FACOLTA’ TEOLOGICA DELL’ ITALIA SETTENTRIONALE
DI TORINO
“MEISTER ECKHART,
MODELLO MISTICO CRISTIANO”
Relatore:
Prof. Don Ermis Segatti
Candidato:
Luca Ravetto
Anno accademico 2009-2010
1 1
INTRODUZIONE
“Tutto deve tornare all’Uno
Tutto dall’Uno viene e all’Uno deve tornare
Se sdoppiato e molteplice non vuole restare”
1
Durante una lezione del master di “Scienza e Fede”, quella del 12 giugno
2009, Don Lucio Casto affermava: “Sono abbastanza convinto che in un prossimo
futuro il Buddismo potrebbe diventare la religione più seducente per il nostro
mondo occidentale largamente individualista e pieno di dubbi non solo su Dio,
ma anche sulla definibilità oggettiva della realtà da cui ci sembra di esser
circondati: una religione, o meglio un sapere che non ha bisogno di salvatori,
perché l’uomo può contare solo su se stesso nel suo sforzo di liberazione, né di
dogmi, se non i pochi veicolati dai grandi <<Illuminati>>, né di chiese con i loro
magisteri ingombranti”
2
.
Ho voluto ricordare questa affermazione per sottolineare che questa possa
essere vera fino ad un certo punto in quanto credo che l’uomo avrà sempre
bisogno di salvatori, dogmi e chiese, e che se la religione cristiana imparerà a
dialogare e a rispondere in modo profondo ed esaustivo alle richieste dell’uomo
moderno, questa necessità di spingersi verso l’oriente verrà sicuramente meno.
Non credo che l’uomo occidentale moderno abbia bisogno di ricorrere a modelli
mistici orientali, se non solo per un confronto; credo invece che necessiti di
riscoprire uomini che, come Meister Eckhart, possono essere ripresi come esempi,
dalla storia cristiana occidentale, per riportare l’individualismo dell’uomo
occidentale a riscoprire una autentica vita cristiana
3
.
Occorre a mio avviso riscoprire, attraverso la mistica, l’essenza del
cristianesimo, restituendogli quel valore spirituale che, solo, è in grado di ridare
vita alla nostra società. Jules Monchanin scriveva: “La Chiesa, nei suoi primi
venti secoli della sua storia si è foggiata, nella sua struttura esteriore, sulla civiltà
1
SILESIUS A., Il Pellegrino Cherubico, (a cura di Fozzer G. e Vannini M.), Paoline, Cinisello Balsamo (Milano), 1989,
p. 293.
2
CASTO L., Meditazione, preghiera e mistica, (Intervento presso il Master di Scienza e Fede del 12 giugno 2009), p.
3.
3
“<<Secondo te che cosa ti ha permesso di raggiungere la verità eterna? - L’aver abbandonato la mia individualità
là dove l’ho trovata…>>. <<Gli uomini non liberati hanno orrore di ciò che costituisce la gioia profonda degli uomini
liberati. Nessuno è ricco di Dio, se non è interamente morto a se stesso>>”. (MEISTER ECKHART, Pfeiffer, p.467, in
ANANDA K. COOMARASWAMY, Induismo e buddhismo, Rusconi, Milano, 1973, p. 91).
2 2
occidentale: oggi invece l’esigenza di adottare, come rivestimento della Chiesa
quello di altre civiltà implica qualche rinuncia, un ritorno alle origini, una
dissociazione dell’essenziale dall’occidentale, e soprattutto una interiorizzazione,
tramite una intensa vita contemplativa, un primato della mistica sulla liturgia,
sulla teologia, sulla filosofia religiosa e sulle istituzioni (…). Una delle esigenze più
grandi del nostro tempo è la docilità allo Spirito Santo, per interiorizzare ogni
cosa, senza uscire dal corpo visibile, per ripensare dogmi divenuti impensabili in
un certo contesto e per rivificare attività spirituali divenuti inerti”
4
.
A tal fine il dialogo tra le religioni è cosa importante e necessaria, tanto che
Giovanni Paolo II il 6 maggio 1984, ai capi delle religioni tradizionali coreane
diceva: “Proprio come l’individuo deve trovare il proprio vero <<io>> trascendendo
se stesso e deve sforzarsi di raggiungere l’armonia con l’universo e con gli altri,
così pure una società, una cultura, la comunità umana devono cercare di
alimentare i valori spirituali che sono la sua anima. E questo imperativo è tanto
più urgente, quanto più profondi sono i mutamenti cui è soggetta la vita
odierna”
5
.
