8
terapia;
b) dal punto di vista della salute pubblica, vi è un'aumentata consapevolezza dei
rischi connessi allo sviluppo tecnologico e quindi anche all'esposizione a campi
elettromagnetici generati per esempio da linee elettriche ad alta tensione, video
terminali, apparecchiature diagnostiche, elettrodomestici, telefoni cellulari, ecc.;
c) l'argomento viene sempre più affrontato sul piano sperimentale con studi su
modelli cellulari e molecolari, così che cominciano ad emergere alcune possibili
spiegazioni degli effetti biologici di campi magnetici di bassa energia.
Questi argomenti sono qui di seguito brevemente illustrati, come contributo ad una
migliore comprensione dell'emergente paradigma biofisico in medicina e quindi
della possibile relazione tra fenomeni elettromagnetici e diagnostica
elettrodinamica.
Da questo punto di vista, le interazioni elettromagnetiche sono tipicamente a lungo
raggio e quindi sono forme di "connessione informazionale" che, una volta
registrate a livello cutaneo e decodificate, forniscono informazioni sulle dinamiche
globali di organi e dell'intero organismo. Vanno quindi guardate con attenzione
quelle nuove strumentazioni di diagnostica funzionale che paiono offrire la
possibilità di cogliere informazioni sulla dinamica dell'organismo nel suo insieme
e nella sua relazione col mondo esterno.
Anche in questo caso è opportuno sottolineare che la trattazione non ha la pretesa
della sistematicità, bensì costituisce un tentativo di mettere a confronto, in una
prospettiva sintetica, molte diverse problematiche altrimenti ritenute dominio di
settori specializzati oppure, dall'altra parte, di pratiche mediche considerate
"alternative" in quanto basate su fenomeni ancora poco chiari sul piano scientifico.
Allo scopo di rendere più facilmente comprensibili i concetti fondamentali usati in
bioelettromagnetismo e le evidenze sperimentali in seguito riportate, è opportuno
far breve riferimento alla terminologia ed alle unità di misura utilizzate.
9
Il campo elettromagnetico
Lo spazio occupato dalla materia vivente è ricco di campi elettromagnetici, dovuti
alla sovrapposizione di campi elettrici e magnetici. Il campo elettrico ed il campo
magnetico sono in stretta relazione, secondo la legge di induzione di Faraday.
Quando un campo magnetico pulsato è applicato a un materiale elettroconduttivo
(qual è anche la materia vivente), è indotto un campo elettrico perpendicolare alla
direzione (vettore) del campo magnetico. Tale campo elettrico dipende ovviamente
dalla superficie dell'area interessata ed è di intensità proporzionale alla frequenza
del campo magnetico ed alla sua intensità.
Un campo elettromagnetico è caratterizzato da una frequenza e da una intensità.
L'intensità del campo elettrico è data dal potenziale elettrico lungo un dato spazio e
si esprime in volt/metro (V/m) o millivolt/centimetro (mV/cm). Quando un sistema
biologico è esposto a un campo elettrico, le cariche mobili si spostano nella
direzione indotta dal campo stesso, formando quindi una corrente, che si misura in
ampere (A) o suoi sottomultipli. In riferimento a una certa area del tessuto o
dell'organo percorso dalle cariche elettriche, si ha una certa densità (J) della
corrente stessa, che si misura in ampere/metro quadro (A/m2) o in microA/cm2.
L'intensità del campo magnetico si misura in gauss (G) o, più modernamente, in
tesla (T) e suoi sottomultipli (1T = 10
4
G). Per avere due termini di paragone,
l'intensità del campo magnetico terrestre è dell'ordine di 0.02 - 0.07 mT (0.2 - 0.7
G), mentre quella utilizzata nella diagnostica tramite risonanza magnetica è
dell'ordine di 0.1 - 3 T [Walleczek, 1992].
Le onde elettromagnetiche sono usate, come è noto, nel caso delle
telecomunicazioni, quali vettrici di informazione. A questo scopo è usata un'onda
"portante" con una frequenza scelta in un intervallo molto ampio a seconda dei
sistemi di trasmissione e ricezione. Tale onda portante viene modulata in modo
specifico per l'informazione da veicolare, con modulazione di fase o modulazione
di ampiezza). In tal modo, un apparecchio sintonizzato sull'onda portante può
percepire la modulazione e, decodificandola, l'informazione che è in essa
contenuta.
