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INTRODUZIONE
L’obiettivo di questa tesi è l’analisi delle relazioni tra la volatilità del mercato
azionario americano ed alcune variabili macroeconomiche; in particolare, si
vuole verificare se le conclusioni tratte nella recente letteratura restino valide
anche qualora l’analisi venga estesa all’ultimo decennio, periodo non ancora
analizzato in letteratura.
La crisi del 2007, sfociata prima in una crisi di liquidità e poi in una crisi dei debiti
sovrani, ha infatti aumentato notevolmente la volatilità del mercato azionario.
La letteratura che si è occupata di indagare le relazioni tra macroeconomia e
mercati finanziari ha evidenziato alcuni legami e comovimenti tra la volatilità del
mercato azionario e quella dell’economia reale; in particolare, come sarà
approfondito nel secondo capitolo, durante periodi di recessione si riscontra un
aumento della volatilità di molte variabili, soprattutto quella del mercato
azionario.
Tale evidenza, inizialmente prodotta da Schwert (1989), è stata confermata
dalla maggior parte degli studi successivi; inoltre un legame causale tra volatilità
del mercato azionario e volatilità macroeconomica, è stato trovato inizialmente
sempre da Schwert (1989), ma ribaltato in termini di direzione di causalità dagli
studi successivi di Beltratti e Morana (2006), Diebold e Yilmaz (2004), Engle e
Ghysels e Sohn (2005), Becker e Clements (2007).
Risulta inoltre che la volatilità di output ed inflazione sono le variabili
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macroeconomiche che maggiormente influenzerebbero, aumentandola, la
volatilità del mercato azionario, che tuttavia ha principalmente origini
idiosincratiche.
Anche la volatilità di liquidità e tassi di interesse a breve termine
sembrerebbero utili alla spiegazione dell’andamento di fondo della volatilità del
mercato azionario.
Successivamente allo scoppio della bolla speculativa dei mutui subprime,
trasformatasi nella prima crisi di liquidità con effetti paragonabili alla crisi del
1929, è ancora possibile confermare i risultati della letteratura? Oppure la crisi
finanziaria ha fatto emergere altri legami?
Nel terzo capitolo le conclusioni della letteratura verranno quindi verificate
empiricamente, utilizzando un modello autoregressivo vettoriale (VAR), ed un
campione temporale più esteso di quanto sin’ora utilizzato.
Per l’analisi empirica sono state considerate sette serie storiche statunitensi –
tre macroeconomiche e quattro finanziarie - con frequenza mensile, a partire
dal febbraio 1977 fino all’ottobre 2011, per un totale di 417 osservazioni,
principalmente ottenute dal database FRED
1
.
La scelta delle serie storiche da utilizzare è stata principalmente motivata dai
risultati prodotti in letteratura e, per far meglio emergere il potenziale impatto
della crisi finanziaria del 2007, sono state inserite due ulteriori variabili, non
1
Federal Reserve Economic Data
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contemplate in precedenza, ovvero l’agency spread ed il corporate spread.
L’analisi empirica ha quindi considerato sia l’esecuzione di test di causalità, che
lo studio della trasmissione degli shock di volatilità e la scomposizione della
varianza dell’errore di previsione.
Mentre dall’analisi dinamica l’importanza del contributo della volatilità
macroeconomica alla volatilità del mercato azionario risulta confermata, un
maggior effetto della volatilità del mercato azionario e finanziario sulla volatilità
macroeconomica, rispetto a quanto in precedenza trovato in letteratura,
sembrerebbe riscontrabile sulla base dei risultati dell’analisi di causalità e della
trasmissione degli shock.
Tali risultati sono potenzialmente riconducibili agli effetti reali della recente crisi
finanziaria, non in precedenza considerata in letteratura, così come confermata
dall’analisi di robustezza ripetuta su un campione di osservazioni che esclude la
crisi finanziaria, e che termina nel 2006.
