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abbia messo al centro del suo pensiero questo aspetto, l’Olocausto,
appunto.
Sussiste una profonda motivazione per cui la filosofia, specie in
accezione teoretica, ama poco scendere sul “banco da macelleria della
Storia”, come affermava Hegel, perché lì gronda il sangue…E allora
molti nella filosofia tendono ad avere una riflessione nuova, scevra di
violenza.
Ma la filosofia se non si occupa anche di questo “banco da macellaio”,
viene tradendo quella che Cattaneo chiamava “la milizia filosofica”
perché fare filosofia significa soprattutto prendere posizione.
7
PARTE I: MEMORIA E OLOCAUSTO
1.1 La “Pedagogia Narrativa” come strumento di Resistenza.
DENTRO LE STORIE:
i deportati, le testimonianze, gli eventi…
L’importanza delle memorie di vita “… per non dimenticare” e
tramandare la Shoah, “di generazione, in generazione”…
In diverse facoltà universitarie umanistiche italiane, i pedagogisti
sperimentano una sorta di tradizione condivisa a livello culturale, da
molto tempo, in rapporto al mondo delle storie di vita, delle geografie
spazio/temporali, dei racconti autobiografici, tramite il metodo della
cultura e pedagogia della memoria. Questa tradizione sottesa al filo
sublime, impercettibile della memoria mette in contatto i vari
pedagogisti degli atenei italiani, all’insegna di un’attenzione
particolare ai temi di sociologia, pedagogia della soggettività e
dell’individuo, dell’uomo e della donna, dinnanzi alle esperienze ed ai
processi di formazione, all’interno di una quotidianità d’impegno nel
lavoro sociale ed educativo. Autonarrazione, scavo interiore, ricerca in
sé, attraverso l’ascolto di sé tramite l’altro, autocomprensione,
comprensione circa la propria ed altrui unicità ed individualità
sottratta, tramite la memoria della personale storia di vita, allo sfondo
anonimo, piatto, indifferenziato, di molti luoghi e progetti comunitari.
Attraverso la narrazione si cresce e si scoprono eventi legati alla
quotidianità e circoscritti, compresi in avvenimenti globali, universali,
collettivi, comunitari, Storici.
Dunque la Storia non solo ripiegamento nostalgico e decadente rivolto
al passato, ma con il racconto di sé diventa uno sguardo verso il
futuro.
Memoria e deportazione: i perché della storia
La memoria è importante perché attraverso di essa sono ricostruibili
storie, percorsi con cui ci si augura di correggere per tempo gli errori.
Possiamo raccontare ai nostri giovani piccole storie esemplari di
espropriazioni, di resistenza, una delle armi più straordinarie contro
tutti i tipi di revisionismo storico, da quello più infame, ma forse più
facile da combattere, il negazionismo perché talmente grossolano e
stupido nelle sue argomentazioni, confutabile mostrando i documenti
8
e facendo parlare i testimoni, a quello più raffinato del conteggio delle
vittime. Il modo di combattere tali scuole revisioniste, che in Italia
hanno i loro addentellati non solo nel campo degli storici, ma
culturale, in genere, consiste nel non porre la questione unicamente sul
piano numerico, che pure è fondamentale, perchè ci interroga
profondamente, ma ponendo la questione sul piano qualitativo. Le
giovani generazioni sono molto cambiate, sicuramente più
superficiali, più incapaci di mantenere l’attenzione, ma la sensibilità
dei ragazzi nei confronti di queste tematiche è ancora notevole, perché
si innamorano delle storie di resistenza, delle vicissitudini umane di
sofferenza che leggono nei testi e nelle testimonianze dei superstiti
sopravvissuti ai lager. Attraverso la Pedagogia Narrativa, nel
racconto di storie esemplari di sofferenza in narrazioni che stimolino
questi ragazzi a reagire in metropoli sempre più indifferenti, razziste,
xenofobe, sempre meno caratterizzate da tessuti sociali e politici che
sostengano azioni concrete di vicinanza e solidarietà.
Forse mai capiremo la Shoah perché bisogna essere demoni per
capirla e concepirla completamente, globalmente. Le spiegazioni
economiciste e psicologiste si fermano ad un punto, perché oltre vi è
l’elemento profondamente demoniaco, diabolico, e capire gli eventi
fino in fondo, significa contaminarsi nell’orrore del fascino della
barbarie. L’incapacità di capire non ci deve fermare. Dobbiamo
entrare in una tensione di ricerca, indagine interrogativa: come è stato
possibile?
