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Il secondo capitolo dell’elaborato mette in evidenza le attuali
caratteristiche del mercato nazionale delle birre. Con riferimenti alle
dinamiche europee e l’ausilio di numerosi dati statistici, verrà tracciato
un ritratto complessivo del settore. Pagine fondamentali per comprendere
a pieno il terreno sul quale sono quotidianamente chiamate a confrontarsi
non solo le grandi multinazionali della birra ma anche i piccoli gruppi
industriali che si contendono importanti quote di un mercato che, al di là
di un trend positivo, fa fatica a decollare.
Le cause le si devono ricercare in una cultura birraria poco radicata nella
penisola italiana, ancora troppo legata alla sua tradizione vitivinicola.
Ciononostante la comunicazione della birra ha contribuito all’evoluzione
della storia e del costume del nostro paese, inizialmente grazie al fascino
esercitato dai manifesti e dalle campagne pubblicitarie collettive e, in un
secondo tempo, grazie a celebri testimonial e ad indimenticabili slogan.
Di questo parlerò nel terzo capitolo.
Nel quarto ed ultimo capitolo tratterò la comunicazione pubblicitaria
odierna dei principali brand presenti nel mercato italiano. Dopo uno
sguardo agli investimenti del settore, mi concentrerò sul media planning,
con particolare riferimento ai mezzi classici: affissione, stampa, radio,
cinema e televisione. Infine, appurato che la televisione è il mezzo più
indicato per promuovere una campagna pubblicitaria di un marchio di
birra, analizzerò nel dettaglio i dodici spumeggianti commercial andati in
onda sulle reti nazionali nell’arco dell’ultimo anno.
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I CAPITOLO
STORIA DELLA BIRRA
1. C’ERA UNA VOLTA…
Seimila anni fa
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, in un villaggio tra il Tigri e l’Eufrate, una donna,
rincasando al tramonto, dimenticò fuori dalla sua capanna una ciotola di
cereali. Quella notte piovve molto e i cereali si bagnarono ma il sole del
giorno dopo li fece germogliare, ma presto divenne tanto cocente da far
morire tutti i germogli. Piovve di nuovo e quei chicchi rimasero a
macerare nell’acqua. I microrganismi presenti nell’atmosfera
innescarono un processo di fermentazione. Qualche giorno dopo un
animale che passava da quelle parti si abbeverò a quella ciotola e
cominciò subito a comportarsi in uno strano modo. La donna assistette
alla scena e, incuriosita, volle assaggiare il liquido della ciotola. Lo trovò
piacevole e galvanizzante. Era nata la birra
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. All’uomo non restò che
scoprire e riprodurre quel processo naturale.
2. MITI E RITI LEGATI ALLA BIRRA
Nell’antichità
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gli abitanti dei boschi, per rispondere agli innumerevoli e
misteriosi interrogativi della natura (la nascita, la morte, le piogge, i
lampi, i tuoni, il sole, le stelle notturne, la luna con le sue fasi, la crescita
dei frutti, il fuoco, il gelo dell’inverno e così via), avevano individuato
forze misteriose alle quali attribuire la causa di quei fatti, per la loro
mente strabilianti e non diversamente spiegabili: è la nascita della
religiosità, con tutte le collaterali animistiche, le credenze, i cerimoniali,
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i tabù, i totem, le divinità che tanto più importanti erano quanto più era
inspiegabile e misterioso l’evento che rappresentavano. Uscendo quindi
nella prateria, l’uomo si portò appresso tutto il bagaglio religioso e
trasferì sui prodotti del suolo, così come aveva fatto con gli animali dei
boschi, la sua cultura animistica. Nacquero allora le divinità agricole: la
dea Nidaba dei Sumeri, la vacca solare Hanub degli egiziani e Cerere, la
dea romana del raccolto.
