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Parte prima
1. La politica a stelle e strisce
1.1 Sistema politico
Come detto nell’introduzione a questo lavoro, prima di addentrarci
nell’analisi della campagna elettorale del 2012 e di studiare il particolare rapporto
esistente tra media e consenso elettorale, ritengo sia opportuno definire la cornice
entro la quale ci stiamo muovendo. Lo scopo di questo primo capitolo sarà, pertanto,
quello di comprendere il funzionamento del sistema politico-istituzionale
statunitense e le sue specificità. Questa parte si rivelerà molto utile, nel corso della
lettura dei prossimi capitoli, per muoverci più agevolmente quando parleremo dei
vari organi e degli attori politici che agiscono in tale sistema.
Gli Stati Uniti d’America, come è noto, sono, sin dalla loro indipendenza
dall’Impero inglese nel XVIII secolo, una repubblica presidenziale federale
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con
sistema rappresentativo, formata da 50 stati e un distretto federale (Washington,
D.C.). Giusto per dare un’idea dell’importanza geografica, e quindi anche
geopolitica, di questo Paese, ricordiamo che con una superficie di oltre 9 milioni di
km² e con più di 300 milioni di abitanti, gli Stati Uniti sono il quarto paese più esteso
al mondo ed il terzo più popolato.
Addentrandoci negli aspetti più prettamente politici e istituzionali, si può dire
che le funzioni pubbliche vengono esercitate a due livelli, federale e statale (a livello
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Inizialmente, con l’adozione degli Articoli di Confederazione ed Eterna Unione (1776-
1781), gli Stati divennero una confederazione, quindi un’unica entità politica, per avere un’unica voce
in campo internazionale. Tuttavia, ciò diede luogo ad un governo centralizzato politicamente molto
debole e, di conseguenza, i tredici Stati ritennero opportuno adottare un nuovo testo fondamentale, la
Costituzione degli Stati Uniti, che fu ratificata nel 1789.
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dei singoli Stati federati), ed in ognuno di essi gli organismi preposti agiscono
nell’ambito delle competenze assegnate dalla legge. La tradizionale tripartizione dei
poteri, formulata da Montesquieu nella sua opera più celebre, “L’esprit des lois” (Lo
spirito delle leggi) del 1748, è presente anche nella Costituzione statunitense. Infatti,
il presidente detiene nelle sue mani il potere esecutivo (allo stesso tempo, in questo
caso specifico, ricopre un duplice ruolo in quanto è anche capo dello Stato); il
Congresso (formato dalla Camera dei Rappresentanti e dal Senato) gestisce il potere
legislativo; mentre il potere giudiziario spetta alla Corte Suprema, per quanto
riguarda il rispetto della Costituzione federale, e alle corti “locali”, per la difesa delle
norme dei singoli Stati. Ogni livello di governo ha i suoi organi specifici, sottoposti
alle limitazioni poste dai livelli che stanno al di sopra.
Le cause di questa architettura di governo affondano le proprie radici nella
storia degli Stati Uniti, infatti le colonie che dichiararono l’indipendenza
dall’Inghilterra furono fondate in momenti diversi ed erano, per ovvi motivi, gelose
della propria autonomia. Esse nei loro primi decenni di vita svilupparono esigenze
economiche e livelli di sviluppo differenti e fu così che i “padri fondatori” decisero
di non creare uno Stato unitario, ma, anzi, di concedere ampia libertà ai singoli Stati
federati che si andavano formando. I coloni, dopo aver cacciato gli inglesi dal
continente americano, non avrebbero accettato un’altra autorità, un altro “re”,
rappresentato in quel caso da uno stato confederale, e così, con l’espansione verso
Ovest, anche i nuovi territori occupati furono dotati di un ordinamento plasmato su
quello degli Stati già esistenti.
Nell’ordinamento a stelle e strisce, i singoli governi statali e il governo
federale condividono la sovranità, infatti, un cittadino statunitense è allo stesso
tempo cittadino sia del suo Stato di residenza sia dell’entità federale. Il governo
federale, secondo i dettami della Costituzione, ha il solo potere di regolare il
commercio fra gli stati, di proteggere i diritti dei cittadini e di provvedere alla difesa
del Paese, ma, grazie alla giurisprudenza della Corte Suprema, col tempo esso ha
acquisito grandi poteri, che esercita attraverso numerosi organismi federali.
Ratificando la Costituzione ogni Stato federato trasferisce al governo centrale una
parte della sua sovranità, prevede una competenza concorrente in alcune materie e
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conserva alcune prerogative, nei campi dell’educazione, della sanità, dei trasporti e
delle infrastrutture.
