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Introduzione
Il colonialismo italiano ha una storiografia deludente, i manuali di storia
che dedicano spazio alla politica coloniale sono molto poveri ed imprecisi,
come se un avvenimento così importante fosse stato dimenticato. Ciò va
rintracciato nella peculiarità della decolonizzazione che italiana non scaturì
da un processo di lotta tra la metropoli ed i movimenti autoctoni
anticoloniali ma a seguito di una risoluzione dell‟ONU, nel 1949-50, che
sancì formalmente la perdita delle colonie all‟Italia, negando qualsiasi
diritto sugli ex possedimenti, ad eccezione del mandato di amministrazione
fiduciaria sulla Somalia fino al 1960.
Di conseguenza, da un lato le leadership locali, deboli ed immature, non
erano preparate al compito che le spettava, dall‟altro l‟Italia diventa un
paese ex colonizzatore senza alcun dibattito perché rappresentava
un‟esperienza storica da cancellare. L‟autoassoluzione dalle responsabilità
belliche e coloniali fu possibile grazie sia ai partiti antifascisti, che
introdussero l‟equazione, semplicistica e storicamente infondata, fra
colonialismo e fascismo, rimuovendo così dalla memoria i quarant‟anni di
colonialismo liberale precedenti, sia agli Alleati che non vollero punire
l‟Italia sconfitta ma anche cobelligerante attraverso processi nei confronti
di italiani autori di crimini di guerra in Africa. L‟attenzione per le ex
colonie crollò drasticamente anche a causa dei deboli legami mantenuti con
i paesi africani perché gli italiani rimasti nell‟ex impero furono molto
pochi, gli interessi economici assai esigui e scarsa la migrazione degli ex
colonizzati verso il nostro paese, fino agli anni sessanta. È a causa di questo
atteggiamento che non si avverte in Italia una coscienza storica di tale
fenomeno.
Il colonialismo italiano nel Corno d‟Africa verrà trattato attraverso
un‟ottica diversa da quella degli storici tradizionalisti, i quali si
concentravano quasi esclusivamente sulla storia ufficiale, privilegiando la
storia degli avvenimenti basata solo sull‟intervento italiano, sui settori
militari e politici. Cercherò invece di far interagire fonti orali e scritte, per
far emergere quante più sfaccettature possibili di questo periodo,
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analizzando inoltre le conseguenze sociali e culturali del fenomeno, sia
sulle società colonizzate sia su quelle colonizzatrici.
È degli ultimi anni la tendenza a ricostruire una storia soggettiva, vista dai
protagonisti attraverso le interviste ai coloni ed ai sudditi africani, senza
proporre una trattazione mirante ad un‟esclusiva contrapposizione fra
colonizzati e colonizzatori.
Il potere coloniale ha modificato in profondità i rapporti politici all‟interno
della società colonizzata, producendo reazioni diverse, non solo ribellione e
resistenza, ma anche collaborazione ed adattamento. Un preconcetto da
smitizzare è proprio quello di un‟opposizione diffusa degli africani al
colonialismo, processo storico che produsse anche consenso fra alcuni
colonizzati che ne trassero vantaggio.
Le interviste agli africani mostrano le molteplici reazioni di chi ha subito il
colonialismo, offrendo risposte diversificate a seconda dei contesti, delle
concezioni individuali e delle contingenze storiche.
Bisogna attendere anni più recenti affinché la storiografia si “decolonizzi”
veramente, consideri il punto di vista africano e valuti le società coloniali
come dei sistemi complessi, dinamici, contraddittori, divisi da conflitti di
classe, antagonismi politici e culturali. La complessità e la conflittualità dei
rapporti tra madrepatria e colonie, tra governo nazionale ed
amministrazioni locali è un tema storiografico importante. Di fronte alle
politiche metropolitane sono emersi processi talora di negoziazione,
mediazione e talora di resistenza che coinvolsero le élite indigene, i capi
villaggio, i missionari ed i colonizzatori.
Caratteristica peculiare della storiografia più recente è l‟utilizzazione
dell‟oralità come ulteriore fonte storica, perché precedentemente l‟analisi
storica si basava solo sui documenti scritti, necessariamente occidentali. Le
interviste agli africani delle colonie italiane ci dà un‟immagine multiforme
del colonialismo, visto sia in positivo, sia in negativo dagli stessi
colonizzati. I ricordi rimandano al fascismo, il periodo più recente del
colonialismo, poiché la memoria orale dell‟imperialismo liberale ormai si
è persa. Queste fonti, raccolte in Italia nella regione Emilia Romagna ed in
Africa a Mogadiscio, Addis Abeba e ad Asmara si basano su una serie di
interviste aventi come protagonisti sia italiani che africani, nel tentativo di
farli parlare in prima persona per penetrare una realtà ormai muta.
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Altrettanto importanti sono i documenti etiopici ed italiani conservati nel
Fondo Ellero. Il funzionario coloniale, Giovanni Ellero, riuscì, durante la
sua attività di amministratore, a studiare la storia, l‟antropologia e la
linguistica locale collezionando documenti che partendo dalla fine
dell‟Ottocento arrivano fino alla caduta dell‟Impero stesso, testimoniando
da un lato la risposta politica dei sudditi eritrei al dominio straniero,
dall‟altro aiutandoci a comprendere l‟evoluzione ed il funzionamento
dell‟apparato amministrativo.