Occorre sottolineare che le cerimonie sacrificali avevano due principali
aspetti simbolici. Il primo, probabilmente il più significativo, si espletava
con la totale combustione del cibo, sia vegetale sia animale, per far
giungere, attraverso la fiamma ed il fumo, l’intima essenza del sacrificio
sino alla divinità. Nel secondo aspetto il sacrificio si compiva divorando
il cibo sacrificale in onore della divinità; in quest’atto, il sangue della
vittima, liquido misterioso che fuoriuscendo dal corpo ne spegneva la
vita, aveva un significato d’estrema importanza. Bevendo la coppa di
sangue se ne ingeriva l’essenza sacrale, l’essenza vitale con la quale si
onorava dio. Con altrettanta sacralità si spremeva il succo dei frutti per
estrarne la parte più intima.
Questo stesso principio indusse probabilmente l’uomo a far macerare la
farina di frumento nell’acqua, per estrarne la vitalità, la birra primordiale,
passata, nell’uso, da bevanda sacrificale a bevanda abituale. Non sembra
quindi ardua la tesi che le origini della birra risalgano ai tempi della
scoperta dell’agricoltura.
La sacralità della birra, impiegata nelle cerimonie religiose, si ritrova in
tutta la letteratura storica, dalla sumerica all’egiziana. Addentrandoci
profondamente nella storia, scopriamo, infatti, forse con sorpresa, che,
ancor prima delle popolazioni germaniche, grandi bevitori di birra furono
i Sumeri e gli Egiziani.
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La "culla della civiltà" é stata la prima patria di preparatori e bevitori di
questa nobile bevanda. Fiumi di birra hanno attraversato per millenni
l’Asia e l’Egitto, hanno rinfrescato gole assetate, sono stati una preziosa
merce di scambio e di commercio, sacrale lavacro e offerta votiva nelle
cerimonie religiose. Della birra conosciamo perfettamente le tecniche di
produzione, ampiamente codificate nei testi sacerdotali che la
definiscono d’origine divina.
Se é vero che si beve vino sin dai tempi di Noé, si beve birra almeno sin
dai tempi dei nipoti di Noé. Racconta la Bibbia che lo stesso Noé fu il
primo uomo a piantare la vite e ad estrarre dall’uva un succo che trovò
talmente gustoso da berne al punto da cadere in terra completamente
ubriaco, facendogli perdere ogni dignità umana.
Narra un’antica leggenda Irlandese che Cassair (o Cesara), nipote
appunto di Noé, probabilmente stanco della lunga permanenza nell’Arca
in mezzo a tutti quegli animali, decise di abbandonare la navicella
allontanandosi su una barchetta e portando con sé le sue poche cose fra le
quali un pentolone di coccio, con il quale era solito prepararsi dell’ottima
birra. Navigando per il vasto mare, approdò, dopo un periglioso viaggio,
sulle spiagge dell’Irlanda, dove scoprì che già da oltre mille anni gli
abitanti di quell’isola preparavano birra secondo una ricetta misteriosa e
segreta di cui erano gelosi custodi i Fomoriani, antichi e tenebrosi
abitatori delle foreste, metà uomini e metà uccelli.
In materia di superstizione legata alla birra, è curioso quanto accadeva
nei paesi del Nord dell’Europa, specialmente in Norvegia. I contadini di
quella terra producevano nei loro casolari due tipi diversi di birra, una
più leggera da consumarsi nei mesi estivi e una più forte per le feste di
Natale, i matrimoni, le nascite e i funerali. Quella destinata alle esequie
era preparata proprio dagli anziani. Essi lavoravano il malto per la
produzione di quella bevanda che sarebbe stata offerta, dopo la loro
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morte, a parenti e amici per un ultimo brindisi alla loro memoria. Poteva
addirittura capitare che il rito funebre slittasse di qualche giorno fino a
fermentazione avvenuta!
Per secoli la produzione della birra è rientrata tra le comuni attività
domestiche, tuttavia per la delicata e laboriosa operazione
dell'ammostatura si poteva ricorrere ad artigiani particolarmente esperti.
