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nuova che risulterà tanto più “moderna” e proiettata verso il futuro, quanto più
riconoscerà che anche il passato rientra nella contemporaneità e attualità del presente.
La complessità ontologica del sé in una prospettiva autobiografica.
Risulta possibile recuperare il passato se si riconosce e riattualizza una memoria
collettiva, comune, del senso della storia a partire dal singolo individuo che ha il
compito di comprendere, realizzare, ricomporre a ritroso, storicamente, la propria
identità, coincidente con la memoria stessa, tramite l’approccio pedagogico
autobiografico.
L’autobiografia permette al disegno, alla trama della storia personale di riemergere
nella sua unicità per una maggiore consapevolezza e comprensione di sé,
emancipando il soggetto da ogni rischio di manipolazione, di “revisionismo storico”
della propria esistenza nel passato. In epoca moderna l’individuo vive il disagio, la
difficoltà di sperimentare la complessità dell’esistere, perché la soggettività non è
univoca ma composta da “noi plurimi” che confliggono al nostro interno, in termini
psicanalitici.
La modernità disorienta l’individuo che non vive esclusivamente un’unica cerchia di
vita relazionale, ma sperimenta la varietà degli approcci sociali, per cui appartiene ad
una pluralità di ambiti comunitari e di contesti collettivi. Dunque la modernità
comprende molteplici e plurime identità relazionali, per cui risulta più difficoltoso
recuperare il senso della personale biografia, in quanto l’”io” sperimenta molteplici
vite, nella pratica relazionale in varie dimensioni sociali del contesto quotidiano,
prive comunque dell’autentico senso di appartenenza e condivisione che permeava la
società preindustriale, precapitalistica, impostata su modelli di vita quotidiana più
semplici, meno complessi degli attuali..
Nel concetto moderno e specifico di “adultità” (neologismo attuale), il divenire, la
metamorfosi, il cambiamento, la transizione, coesistono nell’ermeneutica
autobiografica, metodo interpretativo olistico che richiama il luogo della complessità,
legata ai temi della narrazione, del gioco di trame e processi narrativi di linguaggi
interiori che tendono all’incompiutezza. Il metodo autobiografico rientra nell’ambito
della complessità, per cui il racconto di sé, introspettivo e retrospettivo, si rivela
autopoietico, autogenerativo, tendente all’infinito relazionare e rimembrare degli
eventi. L’educazione alla multipla complessità del sé genera e comporta un percorso
formativo atto ad affrontare la sopravvivenza all’incertezza e all’ansia di dominare il
presente, per abitare gli interrogativi dell’identità multipla, poliedrica allo scopo di
imparare ad interagire, conversando, attraverso il mutare, il variare dei punti di vista,
delle prospettive cognitive, al fine di educarsi, educando. Un concetto nell’accezione
formativa, problematicista: La complessità dell’IO, dell’ente, realtà ontologica,
olistica, interna ed esterna al sé. Il rapporto d’ascolto autobiografico ammette
l’avvicinamento estetico, tramite il contatto, non estetizzante, l’interrelazione
reciproca, per non dimenticare di vivere e sperimentare la nozione di complessità,
attraverso il pensiero cognitivo autobiografico, che tende anche alla sospensione del
giudizio, all’epochè.
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Un luogo interiore dell’anima, per rieducarsi alla memoria.
L’autobiografia, ermeneutica dell’esistente, ha trovato un luogo ideale, utopico, al
contempo reale, un “non luogo” della mente, dell’anima, anche topos specifico,
micropedagogico…dalla mente autopoietica, al microcosmo di una realtà rurale,
idillica, sospesa nell’eternità di un passato storico importante. Un piccolo borgo
medievale, inerpicato sul dolce pendio collinare toscano: Anghiari, ancora intatta
nella sua autentica antichità. Qui il fulcro della “Libera Università
dell’Autobiografia”, realtà collegata all’Archivio diaristico nazionale della memoria
storica popolare di Pieve Santo Stefano, da cui si diparte l’intento pedagogico, la
volontà di studio e impegno di volontariato culturale militante che coinvolge vari
comuni italiani, paesi piccoli e grandi, nell’intento formativo, di applicazione
rieducativa al senso del tempo storico, personale e collettivo, di indagine e
discussione relative al significato ermeneutico, interpretativo, della narrazione di sé,
delle storie di vita degli individui, del popolo nella sua complessità. Questo implica
un concetto di autoformazione, di autoriflessività e occasione di apprendere e
conoscere, durante il corso della vita e dell’esperienza, in relazione ai fatti quotidiani,
ai continua apicali, alla nascita, alla morte, come alle vicende esistenziali, grandiose o
povere che ciascuno di noi vive.
Le due anime dell’autobiografia
La Libera Università dell’autobiografia di Anghiari, polivalente realtà associativa, è
contraddistinta dall’intrinseca dualità e, al contempo, univoca e comune volontà
d’intenti. Un’anima autobiografica, intesa come autentica e implicita possibilità di
tornare sul proprio passato, in uno spazio/tempo interiore, spesso privo di riferimenti
con l’alterità, per il venir meno di significativi e autentici rapporti relazionali
affettivi, amicali. Soprattutto nelle grandi realtà urbane, metropolitane è scomparso il
senso della comunità, vissuta attraverso le scansioni liturgiche del calendario
agricolo/pastorale, regolato dagli eventi naturali, dal susseguirsi delle stagioni e
suffragato dalla tradizione del sacro.
L’autobiografia rappresenta la possibilità di comunicare con le varie identità, a livello
individuale, e recuperare, riappropriandosene, la storia di sé, per vivere meglio le
diversità intersoggettive, con se stessi, per gli altri.
La seconda anima del volontariato di animazione autobiografica, comprende l’atto
simbolico ma effettivo del donare e riconsegnare al presente, per affrontare il futuro
con rinnovata consapevolezza, le tracce, i segni dei tempi, di una memoria storica
collettiva quasi scomparsa: la vita della comunità, formata di tante singole storie di
vita, riesumate tramite la “pedagogia della memoria”, per ricostruire e recuperare
un’identità a livello individuale, locale, nazionale, globale dalla complessità
ontologica dell’esistente, nella consapevolezza di un più esteso concetto di
educazione e cultura militante.
Dal contesto sociale attuale risulta l’esigenza di raccontare ad altri e a se stessi il
ricordo, rammentando, rimembrando e rievocando, il relazionarsi degli eventi passati,
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per sanare le ferite di un diffuso e dilagante disagio esistenziale, a tutti i livelli sociali,
riguardante diversi ambiti e canali comunicativi: “non una depressione comune, un
male oscuro misterioso”, ma il “male di vivere”. Di conseguenza ricordare e
raccontare per riattualizzare e recuperare la sofferenza del vissuto, attraverso la
naturale catarsi della com-memorazione, acquisendo una maggiore consapevolezza di
sè, attingendo dal passato, per la progettualità e decisionalità del futuro.
Tramite i progetti di ricerca attraverso l’animazione autobiografica, si concretizza e
attualizza il nobile intento di dare voce al popolo e alle singole persone, coinvolgendo
studiosi e pedagogisti di vari atenei italiani a confronto con “realtà normali e
comuni”, in una rinnovata ed autentica prospettiva di educazione militante.
Il comune denominatore dei progetti di indagine e ricerca, tramite la “cultura della
memoria”, diffusi sul territorio italiano, è la memoria stessa. Come sosteneva il
filosofo “la memoria è l’uomo”, il cardine intorno a cui ruota il metodo di animazione
autobiografico.
La scientificità del metodo autobiografico. Le ragioni del metodo autobiografico
Attraverso il racconto di sé la persona ri-corda (dal latino recordo: riportare al cuore,
alla mente) gli eventi collegati al passato che si rivelano durante il colloquio
autobiografico con il ricercatore/mèntore, tramite il recupero di una memoria non del
tutto spontanea, ma indotta e indirizzata su obiettivi particolari: indagare la realtà
soggettiva, il “pluriverso” individuale. Tale riferimento costituisce la discriminante
tra l’attività spontanea e l’ambito specifico, micropedagogico, che consente di attuare
la ricerca scientifica, a livello analitico.
Dunque il metodo autobiografico è essenzialmente scientifico non perché basato su
dati statistici o focalizzato su una realtà oggettiva, ma riguardante l’individuo nella
sua ontologica complessità poliedrica, soggettiva (si indaga il soggetto), attraverso
una tipologia ermeneutica qualitativa (la ricerca dei dati sulle storie di vita) e non
quantitativa: differente dalla ricerca sociologica, dall’antropologia o dall’ambito
etnoantropologico.
Il recupero del passato storico individuale e collettivo come tutela della libertà
soggettiva
La memoria è in sostanza il cardine del metodo. L’obiettivo fondamentale, il focus
educativo sotteso alle implicite e consequenziali dinamiche metabletiche
dell’autonarrazione, consiste nel recuperare, riattualizzare e far riaffiorare nelle menti
memorie di eventi piccoli o grandi, antichi o recenti, degli anziani testimoni e
depositari autentici di un passato preindustriale, che lentamente va estinguendosi. A
causa di precisi fattori economico/sociali, le realtà esistenziali e territoriali dei paesi,
nel cui ambito si spende il volontariato autobiografico, risultano disgregate, anche per
imponenti fenomeni di migrazione ed emerginazione, privi di reciproca integrazione,
in seguito alle trasformazioni apportate dall’ingente processo di industrializzazione,
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per la diffusione di un esasperato, edonistico consumismo di massa, e il verificarsi
graduale dell’eclissi del sacro.
L’hinterland metropolitano risulta una realtà amorfa, fortemente individualistica,
nell’accezione più narcisistica, edonistica ed egoistica del termine, a livello di
rapporti sociali, interrelazionali, nel cui contesto non rimane quasi traccia di un
preesistente passato rurale, arcaico, ricollegabile a comuni matrici culturali,
all’identificazione in comuni radici originarie, caratterizzate da tempi e ambiti di
socialità comunitaria, scanditi dal lavoro quotidiano agricolo e dalle ciclicità
stagionali e liturgiche del calendario contadino.
La transizione immediata, il passaggio repentino, brusco da una società di stampo
prettamente rurale, ad un contesto altamente industrializzato, accompagnato da
ingenti processi e fenomeni di sperequazione e speculazione edilizia, a livello di
assetto urbanistico, ha sconvolto paesaggisticamente il territorio. Queste
trasformazioni repentine hanno causato gravi ripercussioni sui vissuti individuali
delle popolazioni, nei contesti sociali attuali, provocando un dilagante e diffuso
disagio esistenziale. L’individuo perde, smarrisce nel caos di messaggi comunicativi
vacui, effimeri, in una prospettiva estetizzante ed edonistica dell’essere, la personale
identità, non più abituato a recuperare la memoria soggettiva, in ambiti d’ascolto
familiari, amicali, tramite un percorso introspettivo e retrospettivo autobiografico
relativo al senso della storia individuale e collettiva. Tale dinamica relazionale risulta
difficilmente realizzabile in una società complessa come l’attuale, deprivata del senso
e significato di dedizione disinteressata all’altro, al diverso, e mossa solo da interessi
speculativi nei confronti dell’individuo, priva di ambiti di relazione e di ascolto
sociali, sostituiti dai mezzi tecnologici e di comunicazione di massa.
Il valore pedagogico del proposito autobiografico è sotteso alla rieducazione della
collettività al ricordo, in una prospettiva riabilitativa, terapeutica di cura di sé
attuabile dal soggetto in formazione, attraverso il filo interrelazionale, invisibile,
impercettibile della memoria, per attingere al passato di comuni radici originarie,
riappropriandosi dell’esperienza e consapevolezza individuale, al fine di comprendere
e recuperare una matrice comune, un valore condivisibile, la salvaguardia
dell’ambiente, il territorio, il creato, la madre terra fertile, l’antico mondo rurale,
contadino, i cui momenti esistenziali, continua apicali, venivano regolati
naturalmente dall’ambiente incontaminato, in sintonia con la creazione, dalla
iteratività ciclica delle stagioni. In questo tempo, sospeso nell’eterna ciclicità della
natura, si praticava la vita sociale, spartendo la quotidianità del presente nella
comunità, in cui il soggetto riscopriva l’esigenza profonda e il terapeutico conforto
del racconto di sé all’alterità.
Dunque la Libera Università di Anghiari coinvolge importanti studiosi di vari atenei
italiani, accomunati dal nobile intento di approfondire le tematiche relative alla
“cultura della memoria”, vale a dire il recupero delle storie di vita del popolo, della
gente, delle singole persone, soprattutto anziane, uniche depositarie di un passato
precapitalistico che inesorabilmente cade nell’oblio della modernità, in una rinnovata
prospettiva di pedagogia sociale, di attività di animazione socioculturale e di
educazione militante in diversi ambiti e contesti territoriali, attraverso un metodo di
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indagine scientifico basato sul racconto autobiografico del soggetto. Nei quartieri di
ogni città dovrebbero esistere musei-laboratori della memoria storica per accogliere e
archiviare le storie della gente che è passata. Solo riappropriandoci come popolo di
una ormai confusa identità culturale ottenebrata e degradata dal consumismo
esasperato, da stravolgimenti economico/sociali, apportati dagli ingenti fenomeni di
capitalizzazione industriale delle risorse collettive, nel miraggio di una prospettiva di
“villaggio globale” dettata e imposta dai massmedia, solo diventando attori del
proprio sé, protagonisti consapevoli della personale storia di vita e di formazione,
risulterà possibile recuperare i valori dell’altruismo, della solidarietà,
dell’accoglienza, del confronto e arricchimento culturale interetnico, di interscambio
e accettazione, non falsamente e ipocritamente tollerante, dell’altro da sé, del diverso,
dell’immigrato, dello straniero portatore di cambiamento, di novità, nella certa e
riconquistata consapevolezza, data dalla riflessione sul personale passato storico e
soggettivo, individuale e collettivo, volta a rispondere alle domande esistenziali
ultime, cardine dell’uomo: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo.
Un impegno culturale di memoria autobiografica che esercita uno straordinario valore
educativo, creativo, ricreativo e culturale nella sua concreta pratica di formazione
permanente, riuscendo ad ottenere il fondamentale obiettivo di recuperare e di
tutelare le specificità delle varie e differenti esperienze soggettive e la loro unicità.
Un metodo che sa creare un argine diffuso e condiviso contro la violenta pervasività
del pensiero unico veicolato dai massmedia e dall’uniformazione delle coscienze che
la cultura consumistica ha l’esigenza e la pretesa di ottenere. Contro una pedagogia
ed una didattica di stato che ha in odio ogni specificità individuale e che ritiene il
principio costituzionale della libertà d’insegnamento un pregiudizio frutto di esigenze
corporative: Contro l’ipocrisia e la falsa coscienza di una rappresentazione virtuale
dell’esistenza, dove saltimbanchi, buffoni ed imbonitori uniformano la cultura
popolare nel nulla televisivo. Contro l’eliminazione di ogni differenza, contro una
visione monopolistica dove ogni cosa ne vale un'altra, contro un insipiente e
fallimentare appiattimento della prospettiva storica su un presente ricorrente in modo
ossessivo come unico luogo di concretezza del mercato, contro una prospettiva che
valorizza solo ciò che ha un valore immediato ed economico…
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AL DI LA’ DEL RACCONTO ORALE
Oltre la narrazione
La scrittura e l’analisi introspettiva
Le potenzialità dell’autobiografia e del racconto di sé sono sviluppate quando la
narrazione diviene scrittura, che stimola consuetudini introspettive e autoconsapevoli,
suscitando il ripiegamento riflessivo sul proprio sé interiore.
La scrittura della personale storia di formazione, della propria vita e esistenza, apre la
psiche al mondo esterno e all’io interiore, stimolando processi di autoriflessione, per
cui la rielaborazione delle dinamiche riflessive permette al narratore sempre nuove
evoluzioni psichiche, riassorbendo e trasformando pensieri, sentimenti, sensazioni e
stati d’animo, in un processo naturale di esperienze vissute e intuizioni,
salvaguardando tutta la ricchezza della comunicazione interpersonale. La scrittura
della propria interiorità offre al narratore la potenzialità di un processo di
rielaborazione per tradurre le riflessioni e il pensiero autoreferenziale permetterà di
trascrivere percorsi, trame di significato, tracce di pensiero interiori per una più acuta
capacità di analisi e consapevolezza di sé. Attraverso la scrittura è possibile attuare
un approccio ermeneutico attraverso la stessa attenzione richiesta dalla comprensione
testuale, in un circolo virtuoso nell’ambito dei rimandi vicendevoli tra scrittura e
pensiero autobiografico.
I momenti di transizione
Lo spazio potenziale sviluppa un sé differenziato dalla matrice ultima, ossia una più
matura istanza psichica interiore, facente parte della realtà esterna, che si emancipa
così dal rapporto con-fusionale con l’origine, il cosmos.
Nello spazio tra fusionalità e mondo oggettivo esterno si colloca l’area transizionale
al cui interno si impara a controllare e sopportare l’angoscia di separazione ed
individuazione. Con la maturazione si passa oltre il fenomeno transizionale,
attraverso esperienze culturali, creative, ludiche o religiose e proprio in tali ambiti si
sviluppano e si collocano le produzioni di diari e di autobiografie.
L’esperienza della scrittura rappresenta un’area di confine che crea una dialettica tra
vita privata e mondo esterno.
Scrivere un diario è dunque un’esperienza transizionale imperniata di creatività,
tramite cui si coglie e si avvia l’importanza della scrittura di sé nella realizzazione
della personalità creatrice.
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La presunta rimozione della morte
Gli scritti autobiografici attaccano la morte come distruzione della memoria e del
ricordo nell’oblio, in quanto subentra in essi il riferimento alla paura della morte nella
trasposizione scritta che diviene tentativo di contrastare la scomparsa assoluta,
perennizzando artificialmente la vita, per esorcizzare la morte come avviene nei riti
apotropaici e taumaturgici.
La scrittura autobiografica diventa un antidoto, una strategia per rubare alla morte la
sua aura spaventosa, nella paura di essere dimenticati, nel timore dell’oblio che non
lascia più niente di sé. L’esigenza di essere ricordati trova espressione
nell’autobiografia o nel diario quali documenti permanenti della propria interiorità,
come testimonianza ineluttabile e indelebile della propria esistenza, prolungando la
presenza del proprio ricordo oltre i limiti della vita terrena, in una sorta di
immortalità, legata al tema terrificante dell’oblio, in quanto si scrive non solo per
essere ricordati, ma anche per ricordarsi del proprio io, della propria personalità ed
esistenza, per fissare i ricordi affinchè non vengano eliminati dall’inesorabile
trascorrere del tempo.