INTRODUZIONE
Al fine di introdurre un lavoro incentrato su studi dialogici ho scelto di utilizzare lo
strumento dell‟intervista.
Puoi raccontare l'origine e l'evoluzione del tuo interesse per la Filosofia con i
Bambini tra l'Italia e la Spagna?
Mi sono avvicinata alla Filosofia con i Bambini grazie al realizzarsi di alcune
fortunate coincidenze. Negli ambienti universitari non si parla molto di questa pratica
ed alla maggior parte degli studenti rimane pressoché sconosciuta. Davvero un
peccato.
Grazie all‟U.S.Co.T. (Ufficio di Supervisione e Coordinamento del
Tirocinio), l‟ente che si occupa dei tirocini per gli studenti di Scienze della
Formazione Primaria di Torino, ho conosciuto il progetto del cuneese condotto dal
supervisore Alberto Galvagno: il “Setaccio dell‟esperienza”. Da allora è iniziata la
mia passione e non si è più fermata. La voglia di scoprire e la curiosità che
l‟accompagna ha dato il via al resto del percorso.
In seguito, quando vinsi la borsa per il progetto Erasmus di Mobilità
Internazionale con destino Valencia, presi subito in considerazione l‟idea di scoprire
i progetti che venivano intrapresi all‟estero sull‟argomento. Rappresentava una
possibilità unica di confronto. Carica di energie, ma con poca organizzazione, ho
iniziato le mie ricerche in Spagna e, con il senno di poi, le soddisfazioni e le
ricchezze portate a casa sono state davvero innumerevoli.
Sono convinta che la Filosofia con i bambini possa rappresentare un cammino
alternativo soprattutto nella nostra società dove primeggiano competitività e successo
personale. Lavorando attraverso lo sviluppo di un pensiero critico i bambini possono
capire che è possibile un mondo dove si rispetta il punto di vista altrui, dove la vita in
comunità non presuppone un conflitto continuo ma un‟arricchente scambio di
esperienze. La molla che alimenta chi si occupa di Filosofia con i Bambini segue un
po‟ quell‟utopia di creare una comunità dove si possa vivere con la libertà e la
tranquillità di potersi esprimere e di poter essere ascoltati, dove la tua opinione
plasma qualcosa che va oltre la tua individualità.
Quali miglioramenti riesce a portare in campo educativo il fare “Filosofia con i
Bambini”?
Dal punto di vista cognitivo l‟attività di pensiero all‟interno della comunità
di ricerca e il processo di ricerca portano i soggetti a chiedersi non solo che cosa
stanno pensando, ma soprattutto come lo stanno facendo, perché devono confrontarsi
con un punto di vista che spesso non coincide con il loro e che, a volte, può
dischiudere aspetti del problema in discussione mai pensati dal singolo. Inizia così un
processo di riflessione consapevole che gli studiosi chiamano meta cognizione.
Il termine indica la consapevolezza e il controllo che il soggetto ha dei propri
processi cognitivi e, in ambiti più specifici, viene sostituito dai termini quali meta
memoria, meta comprensione, meta attenzione, ecc.
La predizione, la pianificazione, il monitoraggio e la valutazione sono
meccanismi di controllo che giocano un ruolo fondamentale nel transfer
dell‟apprendimento, dove per transfer si intende l‟effetto di un apprendimento su un
apprendimento successivo. Imparare vuol dire non solo acquisire conoscenze, ma
soprattutto imparare ad imparare, per evitare di accumulare nozioni che vanno a
formare la cosiddetta conoscenza inerte, quella che non verrà mai utilizzata
dall‟individuo.
La comunità di ricerca può dirsi contesto meta cognitivo in quanto l‟attività
argomentativa è molto vicina al pensiero riflessivo: essa è un pensare sul pensiero
stesso e sui suoi contenuti. Essa è il luogo in cui si sviluppa la consapevolezza
metalinguistica dei bambini, cioè l‟abilità di riflettere sul linguaggio, trattandolo
come oggetto di pensiero.
Dal punto di vista didattico può e vuole offrire stimoli diversi alla riflessione
profonda sugli argomenti di studio. Per esempio, quando i bambini seduti in cerchio
si chiedono cos‟è un nome, tentano di riflettere sul linguaggio utilizzando il
linguaggio stesso. E quando una bambina dice “A scuola abbiamo fatto sempre delle
distinzioni ma non sapevamo che si chiamassero distinzioni!”, in quel momento forse
è diventata più consapevole di un concetto.
Dal punto di vista emozionale attivare la ricerca di un significato, attraverso
la valorizzazione del dialogo in classe, implica anche tenere in considerazione la
componente emotivo – affettiva perché, discutendo, i bambini mettono a nudo se
stessi, infatti spesso portano nel gruppo paure, idee, emozioni e sentimenti vissuti in
prima persona. Nella comunità di ricerca i bambini imparano a conoscere e a gestire i
propri ed altrui processi emozionali, affettivi e volitivi: imparano a conoscere se
stessi e a relazionarsi con gli altri. D. Goleman chiama la consapevolezza e gestione
dei processi di natura affettiva ed emozionale con il nome di “intelligenza emotiva” e
propone uno schema di riferimento articolato in cinque livelli di competenza
crescente: abilità di conoscere le proprie emozioni, di controllarle, di motivare se
stessi, di riconoscere le emozioni altrui e, infine, di gestire le relazioni. Tutto questo
è possibile solo se il contesto scolastico è pensato come ambiente in cui i singoli si
sentono liberi di esprimere se stessi, di entrare in sintonia con l‟altro attraverso
percorsi di ricerca condivisa.
In che modo hai conosciuto la Filosofia con i Bambini in Spagna e che idea te ne
sei fatta?
Anche in questo frangente sono stata molto fortunata. La proverbiale
“apertura” e “disponibilità” spagnola mi ha permesso, appena arrivata in città, di
entrare in contatto con diverse persone con cui in seguito ho lavorato a stretto
contatto.
Per capire meglio, in ognuna delle 17 comunità autonome in Spagna si è
formato un gruppo di persone che si riunisce mensilmente con lo scopo di scambiarsi
progetti, idee, teorie, esperienze. Ognuno lascia agli altri qualcosa di sé, del suo
percorso e questo anima e trasmette le energie per guardare avanti sapendo che non
si lavora da soli. Sono educatori di tutti i cicli scolastici, filosofi, psicologi, scrittori,
artisti, persone fantastiche ed uniche che vivono con passione tutto ciò che fanno.
Sono associazioni pedagogiche che fanno parte della “Federacion Nacional de
Filosofia para Niños” e questo permette loro, chiaramente, di rimanere sempre in
contatto. Legami che si evincono e trovano spazio nella rivista diretta dal gruppo
valenciano. Io sono entrata a far parte di quest‟ultimo. Il “Centro de Filosofia para
Niños de la Comunidad Valenciana” vede le sue origini in un piccolo gruppo di
persone che si riuniva a partire dal 1990 con l‟obiettivo di “Aprender a Pensar”
(Imparare a pensare) e divenne associazione nel 1998. Dovrei scrivere numerose
pagine per riuscire a ringraziare pienamente tutti coloro che ne fanno parte e che con
la loro spontanea gratuità mi hanno permesso di realizzare esperienze che mai avrei
creduto possibili.
Ogni persona incontrata è stata fondamentale per il mio progetto di tesi.
Grazie a loro sono riuscita a creare una rete incredibile di contatti, ho potuto
frequentare corsi ed entrare in diverse realtà scolastiche. Sono stati la mia bussola,
sempre.
Il tuo lavoro conclusivo in Didattica Generale approfondisce una tematica cara
alla ricerca nel campo della filosofia con i bambini: le capacità dialogiche
dell'insegnante. Ce ne puoi parlare brevemente?
Il lavoro conclusivo dei miei anni di studio nasce per dare delle risposte a
diverse domande che sono nate “vivendo” l‟università e la scuola italiana.
Ricordo un confronto tenuto con una dirigente di una piccola ma “colorita”
scuola spagnola. Mi parlò di una società centrata sull‟avere, di superficialità
crescenti, di comode dimenticanze … e aveva ragione! Forse la causa di tutti i nostri
fallimenti come educatori risiede proprio in questo. Troppo spesso trattiamo le realtà
dell‟essere (essere persona, essere bambino…) come se fossero “averi”, oggetti. E gli
effetti di questa tendenza li abbiamo tutti i giorni sotto i nostri occhi e sono quelli di
cui non ci stanchiamo mai di lamentarci. Il primo passo per uscire da questa bugia
che ci hanno fatto credere è rendersi conto che i bambini vogliono essere rispettati,
non dominati. Devono sentire che fanno parte di un qualcosa dentro cui il loro
apporto è importante e necessario. Ma a questo devono credere anche gli educatori.
Si tende a perdere “la strada”, si cerca nei bambini quello che noi vorremmo sentire,
non quello che ci vogliono dire.
La pratica della Filosofia con i Bambini può migliorarci come persone (e
come “strumenti” pedagogici). Dobbiamo stare attenti e modificare prima i nostri
comportamenti, osservarli, aggiustarli.. tutto ciò è fondamentale per accompagnare
l‟altro verso il dialogo. Perché alla fine è di questo che parliamo: del dialogo come
“incontro amoroso tra le persone”, volendo citare l‟illustre educatore brasiliano P.
Freire.
Per poter insegnare bisogna essere aperti ed abili nel ricevere l‟altro.
Dobbiamo avere una capacità dialogica e comunicativa “speciale”. Ne siamo tutti
capaci? Siamo tutti pronti a questo? O, per quanto interessante e giusto, il “progetto”
ha bisogno di menti che lo sappiano gestire?
Il mio studio parte da qui. Operando sui diversi progetti ed esperienze di
filosofia con i bambini, abbiamo creato uno strumento che vuole offrire al corpo
docente la possibilità di mettersi alla prova, avvalorando l‟idoneità della propria
comunicazione.
Come hai organizzato il lavoro?
Il lavoro ha avuto la durata complessiva di due anni di cui uno trascorso
all‟estero. La costruzione dello strumento di osservazione relativo alle competenze
dialogiche di un insegnante in sessioni di “Filosofia con i Bambini” e le successive
prime sperimentazione si è svolta interamente in Spagna grazie alla supervisione di
alcuni docenti universitari e del gruppo precedentemente citato. L‟anno trascorso
all‟estero è stato faticoso, ma utile e arricchente ai fini della tesi. Riuscendo con
relativa libertà a spostarmi sul territorio spagnolo, ho condotto le mie ricerche in
parti diverse del Paese (Madrid, Barcellona, Valencia, Siviglia). Ciò ha permesso di
raccogliere una gran mole di materiale, venire a contatto con realtà del tutto nuove e
conoscere persone molto interessanti e appassionate all‟argomento.
La seconda parte del lavoro si è svolta in Italia con la supervisione di Alberto
Galvagno (il quale monitorava a distanza già il predente lavoro), il contributo di
alcune scuole del cuneese e il supporto dell‟associazione Amica Sofia di cui si
parlerà dettagliatamente nel terzo capitolo.
E quello relativo alle sperimentazioni con gli insegnanti?
Le sperimentazione dello strumento di osservazione all‟interno delle scuole è
stata sicuramente la parte più interessante dell‟intero lavoro. Il mio ruolo consisteva
prevalentemente nel presentare l‟utilizzo dello strumenti al team di docenti che
decideva di sperimentarlo e nel raccogliere e analizzare successivamente il prodotto
delle osservazioni e la riflessione sull‟esperienza condotta dalle insegnanti stesse.