Nel caso in cui ci fosse, tra questi, una donna e la fermentazione si
rivelasse piuttosto difficoltosa, erano posti sui tini capi di biancheria
maschile. Sempre a proposito di donne, era molto diffusa la credenza
che, in particolari giorni del ciclo, queste esercitassero influenze negative
sul lievito, mettendo a rischio la buona riuscita della fermentazione.
Le tradizioni legate alla produzione della birra, molto spesso,
s’intrecciano con le leggende sugli spiriti maligni.
Nei paesi nordici, ad esempio, si credeva che dai quattro angoli del
locale in cui si preparava la birra, spiassero spiriti maligni che andavano
esorcizzati con abbondanti spruzzi di mosto e di birra. Di notte, inoltre, si
lasciava nei locali di produzione il gatto di casa con il compito di
spaventare e mettere in fuga il più malvagio e dispettoso degli spiritelli,
il temutissimo Okorei, che protetto dalle tenebre rubava la birra e faceva
inacidire quella che non riusciva a portarsi via.
Molto diffusa anche la credenza secondo la quale non si doveva in alcun
modo "spaventare" il lievito sbattendo porte o facendo vibrare i
pavimenti di legno delle case. In realtà questa superstizione popolare
nasce da una constatazione di natura squisitamente empirica: perché il
lievito si depositi e la fermentazione avvenga regolarmente, infatti,
bisogna davvero evitare ogni minimo scuotimento del mosto e,
addirittura, anche la minima corrente d'aria!
Anche il Trentino Alto Adige è ricco di storie, tradizione e credenze
legate alla birra. La più diffusa riguardava la maturazione della bevanda
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e la sua prima degustazione. Una volta pronta la birra, infatti, si riteneva
di doverla bere soltanto in stato di buon umore perché l'umore si
trasmetteva alla bevanda e il malumore non si addiceva alla festa. Inoltre,
per non rendere fiacca la birra, bisognava berla in piedi e, perché
risultasse limpida e di bell'aspetto, la prima degustazione andava fatta in
direzione del sole; guai a girarsi dall'altra parte: in agguato c’erano i
soliti spiritelli che avrebbero fatto inacidire subito la birra!
Un'altra occasione in cui la schiumosa bevanda aveva una parte davvero
importante era all'inizio dei lavori nei campi, dopo il gelo dei mesi
invernali. Come rituale propiziatorio per una nuova stagione provvida di
messi, i contadini sacrificavano grandi quantità di birra per irrorare i
campi e ne bevevano, a loro volta, a turno, da un unico grande boccale.
Solo a seguito di tale rituale si poteva dare avvio all'aratura e pratiche
analoghe si ripetevano al momento del raccolto, della trebbiatura e della
nuova semina.
In Alto Adige il consumo pubblico della birra avveniva soprattutto nelle
locande contrassegnate, in genere, da rami di pino o d’abete appesi sopra
la porta d'entrata e immediatamente riconoscibili dalla clientela
affezionata o dai forestieri. Non aveva tutti i torti, allora, Goethe quando
scriveva: «conoscere i luoghi vicini o lontani non vale la pena, non è che
teoria; saper dove meglio si spini la birra è pratica vera, è geografia!»
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3. LA BIRRA NEI SECOLI
La birra non é stata mai inventata!
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Quando scaviamo nella memoria dei
nostri antenati alla ricerca della birra originale, noi non la troviamo.
Indoviniamo piuttosto come si é sviluppata: un composto di grani d'orzo
e d'acqua.
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Gli archeologi testimoniamo che il primo cereale coltivato é stato l'orzo,
il più facile da coltivare, che ha contribuito a trasformare i popoli da
nomadi in stanziali e a formare i primi villaggi.
