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I fenomeni qui sinteticamente descritti hanno aperto l’era dell’instabilità
finanziaria.
Il mutamento è stato notevole: infatti in passato l’ambiente economico si
evolveva molto lentamente.
Oggi il cambiamento è invece rapido ed è inevitabile un superamento
continuo delle posizioni, scelte, strategie aziendali, sociali e politiche
precedentemente definite, anche a livello di una piccola comunità, in
quanto l’economia è ormai globale.
Un “ volo di farfalla “ di una piazza finanziaria dei Paesi emergenti, può
provocare un ciclone alla Borsa di New York.
Gli attori di mercato, senza creare una contrapposizione tra rigidità di
gestione e dinamicità ambientale, hanno reagito concentrando i loro sforzi
e risorse sull’individuazione delle metodologie per proteggersi in anticipo
da improvvisi, inattesi e radicali mutamenti di questi fattori.
Così è nata la scienza del risk management.
Scopo del risk manager è garantire la protezione della struttura economica
da eventi sfavorevoli e, in particolare, dalle conseguenze che tali eventi
possono avere sulla struttura stessa in termini di valore, attuale e
prospettico, e sulla capacità di generare reddito.
Senza mai perdere di vista l’unitarietà gestionale in cui sono inclusi i
fenomeni di rischio finanziario, questo elaborato vorrebbe offrire ai suoi
lettori un’occasione di approfondimento e di riflessione, nonché un punto
di partenza per coloro che vogliono assicurare al sistema impresa un
adeguato controllo nella misurazione e nell’individuazione dei rischi a cui
essa è quotidianamente sottoposta.
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La prima parte di questo scritto vuole dare un’idea generale sulle
motivazioni, storiche, sociali e commerciali, della nascita dell’odierno
mercato degli strumenti derivati.
Dal Capitolo Secondo fino al Capitolo Quinto si vuole definire quali siano
oggi, dal punto di vista descrittivo, le caratteristiche e i regolamenti che
governano il mercato dei futures: le differenze tra i precedenti contratti
forward, i protagonisti di questo tipo di contrattazioni.
Nei Capitoli Sesto e Settimo si vuole illustrare rispettivamente l’impatto
che gli strumenti a termine hanno avuto sullo scambio delle materie prime
con una digressione sul London Metal Exchange ( la prima Borsa Merci
europea ) e come, al di là dei futures, vengano oggi sempre più scambiati i
contratti di opzione, nuova “ frontiera “, soprattutto nel Nostro Paese, di
metodologia di gestione del rischio finanziario per le imprese e i portafogli
finanziari di investimento, nonché dei Fondi Pensione, da pochi mesi
proposti ai lavoratori come alternativa al modello pensionistico
tradizionale.
Come già evidenziato, durante questo ultimo ventennio si è assistito alla
proliferazione di strumenti finanziari innovativi, i cosiddetti strumenti
derivati, ed alla rapida diffusione di un elevato numero e varietà di contratti
che ne sovraintendono il funzionamento.
Tutto ciò ha complicato i processi gestionali che necessitano ora di
maggiore attenzione e di informazioni approfondite.
La seconda parte di questo scritto vuole descrivere, se pur in via generale,
i più importanti strumenti di copertura del rischio finanziario e porre
l’accento su due questioni che reputo di fondamentale importanza per
un’azienda efficiente e che voglia continuare a perpetuare i suoi successi
in un mercato globale: la prima è che oggi è impossibile non proteggersi
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dal rischio finanziario e che per attuarlo si deve ricorrere necessariamente
e soltanto all’uso di strumenti derivati.
La seconda è che lo sviluppo di nuovi strumenti di copertura e di
speculazione finanziaria, ad esempio come quelli descritti nei Capitoli
Undicesimo e Dodicesimo e cioè le opzioni sui singoli titoli azionari e le
opzioni esotiche, deve essere supportato da una conoscenza sempre più
approfondita delle nuove tecnologie, informatiche e di analisi economica,
al fine di dirigere in modo più efficace le future scelte economiche
dell’azienda.
Gli analisti finanziari hanno infatti ripreso gli strumenti di analisi statistica e
analisi tecnica per affinarli ed adattarli nel modo più efficace alle mutevoli
condizioni di mercato: le tecniche di value – at – risk sono oggi più che
mai oggetto di approfondimento anche se hanno raggiunto già un notevole
livello di diffusione.
