Nei capitoli successivi (4 e 5), sono stati applicati tali metodi ad una
progettazione simulata, sia allo stato di fatto [Cap.4], sia allo stato di progetto
[Cap.5] dopo aver previsto degli interventi di consolidamento statico sulla stessa.
Per inciso le analisi svolte (allo stato di fatto e a quello di progetto) sono state in
primis di tipo statico non lineare e poi successivamente di tipo dinamico non
lineare.
Nel primo caso è stato possibile definire la vulnerabilità della struttura
utilizzando il metodo N2; nel secondo caso è stato possibile effettuare la stessa
valutazione, definendo in primis, tramite analisi dinamiche incrementali (I.D.A.)
un legame tra una misura d’intensità sismica ed una misura di danno e poi
utilizzando tali valori per definire la P
f
., con metodi empirici tipo SAC/FEMA e
curve di fragilità.
I risultati così ottenuti sono stati comparati per svolgere le considerazioni finali
presenti in calce al seguente lavoro.
CAPITOLO PRIMO
Input sismico
1.1 Considerazioni preliminari
Input sismico 3
1.1 Considerazioni preliminari
Il patrimonio edilizio italiano esistente è costituito in gran parte da costruzioni
che presentano un’elevata vulnerabilità sismica dovuta alle caratteristiche
tipologiche, costruttive e alla vetustà.
In Italia, oltre la metà degli edifici esistenti è realizzata in cemento armato e
gran parte di essi sono stati costruiti nel dopoguerra, di essi un’elevata
percentuale risale al boom edilizio degli anni 70 come è possibile osservare
dalla figura 1.1 che riporta il risultato di uno studio condotto dal CRESME
(Centro Ricerche Economiche, Sociologiche e di Mercato nell'Edilizia)
sull’età del patrimonio edilizio esistente con proiezione fino al 2021.
Figura 1.1 – Distribuzione del patrimonio edilizio in Italia dal 1951al 2021
(CRESME)
Ne consegue che dall’analisi dello stato di fatto del patrimonio edilizio esistente,
si è riscontrato un comportamento sismico insoddisfacente, dovuto generalmente
alla mancanza di duttilità, piuttosto che ad una inadeguata resistenza laterale.
Tale comportamento è dovuto sostanzialmente ai seguenti motivi:
• presenza di edifici realizzati in assenza di una specifica normativa
sismica, o seppur progettati secondo le prescrizioni dell’epoca, che
non soddisfano gli attuali standard di sicurezza per effetto sia della
riclassificazione del territorio nazionale, sia dell’introduzione di più
1.1 Considerazioni preliminari
Input sismico 4
moderni requisiti prestazionali e di standard di sicurezza più elevati,
quali ad esempio il “capacity design” .
Le carenze prestazionali degli edifici sono imputabili sostanzialmente
all’insufficienza delle armature longitudinali e dei relativi ancoraggi nelle
travi e nei pilastri, alla pressoché completa assenza di staffe nei pilastri in
corrispondenza delle zone sede di potenziali cerniere plastiche, con
conseguente modesta azione di confinamento del calcestruzzo compresso
che, frantumandosi, può provocare lo svergolamento, per instabilità, dei
ferri longitudinali e quindi il collasso di tali aree.
• L’elevato degrado delle strutture per assenza di manutenzione e il
deterioramento dei materiali, ed inoltre assenza pressoché completa di
interventi di consolidamento statico.
• Irregolarità in pianta ed in elevazione che potrebbe comportare una
risposta torsionale notevole dell’impalcato, a seguito di elevata
eccentricità tra il baricentro delle masse e quello delle rigidezze.
Per quanto detto, lo studio del comportamento sotto sisma di edifici esistenti,
la valutazione della vulnerabilità che se ne deduce e il progetto di opportuni
interventi di adeguamento, rappresenta uno dei temi principali delle attuali
ricerche nell’ambito dell’ingegneria strutturale.
