5
esogeni ed endogeni, al fine di massimizzare il proprio risultato di gestione in un
sistema simile a quello definito di “quasi mercati” [Bartlett e Le Grand 1993].
Assieme all’autonomia non si possono dimenticare altri eventi che hanno
contribuito a cambiare profondamente l’università: è aumentato e continua a
crescere il numero di studenti che vi si iscrivono, è stata riformata completamente
la didattica ed il vecchio sistema di finanziamento a “piè di lista” è stato sostituito
da un nuovo e più efficiente sistema, formato da specifici fondi, che a regime
riequilibrerà anche le differenze finanziarie a disposizione dei diversi atenei
[Catalano e Silvestri, 1999] .
Infine, gli atenei, quali produttori di ricerca oltre che di formazione, hanno
notevolmente aumentato la loro rilevanza nel sistema economico, in un Paese che
lentamente sta scoprendo l’importanza della ricerca quale propellente
indispensabile per la crescita.
Alla trasformazione dell’assetto normativo deve necessariamente
corrispondere un adeguamento del sistema di gestione degli atenei. Tale
adeguamento può basarsi su diverse prospettive, ma la centralità della figura del
cliente all’interno del sistema diverrà sempre più l’aspetto preminente nel
prossimo futuro.
Sulla base di queste considerazioni è stato redatto il presente lavoro, che si
pone lo scopo ambizioso di proporre un sistema di gestione degli atenei partendo
dalle esigenze dei clienti principali delle università: gli studenti.
Il sistema proposto è stato elaborato sfruttando la metodologia Qfd
(Quality Function Deployment), e si propone di fornire indicazioni operative su
quali siano le scelte strategiche da operare per massimizzare la soddisfazione della
clientela.
Il lavoro è articolato in due parti. La prima espone le caratteristiche
generali del sistema universitario italiano:
- il primo capitolo si propone di descrivere brevemente l’evoluzione
storica delle università, con particolare attenzione ai mutamenti
avvenuti negli ultimi anni a seguito delle diverse riforme. Inoltre, si
6
descriverà anche l’evoluzione contestuale dei diversi attori del
mondo universitario e degli stakeholders principali;
- il secondo capitolo si sofferma sulla teoria generale delle
organizzazioni, descrivendo gli aspetti principali di un
organizzazione ed i problemi maggiormente critici che
contribuiscono alla scelta tra le diverse tipologie di organizzazioni
possibili. Nell’ultima parte del capitolo si entrerà nello specifico
del mondo universitario, evidenziando a quale tipologia
organizzativa sono riconducibili la maggior parte degli atenei e ci
si soffermerà, infine, sulle specificità dei clienti delle università;
- il capitolo 3 circoscrive il sistema competitivo di riferimento,
cercando di esplicitare se e come il sistema si può paragonare ad un
sistema di “quasi mercati” e come il passaggio verso tale sistema
agevoli l’impostazione della gestione strategica proposta nella
seconda parte dal momento che evidenzia l’importanza della
centralità dei clienti nella progettazione del sistema di gestione;
- il capitolo 4, ultimo della prima parte, analizza gli obiettivi
fondamentali ed i requisiti imprescindibili di un efficace sistema di
gestione degli atenei, costituendo il punto di partenza per la
seconda parte.
La seconda parte è il cuore del lavoro e si occupa di progettare un sistema
di gestione degli atenei innovativo, ma non per questo inapplicabile. Avvalendosi
della metodologia Qfd (Quality Function Deployment), si fornirà “una indicazione
operativa per la gestione strategica dell’ateneo”, evidenziando quali siano le
caratteristiche sulle quali è prioritario investire e quali, invece, risultino di
secondaria importanza per massimizzare la soddisfazione dei clienti delle
università identificati con gli studenti, in quanto se in un’organizzazione sono
identificabili più tipologie di clienti il Qfd suggerisce di basare la progettazione
sui clienti esterni [Franceschini, 2002].
7
La seconda parte è composta da sei capitoli:
- il quinto capitolo descriverà il metodo Qfd, soffermandosi
sull’evoluzione storica, sullo sviluppo, sulle componenti ed sui
passi principali necessari alla sua applicazione. In particolare si
sottolineerà l’importanza della “Casa della qualità” e nell’ultima
parte si valuterà criticamente l’applicabilità del metodo al mondo
universitario;
- il capitolo sesto calerà il metodo descritto nella progettazione del
sistema di gestione strategica degli atenei, tramite la creazione
della casa della qualità Clienti-Università, che vedrà in essa le
relazioni esistenti tra i bisogni espressi dai clienti e le
caratteristiche tecniche proprie delle università;
- il capitolo settimo vedrà l’elaborazione del sistema di gestione. La
prima elaborazione è ottenuta avvalendosi dell’algoritmo Qbench,
implementato tramite un software di propria elaborazione, che si
propone di fornire in output un profilo che massimizzi la
soddisfazione complessiva della clientela, utilizzando in input i dati
del benchmarking effettuato sulle caratteristiche tecniche degli
atenei relative ai tre competitori utilizzati nel presente lavoro:
Politecnico di Torino, Politecnico di Milano, Università Cattolica
del Sacro Cuore;
- il capitolo ottavo illustrerà i procedimenti di correzione dei dati.
Tale processo è fondamentale per analizzare le correlazioni tra le
caratteristiche e la dinamicità intrinseca in ogni elemento di qualità.
Per l’analisi delle correlazioni si sfrutterà il “tetto della casa” e
tramite le informazioni in esso contenute verranno esplicitati i
possibili effetti di trascinamento; per vagliare la dinamicità degli
elementi di qualità, invece, si adotterà la metodologia proposta da
Kano [1984] e si valuterà se è opportuno modificare i valori
proposti dal profilo Qbench in base alla presunta evoluzione che
avranno i parametri nel tempo;
8
- il capitolo nono si occuperà della descrizione puntuale per ogni
caratteristica del valore cui dovrebbe tendere per incrementare la
soddisfazione della clientela utilizzando al meglio le risorse a
disposizione e per analogia descriverà quali caratteristiche si
possano, invece, trascurare risparmiando risorse senza per questo
avere delle perdite in termini di soddisfazione complessiva della
clientela;
- il capitolo decimo, infine, illustrerà nel suo insieme il sistema
progettato, avvalendosi nella descrizione di strumenti assimilabili
per costruzione alle mappe di percezione, che consentono di
esprimere graficamente in modo sintetico le differenze tra i sistemi
di gestione esistenti ed il sistema progettato, evidenziando i pro ed i
contro delle diverse soluzioni.
In conclusione, si presentano una serie di appendici che supportano, con
ulteriori dati numerici, la trattazione teorica.
Il sistema di proposto non ha la pretesa di essere la risposta a tutti i
problemi di gestione degli atenei, ma si prefigge lo scopo di fornire informazioni
utili al management delle università su quali siano gli elementi su cui sia
prioritario ed imprescindibile investire per massimizzare la soddisfazione
complessiva del cliente.
9
Parte Prima
Le caratteristiche e gli obiettivi
dei sistemi di gestione
universitaria
10
1 L’evoluzione del sistema universitario
L’evoluzione del sistema universitario si può esaminare analizzando due
spinte distinte :
1. la spinta endogena, che ha modificato dall’interno il modo di
gestire l’università con l’introduzione di nuove leggi o normative,
variando sia gli obiettivi che parte dei vincoli e che vede quali
attori primari il ministero, i docenti, gli studenti ed i non docenti
dipendenti degli atenei;
2. la spinta esogena, propria del mercato e dell’ambiente esterno alle
università, la cui voce è diventata sempre più importante nel
prendere le decisioni ed ha fortemente contribuito alla transizione
verso l’accesso generalizzatoTP
1
PT.
1.1 L’evoluzione dell’assetto normativo
L'origine di alcune fra le più antiche università italiane risale all'epoca
comunale quando varie categorie di cittadini si organizzarono in corporazioni o
“universitates”, in base all'attività economica o professionale esplicata: le prime
istituzioni universitarie sorsero appunto come corporazioni di studiosi,
“universitates doctorum” e tale fu ad esempio l'Università di Bologna, costituita
per prima in assoluto nel 1088TP
2
PT. Altre università furono istituite da papi o
imperatori nelle singole città.
TP
1
PT Secondo la definizione di Martin Trow [1974], si veda par. 1.2.
