7
tosto che di pensiero o azione. Il termine metafora si riferiva, secondo Lakoff e
Johnson (1998, p. 43), ad “Un’espressione linguistica letteraria o poetica, in cui
una o più parole che appartenevano a un certo concetto venivano usate al di fuori
del loro uso convenzionale per esprimere un concetto simile”. Secondo questa vi-
sione la metafora era soprattutto ornamentale e decorativa: non necessaria; ma
semplicemente un abbellimento. Ragion per cui era collocata tra le figure retori-
che, ed il suo studio affidato alla letteratura e alla retorica.
1
La teoria classica è stata considerata esatta per lungo tempo; ma progressi-
vamente l’interesse per la metafora e gli studi sulla sua struttura, i sui meccanismi
e la sua natura cognitiva hanno coinvolto numerose discipline come la linguistica,
l’antropologia, la filosofia, la psicologia e da queste ultime molteplici teorie si so-
no sviluppate. A parere di alcuni psicologi (Fonzi, Sancipriano, 1975) la metafora
è contemporaneamente magica e logica, soggettiva ed oggettiva, interiore e co-
municativa, e la sua forza sta proprio nel fatto che in essa si conciliano poli diffe-
renziati. Se da un lato la metafora esprime ciò per cui il linguaggio denotativo è
insufficiente, la sua funzione non si esaurisce in questo ma consiste essenzialmen-
te nell’evocazione di una nuova realtà e nella reificazione dei suoi significati. In
questo senso la metafora ha una forza magica, consistente nel suo potere di creare
e di imporre nuove “presenze”.
2
Secondo il punto di vista del filosofo Mark Johnson (1998), l’uomo è al cen-
tro di una “metaphormania”. Gibbs (1999) ha affermato che negli ultimi anni sono
stati scritti milioni di articoli e libri sulla metafora; ma già nel 1979 il critico lette-
rario Wayne Booth aveva commentato che l’interesse per questo tropo era così in
crescita che nel 2039 ci saranno più studenti di metafore che persone. Pollio, Bar-
low, Fine e Pollio (1977) hanno stimato che l’uso medio di figure retoriche è di
quattro per ogni minuto di parlato, per un totale di circa ventuno milioni di figure
1
La retorica, cioè l’arte di parlare e scrivere meglio, rivendica una data di nascita sufficientemen-
te precisa, per l’esattezza intorno alla metà del V sec. a.C. nella città greca di Siracusa. Qui dopo la
caduta del regime tirannico, era insorta presso i cittadini la necessità del recupero dei beni prece-
dentemente confiscati e ciò era avvenuto attraverso una serie di processi, nei quali avevano brillato
e si erano rivelati come veri e propri maestri di eloquenza giuridica due “esperti del dire”, due re-
tori appunto, Corace e Tisia.
Silvestri, 1994, p.207.
2
Fonzi, Sancipriano, 1975, p.5.
8
retoriche proferite nel corso di una vita media.
La complessità del termine metafora emerge con chiarezza dall’analisi etimo-
logica del termine stesso: deriva dal greco µετά: “oltre” e φέρω: “porto”.
L’originario portato etimologico del termine rinvia all’azione di trasportare, tra-
sferire; e in effetti l’idea di “trasferimento”, in un modo o nell’altro, ha guidato
quasi sempre la teorizzazione della metafora. Il punto nodale è naturalmente la na-
tura di tale trasferimento e ciò che vi è coinvolto. Dalla diversa concezione del
“trasferimento” metaforico dipartono i vari modelli teorici della metafora. Accan-
to a ciò, si registra tuttavia la presenza soggiacente a tutti i modelli della struttura
tipica della somiglianza, la quale è la condizione di possibilità semantica del tra-
sferimento. Fra tutte le figure retoriche, la metafora è quella che meglio si presta
ad essere riconosciuta intuitivamente, senza bisogno di nozioni teoriche prelimi-
nari; tuttavia il meccanismo metaforico, a quanto pare universale, ha resistito a
migliaia di tentativi di spiegazione: ha resistito nel senso che nessuna delle spie-
gazioni proposte è stata senza residui, poiché il fenomeno, in ogni caso, ha trava-
licato i limiti e le competenze delle singole discipline che l’hanno affrontato.