Oggi non solo è di grande importanza il dialogo tra le religioni ma anche il
dialogo tra teologia e scienza per il pericolo di una applicazione immorale delle
conquiste tecnologiche. Alcuni scienziati autorevoli sono impegnati nel tentativo
di ricollegare la ricerca scientifica ad un piano di riflessione più generale e
fondamentale, manifestando un vivo interesse per l’esperienza religiosa e le sue
tradizioni: è cioè in questione non tanto il senso di un principio, quanto il
problema del senso che abbraccia tutti i campi del sapere dell’agire e dell’essere.
Mentre per la religione Dio è all’inizio, per la scienza è “alla fine del pensiero”:
tuttavia anche nel discorso scientifico, Dio si inserisce quando vengono trattati
temi come lo spirito, l’essere, il divenire, il senso, il mistero, e tale intervento è
uno di quegli sconfinamenti che diventano inevitabili quando il ricercatore è
impegnato in un confronto interdisciplinare.
Mentre Newton esponeva i suoi <<Principi>> e la sua <<Ottica>> alla luce del
concetto biblico, più precisamente veterotestamentario, di Dio, “la generazione di
scienziati dopo Einstein attinge invece in massima parte alle mistiche orientali. In
4
MONCHANIN J., Mistica dell'India, mistero cristiano, Marietti, Genova, 1992, p. IX.
5
F. GIOIA (a cura di), Dialogo interreligioso: nell’insegnamento ufficiale della Chiesa Cattolica dal Concilio Vaticano II
a Giovanni Paolo II (1963-2005), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2006, pp. 367-368.
3 3
sede critica occorre notare che la conoscenza di tali fonti risulta spesso scarsa, e
impreciso appare anche il modo di accostarsi a quei testi, con la tendenza ad una
interpretazione strumentale”
6
.
La tendenza scientifica occidentale a rivolgersi alle filosofie o religioni
orientali avviene in particolare per il loro carattere monistico e immanentista.
Molti scienziati hanno una mentalità monoteistica, “sebbene siano inclini a far
coincidere, fino a toccare i limiti del panteismo, unità del divino e unità della
natura”
7
. Tra loro non ha però fortuna, come ho detto, il monoteismo di impronta
veterotestamentario di Newton: per Einstein è il Vivente inserito nella natura che
è doveroso servire; per Heisenberg Dio è una persona che troviamo nel partner in
quanto altro da noi e con una propria unità; per Davies e Capra, Dio è il principio
in base al quale il tutto è qualitativamente più della “somma delle parti”.
Potremmo affermare che la storia recente della fisica moderna è attraversata da
una tendenza spiccata all’immanentismo: “la<<ragione superiore>> di Eistein,
l’<<ordine centrale>> di Heisenberg, <<lo spirito del mondo>> di Jantsch,il <<Dio
naturale>> di Davis e il Dio concepito come il <<processo cosmico>> o il
<<principio>> della autoorganizzazione della materia di Capra sono tutti concetti
che trasferiscono tutto il divino nell’immanenza, facendone addirittura, in alcuni
casi, una tra le funzioni che determinano l’evoluzione naturale”
8
.
Nonostante il carattere immanente del divino, Ganoczy fa notare che in
oriente il Brahman è trascendente: “Da parte mia, ritengo di aver sufficientemente
dimostrato che perfino le Upani ṣad, il testo più avanzato tra quelli nei quali si
delinea un processo di cosmologizzazione del Brahman, rivelano una viva
consapevolezza della trascendenza. Il Brahman è considerato come preesistente
al tempo e all’essere, e che anzi è <<prima di ogni origine>>; egli è il <<signore
delle creature>>, (…) il Brahman è <<il padrone della materia primordiale>> e
conserva sempre inalterata la sua alterità e la sua superiorità nei confronti della
natura e dell’uomo. La divinità dunque, pur essendo immanente al mondo, è
innanzitutto trascendente rispetto ad esso. (…). Anche Suzuki si esprime a favore
della trascendenza di Dio, respingendo decisamente ogni rimprovero di
panteismo. Pertanto non si rischia di generalizzare o di semplificare se si afferma
6
GANOCZY A., Teologia della natura, Queriniana, Brescia, 1997, p. 240.