TP
2
PT Studi di Giosuè Carducci universalmente riconosciuti validi.
11
Le università, anche se sorte spontaneamente come libere, subirono
progressivamente l'ingerenza dello Stato e quasi tutte finirono per diventare istituti
di Stato.
La breve analisi proposta trascura i primi ottocentocinquanta anni di storia
e incomincia dall’unificazione d’Italia, momento in cui si può far coincidere la
nascita del sistema universitario nazionale.
La prima legge dell’Italia unificata fu la legge Casati del 1859, che
incorporò le università nell'organizzazione diretta dello Stato; esse divennero così
istituti dell'amministrazione statale, come suggerito dall’ordinamento
napoleonico.
Nel 1870 sono 23 le università esistenti in Italia, di cui 17 sono collocate
nel Centro-Nord, 3 in Sicilia, 2 in Sardegna e una a Napoli.
Durante il ventennio fascista, nonostante il tentativo della riforma Gentile
di andare nella direzione dell’autonomia gestionale e amministrativa, gli interventi
dei ministri Bottai e De Vecchi negli anni Trenta finirono con il consegnare alla
Repubblica un sistema governato in modo centralista. La riforma GentileTP
3
PT, inoltre,
attribuì alle lauree puro valore accademico ed introdusse l’esame di stato per
l’abilitazione alle professioni. Tale distinzione è ancora oggi vigente.
Il sistema universitario italiano definito dalla Repubblica continua ad
ispirarsi all’ordinamento napoleonico, come sottolineato da Einaudi [1962], ed
attribuisce allo Stato il ruolo di primo attore per quanto concerne il diritto ed il
dovere di provvedere all’insegnamento, non escludendo però la “concorrenza” di
enti privati, subordinata quest’ultima ad alcune condizioni mirate ad uniformare i
trattamenti di studenti e docentiTP
4
PT. Introduce inoltre un accenno all’autonomia
degli atenei, che tornerà ad essere la caratteristica essenziale del sistema col
passare del tempo.
TP
3
PT La riforma dell’istruzione italiana risale al 1923.
TP
4
PT “Art. 33. – L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La repubblica detta le
norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati
hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel
fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse
piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole
statali. E’ prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la
conclusione di essi per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura,
università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle
leggi dello stato”.
12
Per quanto concerne la gestione delle università, se è vero che essa ha
risentito dell’impostazione napoleonica, non è altrettanto vero che non sia mai
stata nella storia difforme da questa. Le modalità di gestione, infatti, hanno subito
col tempo notevoli variazioni dovute principalmente ai diversi gradi di autonomia
che l’istituzione universitaria ha visto concedersi nei suoi 916 anni di storia.
Di autonomia si parla la prima volta nel 1158 quando Federico I promulga
la Costitutio Habita; con essa l’università diventa per legge un luogo in cui la
ricerca si sviluppa indipendentemente da ogni altro potere. L’impostazione
napoleonica, poi, ha centralizzato il sistema di governo fino ad arrivare alla spinta
autonomista degli ultimi anni.
Le norme che attualmente regolano l’autonomia delle università, sia dal
punto di vista didattico che da una prospettiva organizzativa-gestionale, sono
molteplici.
La prima legge di particolare rilievo è la 168/89TP
5
PT, che istituisce il ministero
dell'Università e della Ricerca scientifica e tecnologica (MURST), sottraendo alla
Direzione per l’istruzione universitaria del ministero della Pubblica Istruzione le
competenze che le erano state proprie per oltre un secolo.
Al fine della nostra trattazione sono particolarmente importanti gli articoli
6 TP
6
PT e 16TP
7
PT. Il comma 1 dell’art. 6 richiama esplicitamente l’articolo 33 della
Costituzione, dandone attuazione e riconoscendo agli atenei autonomia didattica,
scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, consentendo loro di darsi
ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti. I comma 5 e 9 sottolineano
rispettivamente come «Le università debbano provvedere direttamente
all’istituzione, organizzazione e funzionamento delle strutture didattiche, di
ricerca e di servizio, anche per quanto concerne i connessi aspetti amministrativi,
finanziari e di gestione» e «Gli statuti e i regolamenti di ateneo sono deliberati
dagli organi competenti. Essi sono trasmessi al MinistroTP
8
PT che, entro il termine
perentorio di sessanta giorni, esercita il controllo di legittimità e di merito nella
TP
5
PT Legge 9 maggio 1989, n.168: Istituzione del ministero dell’università e della ricerca scientifica e
tecnologica.
