SECONDO CAPITOLO: TECNICHE INVESTIGATIVE
APPLICATE ALLA GENETICA FORENSE
2.1 DEFINIZIONE DI GENETICA FORENSE
La Genetica Forense rappresenta una diramazione della scienza forense che, tramite lo
sviluppo e l’adozione di procedure e accordi inerenti alla biologia molecolare, è capace
di individuare una singola persona sulla base di un campione biologico (come, per
esempio, utilizzando un’impronta rilevata sulla scena del delitto).
In più, è senz’altro fattibile decidere o scartare una relazione genitoriale dinnanzi
a circostanze di accertamento di paternità. In un momento antecedente all’inserimento
delle procedure di modificazione del DNA, il riconoscimento individuale veniva
realizzato mediante la rappresentazione dei polimorfismi proteici umani. Nello
specifico, erano esaminati i sistemi ABO, RH e HLA impiegando procedimenti
immunologici ed elettroforetiche. Nondimeno, questa metodologia “donava” esiti
insufficienti principalmente nella caratterizzazione delle macchie di sangue poiché le
proteine sono destinate a degradarsi in modo molto rapido.
Nel 1985 Alec Jeffreys scopre il metodo finger printing da applicare al DNA,
fondato sulla rappresentazione di sequenze di DNA polimorfiche. Il risvolto di tale
invenzione che riguarda il riconoscimento della persona durante la fase delle indagini
investigative e i test di paternità è stato indispensabile e resta una delle procedure più
apprezzate e adottate nell’ambito della genetica molecolare umana. La vera rivoluzione
c’è stata nel momento in cui la Genetica Forense si è arricchita di una nuova tecnica,
ossia quella di PCR (Polymerase Chain Reaction) creata da Mullis nel 1983. Dagli anni
‘90, tale procedura è stata impiegata in modo abitudinario nell’ambito della
rappresentazione giudiziaria, poiché ingrandisce di molto la percettibilità analitica.
Necessariamente, la raffigurazione dei polimorfismi proteici è stata gradualmente
trascurata e rimpiazzata dalle nuove procedure molecolari anche di fronte al fatto che
questa raffigurazione dei polimorfismi era molto dispendiosa in relazione al costo e alle
tempistiche di realizzazione. In più, era necessaria una notevole quantità di materiale
biologico.
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37 Alaeddini R., Walsh S. J., Abbas A., Forensic implication of genetic analyses from DNA-A rewiew, in
Forensic Sci. Int. Genet., 2010.
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2.2 I POLIMORFISMI DEL DNA
Tramite la procedura che permette di sequenziare il genoma umano, è apparso chiaro
che soltanto l’1,5% del DNA è formato da aree codificanti, mentre il 98,5% è costituito
da sequenze che non possono essere codificate.
In quest’ultima percentuale, il 23% è formato da introni e il 75% è inserito tra
geni differenti. Le sequenze che non si possono codificare si possono trovare sotto
forma di copia sia individuale che multipla. Nel complesso, il DNA che viene riprodotto
rappresenta più del 50% del completo genoma umano.
Al contrario delle sequenze che si possono codificare, le quali si devono
preservare in virtù del loro compito funzionale, nei confronti delle sequenze che non si
possono codificare risulta praticamente assente la necessità di conservazione. Gli eventi
di modificazione favoriscono l’accrescimento delle difformità inter-individuali, che a
volte non influenzano in alcun modo il fenotipo. Nonostante ciò, è importante
evidenziare che la maggior parte del materiale genetico dell’uomo (circa il 99,6%) non
muta tra i diversi soggetti. Per cui, soltanto lo 0,4% del genoma umano può variare. Tale
minima percentuale di mutevolezza fa sì che ogni persona sia diversa dall’altra e
attraverso la sua scomposizione si può impiegare questa notizia per il riconoscimento
individuale.
Una porzione della mutevolezza che appartiene al DNA si può definire con la parola
“polimorfismo”: una “catena” di DNA viene chiamata polimorfica nel caso in cui
sussistano almeno due forme alleliche nella popolazione di riferimento, delle quali
quella meno usuale sussiste nella misura uguale o appena superiore all’1%. Se la
ripetizione di un allele nella popolazione è minore all’1%, si parla di variante rara.
Nello specifico, in Genetica Forense i polimorfismi del DNA sono impiegati per
lo studio del riconoscimento individuale. Il livello di diversità dei polimorfismi
impiegati in relazione a questo tipo di studio, è fondato sulla loro stessa capacità di
discernere due persone su tutta la popolazione di riferimento. Tale attitudine è collegata
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con il quantitativo numerico di alleli contrassegnanti il locus e con la loro suddivisione
all’interno della popolazione complessiva.
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Sussistono due specie di polimorfismi del DNA, fondate sulla procedura
molecolare che origina questa instabilità: “polimorfismo di sequenza” e “polimorfismo
di lunghezza”.
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Il polimorfismo di sequenza, detto anche SNP (Single Nucleotide
Polymorphism), proviene da uno scambio nucleotidico che indica delle diversità tra due
catene di DNA analoghe. Questo avvicendamento ha origine da una trasformazione,
trasversione, inclusione o delezione di una sola base. Gli SNP generano sostanzialmente
polimorfismi biallelici e procurano, perciò, una notizia limitata per il riconoscimento
individuale. Allo scopo di raggiungere una capacità discriminativa soddisfacente per il
riconoscimento personale è indispensabile esaminare un set formato da 50 SNP.
Il polimorfismo di lunghezza, detto VNTR (Variable Number of Tandem Repeats), è
composto da una quantità mutevole di successioni di DNA riprodotte in tandem e,
pertanto, è contraddistinto da conformazioni multi-alleliche, ognuna descritta
dall’estensione mutabile della sequenza e dal suo peso molecolare.
Questi VNTR sono suddivisi in altre due tipologie, fondate sulla grandezza della
sequenza riprodotta:
1) I minisatelliti sono contraddistinti da repliche che avvengono in un intervallo di
16 bp fino a 70 bp;
I microsatelliti, o STR (Short Tandem Repeat), sono caratterizzati da ripetizioni
che avvengono in un intervallo di 2 bp fino a 6 bp.
Ad oggi, gli STR corrispondono con i marcatori indicati dalla Genetica Forense.
Il loro alto tasso di polimorfismo e di eterozigosità li rendono maggiormente utilizzabili
nelle investigazioni criminologiche per il riconoscimento individuale e nei test di
paternità. Una delle misure considerate nella scelta degli STR impiegati per finalità di
identificazione è il “potere di discriminazione” (PD), il quale discende dalla quantità
38 Alaeddini R., Walsh S. J., Abbas A., Forensic implication of genetic analyses from DNA-A rewiew, in
Forensic Sci. Int. Genet., 2010.
39 Regioni caratterizzate da polimorfismi sono diffusamente disperse sugli autosomi, sui cromosomi
sessuali e nel DNA mitocondriale.
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numerica delle conformazioni alleliche e dalla loro suddivisione nella popolazione. Il
PD riproduce l’eventuale tasso a priori che due soggetti, scelti a caso nella popolazione,
mostrino genotipi differenti.
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L’altra regola utilizzata per scegliere i marcatori STR è la loro fissità e questa
viene misurata attraverso il livello di mutamento che, in media, corrisponde a 2 x 10-3
per gamete, per generazione.
Un aspetto fondamentale degli STR è la dimensione degli amplificati dei prodotti di
PCR (abitualmente minori di 400 bp), la quale consente la caratterizzazione del “DNA
forense”: un DNA spezzettato e/o deteriorato. Per di più, è probabile che si riesca ad
aumentare i sistemi microsatelliti simultaneamente attraverso la preparazione di PCR-
multiplex, che autorizzano la genotipizzazione a prezzi ridotti e nel minor tempo
possibile anche sulla base di una quantità ridotta di DNA. Per fare un esempio, si può
fare riferimento alla caratterizzazione di cellule epiteliali collocate su un bene a causa di
un contatto diretto con quest’ultimo
Nel 1990, l’FBI (Federal Bureau Investigation) promuove il primo programma
per la determinazione di un set di STR, capace di creare un archivio di DNA nazionale
ribattezzato CODIS.
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Tali marcatori sono collocati in aree cromosomali non collegati con dei geni
implicati in note malattie. Per di più, sono “gettati” su svariati cromosomi consentendo
la varietà autonoma degli alleli e agevolando il computo della valutazione statistica del
profilo acquisito. La caratterizzazione strutturale dei 13 marcatori CODIS permette di
riconoscere e accertare, su basi statistiche, ciascun singolo individuo nella popolazione
del Nord America. Più di recente, l’European Network of Forensic Science Istitute
(ENFSI) e l’European DNA Profiling Group (EDNAP) hanno catalogato una serie di 17
40 Hanson E. K, Ballantyne J., Getting blood from a stone: ultrasensitive forensic DNA profiling of
microscopic bio-particles recovered from touch DNA evidence, Methods Mol. Biol., 2013.
41 In accordo con questo standard, sono stati selezionati 13 loci STR che presentavano un elevato
potere nell’identificazione personale, cioè CSF1PO, FGA, TH0,1 TPOX, VWA, D3S1358, D5S818,
D7S820, D8S1179, D13S317, D16S539, D18S51, D21S11 insieme al locus Amelogenina utilizzato
per l’identificazione sessuale.
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loci STR, che per la maggior parte sono accavallati ai CODIS e determinano l’European
Standard Set (ESS).
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2.3 ANALISI E CODIFICAZIONE DEL PROFILO GENETICO
Il profilo genetico di uno specifico campione biologico è rappresentato da un
elettroferogramma che raffigura un insieme di picchi elettroforetici somiglianti ai
genotipi che contraddistinguono ogni locus analizzato.
L’analisi e la relativa spiegazione di un profilo genetico sono dei momenti
importanti dal punto di vista delle indagini investigative. Tali profili si fondano sul
paragone del profilo genetico acquisito da un ritrovamento con quelli utilizzati come
campioni di riferimento (per esempio il DNA del reo o del soggetto passivo).
Paragonando due diversi profili, si deduce che le tracce rilevate provengono da
due soggetti diversi sebbene alcuni marcatori possiedano il medesimo genotipo. Per cui
si può affermare che l’individuo di sesso femminile, a cui la traccia 1 fa riferimento, è
diverso dalla persona a cui si riferisce la traccia 2. Al contrario, se i profili delle tracce
rinvenute e quelli presi a campione corrispondono esattamente, questa corrispondenza
deve essere determinata a livello statistico: il computo è fondato sulla cadenza del
profilo genetico nella popolazione. È importante calcolare la probabilità di eguaglianza
(Match Probability), e cioè la possibilità che due soggetti che non sono parenti tra loro
possano, accidentalmente, possedere il medesimo profilo genetico. Tale operazione è
fondata sulla ripartizione delle cadenze alleliche nella popolazione complessiva.
Tali singole eventualità sono esaminate in modo unitario, conducendo a
un’eventualità genetica abbinata; si intravede, cioè, l’occasione di scoprire quel tipico
profilo genetico nella popolazione.
43
42 Hanson E. K, Ballantyne J., Getting blood from a stone: ultrasensitive forensic DNA profiling of
microscopic bio-particles recovered from touch DNA evidence, Methods Mol. Biol., 2013.
43 Nel caso particolare, la possibilità di scoprire accidentalmente nella popolazione generale un diverso
soggetto che possieda le medesime qualità genetiche osservate nelle tracce 3 e 4 può essere calcolata
come una su 95.788.025.008.687.200, cioè un individuo su 96 milioni di miliardi.
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Una seguente proposta statistica per raffigurare la conciliabilità genetica è la
relazione di effettiva rassomiglianza, determinata dall’opposto della frequenza di uno
specifico genotipo nella popolazione.
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La relazione di verosimiglianza, detto anche “peso dell’evidenza” (Weight of
evidence), paragona due teorie, quella dell’accusa contro quella della difesa, che si
estromettono a vicenda. Tanto più grande è il valore di LR, tanto più grande sarà
“l’energia” della chiarezza per il riconoscimento rispetto la tesi contraria (eguaglianza
fortuita).
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Generalmente, però, con lo scopo di documentare che il materiale biologico
rinvenuto sul luogo del delitto appartenga a un soggetto in particolare, è indispensabile
indicare la cadenza del genotipo nella popolazione. Nonostante ciò, non si esclude la
possibilità che la conciliabilità tra il profilo della prova biologica e quello di un preciso
individuo possa risultare accidentale.
Comunque, più sporadico sarà un certo profilo, più difficile sarà che un
individuo differente dal presunto colpevole possa aver collaborato alla prova biologica.
L’uniformazione dei procedimenti e delle verifiche di qualità (prove di valutazione)
rappresentano i presupposti sostanziali per la loro ammissione sotto forma di prova
nell’ambito delle indagini criminologiche. Al riguardo, numerose organizzazioni
internazionali progettano raccomandazioni per il giusto impiego dei marcatori genetici
nel settore forense. Per fare un esempio, si può menzionare l’International Society for
Forensic Genetics. Nel nostro paese, questa funzione è realizzata dal GeFI, ente iscritto
all’ ISFG.
Molti gruppi di ricerca come l’ENFSI (European Network of Forensic Science
Istitutes), operano nel rispetto del principio di armonizzazione delle tecniche
investigative di tipizzazione del DNA. Mediante il controllo dell’efficacia delle
44 Hoss M., Jaruga P., Zastawny T.H., Dizddaroglu M., Paabo S., DNA damage and DNA sequenze
retrieval from ancient tissues, Nucleic Acids Research, 1996.
45 Se, per esempio, LR = 1 x 109, significa che è un miliardo di volte più verosimile che l’indagato
abbia contribuito alle tracce biologiche nella scena del crimine rispetto all’ipotesi opposta (ossia che
appartengano a un individuo sconosciuto, diverso dall’indagato).
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