4
assicuratori pratichino verso i clienti condizioni troppo
favorevoli e concedano copertura con eccessiva facilit�.
Questa condotta porterebbe ad un sistematico favore delle
imprese per l�assicurazione rispetto alla prevenzione e, in
generale, ad una tendenza a identificare il risk management
con la gestione delle polizze assicurative.
In ogni modo, rimane comune speranza che nei prossimi anni
il settore dell�assicurazione e del risk management possa
essere toccato da un profondo rinnovamento. Infatti resistono
in questo campo, sia presso gli operatori assicurativi, sia
presso le imprese clienti , logiche di gestione superate e
inadeguate rispetto alla rapida evoluzione delle problematiche
legate ai rischi. I pericoli determinati dal mutamento
tecnologico, le responsabilit� introdotte dalla nuova normativa,
i cambiamenti nel mercato assicurativo generati dalle direttive
comunitarie, sono alcune voci di un lungo elenco di fenomeni
che impongono la maturazione di nuove condotte. Questa
evoluzione per l�Italia non rappresenterebbe altro che un
adeguamento alla prassi corrente delle nazioni pi� avanzate. Il
5
mondo anglosassone, e in particolare gli Stati Uniti, ha inserito
da tempo il risk management fra le tecniche manageriali d�uso
comune nella maggioranza delle imprese e in molte
organizzazioni non-profit. Ma in Italia, come in altri paesi non
arretrati (ad esempio il Giappone), questa metodologia � poco
conosciuta e poco utilizzata: sembra perci� lecito, in relazione
al contesto nazionale, parlare del risk management come di
qualcosa che debba essere ancora concretamente realizzato,
come di una vera e propria innovazione che attende di essere
trasfusa nella realt� viva delle aziende.
6
CAPITOLO PRIMO
IL RISK MANAGEMENT
1.1 La gestione del rischio nelle attivit� finanziarie
Oggi la gestione dei rischi ha assunto maggiore importanza
nelle attivit� di management di ogni azienda, sia per la
globalizzazione dei mercati finanziari, sia perch� la
concorrenza tra gli operatori � cresciuta notevolmente. Si pensi
che alcune delle pi� grandi entit� finanziarie e industriali
(Orange County, Barings, Showa Shell)
1
hanno perso miliardi
di dollari sui mercati finanziari perch� l�alta direzione, ha
esercitato un monitoraggio insufficiente sulla esposizione ai
vari tipi di rischi ( tab. 1.1).
1
Si veda il sito www.polyhedron.it
7
Non esiste una sola accezione di risk management, ma diverse.
Ad esempio all�interno di un�impresa, il risk management pu�
interessare la gestione finanziaria (� il caso pi� frequente),
quella operativa, o anche assurgere a funzioni di importanza
strategica.
Tab. 1.1- Esempi di recenti perdite/fallimenti (resi pubblici)
ENTE ANNO PERDITE TIPO DI RISCHIO
Metalgesellschaft 1993 70 milioni US$ rischio di credito, rischio di liquidazione
SalamonBrothers 1994 364 milioni US$ Rischio di mercato
Orange County 1994 2 miliardi US$ Rischio di mercato
Barings 1995 2 miliardi US$ Rischio operativo, rischio di mercato
Daiwa 1995 1,1 miliardi US$ Rischio operativo, rischio di mercato
Sumitomo 1996 2,6 miliardiUS$ Rischio operativo, rischio di mercato
Fonte: Manuale di Risk Management, KPMG (Edibank,1997)
Esso interessa portafogli, comprendenti strumenti finanziari
e/o attivit� di imprese illiquide, e strutturalmente esposti ai s.d.
fattori di rischio.
Tentando di dare una definizione generale, il risk management
consiste nell�identificazione dei fattori di rischio rilevanti, nel
loro monitoraggio, e nella modificazione della posizione
8
espositiva, mediante operazioni per il loro stesso trasferimento
sui mercati finanziari ed assicurativi o, meno frequentemente,
mediante interventi correttivi sulle esposizioni originarie.
Questa definizione generale pu� essere applicata a vari
soggetti, di natura sia finanziaria, che non finanziaria.
Nell�attivit� di intermediazione finanziaria (quella che pi�
interessa) possiamo distinguere due livelli di risk management:
• il micromanagement , riguarda una linea di prodotto, o una
posizione omogenea in strumenti finanziari; esige la piena
conoscenza del comportamento di ogni tipo di prodotto
finanziario trattato in funzione del tempo, e dei movimenti
di mercato, e la capacit� di pensare a tutti i fattori in gioco
in modo unitario; interessa l�attivit� di market making in
strumenti finanziari, le varie forme di trading e i rischi di
mercato negoziabili.
• Il macromanagement, o risk management integrato invece,
riguarda un insieme di posizioni eterogenee. Esso si basa in
prevalenza su conoscenze teoriche o quantitative dei
mercati finanziari. Tale attivit� pu� essere svolta a vari
9
livelli; ad esempio, pu� interessare il desk operativo, il
trading departement, o l�intera impresa finanziaria. Ai vari
livelli comunque, le metodologie di misurazione e
valutazione sostanzialmente non cambiano, e si basano su
concetti universali come il valore a rischio (VaR, Value at
Risk secondo l�indicazione anglosassone).
Per quanto riguarda invece le imprese non finanziarie, la
gestione dei rischi finanziari riflette l�ottica degli utenti finali,
e svolge un ruolo di supporto al �core business�, mentre nel
caso precedente esisteva un legame inscindibile tra le due sfere
di attivit�. Pi� in particolare, le banche e tutti gli operatori
finanziari in generale si stanno sempre pi� dotando di
sofisticati strumenti per la misurazione e la gestione dei rischi
finanziari.
Attraverso le tecniche di ALM
2
(Asset & Liability
Management) � cosi oggi possibile determinare le esposizioni
complessive, mentre le metodologie VaR (Value at Risk) ci
2
Viene definito con ALM quell�insieme di metodologie, strumenti, regole e procedure
organizzative finalizzate alla misurazione e al monitoraggio delle posizioni attive e
passive in bilancio e fuori bilancio per l�ottimizzazione del profilo di rischio/rendimento
della banca.
10
permettono di tenere costantemente sotto controllo, la massima
perdita possibile, in un determinato intervallo di tempo. Gli
operatori allora riescono cosi sempre pi� ad investire i loro
capitali in modo efficiente, e cio� tenendo sotto controllo il
rapporto rischio/ rendimento desiderato.
Quella che si sta percorrendo, come vedremo nel prossimo
paragrafo, deve ritenersi oramai una strada obbligata, da
quando nel 1988, sono diventati obbligatori i requisiti
patrimoniali sui rischi finanziari definiti dal Comitato di
Basilea. Ci� obbliga gli investitori finanziari ad una vera e
propria rivoluzione, innanzitutto culturale ed organizzativa.
L�adozione delle metodologie del risk management cosi, � un
processo complesso e correlato a diversi fattori, tra cui �
particolarmente importante la gestione dei rischi in modo
integrato tra loro, e con la redditivit� aziendale. Ci� � possibile
solo se preliminarmente si identificano, si definiscono, e si
misurano tutti i rischi finanziari, in modo da poterli in ogni
momento gestire e scambiare in modo controllato e
consapevole.
11
Le aziende finanziarie dovranno allora attribuire sempre
maggiore importanza ai fattori di redditivit� tipici dell�attivit�
di intermediazione finanziaria e ai relativi rischi.
12
1.2 Requisiti patrimoniali sui rischi finanziari definiti
dal Comitato di Basilea.
Le banche sono imprese intrinsecamente destinate a convivere
con il rischio, perch� ricevono denaro dalle famiglie
impegnandosi a restituirlo indipendentemente dall�andamento
dei propri investimenti. Per essere ragionevolmente certe di
onorare i propri impegni (nonostante possibili riduzioni nel
valore dei loro attivi), le banche detengono un adeguato
ammontare di capitale proprio; un simile cuscinetto
patrimoniale fa si che eventuali minusvalenze si scarichino
sugli azionisti della banca senza pregiudicare i diritti dei
creditori e dei piccoli depositanti. Per questo motivo, sussiste
una correlazione tra l�ammontare di rischi impliciti nell�attivo
di una banca e il livello di capitale sotto il quale non �
prudente spingersi: � naturale che i due aggregati crescano
insieme, ed � assolutamente ragionevole che le autorit� che
13
vigilano sulle istituzioni finanziarie, in tutto il mondo,
stabiliscono regole per imporre requisiti patrimoniali minimi in
funzione degli attivi bancari.
Attualmente esistono due grandi tipologie di rischio che
danno luogo a requisiti di capitale obbligatorio: il rischio di
credito e il rischio di mercato. I requisiti sul rischio di credito
riguardano la totalit� dei prestiti erogati dalla banca; quelli sul
rischio di mercato si concentrano, principalmente, sui titoli
detenuti ai fini di trading (escludendo quelli acquistati con
finalit� di investimento di lungo periodo, e trascurando inoltre
tutto il rischio di tasso derivante da depositi, obbligazioni e
prestiti). Sul rischio di credito (quello che interessa di pi� per
il nostro lavoro) � intervenuto, storicamente, il primo nucleo
di requisiti patrimoniali obbligatori introdotti nel 1988 dal
Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, istituito presso
la Banca dei Regolamenti Internazionali ( nel cosiddetto
�protocollo di Basilea�). Il Comitato di Basilea, istituito alla
fine del 1974, � composto dai governatori delle banche centrali
14
dei Paesi del Gruppo dei Dieci
3
.Il Comitato � l�organismo
attraverso il quale le autorit� di vigilanza bancaria dei Paesi
del Gruppo dei Dieci concordano principi comuni per
l�esercizio della funzione di controllo sulle banche.
All�accordo di Basilea del 1988 ( primo documento rilevante
in materia di risk management, nel quale vengono fissati i
vincoli patrimoniali che le banche devono rispettare a fonte
della propria esposizione al rischio di credito), sono succedute
altre pi� dettagliate e articolate regolamentazioni finalizzate
alla gestione del rischio. Infatti negli ultimi documenti
ufficiali resi noti da Comitato di Basilea viene anche ammessa
la possibilit� per le banche di adottare un modello interno di
risk management basato sul valore a rischio , le banche quindi
hanno acquisito la facolt� di calcolare i propri requisiti
patrimoniali mediante metodologie interne piuttosto che
attraverso l�applicazione del metodo standard definito
dall�accordo di Basilea del 1988.
3
Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Olanda, Svezia, Svizzera, UK e
USA pi� Lussemburgo.
15
Tuttavia, la normativa dell�accordo del 1988 ha evidenziato,
negli anni, un elevato tasso di obsolescenza, suscitando
numerose critiche e richieste di revisione
4
. Nel giugno del
1999 proprio il Comitato di Basilea ha diffuso una bozza per
discussione contenente alcune significative proposte di
modifica dei requisiti attuali ; nel documento, cosi come in
una analoga proposta della Commissione europea, sono
presenti anche riferimenti ad altre tipologie di rischio, quali di
tasso e quello operativo .
Il protocollo di Basilea del 1988, successivamente recepito da
norme comunitarie e nazionali tuttora in vigore, si riproponeva
di favorire una crescita dei livelli di patrimonializzazione dei
principali sistemi creditizi; l�obiettivo appare nel complesso
raggiunto, se si considera che tra il 1988 e il 1996 l�incidenza
del capitale sull�attivo ponderato � passata, nei paesi del G-10,
dal 9% a oltre l�11%.
Inoltre l�accordo, in pi� di dieci anni di applicazione, ha
promosso il rafforzamento della solidit� e della stabilit� del
4
Cfr. ad es. Carosio (1999), Desario (1999)
16
sistema bancario internazionale, determinando un sensibile
miglioramento del grado di solvibilit�, in particolare negli anni
successivi alla sua definizione, ha contribuito a creare
condizioni di sostanziale parit� concorrenziale nel mercato
bancario internazionale. Di certo, tuttavia, l�accordo del 1988
ha portato con s� anche effetti collaterali indesiderabili. Il suo
principale limite, in sostanza, � rappresentato dal ricorso a
regole estremamente semplificate: ci� ne ha favorito
l�adozione da parte di oltre 100 Paesi al mondo, ma non gli ha
consentito di dar conto in modo sufficientemente realistico dei
rischi legati all�attivit� creditizia. In particolare il protocollo
imponeva alle banche di accantonare otto lire di capitale per
ogni cento lire di prestiti a clientela privata.
In altri termini, con l�eccezione dei mutui assistiti da ipoteca
su immobili adibiti ad abitazione, tutte le operazioni venivano
(e vengono) giudicate egualmente rischiose.
Poich� i requisiti di capitale sono identici per qualunque
cliente, questa regola potrebbe aver indotto qualche banca a
privilegiare le controparti pi� redditizie, dunque le pi�
17
rischiose: e un accordo nato per limitare i rischi potrebbe,
paradossalmente, aver stimolato i banchieri ad assumere
comportamenti pi� temerari
5
.
Altri limiti del precedente accordo possono essere cosi
sintetizzati:
• la mancata considerazione della struttura per scadenza del
rischio di credito, ossia del maggior grado di rischio
connesso alle esposizioni caratterizzate da maggior vita
residua;
• la mancata considerazione degli effetti della
diversificazione del portafoglio, per cui lo stesso requisito
patrimoniale viene imposto a banche che, a parit� di altre
condizioni, presentano un portafoglio di esposizioni
creditizie pi� o meno concentrato;
• la mancata considerazione degli effetti di compensazione
generati dalla negoziazione di strumenti di copertura dal
rischio di credito come i derivati creditizi.
5
Si tratta di un pericolo evidenziato da tempo da studiosi e practitioneres: cfr. ad es.