3
In
realtà una parte dei problemi di definizione della metafora nascono dal fatto che
essa si presenta - e su questo punto esiste un significativo accordo tra gli studiosi -
come un elemento costitutivo del pensiero umano.
Anche la metonimia, come tropo, è stata sin dall’antichità un fenomeno di in-
teresse della retorica; oggi, tuttavia, alla luce degli studi di cui è stata oggetto so-
prattutto nel nostro secolo, è possibile affermare che essa rappresenti, assieme alla
metafora, un fenomeno linguistico, semiotico e conoscitivo di interesse teoretico
più generale. In questo quadro generale, è noto come l'enorme mole di ricerche ri-
guardanti la metafora, il più luminoso di tutti i tropi secondo la definizione di Vi-
co, abbia spesso lasciato nell'ombra la metonimia. È pur vero, tuttavia, che la luce
riflessa di cui comunque ha potuto giovarsi ha fatto sì che oggi la metonimia pos-
sa essere considerata “Uno dei più importanti procedimenti di estensione del si-
gnificato, forse persino più importante della metafora”.
4
La metonimia è il pro
3
Mortara Garavelli, 2003, p. 98.
4
Taylor, 1999, p. 124.
9
cesso attraverso cui si capovolgono le sequenze: l’effetto prende il posto della
causa, il contenuto quello del contenente, il tutto quello della parte. Come ebbe
già a dire Jakobson, la metonimia indica una sostituzione di significanti tra loro
contigui, così si dice “bere un bicchiere” (contenente) anziché dire “bere l’acqua”
(contenuto). Secondo Lacan l’interpretazione psicoanalitica della metonimia sta in
questo: è la mancanza ad essere o bisogno del soggetto che porta costui, nel rap-
porto con l’oggetto, a travalicare il significante parziale con un altro significante;
in altre parole è il desiderio di colmare la mancanza che richiama ai significati as-
sociati, complementari.
La parola metonimia deriva dal greco µετά: “oltre” e ó́νοµα: “nome” e signi-
fica “scambio di nome”. Essa è stata fatta consistere tradizionalmente nella desi-
gnazione di un’entità qualsiasi mediante il nome di un’altra entità che stia alla
prima come la causa sta all’effetto e viceversa, oppure che le corrisponda per le-
gami di reciproca dipendenza (contenente/contenuto; occupante/luogo occupato;
proprietario/proprietà materiale o morale ecc).
5
Alcune teorie linguistiche recenti (Lakoff, Johnson, 1980) hanno dimostrato
come la metafora e la metonimia siano presenti nella vita di tutti i giorni, non solo
nel linguaggio ma anche nel pensiero e nelle azioni. Un intero indirizzo della lin-
guistica e delle scienze cognitive è stato dedicato allo studio dei sistemi del pen-
siero metaforico e metonimico, usati normalmente per ragionare e per agire.
Nello specifico questo lavoro si avvale di due percorsi di ricerca, che si pon-
gono come complementari. Il primo è un percorso di ricognizione teorica delle
due figure in questione; i primi tre capitoli sono dedicati alla metafora. In essi si
analizzano le tradizioni retoriche, le prime teorie sui tropi e le elaborazioni con-
temporanee, ponendo soprattutto l’accento sulla linguistica cognitiva. Il capitolo
quattro, invece, è dedicato alla metonimia. In esso è esaminata la teoria metonimi-
ca nella retorica tradizionale e nella linguistica cognitiva, ed è sottolineata la di-
stinzione tra metonimia e sineddoche. Il capitolo cinque si sofferma sulle diffe-
renze e similarità, nonché sull’interazione tra metafora e metonimia.
5
Mortara Garavelli, 1993, p. 149.
10
Il secondo percorso di ricerca è di tipo empirico, e mira ad esaminare i logonimi
metaforici e metonimici presenti nella lingua Inglese inizianti per A e per B.
11
Cap.1
Uno sguardo al passato
Metaphor creates a new reality from which the
Original appears to be unreal.