Il risk management ha così assunto una posizione autonoma nell’ambito
delle strategie aziendali, affermandosi come attività sempre più strategica,
capace di fornire un reale supporto alla valutazione del binomio
rischio/redditività, non solo di portafogli finanziari, ma anche e soprattutto
di business unit e di intere imprese.
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1. ORIGINI STORICHE DEL MERCATO DEI FUTURES
Le origini storiche dell’odierna Borsa Valori risalgono alla seconda metà
del Settecento con la nascita dei certificati al portatore rilasciate ai
creditori, a fronte di prestiti con vincoli di capitale, da parte di operatori
economici dediti al commercio e all’industria: dall’esistenza di questi titoli
di credito che generavano le prime società anonime, ben presto emerse
l’esigenza di dar vita ad un mercato dei valori mobiliari, insediato dapprima
presso organizzazioni private e poi in istituti di pubblico interesse, dove gli
scambi di questi valori avvenivano sotto tutela di leggi speciali e di
ordinamenti ufficiali che regolavano le negoziazioni tra contraenti e
committenti.
Perciò, prima di dire di tali istituti, cioè delle Borse valori che in ordine di
tempo hanno preceduto le Borse Merci, conviene rivolgere particolare
attenzione alla genesi e allo sviluppo della pratica mercantile, avviata nel
Medio Evo, di mettere in circolazione titoli di credito con la funzione di veri
e propri mezzi di pagamento.
Il Trecento è il secolo che segna nella scala delle classi sociali la
supremazia dei finanzieri e dei mercanti con attività strettamente
connesse e condotte su piano individuale, ma talvolta anche affiancate da
imprese collettive.
Nasceva così il commercio in società: va detto però che questo stringersi
in sodalizio negli affari era già in uso all’inizio del secondo millennio,
quando i mercanti, per meglio affrontare la vita di avventure nelle
malsicure vie commerciali di tutto il mondo conosciuto, presero a viaggiare
in carovana e, grazie alle lunghe frequentazioni, a creare combinazioni di
affari mettendo insieme i capitali.
Da qui la formazione di gilde, hanse e leghe che dovevano sfociare
dapprima in forme di associazioni in partecipazione e più tardi in comunità
stabilmente organizzate.
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L’affermarsi delle compagnie aggregate attorno alla figura del mercante –
banchiere e il diffondersi della pratica del commercio in società hanno
facilitato le grandi riunioni di mercanti nei luoghi di incrocio dei maggiori
itinerari del traffico mercantile, dando origine a fiere periodiche regolate da
franchigie e, in periodo di guerra, da editti di tregua e di salvaguardia.
Laddove avvenivano queste riunioni si sono presto sviluppate le città, e
nei centri urbani sono sorti magazzini per lo stoccaggio delle mercanzie.
Nelle fiere e nelle città mercantili prendeva piede l’attività creditizia
attraverso compensazioni con lettere di cambio, che i mercanti italiani
hanno introdotto in tutti i mercati del vecchio continente, quale importante
innovazione nel regolamento dei conti tra contraenti di differenti e distanti
luoghi di provenienza, eliminando così i rischi e i disagi del trasporto di
monete metalliche come mezzo tradizionale di pagamento.
Sul finire del basso Medio Evo esistevano degli istituti ( banchi monetari )
creati presso le principali piazze commerciali che accettavano in deposito
monete metalliche, accreditando su conti aperti ai depositanti i valori
corrispondenti ai depositi effettuati: i banchi monetari accettavano svariate
monete auree aventi corso legale ( zecchini, fiorini, ducati, grossi….), ma
questi contabilizzavano non già le unità monetarie presentate, bensì il loro
contenuto di oro fino, poiché era ben nota la pratica dei governanti di “
tosare la moneta “ che avevano il privilegio di battere, riducendone il
valore intrinseco rispetto a quello dichiarato come legale.
Per esempio, il versamento di un certo numero di ducati d’oro dava luogo
all’accredito non già della stessa somma di ducati aventi corso legale,
bensì di un diverso numero di ducati di banco.
Detenere un deposito in moneta di conto o in moneta di banco significava
avere un credito espresso in una moneta ideale a tutti nota, materialmente
inesistente, ma ovunque utilizzabile come riferimento per la
determinazione del prezzo delle merci scambiate.
La creazione di una moneta di computo metteva ordine in un mondo
mercantile disturbato dalla circolazione di una miriade di monete
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metalliche diversissime e dal valore intrinseco assai variabile da Paese a
Paese, parlando finalmente a tutti lo stesso linguaggio, fuori da ogni
equivoco sull’effettivo peso, titolo, valore.