7
Ivi, p. 270.
8
Ivi, p. 274.
4 4
quanto segue: nella grande maggioranza delle fonti dell’Estremo Oriente, la
trascendenza del divino è la condizione di possibilità della sua immanenza”
9
. Paul
Davis afferma che si incontra qualche difficoltà quando si parla di “causa del
mondo”, in quanto la legge di causalità è inserita in un contesto temporale, e il
tempo dovrebbe già esistere prima che qualcosa possa esser causata, perciò
chiedersi cosa Dio facesse prima della creazione è un problema privo di
significato. Il teologo non può opporsi a tale critica ma neppure può accettare un
universo causa di se stesso: di autocreazione solo le Upani ṣad ne parlano, ma
anche qui attribuendola al Brahman e non al cosmo stesso. Il Brahman è
immanente ma solo come un essere trascendente può fare, perciò, concludendo,
“non è più possibile rifarsi alla mistica orientale per trovare conferma all’ipotesi,
tipicamente moderna e occidentale, di un universo che crea se stesso, tanto meno
se si sostiene l’idea di un’autocreazione continua e non semplicemente di una
auto-organizzazione dello stesso.”
10
Meister Eckhart, seppur possa essere considerato il rappresentante
eminente della corrispondenza tra il pensiero cristiano e i modelli principali della
mistica orientale
11
quali l’induismo, e lo zen, come molti altri mistici e mistiche
cristiane, non viene citato dai fisici-filosofi occidentali che nutrono interesse per
la comprensione mistica del mondo. “Quando Suzuki, dichiara che <<in sostanza
le esperienze religiose cristiane non sono differenti da quelle buddhiste>> oppure
che il pensiero di Eckhart è strettamente imparentato con quello del Buddhismo
Mahāyāna, si può pensare che queste dichiarazioni siano esagerate; e, tuttavia, il
suo accenno ad un ecumenismo dei mistici non può lasciare indifferente il fisico
teorico che si interroga sui fondamenti ultimi della realtà”.
12
“Ai miei occhi”, afferma Ganoczy, “ha grande importanza il fatto che sia
proprio un pensatore orientale come Suzuki a rammentare a noi occidentali la
figura di Meister Eckhart, perché così si viene a creare un circolo vizioso: i fisici
occidentali approdano allo Zen e lo Zen li rimanda ad attingere alle fonti della
mistica cristiana. Fenomeni analoghi si osservano anche nell’ambito del neo-
induismo”.
13
9
Ivi, pp. 275-276.
10
Ivi, p. 260.
11
Ivi, p.193.
12
Ivi, pp. 194-195
13
Ivi, p. 194.
5 5
Ganoczy fa notare che il richiamo alla mistica orientale, tendenza diffusa tra
i fisici contemporanei, è utile a indicare la via e la deviazione che ogni teologia
della natura deve essere disposta a intraprendere, se non vuole rinunciare sin dal
principio ad una visione globale del mondo: “Taluni aspetti dell’induismo e del
buddhismo rivelano un’importanza incontestabile per il compito di formulare una
concezione della natura che alla percezione ed alla venerazione del divino unisca
un rispetto profondo per il mondo naturale”
14
.
Quello che cercherò di mostrare attraverso questo lavoro di tesi consisterà
nel mettere in luce la mistica eckhartiana, per poi confrontarla con lo Zen e la
mistica induista, fino arrivare a indicare per quali aspetti, nell’ambito della
natura, dell’anima e di Dio, Eckhart possa esser preso come modello di mistica
occidentale anche per lo scienziato moderno, senza che questo debba per forza
fuggire dal suo mondo alla ricerca di modelli mistici orientali.
Una domanda inquietante sembra profilarsi da questa penetrante
ricostruzione teoretica del mondo eckhartiano: in un tempo come il nostro,
dominato da interessi conoscitivi e pratici di ordine quasi esclusivamente tecnico-
scientifico ed economico, è ancora possibile percepire l’eco di una sublime lezione
di autentica filosofia come quella della riflessione di Eckhart?
14
Ivi, p. 146.
6
CAPITOLO PRIMO
LA VITA E LE OPERE DI MEISTER ECKHART.
