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1 - LE EQUAZIONI DI MAXWELL
James Clerk Maxwell (1831-1879) era convinto che la teoria dell'azione a distanza tra corpi, tipica
della fisica newtoniana, fosse insufficiente a spiegare completamente i fenomeni elettrici e
magnetici, come aveva fatto Weber, con ottimi risultati del resto. Molto più incline, come Faraday, a
ritenere che lo spazio di separazione tra i corpi esercitasse una funzione attiva, elaborò, nella
seconda metà dell'800, quella che lui stesso, già in una memoria del 1864, chiamò "teoria dinamica
del campo elettromagnetico".
Per Maxwell lo spazio era costituito da un mezzo elastico, detto etere, che, perturbato dai fenomeni
elettrici e magnetici aventi sede in un corpo, si contraeva ed espandeva originando onde che
consentivano all'energia elettromagnetica di diffondersi nello spazio (la velocità di propagazione è
la velocità della luce). L'etere era un'ipotesi di lavoro di cui nessuno, in seguito, ha potuto
dimostrare l'esistenza; anzi, l'esperimento di Michelson-Morley, che è considerato uno dei
fondamenti della relatività, sembrò negarla. L'etere permise però a Maxwell di elaborare una nuova
teoria, sfruttando la potenza dell'analogia che egli poté stabilire tra il comportamento dei mezzi
materiali elastici con quello di questo elemento ipotetico, pervasivo di tutto lo spazio, o che, forse,
era lo spazio stesso.
Le equazioni note come equazioni di Maxwell sono quattro e possono essere espresse sia in forma
integrale che in forma differenziale. Erano già note ai tempi in cui egli le elaborò, ma ad una di esse
Maxwell, grazie alla concezione dello spazio vuoto come parte attiva dei fenomeni elettromagnetici,
dette un contributo decisivo. Si tratta dell'equazione che elimina un'incompletezza del teorema di
circuitazione di Ampere, introducendo il concetto di corrente di spostamento, il concetto più
direttamente legato alle proprietà elastiche del mezzo.
Le equazioni di Maxwell sono condizioni matematiche sui vettori che descrivono il campo
elettromagnetico in modo del tutto generale. La loro soluzione, quindi la descrizione del campo
effettivo oggetto di studio, è fortemente dipendente dal mezzo in cui la soluzione è cercata: come si
vedrà è indispensabile descrivere chiaramente il mezzo per ottenere un risultato univoco. Tale
descrizione si traduce in relazioni matematiche dette “relazioni costitutive”.
Tutti i fenomeni elettromagnetici macroscopici sono regolati dalle equazioni di Maxwell. Da un
punto di vista prettamente matematico, tali equazioni sono difficili da trattare, sebbene esse siano
semplici da comprendere in termini concettuali. In particolare descrivono la natura a parametri
distribuiti dei campi elettoromagnetici, ossia il fatto che le quantità di campo sono sempre funzioni
dello spazio oltre che del tempo (sono equazioni differenziali alle derivate parziali proprio perchè i
campi sono funzioni delle tre coordinate spaziali e di quella temporale).
Per impostare la discussione descriviamo brevemente le leggi fondamentali dell'elettromagnetismo
riferendoci alle proprietà locali dei campi elettrico e magnetico, espresse attraverso operazioni di
calcolo vettoriale come la divergenza e il rotore (vedi Appendice A).
Legge di Gauss relativa al campo elettrico E.
Considerata una superficie infinitesima dS e indicato con n un versore normale a dS orientato verso
l'esterno, si definisce il flusso elementare d del campo elettrostatico E attraverso dS come:
d = E n dS = E dS (1.1)
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Se la superficie è finita, il flusso attraverso questa si calcola mediante l'integrale di quello
elementare:
E) =
E n dS (1.2)
Si dimostra ora un’importante proprietà relativa al flusso del campo elettrostatico prodotto da una
carica puntiforme. Indicata con S una superficie finita, scegliamo come origine del sistema di
riferimento il punto O occupato dalla carica q e tracciamo un cono avente vertice in O e Angolo
solido infinitesimo dK (vedi Appendice B). Esso intercetta S con una superficie infinitesima dS
.
