1. Metamorfosi come passi di poesia ininterrotta
Le Metamorfosi sono un poema di storie accomunate dalla sorte di
trasformazione che tocca ai loro vari protagonisti. Il proemio succinto
annuncia chiaramente il poema esteso che sarà, giacché annuncia la
narrazione della storia del mondo dall’origine (caotica, col passaggio
della creazione cosmica) ai giorni augustei del poeta. Unificare tante
storie in una visione progressiva è però desiderio che il poema come
spesso provoca, così spesso frustra, e altresì riconforta: accade di
frequente che il lettore ne smarrisca il senso, se questo è l’evoluzione
del mondo verso la civiltà romana contemporanea all’autore. E non
succede in modo di volta in volta meno drammatico, così da preludere
a un riorientamento continuo: ci sono anzi passaggi in cui la vicenda
del cosmo e dei suoi abitanti si disorienta, e pare regredire al caos
originario.
Le ripetute variazioni di percorso dipendono in primo luogo dalla
varietà delle storie che compongono l’unica, grande storia, il
susseguirsi di quadri in tale esteso affresco. Il proemio, infatti, ci
introduce subito un tema plurale, le forme mutate in nuove corpi, che
il poeta racconterà in una forma ibrida, perché chiede agli dèi che
ispirino la sua impresa e guidino (deducite, v. 4) il suo carmen
perpetuum. Così scrivendo Ovidio allude ai due modi alternativi della
poesia narrativa affermati nella produzione precedente, due filoni che
in termini romani si definiscono carmen perpetuum e carmen
deductum. Il primo, epico eroico, è il modello omerico, si distende in
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una narrazione continua e senza salti, ma offre un tema limitato ed è
centrato su un personaggio dominante e sul suo atteggiamento
prevalente (Achille e l’ira distruttiva, Ulisse e la pia intraprendenza);
un carattere ininterrotto che dipende rigidamente dalla fede nella
continua ispirazione della Musa. Dall’altra parte, esempio del
secondo, epico didascalico, sono gli Aitia di Callimaco, raccolta di
elegie, per altro giunte frammentarie, sull’origine mitica e storica di
nomi, usanze, culti, ma insieme sorta di racconto episodico in versi sul
passato della civiltà coeva all’autore; questi è consapevole del
carattere tradizionale delle storie che è la propria erudizione a
conservare e la propria arte raffinata a tramandare (col favore
benedicente piuttosto che l’ispirazione operante della divinità).
Riguardo all’autorità effettiva delle Muse, peraltro, si può dire che
esse erano già parse ambigue (veritiere o mendaci) ad Esiodo, nel
poema genealogico sugli dèi olimpici, opera epica didascalica d’età
arcaica che conduce la storia delle generazioni divine fino al tema
delle successive Eoie, dove non sono più dee, ma donne sedotte da
dèi, a dar loro una discendenza: quello che qui evidenziamo è che
nessuno dei due poemi narrativi intende sostenere per intero una
prospettiva cosmologica. Inoltre non dimentichiamo, di Esiodo, il
poemetto Le opere e i giorni, che ripercorrono, col mito delle età
associate ad altrettanti metalli (dal più prezioso al più scadente: oro,
argento, bronzo, ferro), la decadenza del mondo da una fase idillica e
pacifica, giù fino alla fase coeva all’autore, faticosa e bellicosa,
passando da un intermedio periodo eroico (che segue l’età bronzea e
non è associato a un metallo); tuttavia, l’operetta è centrata sulla storia
degli uomini: prima assistiti dalla natura e, sotto la protezione di
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Saturno, trasformati a loro volta in spiriti protettori; poi litigiosi ed
empi, mutati da Zeus in demoni inferiori; quindi estinti dalla loro
stessa violenza reciproca, rigenerati nella fase eroica e, dopo la morte,
premiati nelle isole dei beati; poi duramente cresciuti alla fatica del
lavoro, con il peso incombente della morte. Questo mito, con le
varianti che ora tralasciamo, è sì ripreso da Ovidio, ma all’interno di
una narrazione che muove dalla separazione degli elementi della
natura nel cosmo e da un primo ordinamento divino, nel libro primo
del suo poema – libro che da solo quasi eguaglia in estensione l’opera
esiodea, a conclusione della quale la preoccupazione principale
dell’autore è l’istruzione del fratello al lavoro agricolo e la conoscenza
del mondo rurale necessari in tempi grami per l’uomo. Noi non
escludiamo una finalità eziologica nelle Metamorfosi, che tra l’altro
rendono conto dell’origine mitica del mondo organico: flora e fauna,
come li conosciamo, sarebbero frutto di trasformazioni umane di
seguito a varie vicende d’avventura e d’amore (la forza che più in
Ovidio muove l’evoluzione). Per inciso, tale approfondimento
dell’aspetto erotico, che da tema diventa movente, dice già della
commistione di generi operata dal Nostro.
1
Immaginiamo che egli
abbia attinto ai temi naturalistici approfonditi dall’epica didascalica
d’età ellenistica e soprattutto tardo-ellenistica, da un filone che anche
per esigenze narrative aveva pur accolto il tema della metamorfosi
umana, ma che andò specializzandosi: come nella perduta
Ornithogonia del poeta Boeo (che racconta di trasformazioni in
1
Segal 1991, p. 50: «In questa opera di reinterpretazione Ovidio utilizza soprattutto
due tecniche, la soppressione o la svalutazione dell’elemento eroico grazie allo
spostamento del centro del racconto e alla leggerezza dei toni; e, in secondo luogo, la
combinazione di altri generi e stili […] in special modo con i temi erotici dell’elegia e i
caratteri intellettualistici, eruditi ed eleganti della narrativa e della poesia didascalica
ellenistiche (in primis callimachee).»
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uccelli, tradotta da Macro, amico di Ovidio) e negli Heteroeumena di
Nicandro di Colofone (imitati nel poema del greco Partenio di Nicea,
a noi noti dal compendio d’età imperiale di Antonio Liberale:
entrambi dal titolo Metamorfosi che, nel secondo caso, è di
derivazione ovidiana).
Ad ogni modo, pur marcando un’espansione tematica, questi poemi
rimangono nel solco alessandrino, memori dell’impronta callimachea
per la scelta di una forma agile, ridotta, che i latini chiamano carmen
deductum.
2
I libri del poema di Ovidio, invece, sono XV , e
mantengono la promessa del proemio di condurre la narrazione,
attraverso le mutazioni umane in altri composti organici, fino ai tempi
del Romano. Con l’epica della guerra di Troia, le peregrinazioni di
Enea, la fondazione di Roma, e quindi le ultime apoteosi di Cesare e,
auspicabilmente, di Augusto; con l’ardita protesta d’eternità del
proprio nome, Ovidio espande le possibilità tematiche del poema
didascalico e salda interessi naturalistici e civili, quasi sempre col
concorso di storie d’amore, che dominano tra i circa
duecentocinquanta movimenti narrativi del poema. Ora, tale pluralità
di prospettive, insieme con una varietà di toni del racconto, che scala
2
Si integri con Myers 1994, p. 5: «We must recognize that the tradition of aetiological
mythology extends from the weighty epic themes of Hesiodic and “scientific”
cosmogony to the erudite and erotic mythical tales popular with the Alexandrians, who
themselves acknowledged their debt to the earlier Hesiodic tradition. It is the twofold
nature of the aetiological tradition of mythology that may provide a key to the dual
affiliations of the poem as a carmen perpetuum and deductum. For the Romans,
cosmology or scientific poetry was precisely a ground on which Callimacheanism and
grand epic could meet». Per il senso di «esteso» opposto a quello di «succinto» in
termini greci, cf. Coleman 1971: «The phrase perpetuum carmen has interesting
ideological connotations. The mutilated first fragment of Callimachus’ Aitia clearly
formed a poetic manifesto. The author proclaims his antipathy to the fashion of writing
ἓν ἂєισµα διηνєκές in which the deeds of kings and heroes were extolled ἐν πολλαῖς
χιλιάσιν, he declares, οὐκ ἐμὸν ἀλλὰ Διός, so he rejects μέγα ψοφέουσαν, ...ὀιδήν in
favour of the delicate cicada’s λιγὺν ἦχον which is heard at its best in ἔπος τύτθον and
other poetic genres that are κατὰ λεπτόν. Three separate but related targets are singled
out for attack: long continuous poems, epic subjects, and the grand style.»
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dal patetico al solenne, possono produrre nel corso dell’opera una
sensazione di smarrimento, nel lettore, e non escludiamo che essa
appartenesse anche all’autore, nella sua contemplazione dell’universo
e del suo corso perennemente oscillante tra incoerenza ed armonia.
Allora penseremmo che Ovidio voglia sorprenderci, destabilizzare le
nostre certezze fin dalla scelta di ritrarre forme mutate in nuovi corpi.
Lo crederemmo, certo, ma non come uno scapigliato o un futurista:
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egli non è cinico rispetto alla misura tecnica dell’arte e all’esigenza
civile e monumentale, perché rimane artista figurativo e non
materialista; né tantomeno è sadico rispetto al dolore delle vittime
della metamorfosi e alla gradevolezza delle sfumature psicologiche,
giacché è indulgente, non crudele verso le intemperanze o le
resistenze che pur spesso catalizzano uno stravolgimento dello stato
fisico, nei personaggi. Dunque, per ricorrere nuovamente alle parole di
un famoso saggista e critico:
i bruschi cambiamenti di tono (dall’idillio all’orrore, dall’innocenza alla corruzione
più disperata) determinano una profonda instabilità, una mancanza di equilibrio che
si può ben definire «anticlassica» o «barocca». Al lettore non viene mai consentito di
abituarsi ad un ritmo costante o a una progressione verso un fine ben chiaro, anche se
preannunciato nei versi iniziali (1, 3 ss.).
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Eppure, questo gusto per la deviazione dalla norma sarebbe l’effetto
prodotto nel lettore che parta dalla poesia raccolta attorno a qualche
tema, definita nei generi e stili, e interpreti le sue manifestazioni
eccentriche come volontari spostamenti, o eventuali, piacevoli
3
Sull’arte temperata del Nostro vd. Segal 1991, p. 25: «Ovidio, naturalmente, non è
De Sade: non ignora il gusto e la compassione, e prova l’orrore di ogni uomo civile nei
confronti della sofferenza. Queste qualità, unite alla grazia e alla limpidezza del suo
linguaggio, alla facilità con cui domina la forma esametrica, ci permettono di leggerlo
con piacere, a patto di non spingerci troppo oltre nell’analisi o di riflettere troppo sul
materiale narrativo che ci viene proposto.» Sulla ricezione del lettore, il critico però
eccede in amenità.
4
Segal 1991, p. 64.
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diversivi. Noi non riusciremmo a legare queste presunte caratteristiche
«barocche», questa ricerca di dissimmetria, alla limpidezza visiva del
dettato e l’armonia icastica degli esametri ovidiani, che si distendono
di seguito e sanno ospitare una materia non tanto sfuggente, quanto
fluida, piegando senza forzature l’inquietudine di passaggi
sconvolgenti e dolorosi per i personaggi – e per i lettori di gusto
«classico» –, all’esigenza rappresentativa e alla felicità formale. Se
volessimo trovare una definizione mutuata dall’arte figurativa, per un
artista che in ogni soggetto e in ogni tocco ha spinto il desiderio
creativo (l’animus che nel proemio è motore della poesia ed esso
stesso motivo di metamorfosi) non per colorare forme altrimenti
scialbe, ma per addensare in nuovi corpi le sfumature di colore di cui
sentiva comporsi l’intero mondo (in partenza per forza instabile),
ebbene diremmo che Ovidio è un poeta «rinascimentale»: e Dio sa
quale tributo, di soggetti e di modi, è stata al poema delle
Metamorfosi la pittura intorno al XV secolo della sua e nostra Era.
È la delusione di un’idea complessiva del mondo, che, se non
scandalizza, distoglie troppo presto dalla possibilità di scandagliare la
sensatezza del poema – opera di un’arte che intinge il pennello nella
varia tavolozza del sensibile e che perciò è fragile, quando si presenta
come architettura (come è fragile la consistenza dei corpi, nonché dei
personaggi del racconto, «anche quelli che con la loro morte
provocano una crisi morale»
5
) – e conduce la lettura proposta da Segal
a una leggerezza insostenibile, perché soltanto degustativa. Prendiamo
un’ulteriore sua affermazione: «Nel mondo di Ovidio il metro
dell’esistenza è l’amore, non la legge. Arte e amore si fondono allora
quali strumenti per raggiungere la verità e rendere felice la vita
5
Segal 1991, p. 25.
9
umana.»
6
; risulterà fondata, qualora comprendiamo che la «legge»
dell’artista è l’«arte», nel senso tecnico del termine.
La più importante innovazione dell’epica di Ovidio, allora, sta
nell’aver fuso la sua vasta e continua narrazione a una peculiare
raffinatezza formale: conciliazione che si esprime per vicende inserite
nel programma di storia collettiva. Si potrebbe ripetere che la maniera
episodica alessandrina è integrata dall’ininterrotta ispirazione che fu
del rapsodo omerico, ma non sarebbe ancora esatto, giacché la
continuità delle Metamorfosi non è data da un ordine divino che alla
fine viene restaurato e comunicato in modo perentorio al bardo dalla
Musa (come nell’epica ellenica della piena età severa). Di più: le
storie riferite e rifinite da Callimaco sono bagaglio d’erudizione ma
sono pur sempre seri monumenti della civiltà, mentre quelle di Ovidio
sono minate da un understatement non tanto sobrio quanto scherzoso
7
,
che viene dalla consapevolezza filosofica della mutevolezza degli
esseri, divinità comprese, e quindi da un atteggiamento in origine
agnostico per la religione degli stessi dèi tradizionali, che pur si
muovono nel poema, e di cui il Nostro si mostra pur pio.
8
6
Segal 1991, p. 93.
7
Segal 1991, p. 89: «Come Coleman ha osservato, Ovidio non solo ha «brillantemente
dimostrato che gli ἔπη τύτθα possono essere saldati insieme per produrre un antieroico
ἂεισιμα διηνεκές ma ha provato che i temi epici della μέγα ψοφέουσαν ἀοιδήν possono
essere rovesciati non rifiutandoli ma presentandoli in tono finto-eroico nel contesto di
una favola frivola».»
8
Sul problema della devozione di Ovidio, vedi Fränkel 1945, pp. 90-1: «With respect
to the gods of ancient religion, Ovid was agnostic. In the Ars Amatoria he declared (I,
637): “it is useful that there be gods, and so let us believe in their existence
accordingly.” the line is quoted very often, but rarely in his context. If we read on, we
find Ovid saying that it is good for us to believe in gods, provided we do not think (as
the Epicurean did) that in their serene beatitude they do not mind what is going on in
this our world; let us rather continue to worship them with modest piety, in the fond, if
forlorn, hope that they reward those who wrong no one. These are Ovid’s words:
It is useful that there be gods, so let us believe in them as it is useful,
let us offer incense and wine on the old altars.
And they do not keep aloof in quiet unconcern, as if slumbering.
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Insomma, se a livello narrativo il carmen perpetuum dipende da un
senso fluido della vita del cosmo, nostro compito è trovare un
correlativo della costante aspirazione ovidiana ad una perfezione
formale. Può questo poema di metamorfosi in ogni senso, che cambia
di continuo ambientazione e personaggi ed è però scritto da un artista
della lingua in versi come Ovidio, trovare ubi consistat in una
posticcia cornice di inizio e fine, senza che il senso del tempo narrato
trovi durante il percorso le tappe intermedie che lo confortino? Noi
crediamo che non basti, e intrapresa questa ricerca della struttura
complessiva, ci concentriamo sul suo indizio più evidente: il numero
15 dei libri che lo compongono.
In particolare, ci occupiamo delle motivazioni (letterarie, narrative,
cosmologiche) che determinano la scelta di 15 per il numero dei libri.
La nostra impostazione sarà quindi sintetica, col rispetto dovuto ma
senza indulgenza a quella, pur ispirata, ma in fondo amena, che si
riassume in questa dichiarazione: «Visto che le Metamorfosi sono un
poema fatto di sorprese e paradossi, saggi dedicati a episodi specifici
sono forse uno strumento d’indagine migliore che non
generalizzazioni di largo compasso.»
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Il nostro campo sarà invece il
poema nella sua estensione e scansione di quindici libri.
Live without doing harm, and divine power will be with you.
Return to owner whatever he entrusted to you; abide loyally by your mutual ties;
abstain from deceit, and let your hands be clean from murder.
The setting of the passage is sportive, but the few lines themselves rise to a high
level. Ovid recites the basic commandments of his own simple creed and indicates that
it is hard for us to live up to our obligations toward our fellow men unless we presume
that the code is sanctioned and upheld by something above man. And thus he decides to
practice without belief, in a mild and tenuous form, the religion of the fathers. As far as
persuasion was concerned, he could only arrive at a feeble compromise; there was no
other choice.»
9
Segal 1991, p. 6.
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2. Criteri numerici nel passato editoriale
Messa in chiaro la continuità con l’ispirazione ovidiana successiva,
questo capitolo ambisce trovare nell’elegia suggerimenti per capire la
struttura del poema, per nostra ipotesi fondata sul numero dei libri.
Passando in rassegna la bibliografia di Ovidio, indaghiamo sulla
valenza del numero 15 a partire anzitutto dalle sue apodittiche
ricorrenze: come criterio, cioè, di partizione dell’opera letteraria. Per
comprendere se e quanto fosse significativo per l’Ovidio epico,
dobbiamo cercare nella sua produzione letteraria precedente alle
Metamorfosi, che è tutta di poesia elegiaca; pertanto, adatteremo il
nostro e, crediamo, ovidiano, criterio numerico alle dimensioni delle
opere in questione, che sono certo divise in libri, ma più
specificamente in unità di componimenti singoli.
Non tralasciamo, peraltro, di notare, in un paragrafo appositamente
dedicato, che pubblicazioni di tipo antologico costellano, per dire così,
il cielo letterario sotto al quale il giovane Ovidio venne alla luce della
ribalta letteraria in Roma, e perciò approfondiamo la ricerca
estendendola alla poesia precedente e coeva, non solo elegiaca.
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