(Wallace Stevens)
1.1 Metafora e linguaggio letterale
Quando si legge o si ascolta una frase, si è in grado di riconoscere se essa sia
o no metaforica, ma nonostante ciò la letteratura ha incontrato enormi problemi
nel definire un preciso spartiacque fra ciò che è metaforico e ciò che è letterale. Il
problema è da attribuirsi in parte alla vastità e diversità dei tropi, e in parte alla
fluidità dei significati delle parole che spesso incorporano nel corso del tempo
tratti che in precedenza erano estensioni metaforiche.
La metafora è stata tradizionalmente attribuita al linguaggio figurativo, il
quale esprime un concetto mediante un’immagine simbolica. Al contrario, il lin-
guaggio letterale usa le parole nel loro significato standard ed è il modello di lin-
guaggio e di pensiero ideale e semplificato. Esso, secondo quanto ha affermato
Briosi
6
, comprende quattro sensi:
ξ Linguaggio convenzionale ordinario, che è in contrasto con il linguaggio
poetico, gli abbellimenti, le esagerazioni, le approssimazioni ecc. ecc.
6
Briosi, 1985, p. 25.
12
ξ Linguaggio utilizzato per parlare quotidianamente.
ξ Linguaggio non metaforico; il significato lo si comprende direttamente,
senza far ricorso ad altri elementi.
ξ Linguaggio capace di descrivere il mondo.
Già Victoria Welby (1893, trad.it. 84) sosteneva che esiste soltanto un
termine più figurato come pure più ambiguo di metaforico, e questo è letterale.
Gran parte di ciò che è chiamato letterale è intriso in vari gradi di figurato, non
sempre in modo facilmente distinguibile, nemmeno con l’aiuto del contesto.
7
Il termine letterale ha diversi significati; esso è in contrasto con il linguag-
gio poetico, l’uso non convenzionale e con il linguaggio in cui l’esattezza e
l’imprecisione non possono essere accertate. Gibbs (1994) ha affermato che è
un’impresa ardua tracciare una netta distinzione tra linguaggio figurato e letterale.
Altri (Dascal, 1987; MacCormac, 1985) hanno una visione più ottimistica. Mac-
Corman afferma che, la distinzione che persiste da tanto tempo tra linguaggio fi-
gurato e letterale non è un concetto chiaro e non può essere dato per scontato. Pa-
rallelamente sono state eseguite delle ricerche empiriche da parte di Glucksberg
ed i suoi collaboratori (1991); essi hanno dimostrato che non esiste una distinzio-
ne tra i due linguaggi; infatti, la velocità con cui si interpreta una frase non dipen-
de dal suo essere letterale o no e l’accesso al significato metaforico non si basa su
un fallimento iniziale dell’interpretazione del significato letterale; letterale e figu-
rato sono da ritenersi come i poli ideali di un continuum lungo cui le espressioni si
dislocano a seconda del loro livello di convenzionalità. Turner (1989, 1991, 1998)
ha affermato che la dicotomia tra letterale e figurativo è solo un’illusione psicolo-
gica.
7
Basso, 2002.
13
I due meccanismi, linguaggio letterale e figurativo, provengono da proce-
dimenti linguistici e cognitivi identici.
8
Rumelhart (1979) ha sostenuto che i par-
lanti nativi di una lingua posseggono delle intuizioni su cosa è letterale o non let-
terale allo stesso modo in cui sanno distinguere un discorso formale da uno infor-
male.
