1
INTRODUZIONE
L’interesse maturato nei confronti del tema sviluppato in questo
lavoro, le migrazioni femminili, deriva da una sensibilità personale nei
confronti di coloro che vengono percepiti come “altri”, appartenenti
cioè ad una nazionalità straniera, che attira, quindi, su di sé la
formulazione di pregiudizi discriminatori, se non addirittura di matrice
razzista. Si tratta di una forma sottile, spesso non intenzionale e
indiretta, di discriminazione alla quale sono talvolta esposte le donne
immigrate nella società di accoglienza, dove vengono fatte oggetto di
giudizi stigmatizzanti espressi da persone che affermano e reputano di
essere prive di pregiudizi
1
[Alietti e Padovan 2005]. Tale attenzione è
stata, poi, ulteriormente accresciuta e perfezionata durante la
frequentazione di un corso universitario, che ha in parte circoscritto
l’argomento, affrontando la questione delle migrazioni femminili dalla
prospettiva delle esperienze concrete di alcune protagoniste, con
particolare allusione ai progetti elaborati, ai desideri nutriti e ai
condizionamenti subiti [Decimo 2005]. Tali considerazioni hanno,
quindi, costituito la base teorica da cui ho ricevuto lo stimolo per
delineare ed organizzare questo lavoro, il cui intento consiste proprio
nel ricostruire i percorsi migratori affrontati da queste donne, cercando
di porre in rilievo il ruolo di autonomia e di agency di cui sono
portatrici. Scendendo nel dettaglio della struttura, con il primo
capitolo ci doteremo degli strumenti concettuali necessari per
esaminare il tema. Verrà, in particolare, chiarito il significato di alcuni
termini rilevanti, inerenti naturalmente al fenomeno migratorio; si
1
Si allude ad una forma peculiare di discriminazione razziale moderna, nota come
razzismo avversivo, «in contrasto con il razzismo “vecchio stile”, che si esprime
direttamente ed apertamente» [Alietti e Padovan 2005, p. 272].
2
proporrà una distinzione tra le varie figure di immigrati; si cercherà,
infine, di suddividere il processo migratorio nei diversi stadi che lo
caratterizzano, secondo un’accezione temporale. Il secondo capitolo
assume, invece, un taglio più specifico, pur rimanendo entro un’ottica
generica, in quanto si concentra sulla femminilizzazione delle
migrazioni, riscontrata e supportata dai dati statistici, e sulle
motivazioni della mobilità femminile, con particolare allusione ai
diversi gruppi immigrati, in relazione alla loro provenienza. Parte
della trattazione è, poi, dedicata al ruolo esercitato dalle reti etniche,
nonché ai cambiamenti che le immigrate sono costrette ad affrontare
nel corso del processo migratorio. Con il terzo capitolo si focalizza
l’attenzione sull’inserimento nel mercato del lavoro, in riferimento al
quale viene indagato sia il versante della domanda, vale a dire
l’esigenza sempre più impellente di lavoratrici domestiche avvertita
dagli autoctoni, sia il versante dell’offerta, la disponibilità cioè di
manodopera femminile straniera. Si fa, poi, cenno alla presenza di
fattori vincolanti, quali le reti etniche e le politiche migratorie, la cui
azione innesca veri e propri meccanismi di attrazione e, insieme, di
intrappolamento. Si allude, infine, ai modelli relazionali instaurati tra
il datore di lavoro e la donna immigrata, impiegata come colf o
badante. Il quarto capitolo introduce, invece, una questione molto
delicata, connessa alle “famiglie transnazionali”, che getta luce sugli
sforzi sostenuti da tali donne per colmare l’assenza fisica con una
costante presenza emotiva, realizzata mediante strategie compensative
di tipo comunicativo. Simili pratiche, tuttavia, non possono impedire
l’insorgere di problematiche relazionali nella fase del
ricongiungimento, rendendo difficoltoso il riavvicinamento tra le
madri e i figli. Il lavoro si chiude con un capitolo di ricerca, costruito
attorno all’esperienza migratoria di alcune donne straniere,
personalmente intervistate, che hanno fornito elementi utili per
3
sondare empiricamente quanto enunciato nella parte di letteratura. Si
sono, così, ripercorse le traiettorie di ciascuna immigrata, a partire
dalla scelta migratoria sino ad arrivare all’ingresso e al conseguente
insediamento nella società ospitante, cercando di avere accesso al loro
mondo interiore, delle emozioni e dei sentimenti.