Se i mutamenti riscontrati - per la relazione tra volatilità macroeconomica e
finanziaria, e potenzialmente determinati dalla recente crisi - siano da
interpretarsi come permanenti o di natura transitoria, è una domanda che il
presente studio lascia aperta e che sarà di sicuro interesse per i successivi
contributi che verranno dati in letteratura.
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CAPITOLO SECONDO: “VOLATILITÀ DEL MERCATO AZIONARIO E
VOLATILITÀ MACROECONOMICA”
2. SINTESI DELLA LETTERATURA
Negli ultimi vent’anni diversi studi hanno cercato legami tra variabili
macroeconomiche e mercati finanziari.
In questa sezione saranno considerati in ordine cronologico i principali lavori
che hanno indagato nello specifico le relazioni tra la volatilità dei mercati
finanziari e quella delle variabili macroeconomiche, partendo dal contributo di
Schwert del 1989 fino al più recente lavoro di Becker e Clements del 2007.
Tutti gli studi considerano principalmente serie storiche degli Stati Uniti,
essendo quelle con maggiore disponibilità di osservazioni nel tempo.
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2.1 G. W. Schwert (1989)
2
L’autore analizza le relazioni tra la volatilità del mercato azionario statunitense e
quella di alcune variabili macroeconomiche, considerandole prima
singolarmente attraverso una regressione lineare univariata e poi
congiuntamente in una regressione lineare multipla, per il periodo 1857 - 1987.
Le serie finanziarie considerate sono i rendimenti obbligazionari, azionari ed i
tassi di interesse a breve termine, mentre come variabili macroeconomiche si
utilizzano la crescita monetaria, la crescita della produzione industriale e
dell’inflazione.
Va sottolineato che le serie storiche utilizzate non sono tutte disponibili in
termini giornalieri, o perché le rilevazioni hanno altre scadenze o per la
mancanza di osservazioni per l’intero arco temporale.
Per rappresentare la volatilità mensile del mercato azionario viene impiegata la
devianza campionaria, calcolata utilizzando le osservazioni giornaliere
disponibili per ciascun mese; per il periodo dal 1885 al dicembre 1927 si
impiegano i dati giornalieri dell’indice Dow Jones, da gennaio 1928 a dicembre
1987 invece quelli dell’indice Standard & Poor, inoltre tra il 1857 e il 1885
vengono usati dati mensili.
Quindi:
2
2
G. William Schwert, 1989, “Why does stock market volatility change over time?” Journal of
Finance, 44, 1115-1153.
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rappresenta lo stimatore della varianza dei rendimenti del mese t composto da
N giorni; la serie mostra un forte incremento della volatilità durante i crash del
mercato azionario del 1929 e del 1987.
Il primo confronto viene quindi fatto con i rendimenti sui bond tra il 1859 al
1987: infatti se aumenta il rischio di impresa aumenta anche il rischio di azioni e
bond dell’impresa; quindi è lecito presumere che rischio e debito abbiano
variazioni simili.
Dal confronto delle rispettive volatilità si osservano comportamenti simili
durante la crisi del ’29 e gli shock petroliferi; tuttavia i rendimenti sui bond sono
molto volatili anche durante e dopo la Guerra Civile (1861-1865). Inoltre la
volatilità dei rendimenti azionari è tre volte maggiore di quella dei bond durante
l’intero periodo considerato e la volatilità del tasso di interesse a breve è ben 12
volte più piccola di quella dei rendimenti azionari.
Durante il novecento gli aumenti della volatilità dei tassi di interesse a breve
termine sono principalmente associati a situazioni di panico bancario (es. 1907);
un dato anomalo emerge per il 1979 , quando sia la volatilità dei tassi di
interesse a breve termine che quella dei bond aumenta, mentre quella delle
azioni no.
Questo può essere dovuto al fatto che i tassi di interesse sui titoli a breve sono
simili ai rendimenti obbligazionari a causa della comune componente
d’inflazione e degli effetti della politica monetaria, mentre azioni e bond sono
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analoghi per cause finanziarie ed il rischio d’impresa.
