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INTRODUZIONE
Il sistema neo liberale di salute e il suo impatto sul benessere della popolazione
del terzo mondo
Negli anni cinquanta, la mancanza di accesso ai servizi sanitari per le popolazioni povere
localizzate nelle zone rurali di molti paesi, condusse l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS)
a sviluppare i concetti di attenzione primaria della salute e medicina semplificata, elementi base
dell’assistenza medica di primo livello, preventiva e curativa, che trovarono più avanti inserimento
nella Dichiarazione di Alma Ata del 1978.
I principi chiave raccolti durante Alma Ata miravano al raggiungimento della “Salute per Tutti”
ottenuta attraverso un’assistenza medica di primo livello di carattere universale.
Fu chiaro fin dall’inizio come una rapida trasformazione del servizio medico in base a questi
concetti risultasse vincente solamente se accompagnata da un miglioramento delle condizioni
sociali e come allo stesso tempo un miglioramento delle condizioni sociali fosse inimmaginabile
senza una tutela universale del diritto alla salute. Mai prima di allora, l’intima relazione tra salute e
cambiamento sociale era stata, esplicitata in modo così chiaro.
La dichiarazione generò un amplio spazio di dibattito e l’umanità raggiunse la massima coscienza
dell’importanza del diritto alla salute e della priorità di un ruolo attivo dei governi nel garantirlo.
Questa nuova coscienza venne subito messa in pratica con le grandi campagne di vaccinazione
dell’OMS, che attraverso esse sostenne la lotta e, in alcuni casi, sradicò pericolose malattie in tutto
il mondo.
Durante Alma Ata la comunità internazionale convenne sulla necessità di proseguire in questo
percorso, costruendo ovunque le condizioni di base universali per la salute. Il rafforzamento del
diritto alla salute per tutti, l’applicazione dei principi strategici di ugualianza, universalità,
interdisciplinarità, intersettorialità, partecipazione sociale e lo sviluppo di tecnologie appropriate e
culturalmente accettate, costituirono una sfida per i sistemi di salute dei paesi con risorse medio -
basse, che assunsero con entusiasmo i nuovi traguardi.
Nel mese di novembre 1986, prendendo come punto di partenza i progressi raggiunti, si riunì a
Ottawa la prima Conferenza Internazionale sulla Promozione della Salute, intesa come quel
processo che mira a ridurre le disugualianze, ad assicurare pari opportunità e a fornire i mezzi che
permettano a tutta la popolazione di sviluppare al massimo la propria salute potenziale.
Durante questo importante incontro si sostenne come la promozione della salute avesse radici nella
partecipazione effettiva e concreta della comunità, nel suo contribuire alla definizione delle proprie
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priorità, alla presa di decisioni, all’elaborazione e attuazione di strategie di pianificazione per
raggiungere un più alto livello sanitario. Si sottolineò quindi, come, dal potere reale di quest’ultima
e dal controllo che essa ha sul proprio agire e sul proprio destino, derivi la forza motrice dell’intero
processo.
Sfortunatamente, però nei decenni successivi, le politiche neoliberali d’indebolimento delle
istituzioni pubbliche soppiantarono questa visione in quasi tutto il mondo e l’OMS fù sostituita,
nella formulazione di politiche sanitarie, dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario
Internazionale (FMI). Questo avvenne soprattutto con la stesura del Rapporto del 1993, intitolato
“World development Report: investing in health”, che difendeva due strategie generali: una
riduzione dell’investimento statale nelle prestazioni e nei servizi sanitari a basso costo diretti ai
poveri e un incremento della differenziazzione e della concorrenza nel finanzimento e nella
prestazione dei servizi sanitari, favorendo in questo modo una maggiore partecipazione del settore
privato.
Molti economisti cominciarono a sostenere che gli investimenti in ambito sanitario, non dovessero
essere frutto di decisioni d’esperti, prese in base ad un’analisi delle necessità, ma derivare dalla
scelta del consumatore, che controllando l’evoluzione del proprio “capitale di salute” decideva se
aumentarlo oppure no.
La necessità di equilibrare i bilanci pubblici, trasformò la salute da diritto a bene di scambio e il
malato da paziente a consumatore. Bisogna, si sosteneva, introdurre forme di partecipazione nelle
spese sanitarie delle strutture pubbliche (user fees), promuovere programmi d’assicurazione,
privatizzare i servizi sanitari, decentralizzare il governo della salute.