4
CAPITOLO PRIMO: MIGRAZIONI & MIGRANTI
Le migrazioni hanno costituito un aspetto costante e rilevante nella
storia dell’umanità, giocando un ruolo significativo nell’evoluzione di
stati e società e nell’arricchimento delle loro culture. Ancora oggi, nel
mondo contemporaneo, i migranti sono tra i membri più dinamici
della società, disposti ad assumersi il rischio di andare incontro ad un
futuro ignoto. In questo capitolo, si focalizza l’attenzione sul carattere
fluido ed eterogeneo del fenomeno, che è possibile riscontrare sia
nell’ampia varietà di tipi di immigrati che attraversano i confini alla
ricerca di nuove prospettive di vita, sia in un elemento di primaria
importanza, rappresentato dal tempo. Esso influisce nell’evoluzione e
maturazione dei singoli flussi, in riferimento alla durata del soggiorno
e alle forme di radicamento nel paese ospitante, che variano da una
fase all’altra dell’immigrazione; ma influisce anche nella scelta delle
destinazioni, in relazione alle particolari congiunture e alle politiche
migratorie dei paesi di arrivo.
1.Un fenomeno fluido e articolato
Le migrazioni si configurano come un fenomeno molto antico che può
essere fatto risalire agli albori dell’umanità. Si può, infatti, affermare
che gli umani siano una “specie migratoria” poiché, prima di divenire
sedentaria, l’umanità è stata nomade, impegnata in incessanti
spostamenti alla ricerca di nuovi territori di caccia, sulle orme delle
prede di cui si cibava, per sottrarsi a carestie e calamità naturali.
5
Ne ricaviamo testimonianze eloquenti in antichi testi come la Genesi e
l’Esodo che descrivono movimenti di piccoli e grandi gruppi di
popolazione; nella Grecia classica nella quale ritroviamo particolari
soggetti come i meteci
1
; nell’ambito delle invasioni barbariche,
interpretabili piuttosto come spostamenti di popoli di stirpe germanica
verso i territori dell’Impero romano [Ambrosini 2005].
Qualunque sia l’epoca storica considerata, tuttavia, emigrare significa
sempre «spostare la propria quotidianità in luoghi diversi e lontani da
dove questa si è svolta», comportando inevitabilmente una frattura nel
proprio vissuto [Decimo 2005, p. 55].
Tale evento si inserisce, quindi, «nel corso di vita delle persone […]
[con] una serie di tagli e di ricuciture che mettono insieme elementi
culturali eterogenei, di diversa provenienza, per comporre […] un
nuovo quadro» [Balsamo 2003, p. 31]. Accade, così, che i luoghi della
memoria, i volti conosciuti da sempre, i punti di riferimento che hanno
scandito costantemente la propria crescita si disperdano in un passato
sempre più lontano e remoto, mentre inizia a prospettarsi un nuovo
futuro, ignoto e incerto. In tal senso, l’emigrazione è un passaggio,
una transizione che dischiude le porte ad un nuova traiettoria di vita
[Decimo 2005]; un’esperienza di mobilità geografica e sociale che
proietta l’individuo in una terra estranea [Ibid., p. 144]. Essa non
rappresenta, però, soltanto un viaggio: è soprattutto una catena di
interazioni con altri migranti che trae la propria linfa da molteplici
fonti, quali «racconti di familiari e amici, conoscenze frammentarie
della vita in un altro paese e delle opportunità presenti, […] ricerca
attiva dei contatti e delle risorse necessarie» [Catanzaro e Colombo
2009, p. 42]. Non si svolge, perciò, in un vuoto sociale, «quanto,
piuttosto, entro una trama di legami che permangono anche nella
1
Sono soggetti ammessi come residenti ma privi di diritti politici, a metà strada tra
cittadini e schiavi.
6
lontananza. […] [Sono] legami di reciprocità che familiari e parenti,
compaesani e conoscenti mantengono tra paese di provenienza e paese
di destinazione» allo scopo di sostenere l’esperienza migratoria
2
individuale in tutte le sue sfumature [Decimo 2005, p. 44].
Alla luce dell’importanza attribuita a tali relazioni sociali, conviene
abbandonare la concezione tradizionale che tende ad identificare il
processo migratorio come «lo spostamento [definitivo] di individui o
famiglie da un paese ad un altro, sulla scia di motivazioni individuali
o, al contrario, influenzato da fattori macro-strutturali», in seguito al
quale si lascia il luogo di origine per approdare in un altro luogo, nella
speranza di trovare un lavoro e realizzare una vita migliore [Greco e
Petrosino in Catanzaro e Colombo 2009, p. 238]. Si profila, infatti,
una nuova prospettiva che, in luogo di un’immagine delle migrazioni
come «unidirezionali con l’insediamento permanente di intere
famiglie nei luoghi di destinazione come esito ultimo e logico del
processo» [Zontini 2004, p. 1114], delinea l’idea di un vero e proprio
flusso continuo di individui e di beni che percorrono spazi estesi,
muovendosi tra luoghi diversi, superando le barriere prima poste dalle
grandi distanze [Catanzaro e Colombo 2009].
Si impone, in altre parole, un modello di mobilità transnazionale
secondo il quale
«il migrante è in grado di legare località diverse, distanti, in un unico
campo sociale, estendendo la sua appartenenza a due o più contesti
simultaneamente. […] [Non si parla più di un processo migratorio scandito
secondo] stadi temporali e contesti spaziali ben definiti, [bensì di] processi
migratori [che] si caratterizzano per un multiplacement, come dimensione
2
Vale la pena sottolineare che le migrazioni sono facilitate anche da un vasto
insieme di attori, tra cui agenti, istituzioni e organizzazioni non governative, che
formano una vera e propria «industria» o «business» [Koser 2009].
7
di vita attraverso i confini» [Greco e Petrosino in Catanzaro e Colombo
2009, pp. 238-239].
Tale dinamica dello stay between
3
è soprattutto connotata da
particolari pratiche di vita quotidiana che pongono in relazione il
paese di origine e il paese di accoglienza e si realizzano mediante
scambi materiali e immateriali che possono avvenire in spazi privati o
pubblici [Collins 2009]. Risultano rilevanti, in questo senso, le
tecnologie di comunicazione
4
il cui avvento garantisce una
significativa rottura con le esperienze migratorie del passato.
L’introduzione di mezzi di comunicazione più efficienti e più
facilmente accessibili favorisce le azioni transnazionali, assicurando ai
migranti una partecipazione sociale, politica ed economica nella
propria patria, nonostante la residenza sia collocata altrove. Simili
attività sono facilitate da pratiche apparentemente banali, quali l’invio
di lettere, lo scambio di telefonate e l’ampia gamma di modalità
comunicative rese possibili mediante l’uso di Internet [Ibid., p. 841].
Ne deriva una compressione spazio-temporale che intensifica gli
scambi, favorisce la creazione di identità fluide e comporta la
formazione di «comunità senza prossimità che, [a loro volta], tramite
contaminazioni e ibridazioni culturali diverse», sviluppano spazi
sociali transnazionali [Greco e Petrosino in Catanzaro e Colombo
2009, p. 240]. Assunta, quindi, una nuova ottica, le migrazioni vanno
inquadrate
«come processi, in quanto dotate di una dinamica evolutiva che comporta
una serie di adattamenti e di modificazioni nel tempo, e come sistemi di
relazioni che riguardano le aree di partenza, quelle di transito e quelle infine
3
L’idea di fondo è quella di condurre una vita tra due o più stati, dando vita a
«comunità transnazionali» [Koser 2009].
4
Non bisogna dimenticare la rivoluzione dei trasporti, altro elemento cruciale nella
logica dei flussi migratori [Ibid. , p. 46].
8
di destinazione, coinvolgendo una pluralità di attori e di istituzioni»
[Ambrosini 2005, p. 17].
In relazione al paese considerato rispetto al quale si effettua lo
spostamento, occorre parlare di emigrazione, qualora si alluda
all’uscita dal luogo di provenienza, e di immigrazione, qualora si
faccia riferimento all’ingresso in un nuovo paese, mentre chiamiamo
rispettivamente emigranti e immigrati i soggetti che compiono tali
spostamenti. Diversamente, migrazione e migranti sono termini più
generali, che indicano le fasi del trasferimento [Ibid.]. Il termine
migrazione, tuttavia, richiede un’ulteriore precisazione: allude, infatti,
generalmente ai trasferimenti in un paese straniero e si configura come
una costruzione sociale complessa, in cui agiscono tre principali attori.
Si tratta delle società di origine che attuano politiche più o meno
favorevoli all’espatrio di parte della popolazione; dei migranti attuali e
potenziali, con i loro obiettivi e legami sociali; delle società riceventi,
sotto il triplice profilo della domanda di lavoro, delle politiche
migratorie e dei servizi sociali nei confronti dei nuovi arrivati [Ibid., p.
18]. Una peculiare forma di migrazione è costituita dalle migrazioni
interne
5
, vale a dire spostamenti da una regione all’altra dello stesso
paese. In tal caso, gli immigrati interni sono cittadini che godono di
pieni diritti, condividono di solito la stessa lingua e la medesima
religione. Ma anch’essi possono essere percepiti e trattati come
«diversi», esposti a vere e proprie forme di discriminazione, alle quali
reagiscono attivandosi nella costituzione di reti di relazione basate
sulla comune origine e la parentela [Ibid.].
Un minor grado di chiarezza avvolge, invece, la definizione dei
migranti, i soggetti che effettuano tali spostamenti, data l’elevata
5
Koser [2009] sostiene che la loro importanza sia connessa al fatto che spesso
precedono le migrazioni internazionali, vale a dire che i migranti interni siano
potenziali emigranti.
9
eterogeneità e fluidità delle migrazioni. Conviene, pertanto, assumere
come base di partenza la definizione di migrante proposta dalle
Nazioni Unite [Koser 2009]: «una persona che risiede al di fuori del
proprio paese per un periodo minimo di un anno». Si tratta, tuttavia, di
una definizione passibile di critiche in quanto: gli individui coinvolti
in simili spostamenti possono trovarsi in una varietà di situazioni
diverse; risulta molto difficile quantificare il tempo trascorso
all’estero; non bisogna tralasciare le migrazioni interne; sono emersi
nuovi tipi di migranti con tratti del tutto inediti [Ibid., p. 25].
2.Oltre gli stereotipi: tipi di immigrati
Nelle migrazioni contemporanee è possibile individuare un aspetto
rilevante che attiene al superamento dell’identificazione
dell’immigrato con una sola figura sociale: quella di un lavoratore
manuale, poco scolarizzato, collocato nelle occupazioni meno
prestigiose, generalmente maschio, inizialmente solo, proveniente da
piccoli centri urbani o da ambienti rurali [Ambrosini 2005]. Si può
osservare, in altri termini, che si sono differenziate ed estese le porte
d’ingresso nelle società riceventi, per cui si registra un’incidenza di
persone fornite di titolo di studio o di maggiori qualifiche
professionali e di immigrati con motivazioni non necessariamente
inerenti al lavoro, cui si aggiunge il fatto che tali individui provengono
in prevalenza dalle grandi città del Terzo Mondo [Pugliese 2002]. A
rendere più eterogeneo e variegato il flusso degli immigrati ha, inoltre,
contribuito la regolazione degli ingressi, specialmente in Europa,
provocando la comparsa di altre motivazioni per l’ingresso: dai
ricongiungimenti familiari al rifugio politico e alle richieste di asilo
[Ambrosini 2005]. Non va dimenticata, poi, l’evoluzione demografica
10
e sociale della popolazione immigrata, influenzata da alcuni fattori,
quali la crescita della componente femminile, la nascita di seconde e
terze generazioni, la scolarizzazione, i matrimoni misti [Ibid., p. 20].
Si possono, così, distinguere diverse figure di immigrati.
null Gli immigrati per lavoro. Identificano coloro che emigrano per
ragioni economiche, vale a dire individui in cerca di lavoro o di
condizioni lavorative migliori. Sono compresi sia «lavoratori
qualificati», quindi istruiti e dotati di esperienze professionali, sia
«lavoratori non qualificati» [Koser 2009]. Trovano solitamente
lavoro in settori e occupazioni
6
poco ambite, poco tutelate ed
esposte alla precarietà, spesso a causa del mancato riconoscimento
di titoli di studio e competenze professionali pregresse. Non
mancano le figure femminili che si affermano sempre di più come
protagoniste delle migrazioni indipendenti di tipo economico,
inserendosi specialmente nei servizi di cura alle persone e alle
famiglie, con svantaggi ancora maggiori rispetto agli immigrati
maschi [Ambrosini 2005];
null Gli immigrati stagionali
7
o lavoratori a contratto. In diversi paesi
sono sottoposti a una regolamentazione specifica, che ne autorizza
l’ingresso allo scopo di soddisfare determinate carenze di
manodopera, per un periodo di tempo limitato e in un luogo
preciso. Simili fabbisogni sono maggiormente avvertiti in
agricoltura, nell’industria alberghiera e in quella edilizia [Ibid., p.
20];
6
Tali occupazioni sono denominate «3D», dirty, dangerous, difficult, ovvero
sporchi, pericolosi e difficili [Koser 2009] ma esiste anche un’estensione di tale
definizione, costituita dai «lavori delle cinque P», ovvero pesanti, pericolosi,
precari, poco pagati, penalizzati socialmente [Ambrosini 2005].
7
Si tratta di migrazioni temporanee che apportano vantaggi sia ai paesi di
destinazione sia ai paesi di origine [Koser 2009].
11
null Gli immigrati qualificati
8
e gli imprenditori. Protagonisti di
migrazioni economiche, «rappresentano una quota crescente dei
flussi migratori su scala internazionale, specialmente in direzione
dei paesi più aperti all’immigrazione, come gli Stati Uniti, il
Canada e l’Australia» [Ibid.]. Si tratta di individui intraprendenti,
brillanti e istruiti, dotati di competenze in diversi settori di tipo
scientifico, informatico, medico ed economico, che costituiscono
importanti risorse umane, così sottratte ai paesi di provenienza.
Tale fenomeno è conosciuto con il nome di «fuga dei cervelli» e
comporta non pochi scompensi ai paesi di origine [Koser 2009]. Si
sta, inoltre, sviluppando in tutte le società riceventi il fenomeno
della cosiddetta «imprenditorialità etnica», che consiste nella
propensione di molti immigrati ad avviare attività in proprio
indirizzate inizialmente ai membri della comunità nazionale di
origine. In questo modo, viene a modificarsi l’immagine
dell’immigrato come lavoratore subalterno e dequalificato, a
favore di un’immagine più audace e dinamica [Ibid., p. 112];
null I familiari al seguito
9
. Dopo la chiusura delle frontiere attorno al
1974 nei confronti dell’immigrazione per lavoro, ha assunto
rilevanza il flusso costituito dai ricongiungimenti familiari, cui
hanno ricorso sempre più frequentemente gli immigrati, i quali,
una volta che si sono stabiliti, hanno potuto richiamare il proprio
coniuge o i figli minori [Pugliese 2002]. Il profilo anagrafico della
popolazione immigrata tende così a «normalizzarsi», grazie ad un
tendenziale riequilibrio tra uomini e donne e ad una presenza
minorile più cospicua [Ambrosini 2005];
8
Secondo Richard Florida, rappresentano una nuova «classe creativa», contesa tra i
paesi ricchi, i quali stanno entrando in una fase di «guerra per i talenti» [Koser
2009].
9
Sono persone che emigrano principalmente per ragioni «sociali». Si contano
donne e bambini che raggiungono il proprio familiare all’estero [Ibid., p. 26].
12
null I rifugiati e richiedenti asilo. Sono due categorie che si
distinguono per effetto della convenzione delle Nazioni Unite del
1951, in cui il rifugiato
10
è definito come «colui che, […] temendo
a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione,
nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le
sue opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui è cittadino»
[Koser 2009, p. 90]. Tali individui prendono parte a vere e proprie
«migrazioni forzate»
11
, in quanto sono obbligati a trasferirsi per
effetto di persecuzioni, conflitti o in seguito a catastrofi naturali
che sconvolgono il loro ambiente [Ibid. , p. 25]. Il richiedente
asilo è una persona che si sposta attraverso le frontiere in cerca di
protezione internazionale, la cui domanda viene valutata secondo i
criteri della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati.
Negli ultimi decenni, si è assistito ad un aumento degli
spostamenti di persone in cerca di asilo come reazione ai molti
focolai di conflitti e violenze in varie parti del mondo, di pari
passo ad un maggiore ricorso alla strada del rifugio politico o
umanitario come porta d’ingresso nei paesi sviluppati. I paesi
riceventi, a loro volta, hanno risposto a questo incremento
manifestando scarsa sensibilità e tolleranza, come dimostrano
criteri di accesso più rigidi, norme più restrittive e misure
d’accoglienza ridotte, contribuendo quindi alla formazione di una
popolazione dallo status precario e incerto [Ambrosini 2005];
null Gli immigrati irregolari, i clandestini, le vittime del traffico di
esseri umani. Si tratta di altre figure di immigrati che compaiono
in seguito ad un irrigidimento della regolazione degli ingressi.
10
Conviene menzionare una categoria vulnerabile di persone che è costretta a
lasciare la propria casa, senza riuscire ad espatriare. Sono le cosiddette «IDP»,
Internally Displaced Persons, ovvero le «persone dislocate internamente» [Koser
2009].
11
Koser [2009] parla anche di «migrazioni politiche», qualora la partenza avvenga a
causa di persecuzioni politiche.
13
L’immigrato irregolare
12
è solitamente identificato come colui
che, entrato in modo legale, si è poi fermato dopo la scadenza del
titolo che gli aveva consentito l’ingresso, come un visto o un
permesso di lavoro [Koser 2009]. Il clandestino è invece colui che
è entrato in maniera fraudolenta, sprovvisto dei documenti
necessari o con documenti falsi, oppure ancora corrompendo i
pubblici ufficiali preposti al controllo. La vittima del traffico è
invece la persona straniera che viene coinvolta in un
attraversamento delle frontiere tramite l’uso della forza o di altre
forme di coercizione, l’inganno o il rapimento, allo scopo di
sfruttamento all’interno di attività che procurano introiti alla rete
che ha gestito il suo ingresso [Ambrosini 2005]. Si tratta spesso di
donne che vengono reclutate per lavorare come prostitute o nel
mercato del sesso, sottoposte a condizioni di vita disumane, a tal
punto che alcuni parlano di una forma di «schiavitù moderna»
[Koser 2009];
null I migranti di seconda generazione. Si tratta di un termine che
genera non pochi problemi definitori, in quanto, inteso in senso
ampio, comprende sia i figli di immigrati nati nel paese ricevente,
sia quelli nati nel paese d’origine e ricongiunti in seguito. Ma se
nel secondo caso possiamo parlare di «minori immigrati», il primo
allude a «migranti senza migrazione», nati e cresciuti in un paese
diverso da quello di cui sono originari i genitori, verso i quali le
legislazioni nazionali
13
assumono atteggiamenti discordanti: nei
paesi in cui vige il «diritto di suolo» sono considerati cittadini; nei
paesi in cui vige il «diritto di sangue» sono ritenuti stranieri; in
12
Secondo Koser [2009], tale espressione è preferibile al termine «illegale», in
quanto quest’ultimo nega l’umanità degli individui ed è spesso associato con il
termine «criminale».
13
È possibile individuare un terzo principio noto come ius domicilii, ovvero il diritto
di residenza, che consente agli immigrati la naturalizzazione dopo aver regolarmente
soggiornato nel paese per un certo numero di anni [Ambrosini 2005].
14
altri ancora, possono acquistare la cittadinanza presentando la
domanda al compimento del diciottesimo anno di età. La presenza
delle seconde generazioni favorisce la formazione di minoranze
etniche in un paese straniero, in cui sono percepite come «diverse»
dalla maggioranza nativa [Ambrosini 2005];
null I migranti di ritorno. «[Sono] coloro che rientrano nei luoghi di
origine dopo aver trascorso un periodo della loro vita in un altro
paese» [Ibid., p. 24], ponendo fine alla propria condizione di
immigrato, ma conservando le nuove pratiche acquisite all’estero
[Koser 2009]. Si tratta di un fenomeno considerato positivamente
sia dai paesi di immigrazione sia dai paesi di origine, poiché gli
immigrati di ritorno apportano competenze professionali utili,
possono diffondere idee innovative e incentivare lo sviluppo di
nuove attività. Tuttavia, non costituisce un movimento facile in
quanto consiste spesso in una nuova immigrazione, gravida di
disagi, frustrazioni e difficoltà di adattamento [Ambrosini 2005].
3.Stadi dei processi migratori
Si possono identificare fasi o stadi
14
delle migrazioni, ognuno dei
quali corrisponde a diversi gradi di stabilità e consolidamento
dell’esperienza migratoria, con particolare riferimento al processo di
inserimento lavorativo e sociale degli immigrati nel paese ricevente
[Pugliese 2002].
Molto noto al riguardo è lo schema proposto da Böhning, che ha
individuato quattro fasi o stadi dei processi migratori, muovendo
14
Secondo Bastenier e Dassetto [Ambrosini 2005], un approccio più flessibile si può
riscontrare nel concetto di «ciclo migratorio», ma anche questa tipologia tende a
sottovalutare il contributo femminile.