Ma vi è di più: i mercanti che erano stati accreditati in moneta di conto, se
dovevano effettuare dei pagamenti ad altri mercanti della piazza, non
erano necessariamente tenuti a ritirare dal banco le monete d’oro
effettivamente occorrenti, ma potevano saldare i debiti con moneta di
banco attraverso un semplice giroconto da essi autorizzato al banco e
accettato dai mercanti creditori.
Anche e soprattutto per il pagamento degli scambi avvenuti a grande
distanza dai banchi monetari, all’uso della moneta metallica si è via via
sostituita la pratica di cedere e rilevare credito bancario, quale comodo ed
immateriale surrogato delle onerose e rischiose trasmissioni di monete
effettive: anziché ricorrere al giroconto delle partite contabili di credito che
richiedeva la presenza dei due mercanti presso il banco, sulle grandi
distanze il pagamento delle mercanzie poteva semplicemente avvenire
mediante cessione del titolo di credito rilasciato dal banco al depositante,
all’ordine o al portatore, al momento della costituzione del deposito.
Nasceva così la moneta fiduciaria: all’oro custodito nei forzieri del banco
monetario, faceva riscontro il suo debito complessivo verso i depositanti
accreditati in moneta di banco: a motivo della fiducia goduta dal banco, si
avvertì presto la propensione di gran parte dei creditori del banco di non
chiedere la conversione della moneta ideale di banco in moneta metallica,
avvalendosi piuttosto del proprio credito di banco per saldare ben più
comodamente un debito.
Si intende, quindi, come la trasformazione dei banchi monetari in organi di
gestione del credito abbia avviato un secolare processo di evoluzione
sfociato nella moderna concezione di banca di credito e nell’emissione di
titoli di credito pagabili a vista e al portatore, così da servire come mezzi di
pagamento con semplici passaggi manuali: sono gli odierni biglietti di
banca ( banconote ), in un primo tempo rilasciati dalle banche e fatte
circolare da uomini di affari nel sistema delle imprese e in quello delle
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famiglie, da ultimo emessi da un solo istituto bancario per ogni Paese, con
corso forzoso all’interno del relativo sistema economico.
Oggi, come è noto, i biglietti di banca sono titoli di credito, la cui
convertibilità in moneta metallica è sospesa, ancorché non soppressa.
Analogo è il processo di formazione di un altro tipo di certificato di credito,
il cui scambio ha dato luogo alla nascita di quel particolare mercato per il
quale è stato coniato il termine di Borsa.
La diffusa pratica di effettuare i pagamenti delle merci e dei servizi
attraverso la consegna de lettere di credito, vero e proprio surrogato della
moneta, era valsa ad aprire la strada alla libera circolazione di lettere
cambiali e di certificati di credito.
Nel 1566 è stato Sir Thomas Gresham, agente finanziario della corona
britannica e tesoriere della Regina Elisabetta, a far costruire la prima
autentica Borsa con la duplice funzione di sportello bancario e di sede di
contrattazione dei cambi alle grida: era il primo tentativo dello Stock
Exchange di Londra di far funzionare un mercato organizzato che si
distinguesse dalle tradizionali fiere dei cambi dell’Europa continentale.
Alla negoziazione delle lettere di cambio si aggiunse presto quella di
attestati del debito pubblico e privato, di fedi di deposito, di noli, di prestiti,
patrocinati da mercanti e banchieri dalle più svariate provenienze europee,
ma in gran parte genovesi, fiorentini e lombardi, a tal punto che, quella
che sarebbe diventata la city di Londra, faceva perno su quella mitica
Lombard Street dominata da noi italiani e che ha lasciato un’impronta
incancellabile nella storia dell’intermediazione finanziaria.
Nei primi anni del 1700, Londra contava già oltre 300 società azionarie e
lo scambio di azioni divenne tale che nel 1720 il governo di Londra dovette
emanare la Bubble Act per regolamentare il mercato e proteggerlo dalle
cosiddette Soap bubbles ( bolle di sapone ) che colpivano soprattutto i
risparmiatori sottoscrittori.
Non per questo però veniva ostacolata la speculazione in campo
azionario, che era anzi eccitata dalla facoltà concessa agli acquirenti di
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titoli azionari di versare un minimo acconto del solo 5% o del 10% del loro
valore, e il resto in modo differito.