Consideriamo inoltre la superficie infinitesima dS
s
perpendicolare all’asse del cono e indichiamo
con l’angolo formato tra le due normali a dS e dS
s.
Calcoliamo ora il flusso dmediante
l’applicazione della (1.1). Poiché il campo elettrico è diretto lungo l’asse del cono, lo sviluppo del
prodotto scalare porta al seguente risultato:
d =
0
2
0
s
2
0
4
q
dK
r 4
qdS
r 4
cos dS q
(1.3)
dove i parametri hanno i seguenti significati:
0
=
2
2
m N
C
12
10 85 , 8 = costante dielettrica del vuoto
r = distanza dalla carica puntiforme
E =
2
0
r 4
q
u
r
= campo elettrostatico prodotto da una carica puntiforme
C
N
E’ ora possibile enunciare la Legge di Gauss: il flusso del campo elettrico attraverso una qualunque
superficie chiusa è uguale alla somma delle cariche interne alla superficie, divisa per la costante
dielettrica del vuoto:
Schiusa
(E) =
0
interne
q
(1.4)
Questa legge fondamentale dell’elettromagnetismo può essere dimostrata come segue.
Valutiamo il flusso del campo di una carica puntiforme attraverso una superficie chiusa, nei due casi
in cui la carica sia interna o esterna a tale superficie.
Nel primo caso, a partire dalla posizione occupata dalla carica possiamo tracciare innumerevoli coni
con angolo solido infinitesimo per ciascuno dei quali vale la relazione (1.3), integrando la quale si
ottiene:
Schiusa
(E) =
d
0
4
q
d
0
q
Come risulta evidente si è fatto uso della proprietà secondo la quale l’angolo solido totale vale 4 .
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Se la carica è esterna alla superficie considerata, tracciamo, dalla posizione che essa occupa, un
insieme di coni di apertura infinitesima, in modo da intercettare l’intera superficie. Gli elementi di
superficie intercettati da ciascun cono danno origine ad almeno due contributi che si cancellano
vicendevolmente dato che il campo E in un caso forma un angolo acuto con il versore normale alla
superficie e nel secondo caso forma un angolo ottuso. Ne segue che il flusso del campo di una carica
esterna alla superficie è nullo.
Il flusso di E è uguale alla somma dei flussi dei campi E
i
(relativi a ciascuna carica) che sono
diversi da zero solo per cariche interne.
Nel caso di distribuzione continua (non discretizzata) delle cariche la legge di Gauss assume la
forma
Schiusa
(E) =
0
interne
dq
(1.5)
Dunque, la conoscenza della carica interna è sufficiente per calcolare il flusso: essa però non
consente di valutare il campo complessivo E che dipende anche dalle cariche esterne alla superficie.
Linee di forza del campo E e forma locale della legge di Gauss:
La rappresentazione del campo attraverso le linee di forza permette di visualizzare la legge di
Gauss, secondo cui il flusso uscente del campo elettrostatico è legato alla somma delle cariche
racchiuse dalla superficie su cui viene calcolato il flusso. Infatti il flusso totale è proporzionale al
numero delle linee uscenti cui va sottratto quello delle linee entranti. Se tale differenza è nulla, la
carica interna alla superficie è nulla. Inoltre le linee di E hanno origine e terminano sulle cariche
(che sono sorgenti del campo) e vengono disegnate in base ai seguenti criteri:
- la tangente alla linea, in ogni punto, ha la direzione del campo in quel punto;
- il verso della linea è lo stesso del campo;
- il numero delle linee tracciate attraverso una prefissata superficie è proporzionale al flusso.