Gli effetti della nuova filosofia furono devastanti, sopratutto nei paesi del terzo mondo. Mentre
l’Europa, di fatto, riuscì a difendere il proprio stato sociale, nei paesi in via di sviluppo, più esposti
ai programmi delle grandi organizzazioni finanziarie, fu un disastro. In quelli più poveri,
specialmente nell’Africa Sub sahariana, la percentuale del PIL dedicato alla salute diminuì invece di
aumentare. I malati iniziarono ad evitare il contatto con medici e ospedali scoraggiati dalle tariffe
per l’utenza. L’assistenza sanitaria di base nella maggior parte dei paesi subì una drastica riduzione,
mentre la sregolatezza nella vendita di farmaci, nella maggior parte dei paesi del terzo mondo,
acquistabili nei mercati cittadini, si fece inutile, pericolosa e in ogni caso irrazionale. Si stima per
esempio, che in India il 70% delle spese in farmaci non sia necessaria e la Banca Mondiale ha
calcolato che nei prossimi anni un flusso di denaro pari a 40 mila dollari si trasferirà dai paesi
poveri a quelli ricchi unicamente per i brevetti farmaceutici.
Anche in America Latina gli anni ottanta e novanta coincisero con l’aumento di marginalità e
disuguaglianza sociale. Con le grandi migrazioni dalle campagne alle città, causate
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dall’impoverimento dell’impiego agricolo e dallo sviluppo della monocultura industriale, e la
conseguente rapida urbanizzazione delle metropoli, si produssero distorsioni nella concezione e
nella pratica della prima attenzione sanitaria, che sempre di più si allontanò dallo spirito originario
della “Salute per Tutti”, dando priorità alla strategia di contenimento costi del settore pubblico.
I governi dei paesi latinoamericani privatizzarono il finanziamento e l’offerta dei servizi sanitari,
permettendo così, a multinazionali e imprese di servizio finanziario, bancario e assicurativo, di
accedere ai nuovi remunerativi mercati.
In Messico e in Brasile, per esempio, le riforme neo liberali di salute ridussero l’accesso ai servizi
sanitari di primo livello per le persone povere e per quelle appartenenti alla classe operaia,
sovraccaricando il settore della salute pubblica di pazienti gravemente malati e pregiudicando, in
questo modo, la qualità del servizio mentre al medesimo tempo, compagnie private d’assicurazione
continuavano a registrare abbondanti guadagni.
Nonostante la crescente evidenza degli effetti negativi di tali riforme sulla salute e sul benessere
della popolazione, tutti i paesi dell’America Latina, ad eccezione di Cuba, intrapresero questo tipo
di cambiamento.
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Il caso venezuelano
In confronto alla maggior parte dei suoi vicini, il Venezuela salì sul carro neoliberale relativamente
tardi. Il ritmo più lento delle riforme si può attribuire in parte al petrolio e alle grandi riserve di gas
naturale del paese, le quali favorirono un ampliamento delle politiche del welfare tra gli anni ’50 e
’60. In seguito, però, le ingenti spese per le importazioni, i progetti nazionali che elevarono il debito
del paese e la diminuzione degli introiti del petrolio durante gli anni ’80, portarono alla crisi socio
economica del 1989.
Sedotto dalla crescente diffusione dell’ideologia neoliberale, il presidente Carlos Andrés Pérez,
tentò di abbordare la crescente povertà del paese impegnandosi in un radicale piano
d’aggiustamento strutturale, denominato “El paquete”, supportato dal Fondo Monetario
Internazionale. In base ad esso, il sistema sanitario venezuelano, come quello degli altri paesi
dell’America Latina, subì un definaziamento acuto, una privatizzazione, una cessazione degli
investimenti nella manutenzione delle sue infrastrutture e una frammentazione e disarticolazione tra
multipli soggetti, i quali iniziarono a svolgere funzioni di regolazione, finanziamento, garanzia e
prestazione di servizi.
A fine 1990 la situazione si aggravò e un drammatico crollo dei prezzi del petrolio portò il governo
venezuelano a ricorrere una volta in più ai prestiti della Banca Mondiale e della Banca
Interamericana di Sviluppo. Entrambi i prestiti contenevano ennesime disposizioni per una
ristrutturazione del sistema di salute, da svolgersi attraverso una crescente partecipazione dei
finanziamenti privati e una decentralizzazione dei servizi sociali.
La decentralizzazione, insieme alle misure d’austerità fiscale, costrinse i rappresentanti del governo
a livello locale, a realizzare una scoordinata privatizzazione della maggior parte dei servizi
d’assistenza, che soggetti ad una gran richiesta, non erano più in grado di soddisfarla. Nel decennio
compreso tra il 1980 e il 1990, si costruirono 50 nuove strutture pubbliche e circa 400 cliniche
private.
Con questo tipo di ristrutturazione si abbandonò qualunque aspirazione all’universalità dell’accesso
ai servizi sanitari, i programmi sociali smisero di prefissarsi grandi obiettivi di riforma sociale, per
pianificarne di più limitati. Ci si accontentò, di compensare parzialmente l’impatto negativo della
crisi finanziaria e dei programmi d’aggiustamento economico, rimandando ad altro tempo, il
soddisfacimento d’aspirazioni più trascendentali, come l’equità o la ridistribuzione del reddito.