Con il tempo le tecniche agrarie si sono perfezionate e hanno portato alla
produzione di un "surplus" da immagazzinare. Si sono presentate allora
delle difficoltà per proteggere le riserve dai vermi e dai roditori. Essendo
la necessità madre di tutte le invenzioni, la donna ha inventato una
tecnica originale di conservazione mantenendo i grani in recipienti
riempiti d'acqua, i quali, poi, grazie ai lieviti selvaggi hanno messo in
atto una maltazione ed una fermentazione: la birra ha cominciato così a
delinearsi. Partendo dalle materie prime tradizionali, acqua, orzo,
luppolo e lievito, attraverso diversi metodi, sono sempre state prodotte
incredibili quantità e varietà di birre.
Due sono le qualità che hanno da sempre contraddistinto la storia della
birra nei secoli: la sua presenza pressoché universale e la sua popolarità
in ogni ceto sociale.
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Nel primo caso si può affermare che laddove ci sia
stata la coltivazione dei cereali, si è verificata anche la produzione della
birra. La seconda asserzione, invece, è avallata da innumerevoli
testimonianze storiche.
Non si sa con esattezza dove sia nata la prima birra: c’è chi parla di
Mesopotamia, chi di Egitto, chi di isole Orcadi, chi addirittura di Malta.
Ciò non è importante, poiché è assai verosimile che il fenomeno della
fermentazione sia stato scoperto casualmente in diverse parti del mondo,
quasi nello stesso periodo. Differenti però sono stati i modi di sviluppare
la bevanda.
La Mesopotamia, per esempio, è stata la terra che per prima ha visto
sorgere la professione del birraio, cosa che in altre società meno
organizzate sarebbe stata impossibile. Il prodotto delle sue fatiche
rappresentava una quota della retribuzione dei lavoratori, che, dunque,
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era corrisposta in birra. Si badi bene, non una birra, ma svariate
tipologie, poiché già in quel periodo si distinguevano birre scure, chiare,
rosse, forti, dolci e aromatiche. Inoltre si usavano nomi diversi per
indicare birre prodotte con cereali differenti: le sikaru erano d’orzo, le
kurunnu di spelta. Pare che fossero addirittura venti le qualità di birra
disponibili sul mercato di Babilonia, la più ricca città dell’antica
Mesopotamia, anche se quelle più diffuse erano quattro: bi-se-bar, una
comune birra d’orzo, bi-gig, una birra scura normale, bi-gig-dug-ga, una
birra scura di elevata qualità, e bi-kal, il prodotto migliore.
La birra aveva anche un significato religioso e rituale: era bevuta durante
i funerali per celebrare le virtù del defunto ed era offerta alla divinità per
garantire un tranquillo riposo al trapassato. Si narra che la dea della vita
Ishtar, divinità di primissimo piano nel pantheon assiro-babilonese,
traesse la sua potenza dalla birra, forza che nemmeno il dio del fuoco
Nusku poteva estinguere.
Analoga importanza aveva la birra nell’Antico Egitto. Fin dall’infanzia si
abituavano i sudditi dei faraoni a bere questa bevanda, considerata anche
alimento e medicina. I bambini, inoltre, facevano sacrifici di birra, frutta
e focacce al dio della scrittura Thout, tutto questo mentre bevevano una
ciotola di birra dopo essersene bagnati gli occhi e la bocca (che erano
tenuti chiusi). Anche le donne incinte ricorrevano alla birra per offrire
libagioni alla dea Ernenunet, che avrebbe provvisto d’abbondante latte le
nutrici. Interessante anche l’uso di somministrare ai bambini birra a
bassa gradazione o diluita con acqua e miele durante lo svezzamento,
quando le madri non avevano latte. Gli Egizi usavano (così come i
Babilonesi) la birra per scopi propiziatori: sono innumerevoli le divinità
che ebbero a che fare con questa bevanda.