Dall‟opera di Giulietta Stefani emergono interessanti tematiche inerenti le
conseguenze sociali e culturali sia nelle società colonizzate, sia in quelle
colonizzatrici. La società coloniale viene presentata nelle dinamiche dei
conflitti di classe, politici e culturali, mostrando come gli italiani residenti
in Africa non costituissero una forza coesa ed unitaria, da cui derivarono
anche dei rapporti conflittuali con la madrepatria. Importante vedere come
propaganda, miti, credenze ed opportunismi emergano attraverso stralci di
diari, lettere censurate, appunti e note, oltre ad alcuni passi di romanzi
coloniali. Disponiamo anche di alcuni resoconti autobiografici relativi ad
esponenti della burocrazia, impiegati, funzionari coloniali e privati
imprenditori come pure di documenti politici e amministrativi, articoli della
stampa coeva, epistolari e memorialistica.
L‟uso di fonti così diversificate per epoca o tipologia, autore o diffusione,
da un lato arricchisce i contenuti storici sul tema trattato, dall‟altro propone
problemi di metodologia inerenti al loro uso.
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Problematiche metodologiche
Fonti orali
Il colonialismo è un momento fondamentale per i cambiamenti apportati
alle società africane, producendo un fenomeno nuovo per la storia africana:
la maggior parte delle fonti è di origine europea, infatti nel XIX e XX
secolo sono stati gli occidentali ad essere sia i protagonisti, sia gli
storiografi dei cambiamenti apportati in quanto gli africani hanno lasciato
scarsa documentazione scritta. D‟altro canto le società africane produssero
un nuovo tipo di memoria orale, quella del singolo individuo, sebbene
necessitante di qualcuno che le riportasse su carta. L‟Africa si caratterizza
per una storiografia legata all‟oralità, che si concentra prevalentemente
nella ricostruzione della storia precoloniale. Rivalutare questo tipo di fonti
significa ridare dignità ad un continente a lungo considerato privo di storia,
in quanto privo di scrittura, attraverso la raccolta delle tradizioni orali
codificate.
La tradizione orale non va confusa con la testimonianza, in quanto è una
ripetizione codificata di informazioni inserite in una catena di trasmissione
generazionale i cui contenuti sono riconosciuti e controllati dalla memoria
orale, sia nei concetti che nell‟intermediario preposto alla selezione del
messaggio orale. Le differenze tra tradizione orale e testimonianza
personale viene presentata come quella tra pubblico e privato, o come la
storia delle classi dirigenti contro quella delle classi subalterne, in quanto la
prima è legata all‟ideologia della classe dominante che trasmette le proprie
tradizioni autogiustificandosi, mentre le seconde rappresentano esperienze
individuali del modo di vedere il periodo che si vuole descrivere.
Attualmente, essendo venuto meno il contesto in cui l‟oralità si inseriva ed
essendo stato modificato il sistema di potere precoloniale, non si hanno più
le figure istituzionali preposte alla trasmissione della tradizione orale.
La perdita delle fonti codificate è stata talmente ingente e rapida da non
poter essere controbilanciata da altre fonti alternative. Ad influire
ulteriormente sulle forti lacune della storia coloniale dell‟Africa,
trascurandola, ha inciso l‟interesse quasi esclusivo degli storici per il
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periodo precoloniale, studiato con metodi antropologici e per l‟analisi
dell‟attualità, con criteri economico-sociali. La ricerca storica è
condizionata da una parte da un eccesso di materiale burocratico ed
amministrativo di origine europea e dall‟altro dall‟assenza di fonti dirette
prodotte dagli africani stessi.
Ne risulta, di conseguenza, che, allorché ci si trova di fronte a gravi carenze
di materiale scritto, la fonte orale diventa basilare per la ricostruzione
storica; infatti l‟oralità codificata è stata riconosciuta nello studio delle
società senza scrittura tramite la registrazione delle testimonianze sul
passato, trasmesse come costanti.
Bisogna tenere a mente che il documento scritto non è l‟unico valido per la
ricostruzione del passato e che quello orale gode di pari dignità: entrambe
valutano aspetti differenti della società e spiegano culture diverse.
L‟uso di trascrivere le memorie orali, durante il periodo coloniale, era
scarsamente in uso presso gli studiosi, per cui ci si trova ora di fronte se
non alla mancanza di questo tipo di fonti, almeno ad una sua forte esiguità.
Le memorie orali che effettivamente vengono registrate sono molte meno
rispetto alle possibilità che esse offrono, per questo non devono venire
generalizzate, a causa del loro contenuto specifico. È bene, invece,
utilizzarle come strumenti di indagine ed indicatori di tendenze.
Più difficile è un‟indagine di storia orale all‟interno di una cultura che,
come quella occidentale, non conosce ancora una codificazione
dell‟oralità, testimonianze ripetute in un lungo periodo tali da diventare veri
e propri rituali, possibili fonti per fare storia.
Le memorie dei coloni ci possono offrire solo un quadro di riferimento
complementare alle fonti scritte, senza costituire un‟indagine alternativa,
mentre l‟esperienza coloniale essendo soggettiva, esprime il patrimonio del
singolo, risultando così troppo breve e singolare per diventare consuetudine
e memoria trasmessa.
Il ricercatore deve avere ben chiara l‟appartenenza sociale dell‟intervistato,
come i suoi punti di riferimento temporali. Non occorre tanto indagare nel
profondo, ma riportare nel modo più fedele una documentazione precisa,
senza la volontà di interpretarla, da parte del ricercatore. I dati si
impongono da sé, nella loro evidenza.