La formulazione della legge di Gauss data dalla (1.5) esprime le proprietà del campo elettrostatico
in forma integrale. Di essa è possibile dare una formulazione locale, espressa in forma differenziale,
che descrive le proprietà del campo in ogni punto in cui esso è continuo. Il passaggio da una forma
all’altra si basa sul teorema della divergenza: nelle regioni in cui il campo è continuo tale teorema
esprime il flusso di un vettore generico A attraverso una superficie chiusa Z mediante l’integrale,
esteso al volume V racchiuso da tale superficie, della divergenza di A:
Z
A n ds =
V
div A dV (1.6)
Applicando il teorema della divergenza alla (1.6) si ottiene
0
interne
dq
=
Schiusa
(E) =
Z
E n ds =
V
div E dV
9
Poiché dq = dV (la carica elementare è pari al prodotto tra la densità di carica e il volume
elementare)
0
interne
dq
=
0
V
dV
0 dV - E div
V 0
Dato che quest’ultimo integrale è nullo qualunque sia il volume di integrazione V , deve essere
identicamente nullo l’integrando, cioè
div E =
0
(1.7)
Tale relazione rappresenta la Legge di Gauss in forma differenziale. Essa esprime matematicamente
che le sorgenti del campo, da cui escono o in cui convergono le linee di forza, sono le cariche
elettriche.
Legge di Faraday dell’induzione elettromagnetica.
La legge dell’induzione, attribuita a Faraday, che la formulò ne 1831, ma trovata indipendentemente
anche da Joseph Henry nello stesso periodo, costituisce la seconda delle quattro equazioni
fondamentali dell’elettromagnetismo.
Con uno dei suoi esperimenti, Faraday dimostrò che il movimento di una calamita nelle vicinanze di
un circuito elettrico produce una corrente, mettendo in evidenza una sorta di reciprocità degli effetti:
come una carica in moto produce effetti magnetici, così un magnete in moto dà origine a correnti
elettriche. Analoghi effetti si osservano tenendo fermo il magnete e muovendo la spira: in questi
esperimenti appare quindi determinante il moto relativo fra i due sistemi considerati.
Con un’altra serie di esperimenti Faraday mise in evidenza che, utilizzando due avvolgimenti
formati da numerose spire, chiudendo il contatto che fa circolare corrente nella prima di esse, il
galvanometro, inserito nel circuito della seconda, registra il passaggio di una corrente indotta.
Lo stesso fenomeno si osserva quando il contatto viene aperto, interrompendo la circolazione della
corrente nella prima spira: in questo caso, il galvanometro indica che il verso della corrente è
opposto a quello della corrente osservata nella chiusura del circuito. Il punto fondamentale è che tali
fenomeni si manifestano solo nella fase in cui la corrente del primo circuito non è stazionaria; nella
situazione stazionaria, invece, Faraday, osservò che il galvanometro non rilevava il passaggio di
alcuna corrente indotta.
Le osservazioni sperimentali descritte portarono lo scienziato alla conclusione che tutti gli effetti
osservati sono dovuti alla variazione temporale del flusso (B) del campo magnetico concatenato
con la spira. Il verso in cui circola la corrente indotta è tale che il campo magnetico da questa
generato si opponga alla variazione che l’ha prodotto (legge di Lenz). Il sistema si comporta quindi
come se venisse allontanato da una situazione di equilibrio stabile e tende naturalmente a riportarsi
in tale condizione.
La circolazione di una corrente nella spira dimostra l’esistenza di una forza elettromotrice indotta
prodotta dalla variazione di flusso.
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L’analisi quantitativa dei risultati sperimentali porta a stabilire la legge dell’induzione:
dt
d
indotta
Β
(1.8)
Il segno negativo esprime in modo formale la legge di Lenz (principio di conservazione
dell’energia).
Sintetizzando la trattazione ci troviamo in presenza di tre diverse situazioni, così riassumibili, in un
prefissato sistema di riferimento inerziale:
- spira ferma e magnete mobile;
- magnete fermo e spira mobile;
- spira ferma e campo magnetico variabile nel tempo.
Dal punto di vista relativistico le prime due situazioni sono equivalenti: è il moto relativo fra spira e
magnete la causa della forza elettromotrice indotta. Nella terza situazione risulta più evidente il fatto
nuovo introdotto dalla comprensione del principio dell’induzione: l’associazione di un campo
elettrico non conservativo a un campo magnetico variabile nel tempo (induzione di trasformazione).
Prima di proseguire con la trattazione dell’induzione di trasformazione è bene approfondire in modo
esauriente il concetto di campo conservativo valutando l’importanza che rivestono i generatori nella
realizzazione dei circuiti elettrici.
Si trova sperimentalmente che il passaggio di una corrente stazionaria lungo un circuito chiuso è in
genere accompagnato da sviluppo di calore (effetto Joule). Per la conservazione dell’energia (1°
principio della termodinamica), ciò richiede la presenza di forze in grado di compiere sui portatori
di carica un lavoro non nullo, per ogni loro attraversamento del circuito lungo le linee di flusso
chiuse della corrente. Tali forze non possono quindi essere solamente dovute a un campo
elettrostatico che, essendo conservativo, ha circuitazione nulla lungo ogni linea chiusa:
E
s
dr = 0
Dunque, per avere il passaggio di una corrente stazionaria, occorre che nel circuito sia inserito un
dispositivo detto generatore, in cui si originano forze non conservative in grado di mantenere una
differenza di potenziale fra i suoi poli. Le forze che spostano le cariche all’interno del generatore
non sono di natura elettrostatica: agiscono in verso opposto alle forze elettrostatiche che
cercherebbero di ristabilire l’equilibrio annullando la differenza di potenziale.
E’ caratteristica comune a tutti i generatori elettrici l’esistenza al loro interno di forze di origine non
elettrostatica (chimica, meccanica…) che, agendo sulle cariche, le separano producendo e
conservando tra i due poli una differenza di potenziale. Quando i due poli vengono collegati
mediante un circuito esterno le cariche passano da uno all’altro per essere poi riportate, dalle forze
interne, al polo di origine.
Anche per le forze non elettrostatiche che agiscono all’interno del generatore definiamo il concetto
di campo come rapporto fra la forza e la carica che ne subisce l’azione: esso è detto campo
elettromotore (E
m
). Come già detto tale campo ha proprietà totalmente diverse da quelle del campo
elettrostatico: ad esempio non è conservativo. E
m
è diverso da zero solo all’interno del generatore,
mentre quello elettrostatico E
s
è non nullo sia internamente sia esternamente.
Il campo totale risulta allora E = E
m
+ E
s
, con la componente relativa al campo elettromotore che si
annulla all’esterno del generatore.
Schematizzando quest’ultimo come una scatola entro cui agisce il campo E
m
che mantiene fra i poli
A e B una differenza di potenziale V
AB
> 0, il campo elettrostatico del circuito è diretto da A verso
B, sia all’interno che all’esterno del generatore. Ovviamente, essendo E
s
conservativo, la differenza
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di potenziale è indipendente dal percorso considerato per calcolarla; indicando con int e est due
percorsi di cui il primo interno e il secondo esterno al generatore, risulta
B
A
int
E
s
dr =
B
A
est
E
s
dr
Per questo motivo la circuitazione di E
s
risulta nulla:
E
s
dr = 0
mentre il passaggio di una corrente richiede che sia
Edr 0 perché l’inconsistenza della presenza
del solo campo elettrostatico con la circolazione della corrente è formalmente illustrata anche dal
fatto che, se in ogni punto del circuito fosse E = E
s
, dalla relazione che stabilisce il legame fra la
densità di corrente J e il campo E
J =
R
1
E =
C
E
resistività elettrica conduttività elettrica
m
si trarrebbe l’assurda conseguenza secondo cui lungo una linea di flusso di J
J dr =
C
E dr =
C
E
s
dr = 0
che non consentirebbe il passaggio di alcuna corrente.