Attraverso la Pedagogia concreta dei gesti è possibile forse
comprendere cosa sono i fenomeni di espropriazione, alienazione,
violenza. Il campo di sterminio è stato un laboratorio pedagogico dove
i nazisti hanno cercato in tutti i modi di “costruire soggetti distrutti”:
ossimoro, contraddizione in cui nasce un’antropologia, un setting
pedagogico dove si formula l’annientamento, dove è possibile studiare
le pratiche di resistenza nei campi, con la consapevolezza che chi ha
resistito è riuscito, in qualche modo, a mettere in atto strategie, una
contropedagogia, una ”pedagogia della resistenza”, minimale,
infinitesimale, fatta di brandelli di piccoli gesti, minimi spazi, misere,
povere cose, di tempi infinitesimali sottratti al tempo preciso,
altamente sistematico, precostituito dello sterminio. Questo è il
tentativo di raccontare, tramandare, narrare, la resistenza, la
deportazione, la liberazione.
In questa Italia così disattenta, distratta, con forze politiche
violentemente xenofobe ed incredibilmente razziste, con fazioni di
destra più violentemente intolleranti, xenofobe di tutta Europa, il fatto
9
che ancora certi ragazzi abbiano la forza di sottrarsi all’ottusità di
capire, di ascoltare, risulta un fenomeno di forte positività per il
futuro.
Adorno ha lapidato tutto il resto del nostro ‘900 dicendo:” dopo
Auschwitz non è più possibile scrivere poesie”, ma il tempo della
memoria non significa solo ricordare ai morti, a chi non è più
presente, agli scomparsi, avere memoria significa mettersi di fronte
alla ripresentificazione del tempo, renderlo vivo, farlo rivivere.
Questa trasformazione significa rimetterci dalla parte di quel tempo,
quell’evento realmente accaduto con il diritto dell’ascolto, il dovere di
capire, intendersi e domandare, chiedere il perché. “Non si può
domandare donde viene il male, ma donde viene che noi lo facciamo”
e da tale quesito partono tutti i nomi degli sterminati, degli scomparsi,
per farci rendere conto del male dell’essere umano. Un punto d’arresto
nell’evoluzione della storia, dove il racconto si paralizza ed
incomincia a girare a vuoto, occupato dall’indicibile dell’orrore, dalla
verità del terribile; e tutto questo accade perché sanno che l’arte, la
poesia, in quanto testimonianza è la voce umana che rivela l’accaduto,
ciò che è irriducibilmente umano, tentando l’incredibile, con la forza
della creazione dell’arte, della poiesis, dell’invenzione fantastica, della
cultura che accresce l’animo, opposta al nulla dello sterminio. Così
l’arte e la cultura liberano dalla cecità delle dittature autoritarie,
dispotiche, scioviniste, baratro della disperazione, antro di morte,
opposta alla ragione che illumina.
La memoria come scelta etica.
Il termine memoria si usa e si abusa, risulta complesso in accezione
quantitativa come facoltà che raccoglie e classifica tutto o memoria
nel significato qualitativo: la memoria che alimenta l’essere vivente in
noi.
Proust rivisse il suo passato nel ricordo, in quello che aveva
personalmente già visto. In questo senso si considera la memoria
proustiana basata essenzialmente sul rimemorare, il ricordare. Si può
anche vivere quello che non si è personalmente vissuto. Sembra
paradossale, ma è già nella Bibbia l’invito in questo senso. Nel
Deuteronomio leggiamo “ricordati di ciò che ti ha fatto Amalek”, era
il re che attaccò il popolo ebraico all’uscita dall’Egitto e aggredì tutti i
più deboli della retroguardia. La Bibbia dice, appunto, ricorda che ora
a centinaia di migliaia di anni di distanza ricordiamo quello che ci ha
10
fatto Amalek e che ha fatto anche a te. Questa memoria che diventa
storia, si aggiunge all’Historia che già conosciamo come raccolta e
costruzione di fatti, eventi, documenti è una Storia che in ebraico si
traduce "generazioni". La memoria che si tramanda di padre in figlio,
di generazione in generazione, ed è una Storia che diventa
testimonianza, il filo rosso della vita e dell’opera di Primo Levi. Tutti
sappiamo che Levi pose una lancinante e lacerante distinzione tra
sommersi e salvati che soli possono parlare del vissuto. Possono
parlare, testimoniare solo quelli salvati che sono tornati. Quelli che
invece non hanno fatto ritorno… a loro è stata tolta la vita e la parola.