La rilevanza di queste problematiche è anche testimoniata dall’attenzione
rivolta dalle normative sismiche europee (Eurocodice8 [2]) e dalle vigenti
nazionali (O.P.C.M. 3274 [3]) nei riguardi della valutazione delle prestazioni
sotto sisma di edifici esistenti
1.2 Genesi dei terremoti
Input sismico 5
1.2 Genesi dei terremoti
Gli eventi sismici più disastrosi e più frequenti sono causati principalmente da
fratture della crosta terrestre, generate dalle deformazioni prodotte in seguito ai
lenti movimenti delle placche che costituiscono la crosta terrestre.
La teoria maggiormente utilizzata per la definizione dell'origine dei terremoti
tettonici è la “teoria del rimbalzo elastico, secondo cui lo scorrimento e la
successiva rottura della deriva dalla tendenza dei blocchi crostali a muoversi
l’uno rispetto all’altro determinando l’insorgere di sforzi di taglio, e il
conseguente accumulo di energia, sino al raggiungimento della resistenza limite
al taglio del materiale in un punto detto ipocentro.
A tal punto si innesca un brusco scorrimento (rimbalzo elastico) tra i lembi della
superficie di rottura con ridistribuzione delle tensioni di taglio agenti su di essa,
il sisma è quindi associato all’improvvisa liberazione dell’energia di
deformazione nel periodo precedente alla rottura.
E’ noto che le onde sismiche che possono generarsi sono di quattro tipi:
• Onde di pressione (Onde P - Pressure wave) che producono spostamenti
nella sola direzione di propagazione dell’onda e sono dotate di grande
velocità (4- 8 km/s).
Questo tipo di onda induce variazioni di volume (compressioni e
dilatazioni) in tutti i tipi di mezzo;
• Onde di taglio (Onde S - Shear wave) che inducono spostamenti
ortogonali alla direzione di propagazione e sono dotate di velocità
inferiore rispetto alle onde P (2,3 – 4,6 km/s).
Questo tipo di onda induce variazione di forma che possono propagarsi
solo in mezzi dotati di rigidezza tagliante;
• Onde di Love (Onde L) sono analoghe alle Onde S anche se prive della
parte verticale, provocano deformazioni ortogonali a quelle di
propagazione dell’onda sismica giacciono in un piano orizzontale e sono
generate in una superficie di discontinuità tra due strati, quando la velocità
delle onde trasversali nello strato inferiore è maggiore di quella nello
strato superiore;
• Onde di Rayleigh (Onde R) giacciono in un piano verticale combinando
due movimenti (verticale ed orizzontale) nella direzione di propagazione
dell'onda, la cui traccia è assimilabile ad un’ellisse. Non presentano
1.2 Genesi dei terremoti
Input sismico 6
dispersione e la loro velocità è pari a 0,92 volte la velocità delle onde S,
l'ampiezza si smorza rapidamente con la profondità.
In un continuo indefinito elastico omogeneo ed isotropo le Onde P e le Onde S
sono le sole onde presenti e sono dette onde di volume, mentre in un semispazio
elastico, alle onde di volume si aggiungono le Onde L e R che vengono definite
onde di superficie, di norma si considerano esclusivamente le onde di superficie,
e nella fattispecie le onde di taglio.
Le caratteristiche quantitative di un terremoto possono essere misurate attraverso
due tipi di strumenti base: i sismografi e gli accelerografi.
I sismografi registrano gli spostamenti del suolo in funzione del tempo.
Questi strumenti sono mantenuti sempre in funzione e le loro registrazioni sono
di particolare interesse per i sismologi.
Ai fini ingegneristici è poco rilevante misurare lo spostamento al suolo, poiché
gli effetti sulle costruzioni dipendono dalle forze che la sollecitano proporzionali
alle accelerazioni al suolo, pertanto, è di maggior utilità la misurazione delle
accelerazioni nelle due direzioni orizzontali ed in quella verticale, eseguita con
strumenti opportuni detti accelerografi. Con tale strumento è possibile definire il
cosiddetto accelerogramma, le cui caratteristiche dipendono non solo
dall’intensità e dalla durata dell’evento sismico ma anche dalla natura del
meccanismo di rottura, dal percorso fatto dalle onde sismiche, dalle proprietà
fisico-meccaniche dei materiali e delle discontinuità attraversate e dalle
caratteristiche geotecniche e geologiche del sito.