Nel tempo, però, la Costituzione è cambiata e sono cambiate anche alcune di
queste prerogative, accentuando una propensione al centralismo che è stata più volte
criticata dai difensori del federalismo. Questa tendenza ha favorito nell’immaginario
collettivo la percezione che il presidente degli Stati Uniti sia l’uomo più potente del
pianeta, ma non è sempre stato così. Solo nel corso del XX secolo, grazie all’azione
di alcuni uomini che hanno ricoperto questo incarico, la presidenza è diventata un
organo sempre più influente. Avere un presidente “forte” e visibile non era una cosa
abituale durante l’Ottocento (del quale, normalmente, si ricordano solo poche figure,
come Thomas Jefferson, James Monroe e Abraham Lincoln), ma nel Novecento,
anche grazie allo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, a partire da Thomas
Woodrow Wilson e Franklin Delano Roosevelt (celebri le sue “chiacchierate al
caminetto” trasmesse via radio), chi ha ricoperto tale carica è diventato sempre più
importante e decisivo per l’equilibrio geopolitico mondiale.
1.2 Democratici e Repubblicani
Come ho già accennato in precedenza, il sistema politico statunitense è un
sistema bipolare, nel quale i due partiti maggiori, quello Democratico e quello
Repubblicano, si contendono da decenni la poltrona di presidente degli Stati Uniti
d’America. A grandi linee, si può sostenere che il partito Democratico è più
progressista, a favore di politiche per il sostegno dei ceti meno abbienti e di maggiore
uguaglianza a livello sociale, mentre, il partito Repubblicano è più orientato al
conservatorismo sociale, al sostegno della famiglia tradizionale e contrario ad ogni
intervento dello Stato nell’economia. Anche in questo caso, però, è utile fare dei
brevi cenni storici sulle vicende che hanno caratterizzato la nascita e lo sviluppo di
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queste due formazioni politiche, cosicché sarà poi più semplice comprendere alcuni
aspetti del presente.
Il partito Democratico (Democratic party) ha origine dal partito Democratico-
Repubblicano, il più antico della storia statunitense, e probabilmente il più antico al
mondo, che, infatti, nacque nel 1792 per iniziativa di Thomas Jefferson, James
Madison e altri anti-federalisti e si oppose, da subito, al predominante partito
Federalista. Quell’iniziale gruppo di parlamentari, riunitosi sotto tale denominazione,
aveva come obiettivi politici immediati l’approvazione del Bill of Rights (la Carta dei
Diritti) e il sostegno agli agricoltori del Sud, in gran parte contrari alle misure
protezionistiche del federalista Alexander Hamilton che favorivano gli industriali
degli Stati del Nord.
Il primo democratico ad essere eletto presidente fu proprio Jefferson nel
1800, mentre per avere un repubblicano alla Casa Bianca bisognerà attendere il 1864
con l’elezione di Abraham Lincoln. Dopo il 1820, anno della dissoluzione del partito
Federalista, il partito Democratico-Repubblicano rimase l’unico in grado di
esprimere una classe dirigente all’altezza e inaugurò una sorta di “regime
monopartitico” che però si spezzò quasi subito, quando alle elezioni del 1828 il
partito si divise tra una fazione che difendeva gli interessi degli Stati del Sud e
dell’Ovest, e che appoggiò la candidatura autonoma di Andrew Jackson, poi eletto, e
un’ala di “Repubblicani nazionali” che promosse la candidatura del presidente
uscente John Adams. Fu proprio Jackson, fervente sostenitore di una democrazia
piena, ad inaugurare l’era delle Convention di partito (la prima è del 1832). La
denominazione attuale, partito Democratico, risale al 1844, mentre il Democratic
National Committee, è del 1848, ed oggi è presieduto da una donna, Deborah
Wasserman Schultz. Esso ha il compito di raccogliere i fondi e di coordinare le
campagne elettorali nazionali.