1.1 Il termine “Mistica”.
“Costitutivo di ogni forma di religione è il rapporto di dipendenza che lega la
creatura alla divinità; di questo rapporto di dipendenza la mistica è la
radicalizzazione. L’unione con il proprio Dio è ciò che il mistico invoca e ricerca:
unione che, culminando in una completa identità, non lascia spazio a dualità di
sorta”
1
: soltanto nell’unione mistica la creatura trova infatti pienamente riparo e
salvezza dal nulla che è fuori, e senza, Dio.
Il termine “mistica” deriva dalla radice greca “my”, mettere il dito sulla bocca
per fare silenzio, da cui “mýein”, tacere, tenere la bocca chiusa, iniziare ai
misteri
2
. Da qui la mistica, “mystikòs”, misterioso, realtà segreta, che è la
contemplazione delle cose spirituali ottenuta per mezzo dell'allontanamento dalle
cose materiali, e che comporta una esperienza diretta del divino, "al di là" della
logica
3
e difficilmente comunicabile. Il misticismo diventa perciò la
formalizzazione della mistica in dottrine e pratiche che ammettano una
comunicazione diretta tra l’uomo e Dio.
In tutte le grandi religioni del mondo vi sono correnti mistiche: fondate sulla
ricerca personale e sul contatto diretto col divino, esse possono apparire
anarchiche ed in contrasto con le istituzioni delle Chiese, e se è vero che queste
ultime hanno compiuto forme di repressione verso i movimenti estremistici o
verso singoli esponenti che esprimevano una teologia "eretica", è vero anche che
1
KLEIN A., Master Eckhart, la dottrina mistica della giustificazione, Mursia, Milano, 1978, p. 7.
2
Nell’antichità classica le realtà mistiche erano quelle segrete che si rifacevano in primo luogo a certi misteri,
cerimonie religiose segrete, culti esoterici per i quali era necessario essere iniziati. Ne abbiamo scarsa conoscenza:
ricordiamo i misteri eleusini, quelli di Iside in Egitto, quelli di Dionisio, di Cibale, di Adone, di Mitra. Agostino dice: “Ciò
che l'uomo può dire di più bello di Dio è tacere, per la sapienza della ricchezza interiore. Taci dunque, e non blaterare,
perché, se lo fai, stai proferendo menzogne e commetti peccato [...] Neppure devi voler comprendere qualcosa di Dio,
perché egli è al di sopra di ogni comprensione [...]. Se comprendi qualcosa di Dio, egli non è niente di ciò, e per il fatto di
conoscere qualcosa di Dio, cadi nell'ignoranza, e dall'ignoranza nella bestialità: infatti è animale ciò che nelle creature è
senza conoscenza. Se, dunque, non vuoi diventare una bestia, non conoscere nulla di Dio, inesprimibile con la parola”.
(ECKHART M., I sermoni, a cura di M. Vannini, Paoline, Milano, 2002, p.552).
3
La “logica” della mistica esclude le due leggi fondamentali della logica naturale introdotte da Aristotele: il
principio di non contraddizione (“è impossibile che una cosa sia e non sia nello stesso tempo”) e quello del terzo escluso
(“ogni proposizione dotata di significato è vera o falsa”).
7
tutte le Chiese hanno eletto mistici come i massimi esempi della propria fede.
Come scrive Giordano Berti, "ogni religione è in grado di offrire diverse strade
mistiche, che possono assumere toni estremi, persino aberranti, ma che
corrispondono evidentemente a una necessità interiore (si pensi solo alle
penitenze cui si sottopongono certi monaci medioevali, alle torture sciamaniche,
ai prolungati digiuni degli asceti induisti e jainisti)”
4
. Dunque, la mistica può
essere al tempo stesso un punto di contatto oppure un fattore di netto distacco
fra le diverse religioni proprio perché è relativa a differenti bisogni spirituali, in
parte innati e in parte indotti dalle culture e dalle tradizioni locali.
Nella tradizione cristiana è un “mistico” colui che dimora nell’Unità, colui
che è liberato e unificato armonicamente con tutto e con tutti, colui di cui si può
veramente dire che è un “in-dividuum”, cioè in-diviso. Il Vaticano II insegna: “La
ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla
comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio”
5
.