In una cosa erano diversi Egizi e Babilonesi: per i primi la birra era una
vera e propria industria statale, per i secondi, invece, si trattava di un
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semplice prodotto artigianale. I faraoni stessi possedevano fabbriche di
birra; in un’iscrizione funebre su una tomba reale è stata trovata questa
testimonianza: «Io ero uno che produceva orzo». E dall’orzo alla birra il
passo era (e continua ad essere) assai breve.
Di birra si parla anche nei sacri libri del popolo ebraico, come il biblico
Deuteronomio ed il Talmud. L’episodio della festa degli Azzimi, in
particolare, che narra della fuga dall’Egitto, racconta di come si
mangiasse per sette giorni il pane senza lievito e si bevesse birra. Questa
bevanda, regina durante l’annuale festività del Purim, era considerata la
più popolare dagli ebrei.
La Grecia non produceva birra però ne consumava parecchia, soprattutto
in occasione delle feste in onore di Demetra, dea delle messi, tra le quali,
ovviamente, non poteva mancare l’orzo, prodotto importato dai Fenici.
Durante lo svolgimento dei giochi olimpici non era ammesso il vino, per
questo la bevanda alcolica per eccellenza di questa prima grande
manifestazione sportiva fu la birra.
Etruschi e Romani facevano anch’essi parte del "club del vino", ma
alcuni ragguardevoli personaggi della loro società diventarono accaniti
sostenitori della birra, come ad esempio Agricola, governatore della
Britannia, che, tornato a Roma nell’83 dopo Cristo, portò con sé tre
mastri birrai da Glevum (l’odierna Gloucester) e aprì il primo pub della
nostra Penisola.
Tra i cosiddetti popoli barbarici si trovavano i più strenui bevitori di
birra, i Germani ed i Celti. I primi organizzavano feste che in realtà erano
scuse per sbornie colossali, come ad esempio la Wappentanz, una crudele
danza delle spade dedicata al bellicoso dio Thyr, al termine della quale i
sopravvissuti si dedicavano ad abbondanti libagioni.
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I Celti si erano stanziati principalmente in Gallia e in Britannia, ma la
loro straordinaria civiltà, bagnata di birra fin dai primordi, si era
sviluppata principalmente nella verde Irlanda.
Il Medioevo vide la birra protagonista soprattutto per merito dei
monasteri, che operarono un decisivo miglioramento nella produzione
della bevanda introducendo anche alcuni nuovi ingredienti, tra i quali il
luppolo. A questo proposito va detto che, in tempi più remoti, per
l’aromatizzazione della birra si usavano svariati tipi d’erbe, spezie o
bacche, oppure si ricorreva addirittura a misture vegetali, la più famosa
delle quali era il gruyt. Anche le suore avevano tra i loro compiti manuali
quello di fabbricare la birra che in parte destinavano ai malati ed ai
pellegrini.
In Gran Bretagna la birra, chiamata ale,
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veniva consumata nelle feste
parrocchiali, le cosiddette Church-Ale. Prodotta dalle massaie inglesi,
veniva venduta ed il ricavato era un contributo per la manutenzione di
chiese e conventi britannici. La birra diventò poi bevanda nazionale
perché l’acqua usata per la sua produzione veniva bollita e sterilizzata;
ciò rappresentava una garanzia in un periodo in cui l’acqua era spesso
infetta. In Inghilterra il luppolo venne introdotto assai tardi nella birra
nazionale, che continuò a chiamarsi ale, in contrapposizione ai prodotti
continentali luppolati, detti beer.
Nei tre secoli dopo la scoperta dell’America, in tutta l’Europa andarono
sviluppandosi numerose tipologie birrarie, tutte basate sull’unico sistema
di fermentazione allora conosciuto, la alta. Verso la metà del secolo
scorso, però, furono eseguiti studi specifici sul lievito: il loro risultato fu
la produzione della birra a bassa fermentazione (grazie ad essa il lievito,
utilizzando anche impianti produttivi tecnologicamente assai più avanzati
che in passato, si giovava di temperature più basse per fermentare).
Infine venne usato un lievito diverso rispetto alle birre tradizionali, il