5
in ragione di tutto ciò il papa polacco è stato “il più grande personaggio di consumo per
l’opinione pubblica mondiale”
2
(il Time di New York l’ha eletto “uomo dell’anno 1994”
dichiarando: “le sue idee sono molto diverse da quelle della maggior parte degli uomini,
sono più grandi”).
Scrive il giornalista Mauro Buonocore:
Sempre presente, la tv, là dove c’era Papa Wojtyla; sempre presenti le telecamere non
solo a raccontare i suoi viaggi, ma a consegnare ai telespettatori il messaggio di una
Chiesa che, attraverso il corpo del Papa, si mostrava presente in tutto il mondo.
3
E ancora:
Ovunque andasse il Papa riempiva di sé i media, la sua forte personalità, la sua
possente presenza fisica “bucavano lo schermo”
4
.
Da queste ultime citazioni, si percepisce la presenza tangibile di questo papa. Giovanni
Paolo II ha utilizzato il proprio corpo, lo ha esibito come “veicolo del messaggio
ecumenico che portava”
5
:
Così come si è mostrato forte, energico, vigoroso nei primi anni del pontificato, allo
stesso modo lo ha fatto nella malattia, quando il corpo si faceva più debole. E fino
all’ultimo istante la tv era lì a sottolineare l’eccezionalità della persona di Giovanni
Paolo II, a disegnare un’aureola mediatica intorno al corpo di Karol Wojtyla
6
.
L’aureola mediatica si sostituisce a quella sacra e conferisce a questo corpo
un’importanza inedita: se è vero che la sacralità viene meno, è anche vero che i mass
media ne creano una nuova, ossia la sacralità del corpo come “strumento di fede”,
“addobbato” con luci e tecniche di ogni genere. Sembra paradossale, ma il momento in
cui questo processo è più visibile è quando il corpo vitale di questo pontefice diviene
più debole a causa della malattia che lo consuma: è proprio questa la straordinarietà
della figura di Giovanni Paolo II, il cui carisma e la cui forza si sprigionano
ostinatamente da un corpo debilitato. La sofferenza, come vedremo nell’ultimo capitolo,
rende il corpo di questo papa più umano che mai, ma allo stesso tempo essa conduce
alla metafora cristica della passione. A questo punto si comprenderà quanto la
corporeità di Wojtyla sia polisemica.
2
Del Rio, D., 2005, Karol il grande. Storia di Giovanni Paolo II, Roma, Paoline, p. 288.
3
Buonocore, M., 15 aprile 2005, “Il Verbo in tv”, articolo disponibile su www.CaffèEuropa.it.
4
Ibidem.
5
Ibidem.
6
Ibidem.
6
La novità letteralmente incarnata da Giovanni Paolo II, quindi, è sicuramente quella di
essersi reso “uomo” (nel senso più pieno della parola), ma l’aspetto veramente
straordinario è l’aver mostrato al mondo, insieme alla sua prorompente fisicità, anche
il dolore, il declino fisico, la caducità di un uomo di potere in una dimensione pubblico-
universale, ponendosi in una posizione di debolezza da una condizione di forza.
La sacralità non è più un qualcosa di astratto separato dal corpo fisico, anzi diventa
dipendente da quest’ultimo. Il sacro diventa così ciò che custodisce quanto di più
prezioso c’è nell’umano: la sua unicità e la sua irripetibilità. Karol Wojtyla crede nella
dignità dell’uomo, quindi anche nella sua.
Attraverso il suo corpo e la sua forza comunicativa questo straordinario pontefice
“globe trotter” ha parlato alle masse, vi si è mescolato nel senso pieno del termine,
avvicinando la Chiesa all’umanità; ad Assisi, meta del suo primo viaggio ufficiale fuori
dal Vaticano, ha detto: “Non c’è più la Chiesa del Silenzio, ora parla con la mia voce”.
Giovanni Paolo II ha cercato così di dare “freschezza” e umanità ad un’istituzione che
negli ultimi anni combatte contro la secolarizzazione di una società che sembra non
volere più accettare di credere in qualcosa di non visibile, non tangibile; una società che
non dà più spazio all’indeterminatezza e al mistero.
Il “successo” di Giovanni Paolo II è da attribuire proprio alla sua capacità di rendere
visibile e tangibile quel concetto astratto che è la fede.
7
I
LA CORPOREITA’ NELLA FEDE CRISTIANA
Per riuscire a comprendere al meglio la “trasformazione” della sacralità e del corpo
operata dai media e quindi il caso di Giovanni Paolo II, sarà utile fornire un quadro
generale di ciò che rappresenta la corporeità nella fede cristiana. Nella storia e nella
tradizione, nelle immagini e nelle parole del cristianesimo, il corpo ha sempre avuto un
ruolo centrale; anche la nozione di “corpo del papa” ha radici antiche nella storia della
Chiesa Cattolica.
1.1 L’importanza del corpo di Cristo
Tanto nel Vecchio come nel Nuovo testamento, la carnalità e la corporeità di Dio e di
Cristo emergono con forza e plasticità drammatiche, anche se in modi differenti.
Nell’Antico Testamento, nonostante la presenza di Dio si manifesti solo tramite una
voce, esiste già una concezione “antropocentrica”; è l’uomo ad essere al centro
dell’universo, in quanto egli è stato creato ad “immagine e somiglianza” di Dio stesso.
Nel Nuovo Testamento, con la venuta di Cristo (Dio che si incarna) si assiste ad una
totale consacrazione dell’uomo; il “Verbo si fa Carne”, ovvero fisicità, materia,
organismo fatto di sangue e nervi, muscoli e arterie. E, dunque, anche di dolore e
sofferenza, di malattie, di debolezza e declino, di degrado e di morte. L’umanità del
Figlio di Dio diventa strumento per la redenzione di tutti gli uomini.
Dal momento che Dio si è fatto Uomo, Cristo diventa un “modello”, una dimostrazione
della straordinarietà del genere umano: l’uomo è un essere che contiene in sé, pur nella
“piccolezza” della sua transitorietà terrena, una grande ricchezza data dallo spirito che
“anima” il suo corpo. L’uomo, proprio secondo una massima di Karol Wojtyla, è un
“macrocosmo” (lo spirito) contenuto in un “microcosmo” (il corpo).
Un essere umano si distingue da tutti gli altri esseri viventi perché conserva nel suo
corpo una dimensione spirituale che fa di lui una creatura straordinaria e lo eleva a
status di “persona”.
Con la venuta di Cristo, l’essere umano viene ulteriormente esaltato come incarnazione
dell’immagine di Dio; ciò che nell’Antico Testamento era un concetto astratto ed
incorporeo, nel Nuovo è visibile, tangibile; il corpo di Cristo è “strumento di
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conoscenza” per la fede. Attraverso la sua vita, la sua sofferenza, la sua morte l’uomo
acquisisce una “prova” dell’esistenza di Dio.
Ci si trova quindi di fronte ad un’ambiguità “incarnata” dalla figura del “Figlio di Dio”:
da una parte egli è un uomo a tutti gli effetti (nasce, vive e muore), ma dall’altra incarna
la sacralità e l’eternità della fede.
1.2 Il “doppio corpo di Cristo”
La prima versione di “doppio corpo del potere” è fornita da S. Paolo, che scinde il corpo
di Cristo in Corpus Christi e Corpus Mysticum. Il primo sta a indicare il corpo politico
ecclesiale (la Chiesa come “istituzione”), mentre il secondo designa l’ostia consacrata
(la Chiesa incarnata nel corpo di Gesù).
Nel Medioevo, precisamente nell’XI e XII secolo si assiste però un ribaltamento dei due
termini, il cui significato si inverte; Corpus Christi ora significa ostia consacrata, il
corpo umano e materiale di cui i fedeli si cibano per salvarsi dal peccato, mentre Corpus
Mysticum definisce la corporazione mistica, il corpo collettivo e politico della potente
istituzione ecclesiastica.
I termini di questo “sdoppiamento” sono quindi lo “spirito” immortale della Chiesa -
un’istituzione che vivrà in eterno – e il corpo propriamente detto, quello di un uomo che
nasce, vive e muore, nonostante sia una creatura divina (Cristo).
La Chiesa ha sempre affermato che il divino è dentro al corpo, è l’anima a dare la
santità: i corpi dei santi, dei beati, del Figlio di Dio sono fatti di carne esattamente come
quelli di tutti gli altri uomini. Ciò che li distingue, che li “salva” dal dolore e dalla
sofferenza è il dono divino che risiede dentro i loro corpi, che costituiscono
semplicemente un involucro per lo spirito.
Il corpo di Cristo diventa “riproducibile” grazie alle ostie consacrate: tutti possono
ingerirlo; questo gesto implica il fatto che esso entri in noi, nelle viscere del nostro
essere per purificarlo dal peccato terreno e carnale. La purezza, quindi, risiede
nell’anima; questo sembrerebbe confermare il messaggio cristiano dell’importanza dello
spirito rispetto al corpo. Paradossalmente, però, è attraverso lo stesso corpo che si
sprigiona la bontà dell’anima, come appunto nel caso di Cristo, che “passando” per la
sofferenza e la morte del corpo ha redento gli uomini dal peccato.
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1.3 Il corpo di Cristo e la concezione di “uomo” nella modernità
La concezione dell’uomo che si è diffusa in età moderna e che si imporrà in età
contemporanea è individualistica, incentrata sulla singolarità dell’uomo come
“individuo”.
Il concetto di “individuo” si oppone a quello di “persona”: la componente squisitamente
“corporea” dell’essere umano viene posta al centro a spese di quella “spirituale” che lo
contraddistingueva in precedenza. Il corpo acquista importanza in senso scientifico,
critico, nella sua piena anatomia. Questo implica che anche il corpo del Figlio di Dio
subisca lo stesso “trattamento”.
Il corpo di Cristo morto, infatti, viene addirittura utilizzato come soggetto di opere
pittoriche (si pensi al Compianto del Cristo morto del Mantegna) dove per di più lo si
ritrae in maniera cruda ed esplicita. Lo si studia come se si trattasse di un mero reperto
archeologico: la Sindone, il lenzuolo che secondo gli esperti avrebbe avvolto il cadavere
di Gesù ne è un esempio lampante. Le tracce di sangue che vi sono impresse
rappresentano un “testo” da mostrare e decodificare come si farebbe con un geroglifico.
Il lenzuolo che ha avvolto il Figlio di Dio verrà continuamente sottoposto ad analisi
scientifiche per scoprire sempre nuovi dettagli, nuovi particolari interessanti. Verrà
scandagliato esattamente come un qualsiasi altro oggetto di sperimentazione.
Se il cristianesimo è la religione dell’uomo in quanto “persona” (spirito e corpo),
l’umanesimo rompe con questa concezione a favore di una religione dell’uomo come
“individuo” (solo fisico). Quel “doppio corpo di Cristo” rimane orfano della sua parte
divina: “l’assoluta laicizzazione porta ad una divinizzazione dell’oggetto laicizzato”
1
.
Nel Rinascimento quindi la concezione dell’uomo difetta della parte straordinaria che lo
distingueva dagli animali.
La scienza si scontra con la fede e vince su di essa.
1
Reale, G., 2005, Karol Wojtyla, un pellegrino dell’assoluto, Milano, Bompiani, p. 80.