La volatilità dei rendimenti azionari può comunque riflettere la volatilità
dell’inflazione quando i prezzi dei beni sono incerti.
Paragonando le rispettive volatilità occorre usare una scala di 2/3 più piccola
per l’inflazione; inoltre la dinamica delle serie non sembrerebbe essere simile.
La volatilità dell’inflazione aumenta durante la crisi petrolifera, la Guerra civile,
nel 1862 (quando gli U.S.A. abbandonano il sistema gold standard) e dopo le
due guerre mondiali; inoltre resta bassa durante la grande depressione.
Considerando invece la volatilità del tasso di crescita della base monetaria a
partire dal 1880, si osserva che questa si mantiene su livelli elevati fino al 1950,
con picchi durante le crisi bancarie e del 1929, per poi stabilizzarsi su valori più
modesti.
Dato che le azioni sono crediti verso i futuri profitti di un’impresa, è ragionevole
pensare che l’attività economica reale determini in maniera decisiva la volatilità
dei rendimenti azionari.
Il confronto tra la volatilità dei rendimenti azionari e del tasso di crescita della
produzione industriale a partire dal 1859 rivela che la produzione industriale ha
una volatilità di 2/3 più piccola e risulta piuttosto alta tra la fine dell’800 ed il
1950 - come inflazione e base monetaria - con un picco nel secondo
dopoguerra.
Costruendo un modello autoregressivo vettoriale (VAR) per le serie di volatilità
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considerate, e operando restrizione di esclusione, è quindi possibile valutare la
capacità e la significatività di ciascuna variabile nello spiegare la volatilità delle
altre.
Da questa analisi emerge che la volatilità azionaria passata è sicuramente
decisiva nel determinare quella attuale.
In molti sottoperiodi inoltre contribuiscono, anche se in maniera ridotta, i ritardi
della volatilità di bond e dei tassi di interesse.
Di apprezzabile importanza è la base monetaria nello spiegare la volatilità dei
rendimenti azionari, inoltre dal 1920 al 1952 vale anche il viceversa.
Considerando infine la produzione industriale, si osserva che è la volatilità dei
rendimenti azionari a contribuire a spiegare quella delle produzione e non
viceversa.
Concludendo, emergono relazioni tra le diverse serie di volatilità, sebbene di
scarsa significatività; generalmente ogni variabile è infatti spiegata dai propri
valori passati.
Inoltre alcune variabili - produzione industriale in particolare - sembrano
influenzate dalla volatilità azionaria, ovvero l’evidenza sembra suggerire che il
potere predittivo del mercato azionario nello spiegare fenomeni
macroeconomici è maggiore di quella delle variabili macroeconomiche nello
spiegare quelle del mercato azionario.
Tuttavia è ragionevole ipotizzare che la volatilità dei rendimenti azionari sia
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collegata all’attività economica.
Come mostra la seguente figura, in effetti i periodi di recessione coincidono con
periodi di alta volatilità.
Prediction of the monthly standard deviation of stock return during NBER recession ( ______ )
and during expansion (----------) for 1859 -1987.
Secondo Schwert, una spiegazione per tale legame potrebbe trovarsi nel debito
finanziario, il prezzo delle azioni è infatti un indicatore che anticipa l’andamento
del prezzo delle obbligazioni, riducendosi prima e durante le recessioni.
Quindi il debito aumenta durante una recessione, aumentando la volatilità del
mercato azionario.
L’analisi congiunta delle variabili parte da un modello di regressione lineare
multipla logaritmico di questo tipo:
ln σ = α
e
+ α
r
D
rt
+ β
1
ln|ε
pt
|+ β
2
ln|ε
mt
|+ β
3
ln|ε
it
|+ ϒ ln(V/S)
t-1
+u
t
dove il logaritmo della varianza dei rendimenti azionari dipende da: