La seguente ricerca si propone di approfondire la nozione di biopotere in
Michel Foucault, alla luce dei temi fondamentali del suo pensiero, al fine di
verificare se e in quale misura sia possibile uno spazio per la libertà umana. La
maggior parte dei libri di Foucault è composta da minuziose ricerche storiche, che
riguardano le trasformazioni avvenute nell'arco di tempo che va dalla seconda
metà del secolo XVII al secolo XVIII. La vastità di tali indagini può suggerire
l'impressione di un lavoro frammentario e disorganico, anche per via dei rari
momenti di sintesi. Egli, tuttavia, non si è limitato a collezionare una serie di
documenti e fascicoli in senso cronologico, ma si è proposto di mettere al vaglio
di una meticolosa documentazione storica alcuni nuclei concettuali e teorici di
fondo, per dimostrare che non sono state sepolti e dimenticati dalla storia, ma che
sono stati ereditati, importati e trasferiti altrove.
Infatti, pur rivolgendosi al passato, la ricerca di Foucault è sempre stata
attenta a problemi di attualità. L'attenzione scrupolosa per le serie di eventi già
accaduti non è legata al fascino dell'antico o alla ricerca di un lontano modello di
perfezione da applicare al presente. Piuttosto egli intende affrontare
analiticamente delle questioni, apparentemente di scarsa importanza, quasi da far
apparire sproporzionato l'impegno rispetto all'oggetto, per restituire al lettore
un'esperienza tale che egli non possa pensare allo stesso modo di prima. Foucault
intende limitare la sua presenza come autore per consegnare un testo che possa il
più possibile parlare da sé, con la sola forza degli eventi e delle serie storiche
descritte.
Si è ritenuto interessante focalizzare l'attenzione su un prefisso, tanto efficace
e abusato da essere entrato nel linguaggio comune, usato sovente con accezione
positiva: il termine bio, utilizzato da Foucault per identificare un scarto rispetto
alle definizioni di potere, di politica, di storia. Quanto detto pone degli
interrogativi cui si cercherà di rispondere: In che cosa si differenzia il biopotere
dal termine più elementare di potere? In che senso viene impiegato il prefisso bio?
Perché mettere in rilievo la nozione di vita se le nozioni di potere, politica e
storia, riguardano da sempre e necessariamente individui viventi? Il biopotere
riguarda forse una dimensione più fondamentale o più “oggettiva” in cui gli
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individui sarebbero affrancati dal potere e quindi più liberi? Oppure, al contrario,
sarebbero più soggiogati e repressi dal potere?
Per rispondere a tali questioni sarà quindi necessario seguire a ritroso l'opera
di Foucault e ricercare il significato di questi ed altri termini che caratterizzano il
suo pensiero. Si cercherà di ripercorrere non soltanto la storia della costituzione
del potere, ma congiuntamente anche della coppia potere-sapere, degli effetti di
verità che comporta, delle formazioni discorsive di cui essa è composta, degli
effetti che ha nella costituzione e nella trasformazione del soggetto.
Questo compito non può essere svolto senza indagare preliminarmente il
metodo adoperato da Foucault, chiedendosi non soltanto in che cosa esso consista,
quali pratiche di ricerca abbia adottato, ma soprattutto se sia possibile parlare di
un metodo in senso rigoroso e sistematico, frutto di una esplicita elaborazione
epistemologica. Le sue analisi sono caratterizzate da una neutralità linguistica che
le rende paragonabili a dei puri resoconti di cronaca in cui non è manifesta la
volontà, da parte dell'autore, di favorire una determinata interpretazione. L'intento
di Foucault è sì politico, ma non nel senso ideologico del termine; piuttosto è
indirizzato alla risoluzione dei problemi concreti, mostrando come essi abbiano
una storia, come si siano costituiti, come gli stessi termini delle formulazioni
siano nati e abbiano subito numerose trasformazioni. Tuttavia queste analisi e
ricerche, per quanto vaste, non sono mai conclusive e perciò danno l'impressione
di essere parziali o lacunose; il metodo non viene mai determinato in anticipo, ed
anzi sembra mutare in corso d'opera.