TP
6
PT Legge 9 maggio 1989, n.168, Autonomia delle università, cit., art. 6.
TP
7
PT Legge 9 maggio 1989, n.168, Disposizioni transitorie e finali in materia di università, cit., art.16.
TP
8
PT Con Ministro si intende il Ministro dell’istruzione, università e ricerca.
13
forma della richiesta motivata di riesame. In assenza di rilievi essi sono emanati
dal rettore».
L’ultimo aspetto rilevante della legge 168/89, ai fini di questa trattazione,
risiede nell’art. 16 che al comma 4 specifica cosa gli statuti devono comunque
prevedere.
Tra le varie voci si sottolinea:
- l’elettività del rettore;
- una composizione del senato accademico rappresentativa delle
facoltà istituite nell’ateneo;
- una composizione del consiglio di amministrazione che assicuri la
rappresentanza delle diverse componenti.
Successivamente viene emanata la legge 341/90TP
9
PT. Significativa soprattutto
per l'introduzione della tripartizione degli studi universitari: alla laurea ed al
dottorato di ricerca si affianca il diploma universitario (conseguibile attraverso un
ciclo di istruzione breve, biennale o triennale, che consente in linea di principio il
trasferimento al corso di laurea).
L’impostazione del legislatore prevede dunque tipologie di corsi “in
parallelo”: gli studenti possono scegliere tra corsi con diverso valore legale e di
diversa durata. Tale legge introduce anche la soppressione, per tutti i nuovi
vincitori di concorso, della titolarità delle cattedre; la concessione di autonomia
regolamentare sulla didattica alle università (pur mantenendo fermi gli
ordinamenti didattici nazionali); la possibilità di inserire i crediti didattici;
l’istituzione formale delle attività di tutorato.
La legge 390/91TP
10
PT riformando il diritto allo studio universitario, abolisce le
“Opere universitarie” istituendo borse di studio per i capaci ed i meritevoli privi di
mezzi.
TP
9
PT Legge 19 novembre 1990, n. 341: Riforma degli ordinamenti didattici universitari.
TP
10
PT Legge 2 dicembre 1991, n. 390: Norme sul diritto agli studi universitari.
14
La legge, inoltre, effettua una ripartizione delle diverse responsabilità in
materia di diritto allo studio universitario tra i diversi soggetti coinvolti:
a) università;
b) regioni;
c) stato.
e demanda l’attuazione della politica di diritto allo studio alle regioni ed alle
istituzioni universitarie.
La legge 537/93TP
11
PT sancisce la responsabilizzazione finanziaria delle
università mediante l’introduzione di un finanziamento di tipo lump sum: lo stato
eroga alle istituzioni universitarie un fondo suddiviso in varie voci, all’interno
delle quali sono i singoli atenei a decidere come allocare le risorse ottenute (le
quali derivano, per la maggior parte, dalla spesa pubblica). Si lascia, inoltre,
autonomia nello stabilire l’ammontare delle tasse d’iscrizione all’interno di una
soglia minima definita. Tale legge assume particolare rilevanza anche perché
istituisce l’Osservatorio per la valutazione del sistema nazionale universitario.
La legge 549/95TP
12
PT delega alle università le decisioni concernenti la
composizione del personale.
La legge 662/96TP
13
PT attribuisce al Ministro dell’Università il potere di
separare organicamente le università che abbiano superato il tetto dei 40 mila
iscritti.
L'attuazione del disegno autonomista previsto da queste leggi prosegue fra
molte difficoltà e resistenze. A tal proposito si deve sottolineare l’importanza
delle norme contenute nelle leggi finanziarie per il 1994 e il 1996, che sanciscono
rispettivamente l'autonomia finanziaria (o budgetaria), e quella per la gestione del
personale (si abolisce la pianta organica nazionale del personale universitario).
Dal 1996 al 2003 si rintracciano le tappe normative della riforma
universitaria.