Come sempre accade ogni volta che il mondo della finanza si avventura
nelle bolle speculative di ampiezza generalizzata, bastarono le prime
delusioni economiche della colonizzazione delle terre americane ( malattie
e bassi rendimenti dell’agricoltura ) per segnare il tracollo dei titoli e il
disastro economico dei possessori dei biglietti di banca e delle azioni.
In Francia, a seguito del tracollo finanziario della Banque Generale ( 20
luglio dell’anno 1720 ), in un atto ufficiale dello stesso anno il commercio
della compravendita di azioni veniva individuato con il termine Bourse, e
quattro anni più tardi questo “ gioco “ prendeva il nome di Bourse du Roi,
funzionante sotto controllo pubblico.
Bisogna attendere la metà del XIX secolo per trovare le prime tracce di
negoziazioni aventi caratteristiche simili a quelle odierne.
Infatti, sul finire del XVIII secolo e nel corso del XIX, nuove tecniche
produttive favorivano rapidi incrementi delle produzioni agricole e
industriali.
Contemporaneamente, l’avvento della ferrovia e delle navi a vapore e
nuovi mezzi di comunicazione quale era il telegrafo dischiudevano alle
industrie nascenti nuovi mercati d’incetta e di sbocco.
Iniziava così l’era industriale moderna: l’ampliamento dei mercati
reclamava l’espansione dei centri di produzione esistenti e la creazione di
nuovi, che a loro volta ponevano l’esigenza di massicci
approvvigionamenti di materie prime.
Il ciclo industriale, dall’incetta della materia prima alla sua trasformazione
tecnico – economica fino all’immissione del prodotto lavorato sui vasti
mercati, è andato via via allungandosi fino a coprire un arco di tempo di
svariati mesi: il prezzo del prodotto veniva generalmente definito nel
momento dell’immissione del prodotto sul mercato ed incassato a vendita
avvenuta, quando non era effettuata a credito.
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Questo permanere a lungo delle materie prime nell’economia delle
imprese industriali, oltre a comportare immobilizzo di ingenti capitali,
alimentava il rischio della variazione dei prezzi, dipendenti non più solo
dalle condizioni del mercato locale, ma rispecchiante anche l’evolversi
delle circostanze economiche verificatesi nel resto del mondo.
In più, l’apertura di nuove vie di comunicazione aumentava l’eventualità
che produttori lontani riversassero sul mercato locale prodotti concorrenti,
spingendone al ribasso i prezzi.
L’espansione mondiale della produzione e del commercio prodottasi nel
XIX secolo aveva portato nuovi problemi, che si possono compendiare:
a) nell’esigenza delle imprese di accentrare ingenti mezzi di capitale
proprio e di credito per finanziare questa espansione economica
b) nel maggior rischio di fluttuazione dei prezzi delle materie prime e dei
prodotti lavorati, dovuto sia all’allungamento del ciclo economico del
prodotto lavorato, sia alla più accesa concorrenza tra produttori
geograficamente distanti
Questi nuovi problemi non potevano che comportare nuove soluzioni.
Il problema della raccolta di ingenti mezzi di capitale proprio ha sviluppato
la corsa al capitale azionario ed ha fatto crescere le Borse valori.
L’esigenza di convogliare al sistema delle imprese il capitale di credito ha
dato origine per altro verso all’organizzazione dei sistemi bancari nazionali
ed internazionali.
Il problema del rischio di fluttuazione dei prezzi delle materie prime
coinvolgeva varie figure contraenti: il produttore, il commerciante e
l’utilizzatore, i quali ovviamente cercavano di trarre un vantaggio
economico dalla funzione svolta, e generalmente evitavano il più possibile
l’alea della speculazione.
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Nessuno di essi poteva però sottrarsi alle perdite provocate dal ribasso dei
prezzi, quando possedevano giacenze di materie prime o di prodotti
lavorati: se avevano seguito la regola di finanziare col capitale di credito
quello circolante, le imprese che avevano finanziato le giacenze con
prestiti bancari, in periodi di crollo dei prezzi di decine di punti percentuali,
vedevano distrutto il loro capitale e avvicinarsi fatalmente lo spettro del
fallimento.
Per porre rimedio a queste fluttuazioni occorreva far ricorso a vendite a
consegne differite, trasferendo sui compratori i rischi di fluttuazione dei
prezzi.
Affinché i detentori di giacenze di merci potessero immunizzarsi dal rischio
di ribasso dei prezzi occorreva perciò che esistessero compratori disposti
a farsi carico di tale rischio, acquistando appunto per futura consegna.