Considerando che le registrazioni sismiche, degli “strong ground motions”, sono
partite solo dal 1940 e sono limitate, sia per quanto riguarda il numero necessario
per un’analisi statistica, sia per quanto riguarda i siti di registrazione, si può
comprendere che bisogna utilizzare strade diverse per la soluzione del problema.
Tali problematiche verranno approfondite quando si tratterà il problema
dell’analisi dinamica non lineare.
1.3 Zonazione
Input sismico 7
1.3 Zonazione
In generale lo scopo degli studi di zonazione sismica del territorio è quello di
determinare la severità dei terremoti attesi in un sito specifico o in una regione
estesa.
In funzione dell’estensione delle aree di interesse e degli scopi specifici tali studi
si dividono in:
• Studi di macrozonazione, relativi a zone estese (ad es. l’intero territorio
nazionale) e il cui scopo è quello di valutare per le diverse parti del
territorio la severità dello scuotimento al suolo atteso facendo riferimento
a condizioni standard di suolo rigido;
• Studi di microzonazione, relativi a zone di limitata estensione (ad es. un
comune), che hanno lo scopo di valutare le modifiche apportate allo
scuotimento sismico, dedotto ad un livello maggiore (ad es. da un
precedente studio di macrozonazione), dalle condizioni geologiche,
geotecniche e morfologiche locali.
L’analisi della pericolosità sismica può essere condotta o con approcci
deterministici o con approcci probabilistici. Tralasciando i primi, nel caso di una
valutazione probabilistica della pericolosità sismica questa viene rappresentata
attraverso il valore assunto da un parametro che denoti l’intensità dello
scuotimento sismico, Y, una volta definito per esso un certo valore della
probabilità di superamento o del periodo di ritorno. Parametri rappresentativi
dello scuotimento sismico sono le accelerazioni e velocità massime al suolo, ma
anche le ordinate degli spettri di risposta.
Le informazioni iniziali necessarie per un’analisi di questo tipo sono:
• Zonazione sismogenetica, in cui il territorio in esame viene suddiviso
nelle zone da cui hanno origine i terremoti, per le quali il processo di
occorrenza temporale di questi può essere descritto da un unico processo
stocastico e la funzione di distribuzione di probabilità della variabile
aleatoria magnitudo è unica (zone sismogenetiche);
• Sismicità dell’area, descritta attraverso un catalogo sismico in cui sono
raccolte le registrazioni dei terremoti passati. In particolare è importante
valutare la completezza del catalogo sismico, ovvero definire per i
terremoti con intensità maggiore di un certo valore da che anno si
1.3 Zonazione
Input sismico 8
possano ritenere credibili le registrazioni riportate nel catalogo e
procedere all’eliminazione di repliche o precursori degli eventi sismici
principali, individuato come l’evento di magnitudo maggiore della
sequenza sismica.
• Relazione di attenuazione, che descrive gli effetti dell’attenuazione del
parametro di moto del suolo, utilizzato per valutare la pericolosità
sismica, nel percorso che va dalla sorgente al sito in studio, in funzione
della magnitudo (che descrive l’intensità del moto alla sorgente) e di una
distanza caratteristica (che tiene conto degli effetti legati alla
propagazione delle onde sismiche nel suolo).
La relazione di attenuazione rappresenta il risultato di una regressione statistica
multivariata e una delle sue forme più semplici è la seguente:
ε+⋅++⋅−⋅+=
t
SbhrbMbbY
4
2
1
22
321
)log()log(
(1.1)
dove: Y è il parametro del moto sismico utilizzato per la valutazione del
livello di pericolosità ed M è la magnitudo del terremoto,
r è la distanza caratteristica tra sito e sorgente (es. distanza
epicentrale, ipocentrale, ecc…),
h è un termine di correzione della distanza, S
t
è una variabile che
tiene conto delle condizioni del sito (normalmente si distingue tra
siti rigidi o rocciosi e depositi alluvionali),
b
1
, b
2
, b
3
, b
4
sono coefficienti numerici determinati mediante la
regressione, ε è la variabile aleatoria con distribuzione normale
che tiene conto della dispersione dei dati.
Queste informazioni consentono di caratterizzare la variabilità delle
caratteristiche che determinano la violenza dell’evento sismico nel tempo e nello
spazio e permettono di definire gli effetti che un possibile evento provoca nei siti
prossimi alla sorgente.
Un metodo classico per le valutazioni probabilistiche della pericolosità sismica è
quello proposto da Cornell [1], in cui si ipotizza una funzione di distribuzione di
probabilità esponenziale per la magnitudo, F
M
(m), una funzione di densità di
probabilità della v.c. distanza tra sorgente sismica e sito di studio, f
R
(r), che
dipende dalla forma dell’area sismogenetica (ipotesi di zone sismogenetiche
1.3 Zonazione
Input sismico 9
omogenee), ed un processo di accadimento degli eventi sismici nel tempo di tipo
poissoniano.
1.3.1 Metodo di Cornell
Input sismico 10
1.3.1 Metodo di Cornell
Il metodo di Cornell [1] consente di definire la distribuzione di probabilità del
parametro di moto sismico, Y, utilizzato per descrivere la pericolosità sismica e
quindi consente di valutare quale sia il valore, y
c
, di tale parametro una volta
definito un certo periodo di ritorno T.
Nel metodo si ipotizza che la magnitudo dell’evento sismico che si presenta, M,
e la distanza tra la sorgente e il sito di cui si vuole valutare la pericolosità, R,
siano due variabili aleatorie legate al parametro Y attraverso un’opportuna legge
di attenuazione.
La funzione di distribuzione di probabilità cumulata della v.c. magnitudo, M, è
una funzione esponenziale, avente la seguente forma:
)(
0
0
1][)(
mm
M
emMmMPmF
−⋅−
−=≥≤=
β
(1.2)a
dove “β” è un coefficiente che viene ricavato definendo la relazione tra la
magnitudo e la frequenza media annua dei terremoti con magnitudo maggiore di
quella a cui corrisponde tale frequenza e “m
0
” rappresenta il valore di magnitudo
al disotto del quale i terremoti non sono più ritenuti di interesse ingegneristico.
Questa funzione può essere ulteriormente modificata per tener conto del fatto che
il valore massimo della magnitudo, di un evento sismico che abbia origine in una
specifica zona sismogenetica, è limitato da considerazioni di tipo fisico (ad es. la
dimensione finita di qualunque faglia). Pertanto detto m
1
il valore massimo della
magnitudo del terremoto che si può registrare in tale area, la funzione di
probabilità cumulata diventa:
)(
)(
10
01
0
1
1
][)(
mm
mm
M
e
e
mMmmMPmF
−−
−⋅−
−
−
=≤≤≤=
β
β
(1.2)b
La funzione di distribuzione di probabilità, che descrive l’altra variabile casuale
in gioco, ovvero la distanza tra sorgente sismica e sito di studio, R, dipende dalla
forma della zona sismogenetica, che si suppone omogenea.
1.3.1 Metodo di Cornell
Input sismico 11
Ad esempio nel caso che questa sia puntiforme, la funzione di densità di
probabilità della v.c. R può essere descritta dalla funzione delta di Dirac:
)()(
0
rrrf
R
−= δ
(1.3)
dove r
0
rappresenta la distanza tra la zona sismogenetica puntiforme e il sito di
cui si vuole valutare la pericolosità sismica.
Non resta che definire la legge di attenuazione che descrive la variazione del
parametro Y in funzione della magnitudo, M, e della distanza, R. In particolare
l’espressione (3.1) può essere scritta come segue:
RcMccRMY ln),(
321
⋅+⋅+=
(1.4)
La probabilità che dall’assegnata zona sismogenetica abbia origine un terremoto
che produca al sito un valore di Y maggiore di y è dato dalla seguente
espressione:
∫
⋅=>=>=−
ZS
RY
drrfrRyYPyYPyF )(][][)(1
(1.5)
dove F
Y
(y) rappresenta la funzione di probabilità cumulata della v.c. Y.
La probabilità che il valore del parametro di moto Y sia maggiore di y, per un
valore definito della distanza, R = r, può essere calcolato esprimendo la
magnitudo in funzione di Y e di R attraverso la legge di attenuazione, infatti:
⎟
⎟
⎠
⎞
⎜
⎜
⎝
⎛ ⋅+−
−=
⎥
⎦
⎤
⎢
⎣
⎡
=
⋅+−
>==>
2
31
2
31
ln
1
ln
][
c
rccy
FrR
c
rccy
MPrRyYP
M
(1.6)
Sostituendo questa espressione nella (1.5) si ha la probabilità di superamento del
valore y del parametro di moto, considerando la variabilità della distanza tra sito
di studio e sorgente sismica.
Tale sostituzione non è necessaria nel caso di zona sismogenetica puntiforme.
1.3.1 Metodo di Cornell
Input sismico 12
Definita la variabilità nello spazio del parametro Y, resta da descrivere quella nel
tempo.
A tal fine Cornell ipotizza che l’occorrenza degli eventi sismici nel tempo sia
descrivibile attraverso un processo stocastico poissoniano.
Tale processo è definito dalla frequenza media annua di accadimento degli eventi
sismici, ν, e la funzione di probabilità che caratterizza la v.c. numero di eventi in
un tempo pari a t, N
t
, è data dalla seguente espressione:
t
k
t
e
k
t
kNP
⋅
⋅
⋅
==
ν
ν
!
)(
][
(1.7)
dove k è il numero di eventi per il quale si vuole conoscere la probabilità di
accadimento.
Se si definisce l’evento critico come quell’evento che provochi nel sito di studio
un valore del parametro di moto maggiore di y
c
, il processo poissoniano degli
eventi critici è caratterizzato dal parametro ν
c
, che rappresenta la frequenza
media di eventi critici in 1 anno ed è dato dalla seguente espressione:
][
cc
yYP >⋅=νν
(1.8)
Sostituendo questo parametro nell’espressione (1.7) si ottiene la distribuzione di
probabilità che descrive la v.c. numero di eventi critici in un periodo di tempo t,
N
c,t
. Nota tale distribuzione si può calcolare la probabilità che in 1 anno non si
verifichi l’evento critico, ovvero:
][
1,
]0[][
cc
yYP
tcc
eeNPyYP
>⋅−−
=
====<
νν
(1.9)
La probabilità appena calcolata rappresenta il complemento ad 1 della probabilità
che in 1 anno si verifichi almeno una volta l’evento sismico critico, pertanto il
periodo di ritorno del parametro di moto y
c
è dato dalla seguente espressione:
1.3.1 Metodo di Cornell
Input sismico 13
][1
1
)(
c
c
yYP
yT
<−
=
(1.10)
Fissando il periodo di ritorno, dalla (1.10) si ricava il valore di y
c
necessario per
caratterizzare il livello di pericolosità sismica del territorio in esame.
1.3.2 Macrozonazione del territorio italiano
Input sismico 14
1.3.2 Macrozonizzazione del territorio italiano
La definizione degli spettri di risposta elastici secondo i criteri riportati
nell’Eurocodice 8 [2] presuppone che per il territorio nazionale sia disponibile
una carta di macrozonazione sismica, in cui sia rappresentata la pericolosità
sismica di riferimento attraverso i valori di accelerazione orizzontale di picco su
suolo rigido aventi un certo periodo di ritorno.
Per il territorio italiano questa mappa è stata redatta nel 2004, in ottemperanza
all’OPCM 3274, 20 marzo 2003 [3], e resa definitiva dalla seguente
modificazione, l’OPCM 3231 [4], nella quale vengono definiti i criteri generali
per la classificazione sismica del territorio nazionale, coerentemente con le
indicazioni dell’eurocodice 8. Nell’ambito di tale studio sono stati utilizzati:
• Il modello di zonazione sismogenetica ZS9;
• Il catalogo parametrico dei terremoti italiani, versione aggiornata CPTI2;
• Le leggi di attenuazione di Ambraseys et al. [5] e di Sabetta e Pugliese
[6], opportunamente corrette per tener conto dei meccanismi di
fagliazione prevalente nelle diverse zone sismogenetiche.
In particolare la legge di attenuazione di Ambraseys è valida anche per le
ordinate dello spettro di risposta di accelerazione orizzontale con un
periodo di vibrazione naturale generico, quindi può essere utlizzata,
nell’ambito del metodo di Cornell, per ottenere spettri di risposta a
pericolosità costante;
• Il metodo probabilistico di Cornell.