Proprio per questo la testimonianza di chi torna è ancora
fondamentale. Molti tra i sopravvissuti ancora non riescono a parlare,
dopo mezzo secolo, a trovare la parola per testimoniare. E’ necessario
tentare di dar voce agli eventi attraverso la vita, l’esperienza diretta
del soggetto, riscattare la sofferenza dalle cifre enormi, dalla terribile
anonimità e rendere alle persone, ai singoli individui, come soggetti
degni d’identità, il loro nome e cognome, ridare alla persona torturata
la sua forma umana: è l’irriducibilità dell’esperienza di ciascuno che
ha vissuto la deportazione di cui occorre avere profonda coscienza.
Tutti conosciamo le cifre spaventose delle deportazioni e dello
sterminio di massa, ma dobbiamo sapere che oltre le cifre esistevano
individui, persone deportate, destinate singolarmente,
sistematicamente all’annientamento. E allora tutti coloro che sono
rimasti, sopravvissuti, con la loro voce parlano contro chi ha concepito
l’idea dell’olocausto, dello sterminio.
Con questa consapevolezza, anni fa, l’ANED ha iniziato una ricerca
relativa alla deportazione femminile anche per la coscienza, la
consapevolezza, l’evidenza che le donne tra le sopravvissute sono
coloro che hanno parlato meno rispetto agli uomini. Si è cercato di
chiamare le donne tanto della deportazione ebraica e razziale, in
generale, che politica. Si è elevato un coro di voci sommerse che è
stato difficilissimo, ma molto importante ascoltare.
Raccogliendo e ascoltando le testimonianze si vivono il passato, gli
eventi, le vicende: la memoria. Questo è il passaggio del testimone,
senza soluzioni di continuità, che si accompagna ad un altro percorso
a sua volta senza soluzioni di continuità, perché processo etico di
scelta tra il Bene e il Male…Dal Deuteronomio: ”Io ti ho posto
davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione: scegli
dunque la via!”. Questa scelta etica tra il Bene ed il Male, che
attraversa sempre la nostra quotidianità, ai tempi del nazifascismo fu
particolarmente urgente, imminente, impellente e tragica. Nazismo e
11
fascismo sono stati fenomeni storici, politici, sociali, economici che
vanno indagati nella loro specificità. Ma anche un piano etico va
ricordato “Una mano abominevole è stata alzata contro l’umanità; un
colpo diretto contro la colonna portante dei Dieci Comandamenti” che
parlano di Dio e dell’uomo e invitano ad amare Dio, amando l’uomo.
Solo in questo modo, con l’amore per il prossimo, la linfa dei Dieci
Comandamenti, si ama Dio. Contro l’amore per il prossimo, contro il
volto dell’altro, come direbbe Levinas, si è avventato il nazismo, il
delirio di pretendere di sapere chi era degno di vivere o meno e di
volerlo eliminare: per questo fu necessario scegliere allora.
Il periodo di revisionismo, è spesso un negazionismo strisciante. La
scelta allora era radicale, coinvolgeva l’individuo che la compiva e
spesso le famiglie che lo circondavano e tra le testimonianze molte
sono le voci di donne deportate perché sorelle, compagne, mogli,
figlie di chi scelse e si schierò, e combattè contro il nazifascismo. Il
ricordo dei sopravvissuti è spesso scandito da queste tappe: la cattura,
il trasporto, l’arrivo nei campi, e sottocampi, dove si veniva tatuati e
numerati, momento che ricorre spesso nelle testimonianze perché
ciascuno si sentiva deprivato del proprio nome, unico, irripetibile,
irriducibile… in un flebile ricordo tatuato sulla mano sinistra. La
solitudine di chi tornò fu spesso estrema e lancinante…
2
“Il Coraggio della Memoria”: il ruolo dei testimoni per
tramandare la storia contemporanea.
All’interno della comunità educante il ruolo dei testimoni e la
trasmissione della memoria: scuola e giovani generazioni.