Se, considerando anche la presenza del campo elettromotore, calcoliamo la circuitazione di E su un
percorso che passa attraverso il generatore e il circuito esterno, otteniamo
E
dr =
(E
s
+ E
m
)dr =
A
B
int
E
m
dr =
dato che il campo elettromotore è diverso da zero solo all’interno del generatore.
La circuitazione del campo E
E
dr =
viene chiamata forza elettromotrice relativa al percorso di integrazione. Tale relazione mostra che
nel caso considerato essa risulta uguale a una fondamentale caratteristica tipica del generatore:
A
B
int
E
m
dr =
che prende il nome di forza elettromotrice del generatore.
La forza elettromotrice di un generatore ha lo stesso valore della differenza di potenziali ai capi del
generatore, quando questo non eroga corrente. Infatti se i poli A e B non sono esternamente connessi
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da alcun conduttore, il generatore non eroga corrente e in condizioni stazionarie risulta nullo il
campo totale al suo interno: nella fase transitoria di carica del generatore, il campo elettromotore
accumula cariche elettriche di segno opposto sui due poli: sono queste cariche che generano il
campo elettrostatico dietro al generatore, campo che ostacola il trasferimento di ulteriori cariche; il
processo ha termine quando i due campi si fanno equilibrio. In queste condizioni, integrando da B
ad A lungo un percorso interno al generatore, si ha
A
B
int
E
dr =
A
B
int
(E
m
+ E
s
)
dr = 0
=
A
B
int
E
m
dr = –
A
B
int
E
s
dr = V
A
– V
B
= V
AB
Induzione di trasformazione:
Consideriamo ora le situazioni in cui le variazioni di flusso attraverso una spira S ferma siano
dovute esclusivamente alla variazione nel tempo del campo magnetico nella zona occupata dalla
spira. Se il campo magnetico è generato da circuiti rigidi percorsi da correnti, mantenuti in posizioni
fisse, tali variazioni sono dovute a variazioni nel tempo delle intensità delle correnti. Per la legge di
Faraday, la forza elettromotrice indotta è data da
ind
=
S
E
m
dr =
dt
d
Β
=
Z
dt
d
B dS
Dove l’integrale va calcolato su una qualsiasi superficie Z che si appoggia alla spira S. Dato che
quest’ultima è fissa, Β può cambiare solo in dipendenza dell’eventuale variazione temporale di
B. Quindi
ind
= – Z
B
d
dt
d
Z
(1.9)
Per il teorema di Stokes che esprime la circuitazione di un generico vettore A lungo una linea chiusa
L come il flusso di rot A attraverso una superficie S che ha come contorno la linea in questione:
L
A dr =
S
rot A dS (1.10)
si ottiene
ind
=
S
E
m
dr =
Z
rot E
m
dZ (1.11)
Confrontando le relazioni (1.9) e (1.11) si può scrivere
rot E
m
= –
dt
dB
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D’altra parte il campo elettromotore agente nella presente situazione, in cui il conduttore è fisso,
non è associabile alla parte magnetica della forza di Lorentz, ma a un campo elettrico indotto
indicato ora con E
I
per il quale valgono le seguenti relazioni
S
E
I
dr = – Z
B
d
dt
d
Z
rot E
I
= –
dt
dB
Come abbiamo visto precedentemente, nel caso più generale, il campo elettrico E avrà anche il
contributo di una componente elettrostatica E
s
il cui rotore è nullo. Di conseguenza la validità
sperimentale della legge di Faraday implica che
rot E = rot (E
s
+ E
I
) = –
dt
dB
(1.12)
Questa equazione è fondamentale e risulta valida in ogni punto di regolarità dei campi. Essa mette
in evidenza il fatto che un campo elettrico può essere generato non solo da cariche elettriche, ma
anche da campi magnetici variabili nel tempo. La (1.12) è esprimibile in forma integrale come segue
S
E
dr = – Z
B
d
dt
d
Z
(1.13)
per ogni linea geometrica chiusa S.
