Paradossalmente, secondo siffatte concezioni, il Giappone e la
Cina fanno parte dell’Occidente (economico).
Con l’affermazione ed il consolidarsi del sistema di produzione capitalistico
(processi avvenuti in maniera più latente che manifesta) si è interiorizzato un
modo di interpretare l’economia e lo sviluppo nei loro meri aspetti di profitto e
perdita. Inoltre, l’assunzione del sistema produttivo di tipo capitalista è stata, per
un lungo periodo, ritenuta l’unica alternativa possibile per la concretizzazione di
un processo di sviluppo; a tale proposito, Vargiu afferma che “Non tanto tempo
fa (…) si pensava allo sviluppo come a un processo lineare, di accrescimento
progressivo dei fattori economici cui avrebbe corrisposto un aumento dei benefici
di natura sociale, culturale, politica, e istituzionale (…)”.
7
Le caratteristiche di linearità e di evoluzione progressiva - considerate
necessarie affinché un dato processo di sviluppo possa definirsi tale - sono
peculiari del sistema economico e politico capitalista; ed è a partire
dall’assunzione di concetti-chiave quali, la stabilità, la linearità, l’accrescimento
progressivo dei benefici, che si sono insinuati processi di omologazione dei
bisogni sociali. Dinamiche, queste, che possono aver portato ad una concezione di
7
A. Vargiu Imprese identitarie, sviluppo, terzo settore, in A. Merler ( a cura di), Dentro il Terzo
settore, FrancoAngeli, Milano, 2001, p. 138.
15
universalità dei bisogni espressi dalla collettività. Tale concezione nasce
dall’assunzione del concetto di sviluppo come “modello”, piuttosto che come
“processo”. Si può rilevare, quindi, una discrepanza di fondo nella prospettiva
capitalistica: essa non tiene conto delle specificità delle società a cui si riferisce.
Questo ha potuto determinare, a volte, una de-contestualizzazione delle
collettività rispetto al territorio d’appartenenza, ai bisogni specifici, ai modi
possibili di svilupparsi.
Le discrepanze tra i modelli di sviluppo indotti e le realtà sociali contingenti
sono state di notevole impatto sul senso comune della stabilità, trasformando,
però, il significato sia del termine stabilità che del termine sviluppo. In un certo
senso è come se al posto del significato di stabilità fosse stato posto quello di
staticità, di linearità continua. Ma il concetto di sviluppo ha davvero necessità di
dipendere così fortemente dalla stabilità (economico-monetaria)? Dalla linearità?
Può esistere un solo processo di sviluppo che sia universalmente valido?
Le domande ora evidenziate sono state affrontate in maniera differente dagli
studiosi e dai ricercatori del campo attraverso prospettive e riflessioni peculiari e
diversificate.
1.2 L’approccio economicistico. Lo sviluppo inteso come processo
di modernizzazione
Il periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale è stato caratterizzato
dalla diffusione di riflessioni operate, soprattutto, da economisti; esse erano
improntate alla risoluzione dei problemi relativi alla depressione economica che
16
investiva, in quel periodo, alcune aree del pianeta. Tali apporti hanno costituito il
corpus teorico che viene definito “economia dello sviluppo”.
8
Ad esempio, Bjorn
Hettne studia l’andamento economico delle aree depresse (economicamente)
partendo da una prospettiva basata sul concetto di modello. L’Autore, nel
descrivere i vari modelli economici, utilizza un sistema di assi cartesiani, le cui
coordinate sono rappresentate dalla “azione di stato e mercato in favore della
crescita economica”,
9
ottenendo, attraverso il possibile incrocio delle suddette
coordinate, quattro modelli: il modello liberale, il capitalismo di stato, il modello
keinesiano, il modello neoliberale.
I modelli individuati da Hettne, muovono da una concezione del concetto di
sviluppo basato esclusivamente sulla crescita economica derivante dai processi di
industrializzazione (corrispondenti, quindi, alle tipologie di sviluppo presenti
nell’Occidente economico). Dalla griglia teorica elaborata da Hettne, deriva, ad
esempio, la teoria di W. A. Lewis, secondo cui, tramite un impegno di dimensioni
minime, identificato con una forma di stimolo esogeno, si possono circoscrivere i
limiti che ostacolano la crescita di una determinata area.
10
Le teorie ora citate muovono da una base comune; esse sono il tentativo di
una trasposizione dei paradigmi economici, originariamente elaborati per i paesi
ad economia di mercato, a qualsiasi contesto socio-economico. Non vengono
assolutamente prese in considerazione le differenze intrinseche (anche nelle
modalità di produzione economica) esistenti tra le diverse aree del pianeta. Il
concetto di sviluppo derivante, per cui, corrisponde ad un’idea dello sviluppo che
8
B. Hettne, Le teorie dello sviluppo e il terzo mondo, ASAL, Roma, 1996.
9
Ivi, p. 23.
10
Cfr. W. A. Lewis, Economic development with Unlimited Supplies of Labour, in “The
Manchester School of Economic and Social Studies”, XXII, n. 2, 1954.
17