L’aspirazione mistica è, perciò, inerente alla natura umana e molto spesso, nel
corso dei secoli, l’esperienza mistica dimostra, la possibilità e la capacità, per ogni
figlio di Dio, di vivere la sua avventura umana nella autenticità e nel desiderio del
volto di Dio.
Il misticismo è la forma più matura dell’esperienza di fede, tanto che S.
Tommaso afferma che la vita mistica non è una semplice modalità della vita
spirituale, ma ne è la sostanza e il vertice. Nella linea di tutta una tradizione
spirituale della Chiesa, lungi dall’essere qualcosa di marginale all’interno
dell’esperienza cristiana, è l’esperienza del mistero rivelato a cui è chiamato ogni
battezzato. Il misticismo è un’esperienza religiosa, attraverso cui mistico è chi non
crede semplicemente in Dio, ma di lui fa esperienza, cosicché Dio diventa una
realtà tangibile e quasi concreta e non più soltanto una teoria teologica o
filosofica.
“L’esperienza mistica è quanto di più strano, soggettivo, imprevedibile ci
possa essere. Viene quando vuole, come vuole, dura il tempo che vuole e ha le
modalità più impensate. Teorizzare in questa materia è veramente difficile,
4
BERTI G., Dizionario dei Mistici, A. Vallardi, Milano, 1999, p. 7.
5
Bussi N. (a cura di), Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes, n. 19, Ed. Domenicane, Alba, 1966,
p.159.(La Lumen Gentium ricorda inoltre l’universale chiamata alla santità che trova in Maria, in colei nella quale la
visione si è fatta carne, il suo prototipo più autentico per una mistica del quotidiano).
8
soprattutto perché l’esperienze mistiche sembrano prescindere dalla normale
strada cognitiva: sembra che passino direttamente dal cuore, senza immagini e
senza concetti”
6
. La mistica di Dio non si lascia imprigionare in schemi, perché
Dio è sempre più grande di quel che noi pensiamo e sperimentiamo di lui: “O
profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono
imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha potuto
conoscere il pensiero del Signore?” (Rm 11,33-34).
Mistici ce ne furono in tutti i tempi e luoghi, “sempre e ovunque ve ne
saranno perché il pensare o il creare misticamente è un bisogno insopprimibile
della vita come il pensare filosofico o il creare poetico”
7
. Essi sono coloro che
attestano che Dio è visibile già ora nella fede o nella visione: “Tu che dici che
vedrai Dio e la sua luce: stolto, mai lo vedrai se non lo vedi già ora”
8
.
Sarebbe vana fatica voler interpretare con la parola ciò che è atto di vita
profonda di un mistico in quanto al di là della parola. Eppure il mistico se da un
lato è persona chiusa nel suo personale rapporto con Dio, dall’altro è “caritas”,
ovvero nella sua vitale relazione con altre anime il mistico prova a se stesso la
purezza del suo volere e il valore della sua interiore esperienza: “perciò egli
combatte e opera nel mondo, scrive e parla ad altre anime per chiarirsi a se
stesso, ma soprattutto per rimanere fedele a se stesso”
9
.
1.2 La cultura del suo tempo.
Come ogni pensatore, Meister Eckhart è figlio del suo tempo: “Gli splendori
dell’arte gotica, i nomi di Giotto, Simone Martini e Giovanni Pisano nella pittura,
di Dante, Petrarca e Boccaccio nella poesia e nella letteratura, di Dino Compagni,
Giovanni Villani e di Albertino Mussato nella storiografia danno la misura
dell’intensità della vita culturale di questo periodo, così ricco di fermenti che
fanno presentire l’Umanesimo. Anche le scienze, soprattutto la fisica, la
matematica e la medicina, vengono coltivate e suscitano interessi e applicazioni
6
G.V. CAPPELLETTO S. J., Presentazione in J. SUDBRACK, Mistica, Piemme, Casal Monferrato, 1992, p. 5.
7
A. LEVASTI, Introduzione in, AA.VV., Mistici del duecento e del trecento, Rizzoli, Milano, 1935, p. 17.
8
SILESIUS A., Il Pellegrino Cherubico, Paoline, Cinisello Balsamo, Milano, 1989, p. 376.
9
FAGGIN G., Meister Eckhart e la mistica tedesca preprotestante, Fratelli Bocca, Milano, 1946, p. 83.