La legge delega 59/97TP
14
PT delegifera alcune importanti materie attribuendo al
governo, tra le altre cose, la ristrutturazione del sistema della ricerca scientifica, lo
TP
11
PT Legge 24 dicembre 1993, n. 537: Interventi correttivi di finanza pubblica, art. 5 comma 1, 3, 22.
TP
12
PT Legge 28 dicembre 1995, n. 549: Misure di razionalizzazione della finanza pubblica, art. 1
comma 31.
TP
13
PT Legge 23 dicembre 1996, n. 662: Misure di razionalizzazione della finanza pubblica, art. 1
comma 90.
15
sviluppo e la programmazione del sistema universitario, l’istituzione del Consiglio
nazionale degli studenti universitari (CNSU), gli interventi per il diritto allo
studio.
La legge 127/97TP
15
PT modifica la disciplina dei curricula didattici, stabilendo
che l’ordinamento dei corsi di diploma, di laurea, e delle scuole di
specializzazione sia disciplinato dagli atenei nel rispetto della normativa vigenteTP
16
PT.
La legge determina altresì la nuova composizione del CUN e le relative
competenze.
Nel febbraio del 1997 viene costituita la Commissione ministeriale di
studio coordinata dal prof. Guido Martinotti, incaricata di formulare proposte per
l’attuazione dell’autonomia didattica. Nel dicembre 1997 viene reso pubblico il
rapporto finale della Commissione, intitolato “Autonomia didattica e innovazione
dei corsi di studio a livello universitario e post-universitario”. Nella seconda parte
del rapporto vengono elencati gli strumenti da attivare contestualmente per
effettuare la riforma e le caratteristiche che dovrebbe presentare il sistema al
termine del processo riformista:
- Maggiore attenzione alle esigenze degli studenti nella definizione dei
nuovi progetti;
- Differenziazione competitiva tra gli atenei sotto forma di incentivi alla
trasparenza e di diffusione delle informazioni;
- Flessibilità curricolare;
- Mobilità delle risorse umane;
- Accreditamento dei corsi di studio;
- Adozione del sistema dei crediti;
- Variazione nell’impostazione normativa. É consentito tutto ciò che non è
vietato esplicitamente, si introduce l’importanza dell’innovazione dal
basso del sistema;
TP
14
PT Legge 15 marzo 1997, n. 59: Delega al governo per il conferimento di funzioni e compiti alle
regioni ed enti locali per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione
amministrativa, art. 18.
TP
15
PT Legge 15 maggio 1997, n. 127: Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e
dei procedimenti di decisione e di controllo, artt. 95 e ss.
TP
16
PT Legge 15 maggio 1997, n. 127: Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e
dei procedimenti di decisione e di controllo, art. 17 comma 95.
16
- Adozione di sistemi di valutazione.
Il rapporto si conclude con una esplicita attenzione alle “Conoscenze per il
governo del sistema”, in cui si sottolinea come si debba porre attenzione a:
- Struttura e andamento dell'occupazione, tenendo conto delle caratteristiche
formative degli occupati;
- Condizione lavorativo/professionale delle persone che hanno abbandonato
gli studi universitari;
- Pluralità dell’offerta formativa ed eliminazione del concetto di studenti
fuori-corso, sostituito dalla formazione continua;
- Impegno formativo da parte del sistema aziendale;
- Comparazione internazionale su argomenti specifici.
La legge 210/98TP
17
PT detta nuove norme per il reclutamento dei docenti
universitari di ruolo e dei ricercatori.
Il provvedimento che ha dato completamento al processo riformatore è il
Decreto Ministeriale n. 509 del 1999. Esso rappresenta, infatti, il regolamento
quadro del nuovo assetto didattico del sistema universitario, cui le singole
università devono adeguarsi nelle predisposizioni delle proprie offerte formative.
Come afferma l’articolo 2 del decreto ministeriale: «il “Regolamento recante
norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei” detta disposizioni
concernenti i criteri generali per l’ordinamento degli studi universitari e determina
la tipologia dei titoli di studio rilasciati dalle università. Ai fini della realizzazione
dell’autonomia didattica […], le università, con le procedure previste dalla legge e
dagli statuti, disciplinano gli ordinamenti didattici dei propri corsi di studio in
conformità con le disposizioni del presente regolamento e di successivi decreti
ministeriali».
TP
17
PT Legge 3 luglio 1998, n. 210: Norme per il reclutamento dei ricercatori e dei professori
universitari di ruolo.
17
Vengono così introdotti:
- tre livelli di studi universitari, ribaditi dalla dichiarazione congiunta
su “Lo spazio europeo dell’istruzione superiore” firmata da tutti i
ministri europei a Bologna nel 1999;
- il raggruppamento delle discipline in classi, effettuato tramite i
successivi decreti attuativi ;
- i crediti formativi universitari (CFU).
1.2 Le spinte esogene
1.2.1 Il quadro internazionale
La principale spinta esogena è dovuta alla transizione dall’istruzione
d’élite a quella di massa, definita da Martin Trow [1974]. Trow classifica tre fasi
successive di tale transizione, definendo:
- sistema d’élite quello in cui meno del 15% della coorte degli
studenti potenziali frequenta gli istituti di educazione terziaria;
- educazione di massa quando il tasso di iscrizioni si situa tra il 15 e
il 35% della coorte in età;
- accesso generalizzato quando le immatricolazioni effettive
superano il 35% delle immatricolazioni potenziali.
Tuttavia, l’aumento della coorte di iscritti alle università non poteva essere
considerato il solo segnale di transizione dall’istruzione d’élite all’istruzione di
massa. Alle istituzioni di istruzione terziaria, infatti, si domandava anche di
ampliare i propri obiettivi, diversificare le strutture e attrarre studenti da segmenti
sempre più diversificati della popolazione.
Prima della Seconda Guerra Mondiale gli atenei erano di dimensioni
relativamente ridotte, molto selettivi, mirati alla preparazione della classe
dirigente politica e professionale del tempo ed offrivano dunque un’istruzione
terziaria d’élite. Le istituzioni terziarie per fornire un’istruzione superiore di
18
massa, avrebbero dovuto preparare i giovani a una grande varietà di professioni
nuove o in espansione in campo sia tecnico, che professionale e manageriale
[Trow, 1976].
L’esperienza europea non è dissimile da quella descritta da Trow per gli
Stati Uniti. Anche nel nostro continente, infatti, nella prima parte del secolo si è
conquistato un livello di istruzione primaria per tutti e nella seconda parte si è
cercato di raggiungere un livello di istruzione secondaria generalizzata.
Per quanto riguarda le iscrizioni all’università l’incremento è stato
graduale a partire dagli anni cinquanta, negli ultimi due decenni del secolo si è
assistito, poi, ad una decisa impennata verso tassi più alti (in media del 25% con
punte del 30-40% in Finlandia, Paesi Bassi, Norvegia, Nuova Zelanda, Regno
Unito e USA).
1.2.2 Il caso italiano
In Italia l’evoluzione del sistema universitario ricalca la crescita descritta
per i Paesi occidentali nel loro complesso. All’inizio degli anni Trenta (1931/32)
gli studenti iscritti alle università italiane erano 47.614TP
18
PT, dieci anni dopo
(1941/42) erano saliti a 145.793.
Il numero di iscritti all'università aumenta ogni anno, anche durante la
seconda guerra mondiale, fino all'anno accademico 1951/52, che fa registrare
226.543 iscritti. Dall'anno successivo fino al 1956/57 il numero di iscritti rimane
pressoché costante.
Tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta si ha un
boom di iscrizioni, che non si arresterà fino alla fine degli anni Settanta.
In un decennio (1957/58-1965/66) gli iscritti raddoppiano, passando da
220.000 a 405.000. Nel 1969 la legge liberalizzò gli accessi a tutte le facoltà
universitarie indipendentemente dalla maturità conseguita e questo diede un
ulteriore forte impulso alle immatricolazioni. Nel periodo 1966/67-1977/78 ogni
anno gli iscritti aumentano di circa 40-50 mila unitàTP
19
PT. Si passa dai 456.000 del
1966/67 al milione di iscritti del 1977/78, cifra che resta pressoché costante fino
TP
18
PT I dati fino al 1960 sono ricavati dalla documentazione CRUI [2001].
TP
19
PT Dati ricavati da informazioni MIUR-URST.