Legge di Gauss per il magnetismo.
Fino all’esperimento di hans Christian Oersted del 1813 si riteneva che le interazioni fra magneti, e
quelle fra magneti e la terra, non avessero niente in comune coi fenomeni elettrici: il magnetismo
era considerato una parte della fisica a se stante. Un’importante caratteristica dei magneti è che essi
sono sempre formati da due distinti poli, chiamati polo nord e polo sud; sull’ago della bussola, il
polo nord è localizzato dalla parte del Nord geografico, il polo sud dalla parte opposta. Valgono per
i poli magnetici le stesse proprietà che caratterizzano il comportamento delle cariche elettriche, per
cui poli uguali si respingono e poli diversi si attraggono.
Come fu osservato per la prima volta da Coulomb, i magneti hanno una importante proprietà:
spezzandoli in due nel tentativo di separare l’uno dall’altro i due poli, si ottengono altri due magneti
completi: il processo può continuare fino al livello dei costituenti elementari della materia, senza
che si possa mai ottenere la separazione effettiva dei due poli. Pur tenendo conto delle difficoltà di
una verifica sperimentale è interessante ricordare che nello sviluppo storico della magnetostatica si è
ipotizzato di poter esprimere il modulo della forza esercitata nel vuoto fra due poli magnetici come
F = k
2
2 1 0
2
2 1
r 4
p p
r
p p
In cui p
1
e p
2
rappresentano “l’intensità” dei poli e si può scrivere la costante di proporzionalità k in
termini della cosiddetta permeabilità magnetica del vuoto
0
. La forza è diretta lungo la
14
congiungente i due poli ed è attrattiva se i poli sono diversi (sud e nord), repulsiva se i poli sono
uguali (nord-nord o sud-sud). Naturalmente, risulta evidente l’analogia di tale relazione con la legge
di Coulomb, che esprime l’interazione fra cariche elettriche puntiformi. Come nel caso dei
fenomeni elettrici, è conveniente descrivere l’interazione magnetica mediante un campo, chiamato
B, che si comporta da intermediario. Nella situazione in esame, si può dire che un polo produce un
campo magnetico B che, agendo su un secondo polo, esercita una forza su di esso.
La struttura del campo può essere sperimentalmente studiata solo con l’ausilio di un ago magnetico
la cui direzione è la direzione di B con il verso orientato dal polo sud al polo nord del magnete
esploratore. Si constata che le linee di campo sono chiuse e, nel caso dei magneti, nascono sempre
dal polo nord e terminano sul polo sud. In questo caso, i poli magnetici appaiono come le sorgenti di
B. Il carattere solenoidale del campo risulta quindi direttamente connesso all’impossibilità di
separare i due tipi di polo. Tale caratteristica viene espressa dalla relazione
div B = 0 (1.14)
Per una qualunque superficie chiusa S che contenga al proprio interno un ago magnetico, il numero
delle linee uscenti uguaglia quello delle linee entranti. A ciò corrisponde la relazione
s(B) = 0 (1.15)
che, sotto opportune condizioni di regolarità del campo può essere espressa nella forma locale
(1.14). Come detto, le ultime due equazioni mettono in evidenza le proprietà solenoidali di B.
Legge della circuitazione di Ampère:
Consideriamo dapprima un filo rettilineo molto lungo e due linee chiuse, una delle quali, detta l
1
,
chiusa attorno al filo, e calcoliamo la circuitazione
dl B lungo entrambe le linee. Scelto un asse z
diretto come il filo, con lo stesso verso della corrente, esplicitiamo sia B sia dl in forma vettoriale,
utilizzando un sistema di coordinate cilindriche, avente come versori di base un versore radiale u
r
,
un versore u
t
tangente alle circonferenze con centro sull’asse z e il versore k dell’asse z.
Il campo prodotto dal filo in un punto a distanza r è pari a
B =
r 2
i
0
u
t
Mentre il generico elemento di linea dl può essere scritto come
dl = dr u
r
+ rd u
t
+ dz k
dove rappresenta l’angolo inclinato di figura. Il prodotto
scalare del campo magnetico per l’elemento dl risulta quindi
Bdl =
r 2
i
0
u
t
(dr u
r
+ rd u
t
+ dz k) =
r 2
i
0
rd
2
i
0
d
Il calcolo dell’integrale deve essere eseguito sulla variabile i cui estremi risultano
e
nel
caso della linea l
1
che circonda il filo, mentre nel caso della linea l
2
risultano entrambi
. Si ha
quindi
L1
0
i dl B
L2
0 dl B
15
Questi risultati possono essere generalizzati: scelta una qualsiasi linea chiusa l lungo la quale
calcolare la circuitazione di B, ad essa non danno alcun contributo le correnti non concatenate con
la linea, mentre contribuiscono tutte quelle concatenate. Il risultato finale è la Legge della
circuitazione di Ampère così espressa
e concatenat
i
i 0
i dl B (1.16)
In questa equazione ciascuna corrente concatenata i
i
è positiva se il verso della circuitazione è
antiorario rispetto al suo verso, negativa in caso contrario. Si può dimostrare che tale legge ha
validità generale.
La legge di Ampère può essere espressa in forma differenziale utilizzando il teorema di Stokes che
stabilisce quanto espresso nella (1.10). Sfruttando quest’ultima per la circuitazione di B lungo una
linea chiusa e scrivendo la corrente totale come il flusso del vettore densità di corrente J attraverso
una superficie S che si appoggia sulla linea, si ottiene
S S
0
d d rot S J S B
da questa segue
S
0
0 d ) (rot S J B
quindi per l’arbitrarietà della superficie S
rot B = J
0
(1.17)
Legge di conservazione della carica elettrica:
L’origine delle forze elettriche è la carica elettrica. Essa è spesso considerata una grandezza
continua anche se ciò non sarebbe rigorosamente corretto perché è sempre un multiplo intero di un
quanto elementare, la carica e portata da un elettrone con segno negativo e da un protone con segno
positivo. In realtà i modelli teorici correnti prevedono l’esistenza di particelle con carica frazionaria,
i quark, che però non sono mai stati osservati sperimentalmente come particelle libere.
Poiché la carica elementare ha un valore molto piccolo (e = 1,6 10
-19
C) normalmente la presenza di
alcuni elettroni in più o in meno non può essere rilevata; nell’ambito dei fenomeni macroscopici,
tale fatto rende ragionevole e conveniente dal punto di vista matematico, l’approssimazione
consistente nel trattare la carica elettrica come variabile continua.
La carica elettrica gode inoltre della fondamentale proprietà di essere invariante, di non dipendere
cioè dal sistema di riferimento considerato.
La terza e ultima proprietà caratteristica della carica elettrica riguarda la capacità di conservarsi
qualunque sia il processo in cui essa è coinvolta, sia a livello macroscopico, sia microscopico. Ciò
significa che la carica elettrica totale (somma algebrica delle cariche positive e di quelle negative) è
costante in ogni sistema isolato, cioè in ogni sistema che non scambi materia con l’ambiente
circostante. L’affermazione che la carica elettrica si conserva è un principio della Fisica che nasce
dalla generalizzazione di innumerevoli osservazioni sperimentali e trae la propria validità dal fatto
di non essere mai stato smentito.
Il principio di conservazione descritto può essere formalizzato considerando una superficie chiusa S
all’interno di un materiale conduttore e scrivendo che la carica totale contenuta nel volume