Costoro non potevano certo essere gli utilizzatori, non certo inclini alla
speculazione, e perciò occorreva che un terzo operatore, inserendosi nella
filiera commerciale fra il produttore di materie prime e l’utilizzatore,
assumesse in proprio i rischi mercato.
Questo personaggio è lo speculatore, che mette a rischio i propri capitali
per trarre vantaggio dai movimenti dei prezzi: è la logica del “ forte rischio,
forte guadagno “, che in ogni epoca ha sempre raccolto vaste schiere di
adepti.
Dalle prime forme tecniche di copertura del rischio a mezzo di
contrattazioni all’arrivo, il sistema si è evoluto fino a creare i mercati a
termine, che hanno finalmente dato una soluzione adeguata al problema
del rischio di variazione dei prezzi: infatti, l’avvio delle Borse merci a
termine ha consentito al capitale speculativo o di rischio di invadere la
sfera del commercio delle merci, e l’ingresso in Borsa merci di questo
capitale ha reso possibile a tutti gli operatori non speculatori il ricorso a
negoziazioni di copertura o di arbitraggio, tali da garantirli contro i rischi di
fluttuazione dei prezzi.
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I precursori degli attuali traders e brokers erano soliti riunirsi abitualmente
in determinati luoghi per trattare gli affari.
Fino al 1792 gli agenti di New York scambiavano merci e titoli
informalmente in Wall Street e nei dintorni, particolarmente sotto un
platano: poi, in quello stesso anno, 24 di essi si accordarono per dar vita
al nucleo operativo di quella che sarebbe diventata una delle principali
Borse mondiali.
Altrove i luoghi di raduno erano le fiere e mercanti delle principali piazze
d’affari, da cui sarebbero poi derivate le Borse merci dedite a facilitare il
commercio a pronti, cioè a consegna immediata.
Le borse merci si sono quindi orientate verso l’attuale configurazione,
introducendo ordinamenti che hanno esteso l’attività ai contratti futuri, cioè
a termine.
1.1 La genesi dei contratti futures dell’era moderna
La genesi dei futures contracts dell’era moderna va ricercata soprattutto
nei primi anni di contrattazioni della Borsa merci di Chicago, la Chicago
Board of Trade ( CBOT ), fondata nel 1848 da 82 mercanti di cereali.
Infatti, il moderno commercio nordamericano dei futures ha preso l’avvio
nel Midwest, sul nascere del XIX secolo: la posizione strategica di
Chicago, a ridosso dei Grandi Laghi, e le fertili terre circostanti
contribuirono ad ingrandire la città e farne il centro terminale più
importante del mercato cerealicolo.
Lo sviluppo di questi commerci indusse i principali mercanti del settore ad
istituire un luogo in cui i compratori e venditori potessero incontrarsi per
trattare gli affari.
Questi contratti non erano però standardizzati riguardo alla qualità e alla
scadenza, e non infrequentemente capitava che qualche contraente si
dichiarasse inadempiente: così, nel 1865 gli ordinatori del CBOT
introdussero nel commercio dei cereali esercitato nella Borsa uno schema
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uniforme di contrattazione con la standardizzazione dei termini, dando
così vita al futures contract.
Il futures contract è perciò un contratto standardizzato riguardo alla
quantità, qualità termine e luogo di consegna della merce, mentre il prezzo
costituisce l’unica variabile.
Mercanti ed agricoltori avevano capito che i contratti futures li avrebbero
protetti dalle future fluttuazioni dei prezzi delle merci acquistate o vendute
a pronti.
A loro volta, gli speculatori subivano l’attrattiva del mercato dei futures,
perché vi potevano agevolmente acquistare e rivendere, o viceversa, uno
o più contratti riscuotendo i profitti al sopraggiungere del termine tutte le
volte che le loro previsioni si avveravano.
Ad accrescere l’attrattiva dei contratti futures ha contribuito l’adozione del
cosiddetto “ margining system “, un sistema di garanzie a tutela del buon
fine delle negoziazioni nei confronti degli operatori non intenzionati a
portare a termine l’impegno contrattuale.
Cosicché, fin dal lontano 1865, operavano quei principi fondamentali che
rappresentavano la base degli odierni mercati a termine di Borsa.
Sotto un profilo storico, le prime Borse merci al mondo organizzate a
trattare anche operazioni a termine sono state quelle di Trieste su caffè e
zucchero, di Genova su grani e caffè, nel 1885.
