3
In quanto vi siano norme che stabiliscano i presupposti in base ai quali
l’Amministrazione Finanziaria può o deve adottare differenti sistemi per
detta determinazione, si può parlare di diversi “metodi di accertamento”.
L’esistenza di criteri alternativi di accertamento venne consacrata per la prima
volta dalla giurisprudenza, come sarà specificato meglio in seguito, con
riguardo alla determinazione del reddito dei cosiddetti soggetti tassabili in
base al bilancio, per i quali fu sancita la necessità di accertamento analitico
sulla base delle scritture contabili. Questo accadeva nel quadro delle prime
espressioni di legislazione post-unitaria che prevedevano accertamenti
indiziari, induttivi, per medie o classi, nei confronti di tutti i soggetti.
La distinzione che venne così a delinearsi tra metodo induttivo e metodo
analitico e la conseguente problematica dei “presupposti” dei singoli metodi,
ha caratterizzato da allora la legislazione in materia di accertamento,
permanendo anche con la riforma tributaria del 1971/73.
Una breve analisi dei metodi induttivi nella loro evoluzione fino alla grande
riforma degli anni settanta non è quindi priva di significato, soprattutto se si
considera che questa riforma ha prospettato svolgimenti di tendenze già
desumibili dalla precedente normativa. Da questa si prenderà perciò avvio,
prima di esaminare le linee guida dell’ultima riforma tributaria, caratterizzata
dal confinamento dei metodi induttivi ad ipotesi marginali o sanzionatorie, in
un nuovo quadro di esaltazione e valorizzazione del metodo analitico su basi
documentali e contabili.
A seguito della “crisi” di questa nuova impostazione si vaglieranno poi le
prime parziali inversioni di tendenza, a partire dal cosiddetto “pacchetto
Visentini”, per proseguire con tutte quelle disposizioni che fino ad oggi, alla
vigilia di quella che dovrebbe essere la svolta decisiva con gli “studi di
4
settore”, hanno inserito nella normativa, in modo sempre più spinto, la
possibilità di modificare il reddito d’impresa risultante dalle scritture contabili
con presunzioni di ricavi o di redditi, minimi imponibili, forfetizzazioni, ecc..
5
Capitolo Primo
I METODI INDUTTIVI FINO ALLA
GRANDE RIFORMA DEL 1971/73
1. L’imposizione diretta sul reddito d’impresa nelle precedenti normative
Quello che l’attuale normativa denomina “reddito d’impresa”, cioè quello
prodotto dalle attività imprenditoriali indicate nell’art. 2195 del codice civile
e che concorre a formare l’imponibile ai fini dell’Imposta sul reddito delle
persone fisiche o dell’Imposta su reddito delle persone giuridiche, appare
paragonabile al reddito di categoria B dell’abrogata Imposta di ricchezza
mobile. Quest’ultima, come sarà illustrato nei successivi paragrafi, restò in
vigore dai primi anni dell’unità d’Italia fino a tutto il 1973, quando entrò in
vigore l’ultima riforma tributaria.
L’art. 3 del testo unico 24 agosto 1877, n. 4021, che riassunse le norme
emanate nella materia sino ad allora, considerava tra i redditi di ricchezza
mobile “ i redditi derivanti dall’esercizio di industrie e commerci ”. Con
l’art. 1 del R.D. 16 ottobre 1924, n. 1613, ai fini dell’applicazione
dell’imposta, i redditi di ricchezza mobile vennero distinti per categorie,
ponendo alla B quelli “ derivanti dall’impiego di capitale e lavoro
nell’esercizio di attività industriali e commerciali ”.