Al di là delle diverse denominazioni dei significati correlati (pro-
prio/traslato, letterale/figurato, ecc.) è lo scarto tra i due che costituisce una pre-
senza costante nello studio dei tropi e in particolare della metafora. Tuttavia que-
sto scarto non viene misurato solo a posteriori, una volta che significato letterale e
figurato sono stati ricostruiti; esso viene colto sullo sfondo di un cotesto, talvolta
estremamente ridotto (una frase), talvolta molto esteso (un intero testo). Lo scarto
è presente nella maggior parte delle teorie sui tropi, sotto forma di asserzione im-
pertinente, anomalia semantica, infrazione logica, attribuzione insolita, ecc. Klei-
ber (1999) ha elaborato una tavola sinottica per riassumere le varie posizioni teo-
riche in merito al concetto di scarto o devianza
9
:
Todorov 1966 Anomalia semantica
Cohen 1966 Predicazione impertinente
Ludi 1973; 1991 Incongruenza
Kittay 1987; Jonasson 1991; 1993 Incongruenza concettuale
Le Guern 1973 Rottura con la logica
Ricoeur 1975 Attribuzione insolita
Nunberg 1978 Uso non normale
Tamine 1979; Kleiber 1983; Martin
1983
Incompatibilità
Tamba 1981 Contraddizione logica
Searle 1979 Difettuosità
Prandi Incoerenza
8
Turner, 1998, p. 85.
9
Basso, 2002.
14
Il linguaggio figurativo trasferisce i termini letteralmente connessi ad un
oggetto verso un altro oggetto. Questo trasferimento ha lo scopo di creare signifi-
cati nuovi, speciali, più ampi o più precisi. Inevitabilmente, il linguaggio figurati-
vo è descrittivo e le parole sono particolarmente evocative, come in questa poesia
di Yeats:
An aged man is but a paltry thing,
A tattered coat upon a stick
(W. B. Yeats, Sailing to Byzantium).
Le varie forme di trasferimento di significato sono chiamate figure retori-
che o tropi, e sicuramente la metafora è l’elemento principale in quest’ambito.
Il termine Greco tròpos, da cui il latino tropus, significa direzione; ossia
la svolta di un’espressione che dal suo contenuto originale viene diretta (deviata) a
rivestire un altro contenuto. La definizione tradizionale di tropo ricalca quella
quintilianea di sostituzione di espressioni proprie con altre di senso figurato. Tro-
po e traslato sono denominazioni diverse per lo stesso fatto retorico: la trasposi-
zione (il trasferimento) di significato da una a un’altra espressione.
“Alle attuali concezioni dei tropi è sottesa l’idea che questi siano anoma-
lie semantiche: irregolarità di significato incompatibili coi normali criteri di in-
terpretazione dell’esperienza. Qualsiasi combinazione inaspettata di concetti po-
trebbe costituire un tropo…..Un tropo coinciderebbe dunque con una rottura del-
le attese alle quali il contesto ci indirizza.”
10
10
Mortara Garavelli, 2003, p. 143.
15
1.2 La visione classica
Per capire le ragioni per cui la concezione esornativa della metafora si è af-
fermata e mantenuta per tanto tempo, è necessario risalire a Isocrate. Egli utilizza
la parola metafora per la prima volta nell’Evagora (circa 370-365 a.c.).
. In quel testo si fa una distinzione tra i poeti e i prosatori: ai primi, a differen-
za dei secondi, è lecito giovarsi di vari abbellimenti, come parole straniere, neolo-
gismi e metafore; ai prosatori, invece, è concesso solo di esprimersi in modo es-
senziale e servirsi esclusivamente di parole comuni. La metafora è considerata da
Isocrate, quindi, un’alterazione del linguaggio che va evitata nelle situazioni co-
municative come quelle dei discorsi degli oratori.
Diversa è la posizione di Aristotele. Egli distingue le arti del linguaggio in
tre diverse categorie: logica, retorica e poetica. Ciò che le differenzia è soprattutto
una questione di metafora. La metafora non appartiene solo allo stile poetico, ma
è utilizzata anche nella prosa oratoria. Egli afferma che: “Tutti parlano con meta-
fore, con parole d’uso comune e con parole usate in senso proprio, cosicché è
chiaro che chi sa servirsene bene otterrà un effetto di straniamento, riuscirà a na-
scondere l’artificio e si esprimerà con chiarezza”.
11
La metafora si trova, così, al
centro di un paradosso che la vede da un lato come un fenomeno che crea uno
scarto rispetto alla lingua corrente e, dall’altro, come una caratteristica pervasiva
del linguaggio di cui tutti si servono.