Seguirono, in ordine di tempo, la Chicago Board of Trade nel 1865, il New
York Cotton Exchange nel 1870, il New Orleans Cotton Exchange nel
1880, il London Metal Exchange nel 1882 e tanti altri mercati a termine
sorti in Europa e in America.
Oltre a sviluppare considerevolmente il volume degli affari sulle merci
lungo numerosi decenni, dopo l’ultimo conflitto mondiale, per soddisfare le
nuove esigenze dell’economia, il CBOT estese la sua offerta di contratti al
nascente mercato dei financial futures, dando la possibilità agli operatori
di trattare anche il rischio finanziario.
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Da qui, nel 1982, vennero creati e regolamentati gli strumenti delle
opzioni, ossia diritti di acquisto e vendita di un bene sottostante a termine ,
che presto si estesero presto anche al settore delle commodities ( tra cui
semi di soia, grano, argento, metalli non ferrosi e avena ).
Nell’aprile 1973 il CBOT creò una nuova Borsa, la Chicago Board Options
Exchange, con lo scopo specifico di trattare opzioni su azioni. Da allora i
mercati delle opzioni sono divenuti sempre più popolari presso gli
investitori.
L’American Stock Exchange ( AMEX ) e la Philadelphia Stock Exchange
fece lo stesso nel 1976.
All’inizio degli anni ’80, le negoziazioni crebbero così rapidamente che il
numero delle azioni sottostanti i contratti di opzione trattati in un giorno
superò il volume di azioni scambiate giornalmente al NYSE.
In particolare il CBOT offre le opzioni sui futures sul grano, la Chicago
Mercantile Exchange le opzioni sui futures sui bovini da macello,
l’International Monetary Market le opzioni sui futures su valute e così via.
Gli anni ’80 e ’90 hanno anche visto lo sviluppo di attivi mercati paralleli
per la negoziazione di opzioni.
Le opzioni over the counter vengono negoziate per telefono, piuttosto che
su un floor di borsa. Di solito, una delle due parti è rappresentata da una
banca di investimento, che detiene un portafoglio di opzioni e ne copre il
rischio usando dei metodi che verranno descritti più avanti.
L’altra parte è un cliente della banca, ad esempio un gestore di fondi o il
tesoriere di una grossa società.
Uno dei vantaggi delle opzioni OTC è che possono essere costruite in
modo da venire incontro alle specifiche necessità del cliente.
Ad accrescere il ruolo internazionale del CBOT valse poi l’apertura di uffici
a Londra e Tokyo nel 1986, e l’aumento delle ore di trattazione nel 1987,
per abbracciare un maggior numero di fusi orari e aumentare di
conseguenza la liquidità del mercato, così da competere con le Borse
giapponesi sul loro tradizionale mercato del Sud est asiatico.
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2. CONTRATTI FORWARD E CONTRATTI FUTURES
Un contratto a termine, come un contratto future, è un accordo che
prevede la consegna futura di un bene economico a un prezzo e alla
scadenza di un periodo prefissato.
I contratti future sono accordi standardizzati per quanto riguarda la data di
consegna ( o il mese di consegna ) e la qualità della merce da
consegnare, e sono negoziati su mercati organizzati. Un contratto a
termine si differenzia da un future perché di solito non è standardizzato (
vale a dire, i termini di ogni contratto sono negoziati direttamente tra
compratore e venditore ); non esiste una clearinghouse a fungere da
intermediario, e i mercati secondari sono spesso inesistenti o
estremamente sottili.
Diversamente da un future, che è un prodotto oggetto di scambio, un
contratto a termine è uno strumento over the counter, il contratto
scaturisce cioè da accordi privati tra due istituzioni finanziarie o tra una
istituzione finanziaria ed uno dei suoi clienti societari, e non è quindi
trattato in Borsa.
Sebbene entrambe le tipologie di contratto prevedano tra le clausole la
modalità di consegna, i future non vengono utilizzati con l’intento di
concludere effettivamente la transazione con la consegna del bene
economico.
In effetti, meno del 2% dei contratti viene di solito perfezionato in questo
modo.
Mentre i futures vengono in genere chiusi prima che inizi il periodo di
consegna, i forwards si chiudono con la consegna dell’attività negoziata o
la liquidazione finale per contanti.
Di conseguenza, i contratti future comportano delle dinamiche di cassa,
perché talvolta è necessario versare delle somme di ricostituzione dei
margini ( quando le quotazioni hanno decorso sfavorevole ) oppure è