Introduzione
Nel corso della storia ci sono sempre stati forti movimenti migratori dai paesi più poveri verso
quelli in cui c’erano migliori condizioni economiche. I flussi migratori sono stati sempre visti con
un po’ di diffidenza da parte dei nativi, perché si è sempre creduto che fossero una minaccia. In
questo lavoro andrò ad evidenziare che questa paura, dal punto di vista lavorativo, non è affatto
giustificata.
Il modello fondamentale di questo mio lavoro è il modello realizzato da Mueller, il quale è un
modello dinamico con la presenza dei salari di efficienza che studia le conseguenze
dell’immigrazione per un piccolo paese con una situazione in cui c’è discriminazione verso gli
immigrati in un mercato del lavoro dualistico con disoccupazione.
Prima di analizzare il modello di Mueller, che sarà analizzato nel Capitolo 3, è necessario che io
approfondisca separatamente la letteratura sulle varie tipologie dei modelli con i salari di efficienza
(questa analisi verrà fatta nel Capitolo 1) e i modelli in cui è previsto un mercato del lavoro in
presenza d’immigrazione (Capitolo 2).
Nel Capitolo 1 analizzo diversi contributi nella letteratura circa le teorie della disoccupazione
riguardanti il salario d’efficienza: esse hanno in comune la caratteristica che aziende in equilibrio
possono trovare redditizio pagare salari superiori al salario di mercato, perché alti salari possono
aiutare a ridurre l’avvicendamento, a spingere il lavoratore a lavorare maggiormente, a prevenire
l’azione collettiva del lavoratore ed ad attrarre dipendenti di più elevata qualità. Il capitolo inizia
con l’enunciazione dell’ipotesi del salario di efficienza, poi verranno esposti vari modelli accanto ai
quali verranno approfondite le critiche su di essi.
Il modello più semplice in cui la necessità delle aziende di indurre un maggiore sforzo dai lavoratori
può condurre al pagamento di salari maggiori rispetto a quello di mercato e generare
disoccupazione involontaria in equilibrio è quello di Shapiro e Stiglitz, che viene ripreso anche da
Mueller nel suo modello; nel modello di Shapiro e Stiglitz la scelta che deve compiere il lavoratore
è sul livello di sforzo, ed il lavoratore sceglierà di lavorare diligentemente se e solo se l’utilità attesa
nel compiere il giusto sforzo è maggiore all’utilità attesa che si ha facendo lo scansafatiche e
dell’utilità attesa di un lavoratore disoccupato.
Un altro modello con i salari di efficienza, il quale viene affrontato successivamente, è il modello
dei costi di turnover; la sola considerevole differenza tra i modelli dei costi di turnover ed i modelli
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dello scansafatiche è l’esistenza di un costo di formazione o di assunzione che è da sé fonte di un
surplus. Nel modello di Shapiro e Stiglitz un lavoratore appena assunto arrivato può truffare ed
infliggere all’azienda una perdita monetaria. Un’obbligazione può impedire la perdita monetaria,
ma dovrebbe rendersi disponibile un surplus da qualche altra fonte così da potersi formulare un
contratto di auto imposizione per impedire all’azienda di rubare l’obbligazione. Costi di assunzione,
comunque, creano il loro proprio surplus cosicché nessun’altra fonte (per esempio la
disoccupazione) è mai necessaria.
Anche l’inesatta informazione da parte delle aziende riguardo le capacità dei lavoratori può fornire
un motivo logico per scegliere pagamenti di salari d’efficienza, questo è il modello di selezione
avversa, il quale prevede che un salario più alto può aumentare la capacità che ci si aspetta da un
lavoratore assunto casualmente da un qualunque gruppo di candidati. Anche se, visto che le aziende
con il tempo riescono a conoscere le abilità dei propri lavoratori la soluzione potrebbe essere un
salario legato ai risultati, ma non è detto che siano sempre possibili valutabili pienamente i risultati.
Un’altra tipologia di modelli in cui è prevista la presenza dei salari di efficienza è quella dei modelli
sociologici, nei quali la rigidità del salario viene fatta risalire a convenzioni sociali e criteri di
comportamento che in origine non sono del tutto individualistici e verrà analizzato in particolare il
modello di scambio parziale di regali di Akerlof, il quale ha fornito il primo modello esplicitamente
sociologico che conduce all’ipotesi del salario d’efficienza.
L’ultimo modello descritto con i salari di efficienza è il modello della minaccia sindacale di Katz,
nel quale è previsto che l’azienda paghi un salario maggiore per evitare la sindacalizzazione dei
posti di lavoro, in particolare un salario tanto alto quanto i lavoratori vorrebbero ricevere a seguito
di un accordo di contrattazione collettiva sottraendo il costo di organizzazione dei lavoratori.
Nel Capitolo 2 invece, come accennato prima, si andrà a descrivere alcuni modelli che prevedono
nel mercato del lavoro l’immigrazione, in particolare il modello di Grossman nel Paragrafo 1 del
Capitolo 2, quello di Borjas nel successivo e altri contributi nell’ultimo Paragrafo del Capitolo.
Grossman è il primo che studia l’entità della sostituibilità tra gli immigrati, gli immigrati di seconda
generazione e i nativi e per determinare il grado di sostituibilità si stima una funzione di produzione
translogaritmica. In questo lavoro si evidenzia che sia i lavoratori immigrati di seconda generazione
che i lavoratori stranieri sono sostituti per i lavoratori nativi, ma gli immigrati di seconda
generazione sono molto più strettamente sostituti per i nativi che per gli immigrati. Gli immigrati
hanno una maggiore sostituibilità con gli immigrati di seconda generazione piuttosto che con i
nativi, inoltre si evidenzia che il capitale è complementare con tutti i gruppi di lavoratori e che la
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relazione di complementarità è più marcata con i lavoratori stranieri piuttosto che con i nativi. Date
le relazioni di sostituibilità, anche in presenza di un forte numero di immigrati nella forza lavoro,
l’effetto sui salari dei nativi è minimo, inoltre si evidenzia un leggero effetto positivo sul
rendimento del capitale, così da dover indurre i possessori di capitale ad essere favorevoli
all’immigrazione; in una situazione invece in cui c’è rigidità dei salari dei nativi verso il basso un
aumento della forza lavoro immigrata fa aumentare il salario degli immigrati e fa diminuire il
prezzo il capitale.
Nel Paragrafo 2 del Capitolo 2 viene utilizzata la stessa impostazione, essendo l’approccio di Borjas
uguale a quello di Grossman e nonostante le differenze nell’approccio metodologico e
nell’impostazione dei dati analizzati, questi studi giungono alla stessa conclusione e cioè che gli
immigranti hanno un piccolo impatto sui salari dei nativi. La maggiore differenza del modello di
Borjas rispetto a quello di Grossman è la funzione di produzione, infatti nel modello di Borjas la
produzione è caratterizzata dalla funzione di Leontief generalizzata, inoltre Borjas analizza le
caratteristiche degli immigrati suddividendoli in base alle etnie d’origine. Il risultato è schiacciante,
perché per nessuna delle elasticità incrociate delle remunerazioni dei diversi gruppi porta ad
evidenziare un forte oscillamento dei salari in presenza di nuova forza lavoro immigrata, giungendo
quindi allo stesso risultato di Grossman, malgrado Borjas usi una differente metodologia ed una
differente funzione di produzione.
Altri contributi analizzati nel Paragrafo 3 del Capitolo 2 sostengono se non addirittura rafforzano i
risultati di Grossman e Borjas, per esempio nel paper di Ottaviano e Peri si giunge alla conclusione
che i nativi e gli immigrati sono complementari, perché primo, i residenti stranieri sono
relativamente abbondanti nei gruppi di istruzione nei quali i nativi sono scarsi; secondo, la scelta
d’occupazione degli immigrati per dati livelli di istruzione e di esperienza è completamente
differente dai nativi. Inoltre, in questo stesso paper, si evidenzia che l’effetto dell’immigrazione può
essere addirittura positivo, infatti l’immigrazione del periodo dal 1980 al 2000 negli Stati Uniti ha
significativamente aumentato i salari medi dei lavoratori nativi (di circa il 2%).
Vista la permanenza di differenziali salariali tra i diversi gruppi etnici la spiegazione che si può dare
è che siamo in presenza di mercati del lavoro con discriminazione; gli atti discriminatori arrecano
danno sia alla collettività sia, ovviamente, ai singoli individui discriminati: da un lato, infatti, si
verifica una perdita di efficienza dovuta al fatto che se in una società i premi e le pene non sono
distribuiti sulla base della produttività dei singoli, deriva inevitabilmente che alcune risorse scarse
sono sovrallocate a soggetti relativamente improduttivi (coloro che sono favoriti dalla
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discriminazione o gruppo di maggioranza) e sottoallocate a membri relativamente più produttivi (i
discriminati, ovvero la popolazione target o gruppo di minoranza). Le varie tipologie di
discriminazione, in particolare in modelli competitivi, sono descritte nel Paragrafo 1 del Capitolo 3.
Il punto di arrivo del mio lavoro è il modello di Mueller, come già detto in precedenza, nel
Paragrafo 3 del Capitolo 3, nel quale nel mercato del lavoro convivono sia i salari di efficienza che
l’immigrazione, riprendendo per i primi la tradizione di Shapiro e Stiglitz, nel caso
dell’immigrazione, invece, soprattutto Borjas. Il modello di Mueller prevede tre stati dell’economia
nel caso di diversi livelli di immigrazione, in particolare i nativi hanno un beneficio maggiore nel
caso in cui gli immigrati sono indotti a lavorare solo in un settore secondario, in cui ci sono
condizioni peggiori di lavoro; viene comunque ribadito il modesto effetto che ha l’immigrazione sui
salari dei nativi e si evidenzia anche un effetto nullo nel tasso di disoccupazione di equilibrio. La
presenza della discriminazione è giustificata nel modello dalla diversa caratteristica che gli
immigrati hanno rispetto ai nativi e cioè la probabilità di ritorno nel paese d’origine.
La probabilità di ritorno nel paese d’origine non dovrebbe però essere considerata uguale per tutti
gli immigrati, infatti dipende di fatto da quanto l’immigrato è integrato nella società del nuovo
paese, essendo naturale che chi è maggiormente integrato ha anche meno volontà di ritornare nel
proprio paese d’origine. Chi è riuscito ad avere una maggiore integrazione ha anche migliori
possibilità nel mercato del lavoro; considerato ciò il parametro che distingue gli immigrati e i nativi
nel modello di Mueller può essere considerato il diverso grado di integrazione dell’immigrato.
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