I cultori della storia, gli insegnanti, gli educatori, i testimoni degli
eventi devono mantenere il rapporto con il concreto relazionarsi delle
comunità, con la testimonianza dei singoli, ma anche, in una
prospettiva di trasformazione delle memorie, in un tessuto storico e
sociale robusto, che confluisca in progetti e consista in una fonte di
energia e di riflessione per le nuove generazioni. Questo passaggio dal
ricordo, dalla narrazione alla memoria, alla storia, alla riflessione è un
processo che deve avvenire tramite il contributo della scuola, non
concepita meramente come domicilio, insieme di persone, ma come
una comunità di studio, contesto di comunità educante intesa nel senso
2
Relazione riassuntiva dell’incontro di presentazione dell’Annuario “Agorà” del Liceo scientifico
G. Ferraris di Varese, Maggio 2001: ”Il coraggio della memoria e la storia europea del ‘900”
12
e significato culturale di progettazione di idee e di confronto; perché
l’attenzione e dimensione specifica dell’istituto scolastico consiste
nella trasmissione culturale, lavorando, interagendo con le nuove
generazioni, attraverso il metodo, lo strumento, la modalità ultima,
pedagogica dell’impegno culturale, educativo del confronto,
dell’interscambio di progetti e di idee e costruzione, elaborazione
collettiva di basi valoriali. Il rapporto “memoria e testimonianza” è
l’importante filo rosso educativo come il riferimento all’aspetto di
documentazioni di studio e ricerche, elaborate, a diversi livelli, sia
come eco di studi e indagini qualitative a livello nazionale ( CEDEC
ANED ANPI), sia di progetti di ricerca, attività di studio e
documentazione, intrapresi dalla scuola, da insegnanti e da esperti e
tecnici di settore. Dunque veramente la scuola diventa comunità di
ricerca, dove gli studiosi sono operatori sociali, insegnanti, impegnati
a livello storico non avulso e disancorato dal territorio circostante, dal
sistema formativo: per cui i progetti di recupero storico si
intraprendono in interazione con i vari enti ed agenzie educative
operanti nell’ambito territoriale stesso, dove la comunità scolastica si
apre al sistema formativo nella sua complessità ed auspicabile
integrazione. Pertanto i ricercatori si trovano ad operare utilizzando ed
animando pedagogicamente le agenzie educative, dalle biblioteche,
agli oratori, al volontariato associazionistico culturale, pubblico e
privato, in prospettive auspicabili e realizzabili positivamente, di
senso compiuto, perché prodotto di interazione tra parti, per un
passaggio di idee ed un’intermediazione effettiva, efficiente ed
efficace. La voce culturale e la memoria che scaturisce e si raccoglie
nella scuola, attraverso di essa deve poi avere un suo deposito, un
simbolo, una rappresentazione, senza essere lasciata solo al ricordo
delle persone intervistate, dei testimoni o dei ricercatori, per cui si
approntano i documenti in opuscoli, ingenti annuari, manuali di storia
locale ecc…per seminare e diffondere valori, ottenere un seguito di
idee, retaggi di memorie significative nel tessuto sociale. I punti
cardinali sono il ruolo educativo dei testimoni nella formazione e
tradizione di una memoria collettiva di esperienze e documenti
recuperati, considerando le figure pedagogiche dei testimoni e le
questioni salienti dei processi di partecipazione: come partecipare,
rendere partecipi a tali esperienze, tradotte in testimonianze, le giovani
generazioni. Come passare e tramandare la memoria è il nodo del
rapporto di formazione nella interazione tra memoria e storia, tra
testimonianze e fonti di diverso tipo, per chiudere un cerchio ideale
per giungere ad una trama di storia da proporre ai nostri giovani.
13
Il rapporto memoria e storia.
I partigiani italiani ammettono che è importante la memoria, perché
aiuta a superare situazioni anche estremamente difficili collegate alle
vicende, agli avvenimenti ed eventi inerenti la conquista della
democrazia, vissuti in prima persona dagli ormai anziani testimoni.
La memoria della resistenza costituisce un ingente patrimonio morale,
culturale, etico, da difendere e valorizzare perché, purtroppo, molte
volte viene dimenticato, ignorato, in quanto rischia, sottovalutato di
importanza, di cadere in oblio, nella società italiana, insieme alla
complessa memoria storica di quel periodo caratterizzato dalla lotta,
dalla guerriglia, nella resistenza alle leggi, alle regole, ai dettami
dell’antifascismo, che ha portato il nostro Paese ai principi cardine
della Costituzione ed all’identità di Repubblica: questo non dobbiamo
dimenticare…Sono valori sacri che devono essere portati a
conoscenza e trasmessi soprattutto alle giovani generazioni per far
comprendere il senso del sacrificio, l’impegno, le lotte per rivendicare
la libertà, condotte per la democrazia, con la conseguente
deportazione di parte del popolo italiano, militante nel movimento
antifascista, nei campi di concentramento e sottocampi di sterminio…
e centinaia di migliaia di morti conoscenti, amici, compagni,
partigiani, donne, bambini senza nome, senza età, senza sesso, senza
più identità e dignità, ridotti a larve umane senza volto…Oggi
dobbiamo ricordare questo passato di terribile vergogna per impedire
che il danno possa rivivere, ripresentificarsi, reiterarsi nella vita
morale e politica del nostro Paese. Anche nell’ultima campagna
elettorale ANPI ed ANED hanno apportato l’esempio, con la loro
fattiva presenza, dell’impegno, nell’importanza del ricordare e
tramandare la memoria storica e il significato che rappresenta la
militanza del popolo nella società italiana per la conquista della
democrazia e della libertà. L’impegno fondamentale contemporaneo
di tutte le forze politiche, morali, sindacali, culturali deve consistere
nella difesa dei valori della Costituzione, il che significa mantenere
fede al sacrificio di più di 60.000 uomini e donne, giovani e anziani,
battuti per difendere la libertà, la democrazia a vantaggio delle giovani
e future generazioni. Lo spirito dell’antifascismo e l’anelito della
resistenza è ancora in gran parte presente nella coscienza della società
italiana, del popolo. Occorre tenere presente e far rivivere la memoria
storica, ma soprattutto nell’impegno della difesa della Costituzione
Repubblicana, che per il popolo italiano assume importante significato
di libertà, democrazia, giustizia sociale: la nostra Costituzione è una
14
delle più avanzate in tutta Europa. Per questo motivo le nuove
generazioni devono conoscerla e rispettarla in un continuo rapporto
dialogico con la memoria storica.
La generazione della Resistenza, che è sopravvissuta alla guerra, ha
voluto testimoniare, tramandare le vicende, gli avvenimenti,
mostrando così una grande attenzione nei confronti dei giovani. Ma le
generazioni intermedie dell’Italia Repubblicana hanno sicuramente
subito un’interruzione di memoria. Quando l’ex Ministro della
Pubblica Istruzione Berlinguer, nel novembre del ’96 ha inserito
d’autorità la storia contemporanea nell’ultimo anno delle scuole
superiori, improvvisamente ci si è resi conto di quanto fosse difficile
coniugare la memoria individuale e collettiva con l’interpretazione e
la narrazione storica che ha aperto nuovi problemi agli insegnanti,
sfide innovative alla scuola. Secondo Norberto Bobbio, il mestiere
dell’insegnante è contemporaneamente terribile ed affascinante:
terribile per le responsabilità che comporta; affascinante perché
stabilisce il dialogo con le giovani generazioni, con il nuovo, il futuro,
tra differenti contesti epocali e diverse identità sociali formatesi
nell’evoluzione dei tempi…per questo risulta un mestiere
estremamente difficile. Gli insegnanti, tra gli intellettuali, sono coloro
che più di tutti esercitano direttamente la funzione dell’autodidatta,
perché molto spesso devono adattarsi a cambiamenti decisi altrove e
studiare, intervenire ed aggiornarsi o meglio autoaggiornarsi.
Scuola e storia contemporanea: laboratori e corsi organizzati dal
Ministero della Pubblica Istruzione rivolti agli insegnanti.
Per la storia contemporanea è sortito un immane lavoro del Ministero
della Pubblica Istruzione dedito all’aggiornamento degli insegnanti a
cui l’Istituto Nazionale della Resistenza ed i distretti decentrati su
tutto il territorio italiano hanno collaborato a livello centrale e locale,
con grandi esperienze dove si è messo a punto, anche grazie a
ispettrici preposte, un modello di corso di aggiornamento che è poi
stato utilizzato in altre circostanze, partendo dal presupposto che non è
sufficiente l’aggiornamento relativo ai contenuti, appunto di tipo
passivo e parziale, ma è risultato necessario facilitare l’intervento di
altri elementi nella conoscenza storica: sicuramente la metodologia
storica e la didattica della storia, ma, per esempio, anche oltre la
storiografia, l’inserimento del tema delle testimonianze e delle
memorie di vita. Alcuni corsi erano giocati appunto non sulla tematica
15
della memoria divisa, ma sull’argomento relativo alla pluralità delle
memorie, sia per quanto riguarda e concerne la seconda guerra
mondiale, la resistenza, i movimenti del ’68, ma per esempio, anche la
tragica diatriba tra palestinesi ed israeliani, argomento, oggi, di una
sconvolgente e drammatica attualità. Quindi pluralità di memorie, ma
anche di interpretazioni storiche a confronto. Sulla base di queste
esperienze di iniziative ed attività educative concretizzatesi in corsi di
didattica e divulgazione in tutta Italia a livello regionale per
l’aggiornamento del corpo insegnanti e di laboratori con giovani
studenti di discussioni relative alle condizioni di vita, focalizzate, al
centro di situazioni esperienziali in rapporto al loro tempo, sortiva il
concetto di deprivazione di memoria nei giovani, deprivati, appunto di
storia, depauperati di volontà di memoria e conseguentemente di
motivazione ai perché, agli eventi, alle vicende storiche. La
responsabilità non è certamente da attribuire ai ragazzi che non
ricordano, perché essenzialmente non hanno vissuto gli eventi, “non
c’erano”… Il problema sostanzialmente consiste nell’assenza di
memoria, di consapevolezza del proprio vissuto che evita, impedisce a
ciascun soggetto di recuperare il senso dell’esistere e di esserci nella
storia, l’esercizio passivo o attivo del vivere nella storia come primari,
principali fattori causanti, attori nel palcoscenico del divenire, nel
teatro dell’avvicendarsi inesorabile degli eventi, del susseguirsi
incessante degli avvenimenti.
Certamente alcuni periodi storici favoriscono la solitudine,
l’individualismo, il disimpegno politico, la non partecipazione,
l’astensione, nella “solitudine della società globalizzata”, a cui
susseguono altri momenti, periodi più alti, elevati di impegno politico,
collettivo che favoriscono, aiutano la trasmissione della memoria
storica.
Era accaduto un dato su cui ci si è molto soffermati nella ricerca da
parte del Ministero della Pubblica Istruzione “Memoria ed
insegnamento della storia”: proprio la generazione che ha vissuto gli
anni ’70 di maggior conflitto ideologico non ha passato, trasmesso,
tramandato memoria, non avendo metabolizzato e rivissuto
criticamente anche il sentimento, il senso diffuso di un fallimento che
alcuni dei partecipanti alle lotte politiche di quel tempo hanno
sperimentato e reso proprio, personale, a livello di bagaglio culturale.
I corsi ministeriali hanno centrato storicamente questo tema della
memoria nei confronti degli insegnanti, attraverso gli anni della
formazione individuale e professionale e culturale nel periodo
prossimo al dopoguerra (anni 50 e 60) che coincide con la grande
16
trasformazione economica, culturale e sociale del nostro Paese.
Sussiste una difficoltà dell’educazione alla memoria per cercare gli
strumenti finalizzati alla ricostruzione di memoria a scuola e sul
metodo didattico da impiegare, non solo per l’utilizzo (il far tesoro)
del testimone durante la spiegazione storica in determinati contesti,
ma anche per usare criticamente la propria, personale memoria
percettiva in modo che lo studente costruisca, in rapporto reciproco,
relazioni interpersonali e possa sperimentare sulla propria persona la
situazione che lo psicologo Giuseppe Mantovani sostiene in una
conversazione in atto :”i giovani entrano in un flusso e processo di
tipo storico e gli adulti devono loro spiegare a che punto si trova la
conversazione, attribuendo loro gli strumenti perché intervengano nel
processo di trasmissione di memoria”.
Nella società precapitalistica tradizionale i cui momenti apicali erano
scanditi da feste popolari in comunità, saghe narrate e cantate, rituali
stagionali reiterati, ciclici in rapporto al divenire della natura
circostante, di memorie povere o grandiose tramandate di padre in
figlio, condizioni non più esistenti né in territori di campagna né di
città, nell’ambito del nostro Paese d’appartenenza, gli anziani in
questo tempo mitico, in illo tempore, svolgevano e praticavano
l’importante e vitale funzione di spiegare ai giovani come si viveva,
cosa era la vita nel presente, nella quotidianità… la situazione
patriarcale chiusa, anche autoritaria, evidentemente, permetteva che
sussistesse una rituale trasmissione di memoria anche a livello di
quotidiano di piccole esperienze, di personali vissuti. Nella società
contemporanea ancora una volta la scuola deve assumersi un compito
che forse non le è proprio, appunto, la funzione basilare relazionale
tra generazioni di trasmissione della memoria storica, ma in assenza di
un sistema formativo efficientemente integrato, di una più ampia ed
estesa società educante in contesti di comunità. L’unico luogo
educativo molto prezioso a tal fine risulta appunto l’istituzione
scolastica, con tutti i suoi problemi irrisolti, le questioni pesanti, le
difficoltà evidenti, sia a livello burocratico sia sulla base dei rapporti
di incontro ed interscambio dialogico e culturale tra generazioni, di
intesa ed accordo comuni nei processi didattici ed educativi. Questo
rapporto tra memoria e storia risulta un binomio relazionale tra le
singole soggettività. Una frase di Holfam, nell’introduzione del
“secolo breve”, che descrive la condizione dello storico nello studiare
storia contemporanea, si adegua proprio alla posizione ed al ruolo
degli insegnanti. Sostiene Holfam: “parliamo dei nostri ricordi
ampliandoli e correggendoli e li rievochiamo come uomini e donne di
17
un tempo e di uno spazio particolari, coinvolti in varie guise, ruoli,
aspetti, nella storia, come attori di un dramma, per quanto siano state
insignificanti le nostre parti, come osservatori del nostro tempo e, non
da ultimo, come persone le cui opinioni sono state formate da ciò che
noi siamo giunti a considerare come eventi cruciali: siamo portatori di
questo secolo che è parte di noi”. Questo spiega, per esempio,
l’attenzione per lo sterminio, per la Shoah, come parte fondante della
coscienza successiva alla seconda guerra mondiale. Ma il problema
consiste nel fatto che senza memoria diventa molto difficile
presentare, prospettare, progettare il futuro. La memoria è una mappa
di orientamento del presente in quanto permeabile, muta nel tempo, si
trasforma, è proteiforme…per esempio, un problema emerso tra i
colleghi del gruppo di progettazione di ricerca consisteva nel quesito:
cosa può ricordare una generazione che non ha vissuto situazioni
estreme e precarie da ricordare, eventi eroici da raccontare, condizioni
traumatiche come la guerra da scongiurare…cosa ha da ricordare?
Nei laboratori ministeriali si sono svolti esercizi di memoria
considerando e valutando che per la generazione degli anni ’50 e ’60
tra i colleghi non sussisteva tanto una memoria politica quanto di tipo
sociale riflessa nei grandi cambiamenti intervenuti nella storia italiana.
Siamo partiti dal presupposto, messo in luce dal pedagogista
Alessandro Cavalli, nell’ambito della ricerca dal titolo “i giovani ed il
tempo”, per cui ha evidenziato la netta cesura di memoria politica
come elemento che non ha permesso il passaggio di consegna delle
eredità conquistate come monito ed indicazione riguardo alla storia
contemporanea trasmessa alle nuove generazioni. Il rapporto tra adulti
e giovani consiste nel necessario passaggio di memoria come
elemento di costruzione e di confronto della storia.
Riflessioni sulle “memorie”…
La memoria rappresenta per colui che racconta la ricerca del senso di
un fatto accaduto nel passato in base alle indicazioni del presente:
questo è di grande stimolo dal punto di vista della didattica della
storia. Sono le domande del presente che portano ad evidenziare certe
situazioni e condizioni vissute nel passato. Sempre più gli insegnanti
sono chiamati alla responsabilità della scelta dei contenuti da
sottoporre ai ragazzi, perché più si allarga il campo della storia, più la
cernita responsabile, critica, storiograficamente accettabile e
pertinente risulta importante ed insostituibile. Quando i giovani si
18
rivolgono ad adulti o ad anziani per sentirsi raccontare dei fatti
accaduti in un passato prossimo o remoto della storia del nostro
secolo, essi stessi cercano e vogliono attribuire senso alla propria vita
ed esistenza trovando radici, matrici di significato in ciò che è stato ed
è accaduto, agli eventi della storia individuale e collettiva che li ha
causati direttamente, a tutti gli effetti. Questo è il grande dono di colui
che ha esperienza consolidata, rispetto a chi si deve costruire da solo
un proprio senso dell’esistenza, per ragioni individuali e personali:
molto spesso non si consolida tale utilizzo ed impiego proficuo,
saggio, della memoria nella società contemporanea occidentale, in
quanto si cerca di vivere in un eterno presente e probabilmente si
sperimenta la difficoltà di attribuire senso anche alle singole esistenze
e di costruire personalità strutturate, il che consiste di conseguenza nel
compito precipuo dell’educazione, della pratica pedagogica volta alla
formazione della persona ed all’istruzione di cultura. Jedlowskji
sottolinea la memoria come esperienza, come saper fare, ed esperienza
di sapere. Spesso nella scuola il “saper fare” non è sufficientemente
sottolineato nel lavoro generale, nelle mansioni quotidiane, nei
compiti propri dell’insegnante.
Jedlowskji è un sociologo, ma compie una riflessione sostenendo che
la forte accelerazione della nostra vita porta ad una crescente
intellettualizzazione dei contesti artistici e culturali e per converso a
non valutare, non assorbire e metabolizzare le emozioni su cui la
memoria si basa soprattutto, come sugli affetti, sugli aspetti
emozionali, nell’ambito dei sentimenti, delle passioni che comportano
gli eventi. Quindi può avvenire una divaricazione tra memoria
collettiva, sedimentata e memoria individuale, per cui il singolo
individuo si manifesta in difficoltà, non riesce ad intrecciare ad
interagire la propria esistenza con le altrui esperienze di vita. Se
rapportiamo tale riflessione al mondo degli studenti, osserviamo che
essi stessi non riescono ad attivare un interesse con la storia insegnata
ed a rapportarsi con colui che la tramanda (insegnante, storico,
studioso, testimone, operatore culturale). La memoria è la storia
commentata dell’esperienza dell’uomo, come sostiene la Yourcenar,
che fa dire ad Adriano: “ho ricostruito molto e ricostruire significa
collaborare con il tempo nel suo aspetto di passato, coglierne lo spirito
e modificarlo, protenderlo quasi verso un più lungo
avvenire…significa scoprire sotto le pietre il segreto della sorgente”.
La testimonianza a scuola porta l’uomo e la donna in carne ed ossa,
come protagonisti esistenti e viventi della storia passata, con i loro
sentimenti, passioni e scelte di vita con un impatto emotivo diretto ai
19
ragazzi nei confronti degli eventi storici di elevatissima efficacia
didattica, nei cui racconti e narrazioni sottesi all’impercettibile filo
rosso del sentimento, del ricordo emotivo, si scopre “la sorgente sotto
le rocce” sedimentate del tempo…La testimonianza riconsegna al
legittimo attore degli eventi ed all’attento ascoltatore il senso
dell’essere nella storia, in sé stessi e per sé stessi, nell’immanenza
dell’attualità del momento presente.
Le parole testimonianti di Giovanni Pesce, Presidente nazionale
dell’ANPI, rese note nelle scuole di ogni ordine e grado, scandiscono
le date salienti della storia italiana, coincidenti con le scansioni, gli
eventi, gli avvenimenti, le scelte, i cambiamenti della sua vita di
militante, narrando i fatti storici collettivi, comuni che lo hanno visto
protagonista, senza parlare di sé, in prima persona, risparmiando la
testimonianza della ricchezza della personale, unica ed irripetibile
esperienza di vita, volendo però ricordare date collettive, ma in cui
Pesce stesso c’era, era presente e militante, nella contemporaneità
immanente di quegli eventi.
Lo psicologo Mantovani considera la memoria una mappa per
orientarsi tra passato, presente e futuro. Senza la memoria non esiste
scansione storica, non ci si connette al passato ma neanche al futuro,
non esiste il prezzo del senso della vita e questo fenomeno accade
nelle società in crisi che cambiano radicalmente i parametri della vita
collettiva. A proposito del processo di pacificazione del Sud Africa
dove si è attuata un’esperienza diversa ed originale rispetto ad altri
paesi, perché il governo ha presieduto una commissione dove sono
stati chiamati a presenziare vittime e carnefici della guerra civile per
raccontare le ingiustizie subite, sofferte o perpetrate. La ragione di tale
fatto è che memorie così diverse, conflittuali, di forte contrasto
venivano così a creare il variopinto ed astratto mosaico della memoria
collettiva di un Paese che doveva uscire da una storia tragica. Questo
processo di pacificazione, tramite il filo sublime e nobile della
memoria, non è accaduto in molti Paesi europei, anche se la
Germania, per quanto riguarda la Shoah ed il nazismo, ha elaborato e
praticato forse un lavoro più approfondito e capillare rispetto a quello
che è avvenuto in Italia o in altri Paesi successivamente.
La memoria è soggetta all’oblio del tempo, a cancellazione e
rimozione: è continuamente manipolata. Chi plasma oggi la memoria
collettiva? Si oscilla tra l’opinione che non esista memoria o che è
partorita dai media. Anche se più che memoria i media generano un
senso comune condiviso.