Infine il testo unico delle imposte dirette approvato con D.P.R. 29 gennaio
1958, n. 645, l’ultimo in vigore prima della riforma, all’art. 81 statuiva che “
presupposto dell’imposta è la produzione di un reddito netto, in denaro o in
natura, continuativo od occasionale, derivante da capitale o da lavoro o dal
concorso di capitale e lavoro... ”, classificando nella categoria B, ai sensi
6
dell’art. 85, i redditi “ alla produzione dei quali concorrono insieme il capitale
ed il lavoro, come quelli derivanti dall’esercizio di imprese commerciali
ovvero di attività commerciali, ai sensi dell’art. 2195 del codice civile ”. Con
l’entrata in vigore della riforma (con i D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, 598
e 600, relativi rispettivamente all’IRPEF, all’IRPEG ed all’accertamento delle
imposte sui redditi), sono state poi espressamente abrogate le norme relative
all’imposta di ricchezza mobile.
Attestata pertanto la continuità delle nuove norme rispetto alla ricchezza
mobile nella tassazione del reddito mobiliare prodotto dalle imprese, si dovrà
pertanto a quest’ultima fare riferimento per analizzare i metodi induttivi nella
loro evoluzione normativa.
7
2. L’imposta di Ricchezza mobile nella legislazione post-unitaria
Il sistema dell’imposta di ricchezza mobile sorse con la legge 14 luglio 1864,
n.1831. Prevedeva un contingente territoriale, cioè l’importo complessivo del
gettito - allora pari a trenta milioni di lire -, ripartito tra le province ed i
comuni con riserva della distribuzione dello stesso tra gli individui
1
. La
ripartizione avveniva ad opera di commissioni espresse dalle comunità locali.
Poiché la determinazione dei singoli imponibili era demandata alle realtà
locali, la legge non stabiliva obblighi in tema di contabilità o di tenuta di
documenti né in che modo la Finanza potesse giungere a determinazioni
estimative
2
. Fino ai redditi di lire 250 era comunque prevista un’imposta fissa
di due lire.
Il contingente era ripartito secondo criteri che erano indizi della ricchezza
delle singole province e dei comuni quali: il numero degli abitanti, l’entità
degli stipendi e pensioni erogate dallo Stato, le imposte fondiarie, i dividendi
distribuiti dalle società azionarie, gli incassi degli Uffici del Registro, delle
Poste, del Telegrafo, ecc.. Questi indizi furono ben presto assunti come veri
indici ma il sistema, non rispondendo certamente a criteri di equità, dava
origine a gravi sperequazioni. Vi erano infatti zone dove la tassazione era
all’uno per cento ed altre dove arrivava al dieci per cento, cioè il massimo
consentito dalla legge
3
.
Con la legge 28 giugno 1866, n. 3023 furono aboliti il contingente e l’imposta
in misura fissa, ma ciò determinò una diminuzione del gettito, non essendo
1
R. Lupi, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, Milano, 1988, pag. 97. Per
approfondimenti sul tema l’autore rimanda a M. Pescatore, La logica delle imposte, Torino, 1868, pag. 58 e
ss.
2
R. Lupi, Metodi, cit., pag. 96.
3
A. Dus, L’accertamento indiziario nell’imposta di ricchezza mobile nell’evoluzione del nostro diritto
finanziario fino al testo unico sulle imposte dirette del 29 gennaio 1958, in Riv. Dir. Fin.. Sc. Fin., 1958, I, p.
223.
8
più la singola evasione compensata dai maggiori prelievi a carico di altri
soggetti all’interno del contingente.
Si giunse così all’accertamento indiziario per tutti i possessori di redditi
mobiliari, disciplinato dall’art. 8 della legge 23 giugno 1877, n. 3903, con il
quale fu disposto l’accertamento biennale per “classi”. Era prevista una
ripartizione dei contribuenti per ogni comune, divisi “secondo le specie delle
varie industrie, commerci e professioni” con annotazione del reddito
denunciato ed accertato. Si trattava essenzialmente di una tassazione
effettuata su medie, distinte per categorie e classi, dove ogni categoria
costituiva una diversa attività economica e la classe una sottospecie della
categoria, caratterizzata da elementi comuni tali da presumere, con larga
approssimazione, il possesso del medesimo reddito.
Il fine di queste disposizioni era chiaramente quello di far sì che il peso degli
oneri fiscali gravasse allo stesso modo nell’ambito delle singole categorie
economiche e l’applicazione del sistema era decisamente indiziaria poiché in
ogni comune veniva ad essere definita una graduatoria di contribuenti della
medesima categoria in ordine di importanza e ciò veniva fatto sulla base di
elementi quali il numero dei dipendenti, la clientela, l’ubicazione dei locali
ecc.. La ratio di queste norme, secondo il Quarta
4
, era da ricercarsi nel fatto
che “ praticamente riesce difficilissimo per chi non conosce personalmente gli
affari di un industriale, di un commerciante o di un professionista il giudicare
quanto precisamente egli guadagni, mentre per altra parte è assai più facile
avere elementi per dire, fra due o più persone, quale nella sua industria, arte o
commercio, abbia maggiormente avviamento e quindi maggiori mezzi e
maggiori possibilità di lucro. I giudizi comparativi sono appunto quelli che
4
O. Quarta, Commento alla legge della ricchezza mobile, Milano, I, III ed., 1917, pag. 38 e seg. cit. in A.
Dus, L’accertamento indiziario, cit., pag. 224.
9
noi sentiamo ogni giorno, allorché si lamenta il poco equo riparto della
tassa ”.
In questo quadro, essendo l’interesse dei singoli quello di corrispondere il
minor importo possibile, si tendeva a dichiarare e concordare i redditi sulla
base dei minori della categoria o della classe e questo portava in prospettiva
ad un abbattimento delle classi sulla base della classe minore, gli appartenenti
alla quale difficilmente potevano sottrarsi in modo sensibile al prelievo
5
.
3. I soggetti tassabili in base al bilancio
Come si è già accennato al paragrafo 1, tutte le numerose norme che si
susseguirono in quegli anni furono raccolte nel testo unico 24 agosto 1877
n.4021
6
. Fu proprio in riferimento all’art. 25 di quel testo unico che si ebbe,
già dall’iniziale periodo di applicazione, la prima consacrazione dell’esistenza
di metodi alternativi di accertamento con riguardo ad una determinata
categoria di soggetti. Ad opera di una giurisprudenza travagliata e
sostanzialmente creativa la norma suddetta, formulata originariamente per
adeguare i termini del periodo d’imposta con quelli dei bilanci d’esercizio
delle Società di Capitali e degli Enti tenuti per legge o per statuto alla
redazione del bilancio, era stata interpretata in modo del tutto diverso, cioè nel
senso che fosse riconosciuta una presunzione di veridicità al bilancio e che
quest’ultimo dovesse pertanto rappresentare la base per la determinazione
dell’imponibile, fino a prova contraria da parte della Finanza. Le grandi
società commerciali erano d’altronde caratterizzate da strutture organizzative
in grado di fornire precise informazioni sulla loro realtà economica e questo
5
A. Dus, L’accertamento indiziario, cit., pag. 225.
6
L’applicazione delle norme del testo unico fu integrata dal Regolamento approvato con R.D. 11 luglio
1907.
10
spiega come vi fosse comunque una naturale tendenza alla differenziazione
nei confronti degli altri soggetti, per i quali le determinazioni estimative, in
mancanza di ogni contabilità ufficiale, erano praticamente obbligatorie
7
.
Dal punto di vista dei metodi di accertamento, si veniva così a creare una
ripartizione tra due grandi categorie di soggetti passivi. Quelli che da allora
furono i cosiddetti soggetti tassabili in base al bilancio, per i quali, in forza
della presunzione di veridicità che assisterebbe il bilancio, il metodo di
accertamento analitico diveniva la regola e l’accertamento indiziario rivestiva
un carattere sussidiario e sanzionatorio, e tutti gli altri soggetti per i quali,
invece, l’imposizione del “reddito effettivo” veniva considerata un mito
irraggiungibile ed il metodo induttivo era l’unico ammissibile. Questa
impostazione resisterà senza alternative fino alle riforme vanoniane degli anni
cinquanta, quando l’impianto normativo sancirà la possibilità di tassazione col
metodo analitico anche nei confronti degli imprenditori commerciali, ma si
rivelerà comunque molto resistente nella prassi, come si vedrà oltre,
permanendo in pratica fino alla riforma tributaria del ’71/73.
7
R. Lupi, Metodi, cit., pag. 98 ss.
11
4. La legislazione degli anni trenta
Il sistema delineato nei precedenti paragrafi rimase praticamente immutato
fino agli inizi degli anni trenta quando, anche in concomitanza con tutta una
serie di studi sul diritto tributario che proprio in quel periodo vedeva
affermarsi la sua autonomia dal diritto amministrativo
8
, vi furono importanti
interventi legislativi.
Con il R.D. 17 settembre 1931, n. 1608 venne disciplinata per la prima volta
in modo dettagliato la dichiarazione dei redditi e vennero previste sanzioni
penali per l’inosservanza dell’obbligo di presentazione. Si cerca così di
perfezionare il sistema della cosiddetta “denunzia verificata” che si era
faticosamente delineato nell’ordinamento proprio con riferimento all’imposta
di ricchezza mobile. Con lo stesso decreto vennero previste: la possibilità di
ispezioni fiscali anche nei confronti degli imprenditori individuali; l’obbligo
della motivazione in caso di determinazione del reddito in modo diverso da
quello risultante dalle scritture contabili; l’inutilizzabilità delle scritture delle
quali sia stata rifiutata l’esibizione o impedita l’ispezione. Si trattava di un
complesso di norme nuove e anticipatrici di impostazioni che saranno
perseguite dopo la guerra ma che non diedero i risultati voluti, rimanendo in
pratica delle dichiarazioni d’intenti
9
. D’altra parte in quegli anni, con la
caratterizzazione dovuta all’ideologia politica allora imperante, si fece strada
l’idea che la sperequazione tributaria e l’evasione potessero essere combattute
tornando all’applicazione della ricchezza mobile per contingenti di categoria
ed estendendo all’ordinamento tributario i princìpi dello stato fascista,
8
Si veda, per una disamina sugli autori e sugli scritti di quel periodo, S. La Rosa, Scienza, politica del
diritto e dato normativo nella disciplina dell’accertamento dei redditi, in Riv. Dir. Fin.. Sc. Fin., 1981, I, pag.
562.
9
S. La Rosa, Scienza, cit., pag. 564.
12
sostituendo allo stato stesso le Corporazioni come soggetto attivo del
prelievo.
Questa impostazione trovò applicazione nel D.L. 7 agosto 1936, n. 1639,
convertito nella Legge 7 giugno 1937 n. 1016, il quale, pur lasciando
formalmente inalterato il sistema della denunzia verificata, lo devitalizzò
attraverso una serie di modifiche all’organizzazione dell’amministrazione
finanziaria. Il reddito imponibile venne ancorato alla media del biennio
precedente e fu attribuito agli Ispettorati compartimentali delle imposte
dirette, appositamente creati, il potere di stabilire criteri e coefficienti da
utilizzare per ciascuna categoria, potere da esercitare in accordo con le
strutture corporative dello stato. Venne inoltre demandato ai Consigli
Provinciali dell’Economia Corporativa il compito della formazione e della
revisione delle liste dei contribuenti. L’evidente contrasto con le norme di
cinque anni prima veniva così spiegato dall’allora Ministro delle Finanze
Thaon di Revel: “ ...i nuovi sistemi, ispirati ad una scuola di pratico realismo,
tendono ad abbandonare, quale base fondamentale di accertamento il reddito
effettivo, e ad attrezzare invece la finanza in modo da porla in grado di
appurare periodicamente quale sia il reddito presumibilmente percepito in una
situazione ordinaria o normale... ”
10
.
In questo quadro normativo, l’orientamento giurisprudenziale che aveva
portato alla tassazione del reddito effettivo dei soggetti tassabili in base al
bilancio, si poneva in chiara antitesi con l’ordinamento appena delineato, che
privilegiava l’imposizione su di un reddito medio ordinario determinato con il
concorso delle corporazioni. Per questo motivo venne sancita anche per questi
soggetti, dall’art. 20 del D.L. 26 ottobre 1935, n. 1887, la possibilità che il
10
Thaon di Revel, Il coordinamento tributario, in Riv. It. dir. fin., 1938, I, p. 57 ss., citato in S. La Rosa,
Scienza cit., pag. 565.
13
reddito venisse determinato con gli stessi criteri adottati per gli altri
contribuenti. Questa norma andò incontro a moltissime critiche e forti
reazioni tanto che, in sede di conversione in legge (L. 8 giugno 1936,
n. 1231), finì per essere ribaltata, stabilendo che per i soggetti tassabili in base
al bilancio potesse ricorrersi ad accertamento induttivo solo in caso di fondata
presunzione di frode fiscale. Il tentativo di eliminare l’unico caso di
accertamento con metodo analitico presente, anche se in forza di
interpretazioni giurisprudenziali, nel sistema tributario, aveva finito per
consacrarlo proprio con la forza di un provvedimento di legge.
Con le (contraddittorie) modifiche normative di questo periodo, che
mantennero la loro validità fino alle cosiddette leggi di perequazione degli
anni cinquanta, si stratificò una realtà dei rapporti tra fisco e contribuenti la
cui influenza sarà una delle cause del fallimento delle riforme successive. Pur
teorizzando il primato della legge, la centralità delle norme impositive e il
principio della dichiarazione, nei fatti il perno del sistema dell’applicazione
dei tributi e della loro perequazione si spostava sull’Amministrazione
finanziaria, in forza delle incisive norme organizzative sopra descritte. Tutto
ciò finirà per accentuare ancor di più la tendenza a forme paracatastali di
tassazione
11
.
11
S. La Rosa, Scienza, cit., pag. 567.
14
5. Le riforme “vanoniane” ed il successivo testo unico
A partire dagli anni cinquanta, con la cosiddetta riforma vanoniana, si viene
affermando un’inversione di tendenza ed il sistema comincia ad assumere
caratteristiche completamente nuove. L’obiettivo più rilevante della riforma
ispirata da Ezio Vanoni e culminata poi nel testo unico delle imposte dirette
approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 era senza dubbio l’imposizione
del reddito effettivo per tutti i contribuenti, a prescindere dalla loro natura.
Fino all’inizio degli anni cinquanta l’Amministrazione finanziaria aveva
determinato, avvalendosi di studi sui vari settori merceologici e delle
verifiche contabili, dei coefficienti da applicare ai ricavi, per ottenere il
reddito. I coefficienti applicati alle singole specie di attività potevano essere
unici o diversi in funzione di alcuni parametri, per esempio: il numero dei
dipendenti, il grado di sfruttamento delle materie prime, ecc.. Il coefficiente
doveva adeguarsi al reddito del produttore marginale, per cui era di solito
viziato per difetto. Inoltre un errore sul coefficiente influenzava ovviamente
tutta la specie cui era applicato. Per ovviare a ciò si consentiva agli uffici
finanziari un margine di discrezionalità tra un minimo e un massimo
12
. Il
sistema appariva, in linea di massima, favorevole al contribuente, poiché
operando in definitiva come un sistema catastale, poteva dar luogo a rendite
fiscali. Consentiva inoltre ai contribuenti di opporre al fisco un fronte unico di
categoria, cosa che finiva per accentuare la marginalità dei coefficienti.
Tornando invece alla ratio di quanto già delineato con le norme del R.D.
n. 1608 del 1931, che impostavano l’accertamento indiziario come dannoso
per il contribuente e dal carattere sanzionatorio, vennero emanate le
cosiddette leggi di perequazione, cioè la Legge 11 gennaio 1951, n. 25 e la
12
A. Dus, L’accertamento indiziario, cit., pag. 236.
15
Legge 5 gennaio 1956, n. 1, il cui contenuto confluirà, con assestamenti
sistematici, nel citato testo unico del 1958.
Le innovazioni al sistema furono notevoli: furono abrogate le norme che
disciplinavano la partecipazione all’accertamento delle associazioni di
categoria; la commisurazione del reddito sulla base del biennio precedente; la
conferma per silenzio della dichiarazione dell’anno precedente. Fu sancito
l’obbligo della dichiarazione annuale ed i princìpi di analiticità delle
dichiarazioni e degli accertamenti.
Esaminando le norme così come risultanti dalla definitiva stesura nel testo
unico e con riguardo all’applicazione dei metodi induttivi, viene innanzitutto
confermata la fondamentale distinzione tra soggetti tassabili in base al
bilancio e le altre imprese commerciali.
All’art. 8 veniva precisata sia la definizione di impresa commerciale, con
riferimento all’art. 2195 del codice civile, che quella dei soggetti tassabili in
base al bilancio individuati nelle società per azioni, in accomandita per azioni,
a responsabilità limitata, nelle cooperative e mutue assicuratrici e nelle altre
persone giuridiche tenute per legge o per statuto alla formazione del bilancio
o del rendiconto. A queste erano equiparate anche le società dello stesso tipo
costituite all’estero che avessero la sede amministrativa o l’oggetto principale
dell’impresa nel territorio dello Stato. Importante innovazione era quella
contenuta all’art. 104 che prevedeva la possibilità per le imprese commerciali
non rientranti fra i soggetti tassabili in base al bilancio di optare per la
tassazione in base al bilancio
13
.
13
Come notava A. Berliri, Corso di diritto tributario, Bologna, 1959, vol. I, pag. 245, in questo caso questi
soggetti non diventavano soggetti tassabili in base al bilancio ma soggetti tassati in base al bilancio.
16
6. Il testo unico del 1958: i soggetti tassabili in base al bilancio
Cominciando ad esaminare le norme relative ai soggetti tassabili in base al
bilancio appare chiaro come il sistema fosse impostato per l’applicazione del
metodo analitico e che l’accertamento induttivo (o sintetico, secondo la
terminologia usata all’art. 120) rivestisse un carattere di sussidiarietà, essendo
ammesso solo quando se ne verificassero le condizioni previste dallo stesso
testo unico.
Per questi soggetti erano previsti in pratica tre distinti metodi. L’accertamento
era analitico allorquando la rettifica afferiva specificamente a singole
componenti del reddito presenti in dichiarazione ed era quindi basato sulle
scritture contabili (art. 119); era analitico-induttivo o misto
14
quando,
nell’ambito di un accertamento analitico, una o più componenti del reddito
venivano determinate su basi non documentali (art. 119, terzo comma); era
sintetico se la determinazione del reddito avveniva globalmente, sulla base di
una valutazione della “situazione economica dell’azienda” e non delle sue
componenti attive e passive (art. 120).
L’applicazione del metodo analitico-induttivo era correlata al controllo
analitico del bilancio. L’art. 119 stabiliva che qualora fossero risultate spese o
perdite inesistenti o superiori a quelle effettive, che fossero omesse o indicate
in modo inesatto le entrate ovvero che i fatti aziendali fossero riportati
irregolarmente, in modo da concludere con un risultato diverso da quello
effettivo, l’Ufficio avesse la possibilità di procedere anche induttivamente alla
integrazione o correzione delle poste di bilancio mancanti o inesatte.
14
Oltre che come misto, l’accertamento analitico-induttivo era qualificato anche come semianalitico,
analitico con poste induttive, induttivo-integrativo.