Il sistema di recupero costi, promosso dai tagli di bilancio, si convertì in una gran barriera per
l’accesso della popolazione ad ambulatori e ad ospedali pubblici, essa richiedeva, infatti, il
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pagamento di una “collaborazione” in denaro o in materiale medico - chirurgico che, con l’aumento
del livello di povertà, sempre meno persone erano in grado di permettersi.
Nel 1990, la percentuale di abitazioni con servizio idrico raggiungeva appena il 32% in tutto il
paese e circa il 54% dei venezuelani viveva in condizioni di estrema o critica povertà.
Presto l’erosione dell’istituzione dello stato sociale favorì un aumento di richiesta di riforme del
sistema di salute e il malcontento della popolazione generò quell’opposizione politica e quella
mobilitazione sociale che portarono allo scatenarsi dei due tentativi di colpo di stato falliti e alla
destituzione del presidente Pérez nell’anno 1993.
Nel mese di dicembre 1998 le elezioni del presidente Hugo Chávez Frias, che aveva fatto della
campagna contro le istituzioni finanziarie internazionali e le riforme neoliberali una bandiera,
orientarono il paese verso una nuova direzione.
Una volta eletto, Chávez ottenne, che si svolgesse un referendum per l’approvazione di una nuova
Costituzione Bolivariana.
Sono tre gli articoli di quest’ultima che ebbero conseguenze importanti sulla riforma della salute.
In primo luogo, la salute diventa diritto umano fondamentale che lo stato è obbligato a garantire
(Articolo 83); in secondo luogo, lo stato ha il dovere di creare e gestire un sistema sanitario
pubblico, gratuito e integrale che dia priorità alla prevenzione delle malattie e alla promozione della
salute (Articolo 84); terzo, si prevede che il sistema di salute pubblica debba essere finanziato
attraverso fondi statali derivanti dalle imposte e dagli introiti del petrolio e che spetti allo stato la
regolazione, tanto dei soggetti pubblici, che di quelli privati del sistema. Esso s’incarica, inoltre,
dello sviluppo di una politica di formazione delle risorse umane, che all’interno di esso lavorino
(Articolo 85).
“Tradizionalmente i problemi del sistema sanitario venezuelano sono stati di tre tipi: di risorse, di
struttura e di qualità di gestione. Oggi il primo problema è in corso di soluzione grazie ad un
incremento progressivo dell’investimento pubblico sulla salute, un aumento delle risorse umane e
un incremento del numero delle strutture, la maggior parte delle quali, costruite nelle zone più
povere. Resta purtroppo, però la vecchia struttura settoriale, la quale scarsamente coordinata, fa si
che il volume del finanziamento e le risorse impiegate non raggiungano i propri obiettivi potenziali.
A questo si aggiunge il fatto che, non avendo dato il sistema di salute precedente nessuna
importanza alla promozione della salute e alla prevenzione dei rischi, ci si trovi spesso di fronte a
persone che ignorano del tutto quelle norme igieniche basilari che, se applicate, ridurrebbero di
molto il rischio di ammalarsi.”.
II
II
Trad. da Estrategia de Cooperación de OPS/OMS con Venezuela 2007-2010 - Caracas 28 giugno 2006, in
http://www.who.int/en/index.html
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Per questa ragione uno dei principi fondamentali della recente riforma sanitaria è il protagonismo
della popolazione, incoraggiato dalla creazione di un sistema sanitario decentrato e multicentrico
che cerchi di promuovere uno sviluppo locale e garantisca il diritto alla salute e alla qualità della
vita anche, e sopratutto, ai settori più poveri della popolazione.
Nel 2003 le condizioni difficili nelle quali versava il paese, portarono il governo a implementare las
Misiones Sociales, come rapida strategia d’inclusione di massa e rinnovamento statale. Una di
queste fu la missione Barrio Adentro, che vide nuove figure di medici recarsi a vivere e lavorare
nelle zone più svantaggiate del paese. Tale missione, divenne ufficialmente di carattere nazionale,
espandendosi in maniera rilevante tre il 2004 e il 2005, grazie ad un accordo bilaterale tra il governo
Cubano e quello Venezuelano.
Evidentemente, una tale trasformazione del sistema, avvenuta in un così breve tempo, ha fatto
sorgere nuove necessità; una di queste è la formazione di risorse umane. E’ nato così, il Programma
di Formazione in Medicina Integrale Comunitaria, all’interno del quale si colloca l’esperienza
eccezionale dell’Escuela Latino Americana de Medicina di Caracas, incaricata dal Governo
venezuelano di realizzare un programma d’Introduzione alla Scienza Medica che apra le nuove
opportunità formative anche a studenti provenienti da altri paesi del mondo, tuttora sprovvisti di un
sistema pubblico di salute efficace.
Abbiamo scelto di studiare l’Escuela Latino Americana de Medicina venezuelana, perché crediamo
sia interessante dal punto di vista educativo per due ragioni principali: in primo luogo per il
peculiare ruolo formativo e preventivo del medico comunitario, che all’interno di essa si forma; in
secondo luogo perché crediamo che questa scuola rappresenti un’esemplare caso di convivenza tra
culture differenti ed un’interessante esperienza di formazione in contesto multiculturale.
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PARTE PRIMA - SVILUPPO COMUNITARIO E DIRITTO ALLA SALUTE
IN VENEZUELA
CAPITOLO 1 - LA COMUNITA’ COME MOTORE DI SVILUPPO
Per definizione una comunità è un gruppo di persone che vivono e lavorano insieme in una stessa
area. Gli stati, le province, le città, i quartieri e le famiglie sono tutte comunità, più piccole esse
sono più importante sarà il ruolo di ogni singolo individuo nel contribuirvi.
Il benessere della comunità dipende dal benessere della persona e viceversa, per cui per funzionare
ognuna di esse deve aver cura di mantenere il benessere degli individui che la compongono. E’
necessario, in sintesi che si raggiunga un equilibrio tra le necessità individuali e quelle collettive.
La complessa realtà latinoamericana è ancora caratterizzata da povertà, esclusione sociale, alti
indici di corruzione pubblica e privata, violazione dei diritti umani e un’inefficienza governativa
generalizzata. Inoltre, soprattutto nei paesi andini (Venezuela, Bolivia ed Ecuador), la crisi di
legittimità della democrazia e dei partiti politici ha provocato una disaffezione da parte della
maggior parte dei cittadini.
Per cercare di risolvere questa situazione i nuovi governi si sono posti le seguenti domande: Come
avvicinare i governanti ai governati? Come fare perché questi ultimi partecipino alle decisioni
pubbliche? Come incrementare una cittadinanza attiva?
Si sono creati così, vari meccanismi politici per cercare di incrementare quella partecipazione
pubblica, in grado di rinforzare la legittimità dello stato e dei suoi dirigenti politici. Consultazioni
popolari, sistemi di revoca del mandato dei sindaci nei settori popolari e rurali, consigli locali
partecipativi, assemblee costituenti: tutti questi nuovi meccanismi mirano ad una maggiore
partecipazione delle persone alla sfera pubblica e alla produzione di un soggetto cittadino nuovo
che, oltre a dare maggiore legittimità al sistema politico, crei quella sinergia che permetta di unire,
agli sforzi dello stato, quelli della società civile, allo scopo di costruire soluzioni viabili in un
ambiente di libertà, inclusione, responsabilità ed efficienza.
Specialisti ed esperti hanno quindi, spostato il loro sguardo, dirigendolo sulla possibilità in cui i
cittadini, partecipando alla gestione pubblica, diventino motore di sviluppo endogeno.
La teoria dello sviluppo endogeno, sinonimo di sviluppo umano integrale, implica un cambio di
focus su ciò che significano ricchezza e povertà. Storicamente, i termini ricchezza e povertà, hanno
fatto riferimento, al possedere o meno i mezzi materiali ed economici e ai processi d’investimento e
riproduzioni di quest’ultimi. Considerare povertà e ricchezza, solamente come possesso o non
possesso di beni, converte ricchezza e povertà in fenomeni assolutamente esterni e materiali che
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non hanno alcun vincolo con la vita umana e interiore delle persone, quando invece, è nell’anima
dell’essere umano che si nascondono i motivi, i desideri, la voglia di superarsi, la creatività, il
coraggio, la volontà e gli ideali di trasformazione e di lotta, l’intenzionalità di migliorarsi e, infine
la spinta sociale alla pianificazione e alla costruzione dello sviluppo.
I motori di ricchezza non sono le “cose”, ma le azioni dei popoli, la loro organizzazione e le
decisioni che prendono per crearle o moltiplicarle.
Si tratta di costruire il ponte di cura per diminuire i sintomi della povertà e accrescere la ricchezza
nella sua forma integrale, nel modo più elevato e poderoso possibile, mantenendo come base il
cambiamento umano. Cambiamento, che non deve avvenire in una sfera parziale, individuale, di
corta scala, ma in un modo più elevato e virtuoso, in grado di raggiungere il maggior numero di
persone, comunità e società.
Forse la maggior ricchezza sulla quale può contare una comunità umana si trova nella sua capacità
di stabilire accordi, definire obiettivi comuni e raggiungere la partecipazione di tutti i suoi membri,
indipendentemente dalle loro differenze e dai loro apporti.
La società civile sviluppa saperi e capacità popolari, cerca una trasformazione integrale che possa
superare la relazione di dipendenza e subordinazione dei membri della comunità nei confronti di
specialisti e dirigenti. E’ un processo che suppone alcune condizioni di base: sapere (cultura affine),
potere (diritto formale e capacità effettiva) e volere (motivazione e impegno) partecipare.
A questo punto, è però necessario specificare una differenza: tutta la partecipazione popolare è
partecipazione cittadina ma, non tutta la partecipazione cittadina è popolare.
“Popolare” è una categoria che, nel contesto regionale latinoamericano, identifica soggetti che
soffrono di asimmetria sociale e che se integrati organicamente in un progetto possono realizzare
cambiamenti nella sfera comunitaria. Per farlo è però necessario che essi ottengano livelli minimi di
organizzazione e autonomia nei confronti del mercato e dello stato: sindacati, associazioni vicinali,
organizzazioni femminili e di giovani, club culturali aperti al pubblico, etc.
In Venezuela, ora come non mai, sembra esistere un appoggio politico e giuridico allo sviluppo
endogeno. Questo è, quanto emerge, da un’analisi della Costituzione, dai Piani Nazionali, dalle
nuove strutture e iniziative politiche (Consigli Locali di Pianificazione Pubblica, Consigli
Comunali, Missioni, etc.)
Vogliamo trattare il tema del Consiglio Comunale Venezuelano come esempio di organismo creato
per favorire lo sviluppo endogeno di piccole comunità, prima di iniziare, è però opportuno
specificare come, soprattutto in un contesto molto politicizzato come quello Venezuelano, la società
civile sia anche un importante terreno costitutivo della politica, è in essa che si sviluppa il dibattito
tra interessi divergenti e la costruzione di quei consensi temporanei che possono orientare
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l’interesse pubblico. Soprattutto in questo paese, la partecipazione sociale, incluso quella inerente
all’ambito culturale, possiede manifeste implicazioni politiche ogni volta che, in multiple occasioni,
si mettono in atto strategie i cui propositi impliciti sono mobilitare settori subordinati attraendoli e
incorporandoli nei propri progetti.
I Consigli Comunali sono un nuovo meccanismo di partecipazione cittadina creato mediante la
Legge omonima, pubblicata dall’Assemblea Nazionale il 07/04/2006.
Essi sono organi di democrazia diretta, in quanto il loro obiettivo è democratizzare la soluzione dei
problemi che riguardano, a livello più concreto, la vita cittadina: le questioni pubbliche di vicinato.
Rientrano in quest’ambito problemi come la manutenzione della via d’accesso al barrio, la
costruzione di un campo sportivo o di una sala riunioni per la comunità.
Per facilitare la definizione dell’area geografica di ogni Consiglio, la Legge offre degli elementi
oggettivi: le comunità raggruppano tra le 200 e le 400 famiglie in area urbana, a partire da 20
famiglie in area rurale e da 10 nelle comunità indigene.
Essendo la relazione di vicinanza motivo di coesione sociale all’interno dei Consigli Comunali,
ognuno di essi ha assoluta libertà di definire la propria area geografica. La Legge non stabilisce
nessun criterio a rispetto. Questo tipo di scelta è inevitabile in un contesto, come quello
Venezuelano, nel quale vi è grande variabilità tra la densità di popolazione delle diverse zone. La
libertà segnalata permette, così ad ogni gruppo di cittadini di delimitare il proprio spazio naturale
d’azione e la propria specificità di vicinato.
Il Consiglio Comunale Venezuelano è composto da quattro organi collegiali: l’Assemblea dei
cittadini, come massimo esempio di potere decisionale, l’organo esecutivo, composto dalle
Commissioni di lavoro, la Banca Comunale e l’Unità di Controllo Sociale.
L’Assemblea dei cittadini e cittadine di un Consiglio Comunale raggruppa tutte le persone,
venezuelane e non, in un certo momento residenti in una determinata area geografica, di età
maggiore ai 15 anni, senza distinzioni di razza, sesso o condizione sociale.
E’ compito dell’Assemblea scegliere i propri portavoce, i quali andranno a far parte delle
Commissioni di Lavoro e degli altri organi economico-finanziari e di controllo del Consiglio
Comunale. Le Commissioni di Lavoro riguardano vari settori, come la salute, l’educazione,
l’alloggio, l’alimentazione, la cultura o qualunque altre la comunità ritenga necessario creare. Le
singole Commissioni, lavorando in rete con le altre, rispondono alle esigenze dei cittadini, cercando
di sviluppare le potenzialità relative all’ambito nel quale operano.
Un altro organo fondamentale è la Banca Comunale, la quale si occupa della gestione economico -
finanziaria delle risorse dei Consigli Comunali. La legge precisa la sua funzione di ente promotore
di un’economia popolare alternativa, legata al sistema di microcredito del paese, realizzato in base
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ai precetti di Muhammad Yunus, ideatore di un sistema di piccoli prestiti destinati ad imprenditori
troppo poveri per ottenere credito nei circuiti bancari tradizionali.
Un altro organismo elettivo è quello che si occupa del controllo, creato perché i cittadini possano
intervenire direttamente nell’esercizio ispettivo, attraverso l’accesso alle informazioni e ai dati
contenuti negli archivi dell’ente pubblico.
Il più importante compito di promozione del Consiglio Comunale riguarda lo sviluppo endogeno
che deve essere integrale e sostenibile sia per la comunità stessa (desarollo sostenible) che per
l’ambiente in cui essa è inserita (desarollo sustentable). Uno sviluppo endogeno è integrale quando
si riferisce a tutti gli aspetti della vita umana e incorpora nei suoi obiettivi tutti i settori della
popolazione.
La seconda caratteristica del tipo di sviluppo che devono promuovere i Consigli Comunali è la
sostenibilità, intesa come durevolezza nel tempo. Si pensi per esempio alla costruzione di una
superstrada; questa può diventare una buona fonte di remunerazione per la comunità che attraversa,
la quale grazie ad essa può vedere accrescere i propri ingressi a causa, sia dei salari percepiti dai
lavoratori coinvolti in tale costruzione, che per l’incremento del commercio locale. I nuovi ingressi
si tradurranno in maggiori consumi e qualche risparmio, ma una volta costruita la via di transito, la
comunità tornerà alla situazione precedente. La crescita sperimentata si basa su una fonte transitoria
che “passa” per la comunità ma non si ferma in essa in modo definitivo e pertanto non è sostenibile
nel tempo. Molto più durevole ed efficace potrebbe, invece essere la realizzazione all’interno di una
comunità di un programma di microcredito, che alimenti le potenzialità di un numero rilevante dei
suoi membri, rendendoli più produttivi nelle loro rispettive attività, per modeste che esse siano.
La terza e ultima caratteristica del tipo di sviluppo che promuove la legge è la sostenibilità a livello
ambientale, perché l’ecosistema attorno alla comunità si mantenga sano e vivibile.
Ovviamente, però la legge da sola non è sufficiente alla realizzazione di uno sviluppo endogeno, in
quanto una cittadinanza attiva per essere incentivata richiede un programma educativo diretto a
elevare lo spirito civico e la partecipazione dei cittadini all’interno di una cornice democratica,
libera e plurale; per questa ragione le varie Commissioni di Lavoro si occupano anche di
organizzare occasioni formative su tematiche varie, dirette al coinvolgimento e alla
sensibilizzazione delle proprie comunità.
III
I benefici derivanti da una cittadinanza attiva sono diversi. Innanzi tutto, essa incrementa
direttamente il capitale sociale fortificando l’associazionismo, la cooperazione, la solidarietà, la
coscienza civica e i valori etici. Il cittadino partecipando si trasforma, da soggetto di diritti ad attore
III
Cfr R. Pirela Los Consejos Comunales mas allá de la utopía. Análisis sobre su naturaleza jurídica en Venezuela.
Maracaibo, Colección textos universitarios. Ediciones del Vice Rectorado Académico Universidad de Zulia, 2007.
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responsabile, che nel suo piccolo e grazie al ruolo che ricopre nella comunità contribuisce a una
buona convivenza sociale. Il medico comunitario che vive nel barrio e offre cura a tutti coloro che
lo necessitano, ripone in ciò che fa la stessa virtù della donna volontaria, che dedica un giorno alla
settimana a lavorare come supervisore in un gruppo per la promozione dell’iniziativa femminile del
proprio quartiere; entrambe le azioni sono dotate di grande valore di scambio.
Mentre il valore d’uso di ogni azione è quantificabile in termini di produzione concreta di un
servizio alla comunità, il valore di scambio va oltre ad esso in quanto per quantificarlo bisognerebbe
soppesare il mondo dei significati, dei beni relazionali che ogni azione sviluppa. Frequentemente
siamo più sensibili a identificare il valore d’uso, non accorgendoci dei beni relazionali che genera
un’azione solidale. Aldilà delle ore e dei giorni di lavoro prestato, è importante riscattare la
relazione creatasi, la trasformazione generatasi, perché sono questi gli apporti insostituibili che
rendono coesa e fruttuosa una comunità.
Un altro beneficio derivante dalla partecipazione cittadina è il suo favorire l’empowerment, anche
delle comunità più vulnerabili. Un paradigma di governo basato sulla partecipazione permette,
infatti, il raggiungimento delle quattro caratteristiche basilari dell’empowerment che sono: l’accesso
all’informazione, l’inclusione, la responsabilità e la capacità organizzativa.
In terzo luogo, la partecipazione permette l’articolazione di reti che diventino mezzi organizzativi
alternativi e autonomi della comunità. Le reti contribuiscono allo scambio reciproco di esperienza
tra comunità diverse, rinforzando la loro capacità di negoziazione e la loro indipendenza nei
confronti dello stato. Infine uno schema partecipativo ridefinisce sostanzialmente le relazioni tra lo
stato e la società civile, all’interno di una cornice d’adesione, controllo e responsabilità reciproca.
IV
Nonostante le lodevoli idee, la partecipazione cittadina in Venezuela, trova però alcuni ostacoli.
Il primo è costituito dalle difficoltà di gestione del Governo, che occorrono a causa del continuo
processo di consultazione con la cittadinanza. A questo si aggiungono: la resistenza della burocrazia
venezuelana nell’accettare interferenze di agenti esterni, i cittadini, nel proprio ambito di
competenza e il fatto che la partecipazione cittadina sia particolarmente soggetta ad essere
manipolata a scopi clientelari.
Occorre perciò ammettere, che sebbene da un punto di vista giuridico vi siano stati enormi progressi
in America Latina, per quanto riguarda la democrazia partecipativa, in molti paesi la creazione di
nuove istituzioni democratiche ha rappresentato una speranza collettiva, che non è stata però ancora
in grado di tradursi effettivamente in una pratica realmente funzionale.
IV
Cfr J. H. Mas Herrera Desarrollo endógeno y educación. Estrategias de trasformación comunitaria. Caracas,
Editorial Panapo de Venezuela - Liven Editores C. A., 2008.
17
CAPITOLO 2 – LA EDUCAZIONE UNIVERSITARIA DAL BASSO:
IL PROGRAMMA DI FORMAZIONE NAZIONALE IN MEDICINA
INTEGRALE E COMUNITARIA
L’educazione universitaria è un fattore strategico per la trasformazione sociale, il consolidamento
della sovranità nazionale e la costruzione di una società migliore, nell’ultimo decennio del XX
secolo, lo stato venezuelano ha però ridotto progressivamente le sue responsabilità in materia
educativa soprattutto per quanto riguarda quest’ultima.
Di fatto, l’investimento sull’educazione universitaria dal 1989 al 1998 ha evidenziato una tendenza
discendente, caratterizzata da una propensione a realizzare tagli di bilancio in tutti i settori
dell’ambito sociale. Questo ha portato ad un gran debito sociale e ad una stagnazione nelle
immatricolazioni universitarie, favorendo l’esclusione degli studenti provenienti dai settori più
poveri della popolazione. Diversi studi concordano nell’affermare che l’accesso all’educazione
universitaria fu favorito ai settori sociali con maggiori entrate, alla popolazione delle grandi città e
agli studenti provenienti dagli istituti privati. Contemporaneamente a questo fenomeno,
l’educazione universitaria pubblica diminuì a favore della privata.
Dal 1999, il governo nazionale ha dedicato grande impegno a rafforzare tutto il sistema educativo
venezuelano, per il quale è stato indispensabile riscattare l’iniziativa dello stato, come garante di
opportunità educativa di qualità per tutti.
Il Ministerio del Poder Popolar para la Educacion Superior rispondendo all’elevata cifra di esclusi
dal sistema di formazione, ha raccolto nei suoi piani e politiche, le basi che definiscono
l’educazione universitaria in Venezuela come diritto umano di base e come fattore strategico di
sviluppo Nazionale, facendo riferimento ad una nuova concezione di università, come spazio aperto
ad una formazione permanente che promuova, incarni e propizi l’esercizio di valori sociali etici,
senza nessuna discriminazione di credo religioso, razza, condizione fisica, regione geografica, età o
qualunque altra condizione storicamente utilizzata per escludere e opprimere, potenziando
l’esercizio del potere popolare e la socializzazione della conoscenza.
Questa nuova visione dell’Università, si materializza nella politica di municipalizzazione della
Educacion Superior. Con questo concetto s’intende un orientamento degli studi universitari, che
parta dal basso, prendendo come punto di riferimento la cultura specifica delle popolazioni con le
loro necessità, problematiche, esigenze e potenzialità. In ogni municipio sono stati creati spazi di
formazione per tutti, spazi d’incontro tra i distinti settori sociali, vincolando studio, lavoro e vita
quotidiana. Il grande obiettivo è quello di promuovere, a partire dallo sviluppo di un Curriculum di
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studi flessibile e contestualizzato, iniziative per trasformare la realtà, potenziare lo sviluppo
endogeno, elevando sensibilità e impegno sociale.
In questo ampio progetto del Governo si inserisce il Programma Nazionale di Formazione in
Medicina Integrale e Comunitaria il quale coniuga: la concezione del carattere strategico
dell’educazione universitaria per uno sviluppo integrale e sostenibile, con l’obiettivo specifico di
eliminare gli elevati livelli d’esclusione esistenti nell’assistenza alla salute e promuovere la
creazione di un sistema sanitario nazionale dotato di qualità e livelli d’accesso che permettano
copertura e attenzione adeguate a tutta la popolazione del paese.
Come già anticipato, lo stato venezuelano soffre di una carenza di medici che lavorino nel settore
pubblico, perché per molti anni il settore della salute, come quello dell’educazione, furono
abbandonati dallo stato e lasciati gestire a privati: studiare medicina divenne un lusso per gente di
alto livello sociale, che concluso il proprio percorso universitario preferiva lavorare nelle cliniche
private, dove poteva guadagnare di più senza mettere a repentaglio la propria vita nei barrios
popolari. Nel 1999, il 55% dei medici esistenti nel paese, lavorava in 5 stati dei 23 totali, erano
quelli di maggiore ingresso pro capite. La maggior parte della gente non poteva accedere,
nemmeno, ai servizi d’attenzione primaria.
Al suo instaurarsi, il nuovo governo, stipulò un accordo con Cuba grazie al quale medici cubani si
trasferirono a vivere e a lavorare nei barrios venezuelani (Mision Barrio Adentro), incaricandosi
anche della formazione dei colleghi venezuelani di cui il paese aveva bisogno. Si tratta di
un’esperienza di cooperazione bilaterale di scala inedita mai vista prima d’ora.
I punti chiave della Medicina Integrale Comunitaria sono: la promozione della salute individuale,
familiare e comunitaria, il superamento di una medicina centrata sulla malattia dell’individuo,
l’umanizzazione del servizio di salute, caratterizzato da un’attenzione dotata di maggior affetto e
impegno; un servizio più comunicativo e partecipativo dove la persona sia coinvolta nel proprio
processo di guarigione, perché informata ed educata, un’integrazione dei saperi scientifici con quelli
popolari, per mantenere una saggezza attiva che sostenga il benessere collettivo e per rafforzare la
salute e lo sviluppo sociale.
Nel programma e nel suo carattere municipalizzato, si stabiliscono le basi per la creazione di
“un’altra università” che avvicini la formazione agli spazi dove si svolge la vita degli studenti, che
abbia sedi in tutto il territorio venezuelano; il suo nucleo essenziale è costituito, infatti, da los
Consultorios populares, strettamente relazionati con tutto lo scenario del sistema primario di salute
creatosi con la Mision Barrio Adentro.
Come s’intuisce il carattere peculiare di questa formazione medica è il suo accento umanista.
L’umanismo medico si esprime nella relazione tra il medico e il suo paziente. Li si concentrano e
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scatenano le sottili interazioni che danno al medico l’opportunità di aiutare, in forma ampia ed
efficace, la persona che confida in lui per il sollievo o la cura dalla propria malattia. Il personale
sanitario che esercita il proprio sapere in modo etico, lo fa rispettando l’intimità, l’individualità e la
confidenza senza abusi e con rispetto alla vita, alla verità e ai valori trascendentali dell’uomo.
Il medico è un essere sociale, che deve essere inserito nella comunità in cui opera, per questa
ragione gli si offre uno scenario di studio e lavoro che lo vincoli fin da subito ai suoi utenti (sani e
malati). Egli apprenderà così ad assisterli direttamente nel contesto familiare e ambientale in cui
loro vivono.
In questa concezione di formazione, del personale sanitario, si stabiliscono quindi: l’ambulatorio
della comunità (consultorio popular) come centro di formazione al lavoro per l’alunno; il
professore come tutor e facilitatore dell’apprendimento e lo studente come protagonista attivo nel
processo formativo.
Le comunità, nelle quali si sviluppa il programma, si trasformano così in strumento per sviluppare il
processo d’insegnamento - apprendimento e raggiungere un maggior livello di motivazione ed
indipendenza conoscitiva dei partecipanti.
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PARTE SECONDA – LA SCUOLA LATINOAMERICANA DI MEDICINA
(ELAM): MEDICINA COMUNITARIA E INTERCULTURALITA’
Introduzione
Nell’anno 2007 il Programma Nazionale di Formazione in Medicina Integrale Comunitaria si aprì
anche a studenti stranieri. Nacque così l’Escuela Latinoamericana de Medicina “Doctor Salvador
Allende Gossens” (ELAM) di Caracas e con essa si diede avvio ad un’importante esperienza di
cooperazione internazionale e integrazione culturale.
L’ELAM inizia le proprie attività il 15 aprile 2007, all’interno della cornice dell’ALBA, Alianza
Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América, un gruppo di nazioni che ripianifica il modello
d’integrazione tra stati, basandolo su meccanismi che promuovano lo sviluppo economico e sociale,
la lotta contro povertà ed esclusione sociale, elevando la qualità della vita della cittadinanza.
I principi chiave dell’ALBA derivano dal concetto di sviluppo endogeno le cui condizioni di
realizzazione si rintracciano, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, nell’ambito culturale,
sociale, nel capitale cognitivo e in quello umano.
Nell’ambito di questa proposta d’integrazione, avviata dal governo venezuelano, si concretizzano i
principi cardine dell’ALBA, incorporando e offrendo borse di studio a studenti provenienti da
diversi paesi dell’America Latina, dei Caraibi e dell’Africa, perché si inseriscano in diverse aree
della formazione venezuelana, in particolar modo in quella medica; portando così avanti anche gli
impegni presi con il Patto di Sandino del 2005, attraverso in quale il governo venezuelano e quello
cubano si ripromisero, attraverso uno sforzo congiunto, di formare 200 mila medici in 10 anni.
L’ELAM rappresenta uno spazio vitale d’integrazione tra popoli, nazioni e governi, finalizzato a
incrementare la formazione integrale di medici che una volta usciti dal programma di Formazione in
Medicina Integrale e Comunitaria, s’impegnino a rientrare nelle proprie comunità dopo una
permanenza minima di tre anni e una massima di sette.
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