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INTRODUZIONE
Il presente elaborato ha come oggetto d’indagine Memorial, ONG russa nata
alla fine degli anni Ottanta sulla scia di Pamjat’, rivista storica dissidente a sua volta
attiva in precedenza, tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento, in Unione
Sovietica. La nascita di una Organizzazione non governativa dello stampo di
Memorial in Russia fu possibile solamente grazie all’atmosfera di distensione che
si respirava nel paese durante la perestrojka, ed è proprio il lavoro di Memorial che
testimonia in modo concreto l’epoca di cambiamenti introdotta dalla politica di
Gorbačëv. Alla base di questo studio vi è innanzitutto un’analisi del periodo storico
che fa da sfondo alla nascita di Pamjat’ prima, e Memorial in seguito, al fine di
comprendere le motivazioni che spinsero gli attivisti a riunirsi e lottare duramente
per preservare il diritto alla memoria storica in Russia. L’obiettivo di questo lavoro,
dunque, è quello di fornire un’analisi della situazione politica e sociale dell’Unione
Sovietica degli anni Trenta, per poi procedere ad un’analisi della concreta
registrazione del movimento e degli obiettivi raggiunti dallo stesso, nonostante le
numerose difficoltà affrontate dagli attivisti a causa della rigida opposizione statale.
Il presente lavoro di tesi è articolato in tre capitoli: nel primo vengono
fornite, in primo luogo, informazioni riguardanti il contesto storico-politico degli
anni Trenta del Novecento, ovvero quel periodo storico noto con il nome di Terrore
staliniano. Nello specifico, sono state analizzate le motivazioni e le metodologie
utilizzate dal governo staliniano per la meticolosa attuazione delle repressioni di
massa, che hanno colpito personalità sovietiche appartenenti ai più svariati strati
della società. Di fondamentale importanza è l’analisi della mutilazione storica
attuata dallo Stato a partire dagli anni Trenta, mutilazione che è stata in seguito
smascherata dalla rivista dissidente Pamjat’ e dall’organizzazione indipendente
Memorial, le quali hanno incentrato il proprio lavoro sulla lotta per la preservazione
della memoria storica e sulla lotta per la difesa dei diritti umani. Nel primo capitolo,
infatti, sono stati analizzati gli obiettivi e i valori fondamentali che costituiscono le
fondamenta di Pamjat’ e di Memorial, nonché l’importanza della difesa della
memoria storica alla luce del presente e alla luce dei ripetuti tentativi dello Stato di
arrogarsi il monopolio del passato, riducendo al silenzio ogni voce dissonante. La
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preservazione della memoria, identificata come forma di resistenza contro il
processo di manipolazione del passato e di induzione della popolazione civile
all’oblio forzato è stata, e continua ad essere ancora adesso, la missione
fondamentale di Memorial, la quale, nonostante le numerose traversie, ha raggiunto
nel tempo una notevole diffusione sia a livello nazionale che internazionale. Il
grande sostegno ricevuto dagli attivisti dell’associazione, infatti, ha portato alla
nascita di numerose sedi non soltanto in Russia ma anche al di fuori dei confini
nazionali, ed ha portato alla nascita di Memorial Internazionale e di un Centro per
la difesa dei diritti umani.