In che modo pensi possa essere utile lo strumento da te ideato alle insegnanti?
E‟ difficile giocare il doppio ruolo per l‟insegnante, cioè essere oggetto e
soggetto dell‟analisi, osservato ed osservatore, giudicato e giudicante, tanto più se
questo ruolo viene giocato all‟interno di un contesto come quello scolastico
composto da persone (insegnanti) abituate più a valutare che ad essere valutate.
E‟ capitato spesso che le insegnanti evidenziassero imbarazzo apprestandosi a
svolgere il lavoro richiesto. Questo imbarazzo, legato ad una mancanza di autostima
lavorativa ed al ruolo ricoperto dalla persona adulta in determinati contesti, veniva
presto superato da quei team docenti caratterizzati da stima ed affetto reciproco,
qualità auspicabile in tutte le realtà scolastiche, ma non sempre riscontrabile. Per
portare esempi concreti a spiegazione di quanto affermato è sicuramente più facile
accettare critiche e consigli da un amico fidato piuttosto che da una persona su cui
nutriamo qualche perplessità: ecco il motivo per cui le sperimentazioni riuscite sono
state quelle effettuate nelle realtà più unite.
Lo strumento vuole essere un invito a superare questi ostacoli affinché gli
insegnanti possano collaborare e avere un dialogo costruttivo con le persone con cui
quotidianamente condividono l‟obiettivo comune di educare al meglio le radici del
nostro futuro.
Inoltre, approfondire una tematica come quella relativa alle competenze
dialogiche e comunicative di un insegnante, significa dare maggior chiarezza al
lavoro di Filosofia con i Bambini. Anche nei programmi strutturati, come la ben nota
Philosophy for Children di Lipman, non si fa riferimento a quali debbano essere
nello specifico queste competenze basilari.
PARTE PRIMA
Esperienze teoriche
“Perché basta un niente per esser felici, basta vivere come le cose che dici.”
Roberto Vecchioni “Canzone per Alda Merini
“Se la Bellezza può salvare il mondo, la filosofia mette a disposizione degli ottimi
strumenti per renderlo migliore.”
Dostoevskij
1 CAPITOLO I - LE DIVERSE FORME DEL
DIALOGO
1.1 EDUCAZIONE DIALOGICA
1.1.1 Abilità dialogiche e comunicative
La vera condizione del dialogare risiede nella struttura aperta del linguaggio. Se il
linguaggio non portasse in sé questa strutturale apertura dei significati che essa
esprime non sarebbe possibile alcun domandare autentico e in definitiva non sarebbe
possibile alcun dialogo e alcuna dialettica. Un‟apertura insomma che rende possibile
quel capovolgimento dei punti di vista che l‟alternanza di domande e risposte opera,
ovvero l‟astrazione dei significati dai contesti in cui si erano consolidati per
ricavarne conseguenze che li mettano in contrapposizione proprio con quei contesti
medesimi.
Le abilità dialogiche consentono all‟insegnante di parlare in maniera efficace
secondo il contesto e la situazione. Ma il dialogo implica sempre la presenza e
l‟apporto di qualcun altro. Si definisce quindi l‟abilità dialogica come la capacità,
stimolata in tutte le situazioni (educative e non), di incrementare la conoscenza dal
momento in cui ciò che viene detto contiene un potenziale importante per
promuovere la trasformazione dell‟altro. Più precisamente, in un contesto di filosofia
con i bambini, l‟abilità dialogica di un insegnante viene intesa come l‟abilità di
aiutare lo sviluppo del pensiero critico nei bambini attraverso un dialogo costruttivo,
ricco di stimoli e sottointendendo che ciò che viene detto contiene un potenziale
importante per aiutare tutti i protagonisti del dialogo a maturare come persone
sociali.
1.1.2 Definizione di dialogo e capacità dialogica
A seguito delle ricerche condotte e riportate brevemente nella seconda parte del
capitolo, sono state ricostruite le seguenti definizioni per gli scopi prefissati: