2
moderno, annullando la ritualità dello sport classico:
esempio lampante sono i Giochi Olimpici 1996, assegnati
ad Atlanta, patria dello sponsor televisivo, e negati ad
Atene, luogo del culto rituale dei Giochi moderni.
Questo sport non può che legarsi fortemente al mezzo per
sua natura più “spettacolare”, la televisione, e non può
fare altro che soggiacere alla volontà dello spettatore,
che è spettatore televisivo prima che sportivo. E’ questo
il fondamento del Videosport (F. Colombo, Ombre
sintetiche, p.84 e segg.), ed esattamente la presenza di
uno spettatore che fruisce in modo diverso una
costruzione predeterminata in funzione dello spettatore
stesso.
Da ciò è quindi possibile affermare che lo sport
televisivo è portatore privilegiato di quelle
caratteristiche neobarocche che cerchiamo: ha in sé la
summa delle regole di due tra gli ambiti più popolari
della nostra cultura, sport e televisione. Possiamo
rintracciare nello sport caratteristiche formali evidenti
come l’esasperata ricerca del dettaglio (i super replay
mostrano ciò che è al di fuori delle nostre capacità
percettive), ma anche l’accelerazione delle cronache
sportive, con conseguente schematizzazione (vedi
statistiche e diagrammi); la distruzione del ritmo e
della sequenza cronologica; la dismisura degli eventi
3
sportivi, l’eccessiva presenza degli stessi nei
palinsesti: un mondiale non è più una serie di partite,
ma un contenitore, senza soluzione di continuità, di
cronaca, servizi, commenti, amenità e quiz, più simile a
Domenica In che ai mondiali di calcio di 25 anni fa. Ma
si vedono anche invasioni d’altri, come il telefilm
(l’eroe, la tensione finale col tempo in sovrimpressione,
i primi piani, etc.), o il varietà (anche allo stadio
troviamo il presentatore col microfono in mezzo al campo
o il corpo di ballo). E’ evidente anche la rottura della
struttura originaria degli sport come ricerca di un
limite: il tie break, il ricorso alla prova televisiva,
il doppio arbitro nel calcio, il non-fuorigioco in linea,
il time out nel volley nel finale d’ogni set come
creatore di tensione.
Nel linguaggio si ha a che fare con la progressiva
dissoluzione di una forma gergale fissa ed intoccabile,
cercando terminologie proprie d’altri ambiti, sportivi e
non, mentre la sintassi si adegua alla velocità dei cambi
d’inquadratura.
In definitiva la tesi è strutturata con una parte
dedicata al rapporto tra sport e televisione, la
creazione di un nuovo genere televisivo (il Videosport),
sue caratteristiche ed influenze dirette ed indirette
sullo sport stesso.
4
Una seconda parte dedicata alla ricerca delle tracce del
gusto neobarocco nello sport e nella sua versione
mediatica precedentemente descritta.
5
Sport e televisione
“Non esiste punteggio, né formazioni, né partite.
Gli stadi cadono tutti a pezzi. Oggi le cose succedono
solo alla televisione e alla radio. La falsa eccitazione
dei locutori le ha mai fatto sospettare che è tutto un
imbroglio? L’ultima partita di calcio è stata giocata in
questa città il 24 giugno del ‘37. Da quel preciso
momento il calcio, come tutta la vasta gamma degli sport,
è un genere drammatico, interpretato da un uomo solo in
una cabina o da attori davanti al cameraman”
1
.
L’opinione del grande scrittore sudamericano è
probabilmente troppo radicale, ma evidenzia bene, con la
sua provocazione, il cambiamento storico che ha coinvolto
la struttura dello sport e il suo rapporto con i mezzi di
comunicazione di massa. Questo cambiamento si chiama,
ovviamente, rivoluzione elettronica, o, se si preferisce,
trionfo dell’immagine, o società-spettacolo.
L’accelerazione esponenziale delle conoscenze
scientifiche e delle conseguenti nuove tecnologie negli
ultimi decenni, ci fa credere che la televisione sia
sempre esistita, come un qualunque prodotto della natura.
1 Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares, Cronache di Bustos Domecq,
in Luciano Minerva, Il pallone nella rete, p.3.
6
Eppure quasi la metà della popolazione italiana è nata
prima del giorno d’inizio delle trasmissioni
sperimentali; trentacinque anni fa le trasmissioni in
diretta di qualche minuto da un altro continente erano un
miracolo che attirava centinaia di persone nei cinema;
meno di venticinque anni fa le forze politiche nazionali
si battevano pro o contro l’introduzione della
televisione a colori.
Adesso possiamo scegliere cosa vedere, a che ora
vederlo, da che punto di vista vederlo, decidendo
inquadrature e modificando le scelte del regista. Adesso
abbiamo una memoria individuale e collettiva di eventi e
personaggi, fornita esclusivamente da immagini televisive
che li hanno codificati e memorizzati. Niente più cantori
delle gesta di eroi sportivi sulle pagine dei quotidiani
o nei cinegiornali, adesso si ricordano gli occhi
spiritati di Totò Schillaci ai mondiali di calcio 1990, o
l’urlo di Giampiero Galeazzi, telecronista RAI alle
Olimpiadi 1984, negli ultimi 100 metri del “due con” dei
fratelli Abbagnale, “…c’è luce, c’è luce tra le due
imbarcazioni…”.
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Se si torna indietro di qualche decennio e si pensa
alle partite di calcio giocate agli albori della
televisione, si capisce quanto il binomio sport-
televisione, e, in particolare, calcio-televisione, sia
cambiato nel corso del tempo. Allo stesso modo in cui la
televisione americana ha trasformato il football
americano professionale da un grazioso gioco autunnale in
uno degli sport più popolari d’America, così la
televisione italiana ha creato il fenomeno del calcio.
Steve Kettmann, cronista sportivo americano del S.
Francisco Chronicles, sostiene che è il medium a fare il
gioco: “La partita più vista nella storia è stato il 30°
Superbowl, che attrasse 138,5 milioni di telespettatori.
La vittoria per 27-17 dei Dallas Cowboys non fu
automatica, ma diede all’ American team la terza vittoria
in quattro anni, impresa senza precedenti che consegnò il
club alla storia.
Al contrario dei primi tempi, tutto ciò che succede su un
campo è, adesso, totalmente coperto dalle telecamere.
Dal Super Bowl dello scorso anno, il numero delle camere
che controllano l’azione è salito a 17. Ogni passaggio
incompleto è ripreso da differenti angoli, dando allo
spettatore la più ampia opportunità di registrare
informazioni che, ai vecchi tempi, solo gli occhi più
acuti di un esperto conoscitore di football americano
8
potevano rintracciare. I falli sono normalmente spiegati
da replay che mostrano come il giocatore della linea
offensiva ha alzato troppo le mani, oppure mostrano un
difensore colpire il ricevitore con la palla già in volo.
Le espressioni facciali, dalla smunta maschera di
delusione all’estatica espressione di trionfo sono tutte
catturate senza errore e studiate a fondo.
Nessuna meraviglia che il resto del mondo si sintonizzi,
anche se strategie, regole e ruoli del gioco sono
misteriosi. E nessuna meraviglia che così tante persone
bevano così tanta birra mentre guardano.
L’avvolgente presenza della televisione - continua
Kettmann - non si limita semplicemente ad innalzare il
profilo del gioco ad una dimensione globale ma ne fa
realmente un evento diverso. La tv di oggi porta alla
vita ogni gioco, ogni scontro, così vividamente da
bombardare i sensi tanto quanto un gioco della
Nintendo”
2
.
Oggi tutto ciò che accade su un campo sportivo è
sotto osservazione. E’ cresciuto il numero delle camere
che riprendono l’evento, ogni espressione del volto è
ripresa e rimbalzata all’infinito; basta pensare al grido
di vittoria di Tardelli nella finale dei campionati del
mondo del 1982, così ravvicinato e drammatico, o ancora
2 Steve Kettmann Internet, www.mediamente.it
9
gli occhi spiritati di Diego Armando Maradona ai mondiali
statunitensi, o alla dedica di amore di Gabriel Batistuta
a sua moglie in una telecamera a bordocampo, dopo un gol
a San Siro contro il Milan in una finale di Supercoppa
italiana; senza dimenticare il viso teso e grintoso di
Jona Lomu, giocatore di rugby neozelandese, che urla in
faccia agli avversari inglesi durante l’haka,
tradizionale danza maori, che gli all blacks eseguono
prima di ogni partita.
L’integrazione del mezzo televisivo con lo sport è
arrivata a un livello tale che si discute ormai della
possibilità di introdurre la moviola come sistema di
rilevamento delle irregolarità in campo e gli stessi
regolamenti del gioco a volte sono stati modificati
proprio in funzione della sua fruizione televisiva:
l’esempio più recente, ultimo di una lunga lista, è il
completo stravolgimento del metodo di assegnazione dei
punti nella pallavolo: sono proprio gli addetti ai lavori
a criticare per primi il nuovo punteggio, ma sottostanno,
comunque, alle richieste dei media, che vogliono una
durata più o meno definita, per rispettare i palinsesti,
e un maggior coinvolgimento emotivo dello spettatore; si
giocano, così, tutti e cinque i set sono giocati col
metodo del tie-break, e viene abolito il cambio palla,
che da sempre ha caratterizzato questo sport: in questo
10
modo è tutto più equilibrato e le partite sono meno
scontate di prima, con evidente vantaggio per chi investe
nella trasmissione di questo sport.
Il primo basilare aspetto da considerare, prima di
valutare l’estetica neobarocca presente nelle moderne
trasmissioni sportive, è il rapporto tra sport e
televisione, e più precisamente tra sport e videosport
3
.
“Lo sport televisivo è ben altro che una semplice
trasmissione di eventi che si svolgono fuori”
4
.
Si tratta di neorealtà, di qualcosa di totalmente
differente da ciò che si sviluppa sul campo e centrale,
in questa diversità, è la questione del pubblico, dello
spettatore. Lo sport moderno pone in maniera assai
differente l’aspetto spettacolare rispetto allo sport
classico, dove la spettacolarità rituale si riferiva a
valori religiosi o di riconoscimento sociale. Il primo,
invece, sviluppa una spettacolarità mediale, più debole e
fondata su appuntamenti la cui legittimità si afferma e
si nega per se stessa
5
.
3 Fausto Colombo, Ombre sintetiche, pp. 84 e segg.
4 Fausto Colombo, op.cit., pp. 84 e segg.
5 Fausto Colombo, op.cit., pp. 84 e segg.