Nel secondo capitolo è stato analizzato invece, più nello specifico, il caso
del sistema concentrazionario sovietico, ovvero il sistema del Gulag. L’analisi dei
campi di detenzione e di lavoro è stata accompagnata prima di tutto da un’analisi
delle motivazioni poste alla base dell’ideazione del sistema concentrazionario, per
poi giungere ad uno studio più dettagliato dei “campi a destinazione speciale”
dell’arcipelago delle isole Solovki, il cui obiettivo era valutare la possibilità di
sfruttare – politicamente ed economicamente – la forza lavoro dei detenuti. Il
capitolo prosegue con l’analisi delle esecuzioni di massa volute dal governo
staliniano negli anni 1937-1938 al fine di ovviare al problema del sovraffollamento
delle carceri, e con l’analisi del cosiddetto “convoglio perduto” delle isole Solovki,
nel quale erano presenti più di mille detenuti destinati alla fucilazione. A questo
proposito, è stato studiato l’importante lavoro di ricerca di alcuni membri di
Memorial, i quali, analizzando i documenti d’archivio sorvegliati dal Servizio
federale per la sicurezza (FSB), hanno portato al ritrovamento delle fosse comuni
della radura boschiva di Sandormoch. Il secondo capitolo termina, infine, con
l’analisi del caso giudiziario, attualmente ancora in atto, di Jurij Dmitriev, membro
di Memorial arrestato – sulla base di accuse pretestuose – a causa del suo lavoro di
difesa della memoria storica nella radura di Sandormoch. Il caso giudiziario è
strettamente legato al tentativo di manipolazione e falsificazione storica della
propaganda ufficiale, volto ad ostacolare e screditare il prezioso lavoro di Memorial
e a giustificare l’attuale politica militaristica russa.
Nel terzo capitolo, infine, è stato analizzato l’utilizzo politico della memoria
storica da parte del governo putiniano, il cui obiettivo primario è la legittimazione
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dell’aggressione russa in Ucraina attualmente in atto. È stato analizzato
l’inasprimento dei rapporti tra Russia e Ucraina a partire dagli anni 2013-2014,
dunque a partire dall’annessione della Crimea e dalla conseguente guerra in
Donbass, per poi giungere all’attuale conflitto in Ucraina scoppiato nel febbraio del
2022, aggressione mascherata dal governo russo con il nome di “operazione
militare speciale” e descritta dalla propaganda ufficiale come “missione umanitaria”
volta a “denazificare il paese”. È stato analizzato, dunque, il rinnovato tentativo da
parte dello Stato di imporre una narrazione mistificata della storia, basata
esclusivamente sul mito della Vittoria russa nella Grande guerra patriottica,
accompagnato dall’introduzione di una serie di “leggi della memoria” volte ad
impedire ogni tentativo di divergenza dalla nuova memoria storica e dalla
propaganda ufficiale. È stato analizzato il processo in atto di censura dei mezzi di
informazione non conformi alla propaganda – è il caso di Novaja Gazeta – nonché
l’introduzione e l’inasprimento della “legge sugli agenti stranieri”, volta a colpire
tutte quelle organizzazioni “dissidenti” identificate dal potere come potenzialmente
pericolose, tra cui Memorial Internazionale. Infine, è stata posta l’attenzione
sull’importanza del lavoro di Memorial che, nonostante abbia subito la liquidazione
forzata sia del Centro per la difesa dei diritti umani sia della sua sede principale a
Mosca, è stata riconosciuta a livello internazionale attraverso il conferimento del
premio Theodor Heuss, del Premio Speciale Luchetta e poi, nel 2022, del Premio
Nobel per la Pace.
Nel presente lavoro di ricerca, pertanto, è stata evidenziata l’importanza del
lavoro di Memorial in Russia sia nell’ambito della lotta per la preservazione della
memoria storica, sia in quello della difesa dei diritti umani, i quali non solo
rappresentano gli obiettivi primari dell’organizzazione, ma rappresentano
soprattutto due ideali profondamente legati tra di loro e al servizio degli attivisti di
Memorial nella lotta contro la sacralizzazione dello Stato russo.
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CAPITOLO 1
MEMORIAL E IL DIRITTO ALLA MEMORIA
1.1 Il Grande Terrore e la “mutilazione” della memoria storica
Da sempre la storia è stata un potente strumento utilizzato dal potere – e,
pertanto, sottoposta da sempre ad un rigido controllo – affinché potesse esaltare al
meglio le glorie dello Stato russo, giustificarne e legittimarne ogni decisione
politica, nascondendone e cancellandone, allo stesso tempo, soprattutto le colpe. Da
sempre, infatti, è stata riconosciuta dal potere l’importanza del ruolo che il passato
e la storia hanno ricoperto, e ricoprono tuttora, all’interno della memoria collettiva
e, di conseguenza, nella creazione e nella consolidazione di un’identità non soltanto
personale, ma anche nazionale; è, pertanto, per questa ragione che l’affermarsi di
una verità storica ufficiale di carattere normativo, istituita dal regime staliniano
degli anni Trenta e sottomessa ad esso, ha portato, in quegli anni, alla continua
ricerca di un autentico e sincero dialogo con il proprio passato.
Per comprendere fino in fondo, però, la dura battaglia portata avanti dalla
società civile sovietica al fine di riscoprire se stessa e il proprio passato, sfuggendo
in tal modo alla cancellazione di ogni traccia di passato divergente e dall’amnesia
imposta dal potere, è necessario ancor prima comprendere cosa si intenda per Gran
Terrore staliniano e analizzare più a fondo le sue motivazioni. Come racconta lo
storico Oleg Chlevnjuk, il termine “gran terrore” racchiude in sé, nello specifico,
gli anni 1937-1938 del governo staliniano, i quali rappresentano il picco più alto
degli arresti e delle repressioni di massa nell’Unione Sovietica degli anni Trenta.
Ciò che colpisce maggiormente è proprio, infatti, la portata del fenomeno:
Tenendo conto che le repressioni raggiunsero il culmine in poco più di un anno
(dall’agosto del 1937 al novembre del 1938) vuol dire che ogni mese venivano
arrestate circa 100.000 persone di cui 40.000 erano poi fucilate. Fino all’apertura
degli archivi sembrava che questo incredibile concentrato di violenza e crudeltà
fosse disorganizzato e i suoi meccanismi rimanessero inspiegabili. Nel 1992 però
i documenti resi accessibili dimostrarono che il terrore del 1937-1938 era stato
pianificato come ogni altro meccanismo del sistema sovietico. Come venivano
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approntati e approvati i piani di Stato per la produzione di acciaio o di giocattoli
per bambini, così avveniva per l’uccisione di persone.
1
Lo storico ricorda, infatti, che l’obiettivo principale delle grandi purghe
staliniane era proprio quello di liberare il paese – concretamente, tramite fucilazioni,
oppure attraverso la reclusione nei campi di lavoro o nelle prigioni – da quella fetta
di popolazione che veniva identificata dal regime come “potenzialmente
pericolosa”: «gli ex kulaki, gli ex ufficiali zaristi e della guardia bianca, gli
ecclesiastici e gli ex membri di partiti ostili ai bolscevichi, come i social-
rivoluzionari (esery), i menscevichi e molti altri “sospettati”»
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. Ma non si trattava
esclusivamente di una operazione di “pulizia” rivolta a personalità di spicco
appartenenti alle élite – ad esempio, funzionari statali o militari, ma anche scrittori
o ingegneri, considerati “ostili” e “antisovietici”; al contrario, la maggioranza delle
vittime del terrore staliniano erano semplici cittadini, che non occupavano alcun
incarico di rilievo all’interno del partito.
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Lo strumento repressivo per eccellenza, al quale era stato affidato il compito
di procedere alla “purificazione” del paese, era l’organo extragiudiziario conosciuto
con il nome di trojka, ovvero un “triumvirato”:
Di questo triumvirato faceva parte di norma un commissario del popolo o un
dirigente dell’NKVD, il segretario dell’organizzazione di Partito locale e il
procuratore della repubblica, regione o provincia in questione. La trojka riceveva
diritti eccezionali. Nei limiti fissati dai piani approvati a Mosca per ciascuna
regione, provincia o repubblica, ogni trojka emetteva sentenze e dava l’ordine per
la loro immediata esecuzione – incluse le fucilazioni – senza possibilità di
appello.
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Ma quali furono le ragioni delle terribili esecuzioni di massa degli anni
Trenta? Per spiegare il Grande Terrore staliniano sono state avanzate dagli storici
1
O. Chlevnjuk, “Il fenomeno del «Grande terrore»”, trad. di G. De Florio e E. F. Piredda,
Memorial Italia, <http://www.memorialitalia.it/il-fenomeno-del-%C2%Abgrande-
terrore%C2%BB/>.
2
Ibidem.
3
Ibidem.
4
Ibidem.