Pertanto si cercherà di mostrare come questa dispersività, questa mescolanza
di ricerche a metodi, appartenga esclusivamente alla superficie dell’opera di
Foucault, e che tale disorganicità non sia il frutto di un pensiero confuso o errante.
A tale scopo, si dovrà compiere un riesame di quelle categorie che sostengono e
guidano il lavoro diversificato ma coerente di Foucault. Queste categorie non
vanno intese come blocchi isolati ma vanno esaminate nel loro implicarsi
reciproco.
Infatti, solo passando attraverso contenuti storici determinati, Foucault ha
affrontato, districandoli, i temi della storia, del potere, del sapere, della verità, del
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soggetto. Questi temi costituiscono il centro di una serie di interrogazioni
filosofiche che si sono succedute nella storia, e che necessariamente si
riproporranno. Tale volontà storicizzante ha attirato su Foucault accuse di
nichilismo e di relativismo alle quali sarà necessario di replicare. Tuttavia, è
sufficiente difendersi dall'accusa di nichilismo per affermare una concezione
positiva della libertà? Come si configura tale facoltà per dei soggetti storici? In
che senso è possibile formulare un'etica che resista al relativismo storico?
Per rispondere a tali domande sarà necessario ricercare non solo
trasversalmente all'interno delle opere di Foucault, ma anche nelle numerose
interviste e negli interventi a carattere più diretto ed informale, dove egli ha
chiarito le questioni più oscure o implicite. Si cercherà quindi di rispondere alle
domande sul metodo di lavoro, sul suo statuto, sulla sua non sistematicità, sui
continui spostamenti e aggiustamenti teorici, facendo riferimento alle
affermazioni in merito. A quel punto si adotterà un principio più cronologico che
analizzi lo spostamento avvenuto dall'impostazione archeologica a quella
genealogica, e la controversia sullo strutturalismo. Si obietterà che una tale
disamina abbia poco a che fare con le questioni sul biopotere e sulla libertà.
Tuttavia si ritiene non soltanto utile ma indispensabile affrontare preliminarmente
tali questioni, in modo da dissipare in anticipo gli equivoci che potrebbero sorgere
e circoscrivere più efficacemente le questioni successive. Solo a quel punto si
potranno analizzare due temi fondamentali che costituiscono il filo conduttore del
pensiero di Foucault, il potere e il soggetto.
Solo seguendo un percorso che sia allo stesso tempo cronologico e tematico si
può giungere a formulare quella specificazione del potere che è allo stesso tempo
più particolare e più generale. Il biopotere riguarda un sottoinsieme del potere in
quanto ne è una sua specificazione? Oppure ne è una definizione più ampia in
quanto fa riferimento alla nozione di vita in generale? Le stesse domande possono
essere formulate anche riguardo ad altri termini. Forse è proprio a causa di questa
pluralità di interpretazioni che il termine biopolitica si è diffuso ed è stato
utilizzato da diversi autori in vari significati. Malgrado ciò, non si cercherà di
formulare delle definizioni univoche a scapito di altre, equivoche; si vedrà che
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Foucault stesso non è legato alla univocità terminologica, ma nemmeno, al
contrario, ad una ampiezza tale che consenta di utilizzare dei vocaboli generici
come chiavi di interpretazione universale.
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1. Il metodo e l'oggetto della ricerca
Con il seguente capitolo si cercherà di esporre ed analizzare il metodo delle
opere di Michel Foucault. La volontà di iniziare questa analisi dal metodo è frutto
di una precisa intenzione. Sarebbe certamente una fallace agevolazione, nonché
una indebita riduzione, cercare di interpretare retrospettivamente il suo lavoro
come se fosse stato composto seguendo una teoria generale o un metodo già
formulato. Si intende illustrare come il metodo non sia un insieme di regole
elaborate seguendo una teoria fondamentale e anteriore
1
. Piuttosto esso è
intimamente legato all'oggetto di indagine, prende forma mediante e durante lo
svolgimento stesso dell'opera, quasi che possa rivelarsi da sé. Tale metodo può
essere scorto soltanto nel suo farsi e ciò implica che non è stato deciso
anteriormente, né che esso possa essere riutilizzato a piacimento su qualsivoglia
oggetto da indagare.
Sarà quindi vano ricercare una teoria generale, un metodo unitario e
universale, un sistema complessivo all'interno dei lavori di Foucault. Quanto detto
non deve però assolutamente far supporre a una totale assenza di metodo, a una
aleatorietà argomentativa o una erranza teorica. Per questi motivi si è ritenuto
primario iniziare l'analisi “dalla fine”: porre in questione preliminarmente il
metodo. Così facendo sarà possibile esplorare la questione del biopotere
all'interno di un quadro più idoneo e coerente. Data la mole di ricerche storiche e
di dati archivistici proposti da Foucault, si potrebbe pensare che i suoi lavori siano
il frutto di un lavoro premeditato e organizzato fin dal principio nel dettaglio. In
una delle sue numerose interviste egli afferma:
Sono perfettamente consapevole di effettuare continui
spostamenti sia rispetto alle cose di cui mi interesso, sia
1
Al riguardo, si ritiene doveroso riportare il parere di A. Dal Lago: «Non userò
questo termine nell'accezione divenuta ormai abituale nella riflessione
filosofica sulla scienza – un sistema di prescrizioni per pensare correttamente
– ma in quello più antico e più ampio di “riflessione sulla via”, di
orientamento nel mondo. Questo senso non specialistico ci porta a contatto con
una dimensione più profonda, più umana, e in fondo più avvincente di quella
delle scienze: l'agire quotidiano, gli affari comuni, le pratiche» (A. Dal Lago,
Un metodo nella follia, in P. A. Rovatti (a cura di), Effetto Foucault,
Feltrinelli, Milano 1986, p. 57).
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rispetto a quanto ho già pensato. Del resto i libri che scrivo
costituiscono per me una esperienza, che mi piacerebbe
fosse sempre la più ricca possibile. Una esperienza è
qualcosa da cui si esce trasformati. […] Io scrivo proprio
perché non so ancora cosa pensare di un argomento che
attira il mio interesse. Facendolo, il libro mi trasforma,
muta ciò che penso; di conseguenza, ogni nuovo lavoro
cambia profondamene i termini di pensiero cui ero giunto
con quello precedente
2
.
Nonostante il carattere strettamente personale di interesse, e quindi di
selezione e studio di determinati oggetti in luogo di altri, quanto detto sottolinea
che la direzione del lavoro non è predeterminata, che i possibili movimenti
argomentativi sono dettati dal lavoro in itinere e non da un progetto preesistente.
Anche il libro stesso in quanto oggetto materiale determinato, deve essere
considerato trascurando i confini entro i quali ci si presenta. Quanto alla sua
esteriorità, il libro è una unità materiale debole.
È inutile che il libro si dia come un oggetto che si ha
sotto mano; è inutile che si rannicchi in quel piccolo
parallelepipedo che lo racchiude: la sua unità è relativa e
variabile. Perde la sua evidenza non appena la si interroga;
incomincia ad indicarsi e a costruirsi soltanto a partire da
una campo complesso del discorso
3
.
Il libro viene definito come un sistema di rimandi, come il nodo di un
reticolo. Pertanto non è omogeneo al suo interno né omologo ad altri libri. Nella
Prefazione alla seconda edizione del 1972 di Storia della follia, Foucault ha
ribadito questo concetto ma con una considerevole differenza. Egli afferma:
Mi piacerebbe che un libro, almeno dalla parte di chi
l'ha scritto, non fosse nient'altro che le frasi con cui è fatto;
che non si sdoppiasse in quel primo simulacro di se stesso
che è una prefazione, e che pretende di imporre la propria
legge a tutti, […] senza che la persona cui è capitato di
produrlo possa mai rivendicare il diritto di esserne il
maestro, di imporre quel che voleva dire, né di dire quel
che doveva essere
4
.
Oltre allo scarto tra forma esteriore e contenuto interno, Foucault intende qui
2
D. Trombadori, Colloqui con Foucault, 10/17 cooperativa editrice, Salerno
1981, pp. 17-18.
3
L'archeologia del sapere, p. 32.
4
Storia della follia, p. 54.
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