10
Vi sono molte fonti naturali di campi elettromagnetici deboli: le fonti esterne
all'organismo sono, ad esempio, il campo magnetico terrestre (che è sfruttato da
alcuni uccelli, pesci e delfini per orientarsi), le radiazioni provenienti da stelle che
emettono radiofrequenze, lo stesso sole (soprattutto in certe fasi della sua attività)
[Konig, 1989], le onde irradiate da sistemi di telecomunicazioni, radar e linee
elettriche.
Le fonti interne all'organismo stesso sono molteplici e vanno dall'attività elettrica
di nervi e muscoli, ai campi elettrici generati da alcuni pesci ed altri organismi
marini (usati a scopo di riconoscimento nell'oscurità e di difesa), alla produzione di
radiazione luminosa da parte di cellule quali quelle leucocitarie
(chemiluminescenza) e di molti sistemi biologici durante attività metaboliche e
proliferative [Cheson et al., 1976; Slawinski et al., 1992; van Wijk and van Aken,
1992; Mei, 1994].
L'elettroencefalogramma e l'elettrocardiogramma non sono altro che due metodi di
rilevazione dell'attività elettrica endogena del cuore (ECG) e di centri nervosi
(EEG). Attività elettrica si genera anche nell'osso quando viene deformato, e che
può essere definita piezoelettrica, e pare essere importante per dirigere la crescita
delle trabecole ossee lungo le linee di forza. In realtà, uno dei primi impieghi
clinici dei campi magnetici deboli è stato proprio la induzione della riparazione
dell'osso [Bassett et al., 1974; Chiabrera et al., 1984].
È stato dimostrato che molti tessuti umani sono piezoelettrici, in quanto composti
da strutture di molecole aggregate il cui vettore integrato ha un momento
magnetico (a-eliche, microtubuli, lo stesso DNA) [Jacobson, 1992; Jacobson
1996]. In altre parole, oscillazioni elettromagnetiche agenti su queste strutture sono
convertite in vibrazioni meccaniche nelle stesse strutture, e viceversa. Sulla base
del concetto di piezoelettricità biologica, ogni interazione biochimica potrebbe
essere associata a un concomitante ri-orientamento del campo elettromagnetico
[Adey, 1988].
11
Sensibilità degli esseri viventi ai campi elettromagnetici
Gli organismi animali hanno sviluppato sensibilità notevolissime per le onde
elettromagnetiche [Goodman et al., 1995]. Per restare nel campo più ovvio, si può
pensare alla sensibilità dell'occhio alla luce, che lo mette in grado di segnalare
pochi fotoni.
Gli effetti di campi elettromagnetici non ionizzanti sull'organismo umano possono
essere sia di tipo patologico che utili a scopo terapeutico. Per quanto riguarda gli
effetti dannosi più studiati, ci si deve riferire sostanzialmente agli studi che
sembrano dimostrare un aumento di alcune neoplasie in soggetti esposti [Pool,
1990]. L'argomento è molto discusso ed i dati epidemiologici sono stati confermati
solo per quanto riguarda alcuni tumori (leucemie) nell'infanzia. Per quanto
riguarda gli impieghi a scopo terapeutico, quelli più largamente usati sono la
stimolazione elettromagnetica dell'osteogenesi, nei casi di pseudoartrosi e ritardi di
consolidamento di fratture [Chiabrera et al., 1984] ed il trattamento del dolore
[Paccagnella et al., 1985].
Gli esperimenti di C.W. Smith e Monro [Smith et al., 1985; Monro, 1987; Smith,
1988; Smith, 1989; Smith, 1994a] permettono di illustrare il concetto di
"sensibilità" a minime perturbazioni del campo elettromagnetico. Gli autori hanno
riportato una serie di esperienze fatte in collaborazione con allergologi del Lister
Hospital di Londra, nelle quali si riusciva ad indurre manifestazioni allergiche in
pazienti affetti da ipersensibilità immediata verso molte sostanze, semplicemente
avvicinando loro sorgenti di radiazioni elettromagnetiche. Le manifestazioni
allergiche potevano comparire rapidamente a particolari bande di frequenze che
variavano, a seconda dei pazienti, da pochi Hz a molti MHz. Non era tanto
importante l'intensità d'uscita dell'oscillatore (pochi V/m), quanto la frequenza e la
sua coerenza.
È curioso il fatto che gli autori non solo hanno dimostrato di poter scatenare
attacchi allergici con onde elettromagnetiche, ma anche che i pazienti sensibili a
questo tipo di stimolazione producono essi stessi segnali elettromagnetici durante
gli attacchi di allergia, anche se provocati chimicamente. Simili emissioni
12
potevano essere documentate mediante l'interferenza con la registrazione di nastri
magnetici e persino, in alcuni casi, con effetti di disturbo sul funzionamento di
apparati elettronici quali i computer. Si tratta, secondo Smith [Smith, 1988], di
fenomeni elettrofisiologici molto simili a quelli ben noti in molte specie di pesci.
È stato dimostrato che alcune specie di pesci sono capaci di sentire e di rispondere
a campi elettrici di intensità di 0.000001 V/m [Bullock, 1977], che corrispondono
alle più marcate sensibilità trovate nei soggetti allergici. Sempre secondo Smith,
simili sensibilità potrebbero servire ai pesci per localizzare il cibo a grandi
distanze: infatti è stato visto che cellule viventi, quali ad esempio lieviti, emettono
onde elettromagnetiche nelle radiofrequenze a livelli di circa 0.1 V/m [Smith,
1988; Pollock and Pohl, 1988].
È stato dimostrato chiaramente da Ludwig mediante l'analisi di Fourier [Ludwig,
1993] che i segnali deboli vengono riconosciuti con facilità rispetto al rumore di
fondo se essi presentano un "pattern": i segnali che l'organismo riesce a
riconoscere tra una molteplicità di segnali interferenti sono altamente complessi,
cioè sono composti da diverse bande di frequenza. Infatti il segnale complesso
raggiunge il sistema biologico come una ripetizione di segnali deboli, ma tra loro
correlati in uno schema fisso, ed è proprio la ripetitività di tale schema che
distingue il segnale "vero" dal rumore di fondo.
Le sensibilità osservate in tali processi biologici di modulazione elettromagnetica
sono dell'ordine di 10
-7
V/cm nello spettro E.L.F. (extreme-low frequency); si può
notare, per raffronto, che i fenomeni elettrici responsabili
dell'elettroencefalogramma creano gradienti di 10
-1
-10
-2
V/cm [Adey, 1988].
Inoltre, molte di queste interazioni sono dipendenti dalla frequenza più che dalla
intensità del campo, vale a dire esse compaiono solo in determinate "finestre" di
frequenza, fatto che suggerisce l'esistenza di sistemi di regolazione altamente
sensibili [Weaver and Astumian, 1990; Yost and Liburdy, 1992; Adey, 1993].
Simili sensibilità sono state evidenziate in un ampio spettro di tessuti e cellule,
indicando che si tratta di una proprietà biologica generale caratteristica delle
cellule.
13
Attraverso il doppio strato lipidico delle membrane biologiche, spesso circa 40 A°,
si stabilisce un gradiente elettrico di qualche decina o centinaia di mV, che
significa qualcosa come 10
5
volts/cm. Questo gradiente dovrebbe teoricamente
costituire una efficace barriera elettrica nei confronti di minime perturbazioni quali
quelle date da campi elettromagnetici di bassa frequenza presenti nell'ambiente
extracellulare. In altre parole, l'attività elettrica naturale della membrana
costituirebbe una specie di "rumore di fondo" che impedirebbe la possibilità di
sentire minime variazioni di potenziale.
A ciò si aggiunge l'agitazione termica dovuta alla temperatura corporea, che
dovrebbe disturbare notevolmente i segnali deboli ("thermal noise"). Sorge quindi
il legittimo dubbio se segnali elettromagnetici deboli come quelli sopra descritti
possano avere qualche significato nella comunicazione biologica. Se c'è da
aspettarsi un effetto di un campo elettromagnetico endogeno o applicato
dall'esterno, bisogna che questo campo causi cambiamenti significativamente
superiori a quelli che comunque avvengono casualmente nei sistemi biologici
anche allo stato di riposo (per esempio, continuo aprirsi e chiudersi di canali ionici,
oscillazioni del potenziale di membrana e di molte attività metaboliche, ecc., tutti
processi che sono comunque attivi ad una certa temperatura). Tuttavia, è stato
dimostrato che campi elettromagnetici di diversi ordini di grandezza più deboli del
gradiente di potenziale trans-membrana possono regolare i processi di attivazione
cellulare [Goodman et al., 1995].
Un importante contributo a questo problema si può trovare su un lavoro pubblicato
su Science [Weaver and Astumian, 1990]. Gli autori propongono modelli fisici
secondo i quali le cellule sono considerate come dei rivelatori di campi elettrici
periodici molto deboli, modelli in cui vengono stabilite le relazioni tra la grandezza
della cellula ed i cambiamenti del potenziale di membrana, dovuti sia alle
fluttuazioni indotte dalla temperatura che all'applicazione di campi
elettromagnetici. Nella versione più semplice del modello il calcolo fa stimare
attorno a 10
-3
volt/cm l'intensità del minimo campo a cui le macromolecole di
membrana potrebbero essere sensibili. Tuttavia, se tra i parametri del modello
vengono considerate le "finestre" di frequenze, ovvero la possibilità che certe
14
risposte avvengano solo in una ristretta banda di frequenze, allora l'intensità
teoricamente necessaria e sufficiente risulta vari ordini di grandezza più bassa (10
-6
volts/cm), approssimandosi quindi ai dati derivanti da vari esperimenti su cellule
ed animali.
Tutto ciò suggerisce che si instaurino processi altamente cooperativi, caratterizzati
dal fatto che minime variazioni ripetute cooperino a causare grandi movimenti. È
un effetto analogo a quello che si verifica quando un ponte si mette a oscillare
allorché vi passi sopra un gruppo di persone al passo di marcia, oppure quando un
vetro si spezza per effetto di una risonanza sonora.
15
Fenomeni elettromagnetici cellulari
La maggior parte delle molecole proteiche sono capaci di passare reversibilmente
tra diversi stati conformazionali, a causa di svariate possibilità di combinazione dei
legami idrogeno, dei ponti disolfuro e delle forze idrofobiche. Tali passaggi
avvengono mediante cambiamenti non-lineari, a salti, per superare le barriere
energetiche tra uno stato e l'altro. Le proteine sono quindi strutture dinamiche,
vibranti e vanno incontro a continui movimenti oscillatori delle loro componenti,
oscillazioni che avvengono in scale temporali da femtosecondi (10
-15
s) a molti
minuti. Le vibrazioni più significative nei sistemi biologici sono dell'ordine dei
nanosecondi [Hameroff, 1988]. È molto importante sottolineare il fatto che in
biologia molte proteine (ed anche altre specie chimiche come i lipidi) si trovano
assemblate a gruppi multimerici o polimerici. In tali strutture si verificano molto
facilmente interazioni cooperative, o collettive, cosicché le vibrazioni possono
propagarsi in modi "coerenti" e, in quanto tali, assumere significato biologico-
informazionale [Frohlich, 1988; Del Giudice et al., 1988a; Bistolfi, 1989;
Hameroff, 1997].
La crescita delle fibre nervose è guidata da deboli correnti elettriche [Alberts et al.,
1989]. Infatti quando una fibra nervosa si allunga in coltura, o anche nel tessuto
connettivo, al suo apice si forma una struttura chiamata cono di crescita, che
appare come un centro di espansione di molti lunghi filamenti (filopodi) che
appaiono come digitazioni in continuo lento movimento, effettuando movimenti
ameboidi: alcuni si retraggono, altri si allungano, come esplorando il terreno. Il
movimento assomiglia a quello di un neutrofilo attratto da un fenomeno di
chemiotassi. All'interno dei filopodi si trovano moltissimi filamenti di actina. Allo
spostamento vettoriale netto del cono di crescita in una direzione segue
l'allungamento della fibra nervosa (si calcola ad una velocità di circa 1 mm al
giorno). La direzione del movimento dipende da vari fattori locali, come ad
esempio l'orientamento di fibre della matrice connettivale, lungo le quali avviene
preferenzialmente la crescita, ed anche l'esistenza di specifici sistemi di
riconoscimento di membrana tra cellule adiacenti. Le cellule però sono anche
influenzate potentemente da campi elettromagnetici: i coni di crescita di neuroni in
16
coltura si orientano e si dirigono verso un elettrodo negativo, in presenza di campi
di bassa intensità (70 mV/cm)
Le cellule hanno capacità di recepire ed integrare segnali luminosi, percependo di
essi sia la frequenza che la direzione. Ciò è stato dimostrato mediante speciali
apparecchiature microscopiche a contrasto di fase con luce infrarossa [Albrecht-
Buehler, 1991]. Fibroblasti 3T3 in coltura stendono gli pseudopodi
preferenzialmente verso sorgenti di luce, le più efficaci essendo quelle
nell’intervallo800-900 nm intermittenti con 30-60 impulsi al minuto. Secondo
l'autore di tali sperimentazioni, il recettore cellulare delle radiazioni sarebbe il
centrosoma.
Vi sono evidenze che anche l'attività proliferativa cellulare sia influenzata da
campi elettromagnetici, anche di intensità molto debole (0.2 - 20 mT, 0.02 - 1.0
mV/cm) [Luben et al., 1982; Conti et al., 1983; Bistolfi et al., 1985; Goodman and
Shirley, 1990; Cadossi et al., 1992; Walleczek, 1992].
È importante notare che dai dati della letteratura finora disponibili non è possibile
trarre delle conclusioni definitive sull'effetto positivo o negativo, stimolatore o
inibitore, di campi elettromagnetici deboli su sistemi cellulari o molecolari e
soprattutto sulle dosi e modalità di applicazione [Walleczek, 1992]. Infatti, i
segnali elettromagnetici bioattivi utilizzati variano molto per quanto riguarda
l'intensità, la frequenza, la durata, la forma dell'onda (sinusoidale, quadrata, a dente
di sega, ecc.). Inoltre, l'effetto può dipendere anche dallo stato biologico delle
cellule esposte [Cossarizza et al., 1989; Walleczek and Liburdy, 1990], indicando
che vi sono coinvolti meccanismi di interazione molto complessi fra diversi
fattori.
Secondo Tsong e collaboratori [Tsong, 1989; Liu et al., 1990] le comunicazioni
intercellulari convenzionalmente conosciute, come l'interazione ligando-recettore,
sono processi lenti ed a breve distanza, ma le cellule hanno bisogno anche di
comunicazioni rapide ed a lunga distanza, per cui viene proposto che le varie
reazioni biochimiche, comunque necessarie, siano regolate da forze di natura
17
fisica. Dato che deboli campi elettromagnetici oscillanti sono in grado di stimolare
o sopprimere molte funzioni cellulari e che da un punto di vista termodinamico ciò
è possibile solo se esistono dei meccanismi di amplificazione del segnale, viene
proposto che la membrana cellulare sia un sito di amplificazione.
18
Ruolo della membrana cellulare
La base biologica dell'effetto del campo magnetico sulle cellule è molto complessa
e non può essere analizzata esaustivamente in questa sede. La cellula costituisce un
tipico sistema elettrochimico, con una differenza di potenziale trans-membrana
(interno negativo rispetto all’esterno) e numerosissime proteine dotate di cariche
elettriche di vario segno.
Secondo il modello del mosaico fluido della membrana (modello ancora valido,
almeno nelle generalità) in una ideale cellula a riposo, le proteine sono distribuite
uniformemente sulla membrana, ma, in presenza di un campo elettrico che
l'attraversa, subiscono un'attrazione o repulsione elettroforetica, tendendo a
spostarsi verso i poli che la cellula presenta verso il campo elettrico. Una corrente
di elettroni o di ioni che investe una cellula vi scorre attorno, provocando un
movimento di proteine (elettricamente cariche) in senso contrario. Tali movimenti
sono detti anche dielettroforetici [Pohl, 1978; Pething, 1994].
Il riarrangiamento delle posizioni delle proteine sulla superficie della membrana
non è privo di conseguenze, in quanto favorisce i contatti tra proteine vicine e
rallenta quelli tra proteine lontane [Chiabrera et al., 1984]. Poiché il
funzionamento di recettori e sistemi di trasduzione di membrana dipende da
aggregazioni o almeno contatti di proteine, le conseguenze del campo elettrico
sull'attivazione cellulare sono facilmente immaginabili. Il fenomeno
dell'aggregazione si verifica normalmente in caso di segnale chimico, perché la
molecola segnale può fare un ponte tra due o più recettori, che sono mobili nel
piano della membrana.
Gli esperimenti eseguiti dal gruppo di Tsong indicano che un debole campo
elettrico (20 V/cm), a 3.5 °C, è in grado di attivare la funzione di un importante
sistema della membrana coinvolto nel pompaggio degli ioni, la ATPasi Na
+
/K
+
dipendente. Tuttavia, l'attivazione avviene solo se sono usate specifiche frequenze,
corrispondenti a 1 kHz per il pompaggio del K
+
e 1 MHz per il pompaggio del
Na+. Questi risultati hanno permesso di formulare il concetto di "accoppiamento
19
elettroconformazionale". Questo modello postula che una proteina enzimatica vada
incontro a cambiamenti conformazionali per un'interazione coulombiana con un
campo elettrico (oppure con ogni altro campo di forze oscillante con cui la proteina
può interagire). Quando la frequenza del campo elettrico corrisponde alla
caratteristica cinetica della reazione di variazione conformazionale, viene indotta
una oscillazione fenomenologica tra conformazioni differenti dell'enzima. In
corrispondenza al valore di campo ottimale, le conformazioni così raggiunte sono
funzionali e le oscillazioni sono utilizzate per compiere l'attività richiesta, come ad
esempio il pompaggio di Na
+
e K
+
.