Aristotele fu il primo a porsi direttamente il problema della natura della
metafora. Nella Poetica (capitoli 21-25) e nella Retorica (libro 3), egli scrive: ”La
metafora consiste nel dare a una cosa il nome di un’altra.”
12
Si ha, per lui, un tra-
sferimento (epiphora) di una parola ad un altro contesto. Il trasferimento avviene:
ξ Dal genere alla specie:
Es. Quivi s’è ferma la mia nave.
Perché, dice Aristotele, l’essere ancorato è un modo speciale del generico es-
ser fermo.
11
Aristotele, in Ross, 1972, p. 33.
12
Cazzullo, 1987, p. 45.
16
ξ Dalla specie al genere:
Es. Chè mille e mille gloriose imprese ha Odisseo compiute.
Dove la specificazione mille e mille vale il generico molte.
ξ Da specie a specie:
Es. Poi che con l’arma di bronzo gli attinse la vita.
Dove il passaggio avviene da togliere ad attingere; ed è una metafora
Basata su una certa somiglianza tra l’atto di togliere e l’atto di attingere.
ξ Per analogia: ed è la metafora a quattro termini, descritta nello schema
proporzionale che è stato alla base della maggior parte delle teorie succes-
sive.
“Si ha metafora per analogia quando, di quattro termini, il secondo, B, sta al
primo, A, nello stesso rapporto che il quarto, D, sta al terzo, C; perché allora,
invece del secondo termine, B, si potrà usare il quarto, D, oppure invece del
quarto, D, si potrà usare il secondo, B….. Esempio la vecchiezza (B) è con la
vita (A) nello stesso rapporto che la sera (D) è col giorno (C); perciò si potrà
dire che la sera (D) è la vecchiezza del giorno (B+C), e…. Che la vecchiezza
(B) è la sera della vita (D+A) o il tramonto della vita.”
13
La struttura che ne risulta è quella di una proporzione come “Dionisio: cop-
pa=Ares: scudo”; “vita: vecchiaia=giorno: sera”. Il quarto tipo di metafora ha il
pregio di porre sotto gli occhi e di rendere animato ciò che è inanimato.
Lo scopo della sostituzione è essenzialmente estetico: essa serve soprattut-
to ad evitare le banalità dell’uso normale e a dire la stessa cosa in modo imprevi-
sto e piacevole. La metafora viene associata ad altri usi “anormali” del linguaggio
ma, come nota Aristotele, questa stranezza non deve essere eccessiva per non an-
dare a scapito della chiarezza e nascondere il concetto cui si riferisce. L’autore in-
siste, infatti, sul pericolo di confusione implicito nell’uso della metafora e sulla
necessità che essa si basi su accostamenti di termini non troppo lontani tra loro.
13
Aristotele in Reale 1982, p. 457.
17
Dalla sua analisi emerge che la metafora è considerata come un elemento che ar-
ricchisce il linguaggio e che può essere usata in determinati modi, tempi e luoghi.
L’autore sottolinea che la comprensibilità e chiarezza risiedono nel linguaggio or-
dinario, nelle conversazioni giornaliere che non sono metaforiche; quindi il lin-
guaggio metaforico non è un idioma normale e familiare ma è un’aggiunta al lin-
guaggio ordinario. Per Aristotele il linguaggio permette di descrivere la realtà ma
non di cambiarla; per questo motivo un buono stile deve basarsi sulla correttezza
della lingua e deve evitare le ambiguità. La poesia è, invece, giudicata come un
vizio del linguaggio, che non fa parte della sua normale natura. Siccome la fun-
zione principale del linguaggio è di essere trasparente e di rendere espliciti i fatti
della realtà, gli effetti particolari, come la metafora, sono riservati soprattutto alla
poesia e sono ammessi solo sotto stretta supervisione.
Nella Poetica dichiara che: “La capacità di inventare metafore è segno di
una dote naturale che non s’impara e che consiste nel ben vedere le somiglian-
ze.”
14
Quest’idea del metaforizzare come dono porta a considerare la metafora
come un processo profondo e inconscio. La “visione delle somiglianze” suggeri-
sce l’idea che la sostituzione non avviene in modo gratuito, ma che deve basarsi
su una somiglianza tra i due termini. Senza le metafore, suggerisce Briosi
15
, que-
ste somiglianze non verrebbero colte e la figura ha, quindi, una funzione conosci-
tiva oltre a quella estetica. Nella Retorica, infatti, Aristotele afferma che la meta-
fora produce un effetto di straniamento che provoca una sensazione di piacere;
16
ed è proprio il principio del piacere che costituisce l’elemento di collegamento tra
la metafora e la conoscenza. Per l’autore, il principio di piacere si trova alla base
dell’istinto umano orientato a conoscere, e la metafora è una delle forme attraver-
so le quali si realizza la conoscenza. La conoscenza che la metafora rende possibi-
le, è caratterizzata da due aspetti specifici: la facilità e la rapidità di apprendimen-
to. “Imparare con facilità è naturalmente piacevole per tutti” sostiene Aristotele
nel capitolo 10 della Retorica; infatti, tra tutti i tipi di parole la metafora è quella
che maggiormente permette di acquisire una conoscenza nuova e con facilità.
Molto importante è anche il secondo dei due aspetti del tipo di conoscenza che la
14
Aristotele, in Reale, 1982, p. 321.
15
Briosi, 1985, p. 16.
16
Aristotele, in Ross, 1972, p. 23.
18
metafora fornisce, e vale a dire la rapidità. Nella Retorica è illustrato che le forme
espressive che producono una conoscenza rapida, ottengono maggior successo.
Altro punto fondamentale, messo in risalto da Aristotele, è che la metafora pone
sotto gli occhi, ossia rende visibile, il concetto astratto che corrisponde al termine
proprio.
Alcuni aspetti della riflessione Aristoteliana sono stati analizzati in manie-
ra molto minuziosa, e si è fatto notare come la metafora non sia legata puramente
al valore estetico-decorativo, ma anche a quello conoscitivo e innovativo; in parti-
colare Aristotele afferma la superiorità di questa figura retorica rispetto al parago-
ne. Se veramente la metafora si limitasse a riferirsi ad una qualità del primo ter-
mine, data come oggettiva, attraverso un secondo termine che possiede la stessa
qualità, il paragone dovrebbe corrispondere meglio ad un simile procedimento del
pensiero. Risulterebbe, infatti, più efficace dire che A assomiglia a B perché ha la
stessa caratteristica X, piuttosto che dire A è B. Per Aristotele, invece, la forma
breve della metafora è preferibile per la sua eleganza e rapidità, con cui dà una
conoscenza nuova.
Gli scrittori classici come Orazio, Cicerone e Quintiliano evidenziano co-
me l’uso della metafora costituisca un elemento decorativo del discorso. Essa è il
supremo ornamento dello stile, ma deve essere usata solo in occasioni appropriate
e non più di due o tre nello stesso passaggio. Quintiliano nelle Institutiones Ora-
toriae, inserisce l’analisi delle metafore nel capitolo dedicato agli ornamenti del
discorso dell’oratore. Egli afferma che la metafora è “Una similitudine abbreviata
che trasporta un termine o un’espressione dal luogo in cui è proprio a quello in
cui o manca il termine proprio oppure il traslato ne è migliore.” (cap.8)
17
Il primo
caso è quello della catacresi ossia l’attribuzione di un nome già esistente ad un
oggetto nuovo. Per Quintiliano essa non si distingue dal neologismo poiché la pa-
rola diventa immediatamente un’altra parola con il suo significato proprio. Il se-
condo caso è quello in cui la metafora si usa perché appare migliore del termine
proprio. Egli preferisce la metafora tra le figure retoriche, per la chiarezza con cui
si può cogliere il senso a cui il termine metaforico è ridotto. Per evitare le oscurità
17
Lorusso, 2005, p. 127.
19
Quintiliano suggerisce l’uso della forma mista ossia l’unione tra termini metafori-
ci e indicazioni dirette e letterali.
Fondamentale è, poi, un’opera anonima intitolata Rhetorica ad Heren-
nium.
18
Quest’opera annovera dieci figure di parola che hanno in comune la pro-
prietà di allontanarsi dal senso usuale dei termini, e portare il discorso ad un signi-
ficato complessivo diverso con una certa eleganza. “ La metafora si ha quando
una parola verrà trasferita da una cosa ad un’altra, perché sembrerà potersi tra-
sferire senza errore a causa della somiglianza”. In essa vengono raccomandati sei
usi della metafora: “Per la brevità, così: il recente arrivo dell’esercito ha cancel-
lato d’un tratto lo stato. Per evitare oscenità, così: uno la cui madre si diletta di
un matrimonio al giorno. Per la vivacità, così: questa insurrezione destò l’Italia
con un terrore improvviso. Per abbellire, così: un giorno le condizioni dello sta-
to, che s’inaridirono per colpa di cittadini malvagi, rinverdiranno per merito dei
migliori cittadini. Per magnificare, così: non vi fu dolore né sventura di alcuno
che potesse saziare l’odio e la nefanda crudeltà di questa beffa. Per minimizzare,
così: va dicendo di essere stato di grande aiuto, perché in occasioni molto difficili
ha soffiato appena un poco in nostro favore”.
19
Nonostante la metafora sia la figura preminente tra i tropi, è considerata
dagli autori classici come appartenente ad un linguaggio distinto da quello ordina-
rio.
18
Rhetorica ad Herennium è il terzo trattato o manuale latino di retorica. Apparso nel 89 A.C. fu
erroneamente attribuito a Cicerone.
19
Hawkes, 1972, p. 14.
20
1.3 I secoli XIV-XVIII
Nel medioevo la funzione conoscitiva del linguaggio, i suoi processi e le
teorie letterarie sono messe in ombra; il valore conoscitivo del linguaggio è offu-
scato dall’idea della Rivelazione divina delle verità e la metafora è assimilata
all’allegoria o è confusa col simbolo.
È importante capire il ruolo attribuito alla metafora in una società Cristia-
na, come è quella medievale: il medioevo le riserva una semplice funzione orna-
mentale e non le riconosce una funzione conoscitiva. Essa è connessa
all’esperienza collettiva e non a quella privata, come accadrà nel ventesimo seco-
lo. In particolar modo, la metafora principale è che il mondo è un libro scritto da
Dio. Quest’idea che la prima invenzione dei tropi sia quella presente nella Scrittu-
ra non è certo nuova: la si trova già in S. Agostino e nel Venerabile Beda. Il mon-
do è pieno di metafore create da Dio e l’uomo, in particolare il poeta, ha il compi-
to di interpretarle: “ Il mondo va interrogato come se ogni elemento del suo am-
mobiliamento fosse stato posto da Dio per istruirci su qualcosa”.
20
Ciò che lo
scrittore Cristiano può fare è riprodurre il procedere allegorico del Creatore, senza
pretendere di penetrare con la propria invenzione nelle verità ultime, assolute ed
indubitabili. La figura retorica nel Medioevo, non è più un mezzo utile a rendere
le relazioni, le analogie e le proporzioni che collegano le cose; la sua funzione o è
quella decorativa, di dare al linguaggio il tono adeguato all’argomento, o quella
paternalistica, di esplicitare le verità troppo elevate per renderle accettabili a colo-
ro per cui la loro visione diretta sarebbe incomprensibile.
Delle metafore, ciò che viene maggiormente apprezzato è il “color rheto-
ricus” che esse comportano, e quindi il loro valore ornamentale, perché per i teo-
rici delle poetiche medievali il fine proprio della poesia è pur sempre l’eleganza e
la grazia. La metafora non può più essere una decorazione, sarà una gara,
un’imitazione senza fine, di Dio o della natura.
L’età Umanistica e Rinascimentale non porta molto di nuovo nella rifles-
sione sulla metafora. Il quadro concettuale dominante è quello offerto da Aristote-
le, infatti, l’ornamento e la necessità restano le ragioni fondamentali della metafo-
20
Ugo da San Vittore, Didascalicon, VII, 4. In Lo Russo, 2005, p. 160.