Questo partito guidò il Paese fino al 1860, quando, diviso sulla questione
della schiavitù, fu sconfitto dal repubblicano Lincoln che pochi anni più tardi, prima
di essere assassinato, pose fine alla schiavitù, inizialmente con la Proclamazione
dell’Emancipazione (1863), che liberò gli schiavi negli Stati dell’Unione e poi con la
ratifica del XIII emendamento della Costituzione, con il quale nel 1865 la schiavitù
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venne abolita in tutti gli Stati Uniti. Solo dai primi anni del Novecento il partito
Democratico si spostò su posizioni più progressiste e con Woodrow Wilson
riconquistò la presidenza nel 1912, promuovendo un programma innovativo in
economia e abbandonando la politica isolazionista portata avanti dalle precedenti
amministrazioni repubblicane. Si delineò gradualmente una ripresa dello spirito di
missione, contenuto già nella nozione di Manifest Destiny, che negli anni successivi
avrebbe portato al diretto coinvolgimento di Washington nelle dinamiche delle
potenze europee. Infatti, dopo alcuni tentennamenti, nel 1917 fu deciso l’intervento
statunitense nel primo conflitto mondiale a fianco delle potenze europee dell’Intesa e
si puntò ad una “pace senza vittoria”
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, per evitare eventuali recrudescenze dei Paesi
sconfitti, puntando alla nascita di una Società delle Nazioni che, nei progetti di
Wilson, avrebbe dovuto scongiurare conflitti futuri e garantire l’autodeterminazione
dei popoli. Dopo alcuni anni all’opposizione e un decennio di egemonia
repubblicana, i democratici tornarono al governo con Franklin Delano Roosevelt, che
fu eletto quattro volte e rimase alla Casa Bianca fino all’aprile 1945. Egli, attraverso
il New Deal, riuscì a risollevare l’economia statale dopo la terribile crisi del 1929 e
nel 1941 decise l’intervento nella seconda guerra mondiale, sia per ragioni
economiche (erano forti i legami commerciali con la Gran Bretagna) sia per evitare
che l’Europa cadesse sotto il dominio nazi-fascista.
Dopo il doppio mandato di Eisenhower, con Kennedy e il mito della New
Frontier e l’accorta gestione della crisi missilistica di Cuba, i democratici
raggiunsero il picco della popolarità, anche in Europa, dove intanto continuava il
processo di “americanizzazione”, inaugurato con l’invio degli aiuti economici del
Piano Marshall, finalizzati ad imprimere una spinta allo sviluppo dei Paesi europei ed
anche ad evitare una possibile influenza dell’Unione Sovietica sugli Stati usciti
stremati dal secondo conflitto mondiale. Le successive amministrazioni democratiche
guidate da Johnson, Carter e Clinton, hanno promosso politiche cosiddette liberal sia
in campo economico che sociale, accentuando le differenze con la visione della
società propria del rivale partito Repubblicano.
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È celebre la frase del presidente Wilson: “Ci dovrebbe essere una pace senza vittoria. Solo
una pace fra uguali alla fine può durare”.
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Come tutti i partiti, anche quello Democratico, ha al suo interno diverse
correnti che mirano a dettare la linea politica. Tra queste vanno ricordate: i
progressive democrats e liberals (l’ala sinistra che si batte per i diritti civili, la
legalizzazione dell’aborto, i matrimoni gay, ecc. e rappresenta la maggioranza del
partito), i libertarian democrats (liberisti in campo economico e libertari in campo
sociale, sono a favore della legalizzazione delle droghe leggere e sostengono una
separazione netta tra Stato e Chiesa), i moderate democrats (che ricercano
un’alternativa tra le politiche economiche della destra, di stampo liberale, e quelle
sociali della sinistra, ispirate al socialismo) e, per concludere, i conservative
democrats (che rappresentano la destra del partito).
Figura 1.1. “The kicking donkey”, attuale simbolo del partito Democratico
Il simbolo tradizionale del partito Democratico è l’asinello, immagine che
risale proprio al 1828 quando venne eletto presidente il già citato Andrew Jackson.
Nel 1824, dopo essere stato per alcuni anni governatore della Florida, Jackson si
candidò come presidente, ma fu battuto da John Quincy Adams. Quattro anni dopo
tentò di nuovo la candidatura e questa volta riuscì ad essere eletto. Jackson fu il
primo presidente a non essere nato in una famiglia “aristocratica” o, comunque,
facoltosa, e fu anche il primo a non aver studiato in scuole di alto rango, ma
nonostante ciò rimase in carica dal 1829 al 1837. Il simbolo, ancora oggi utilizzato
dal partito (anche se in parte rivisto graficamente), deriva dall’appellativo attribuito a
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Jackson, quando era ancora un candidato nel 1828, schernito dagli avversari politici
che cominciarono a chiamarlo Andrew Jackass (che significa, appunto, somaro,
asinello), mentre i suoi sostenitori si auto-definirono membri del “partito dell’asino”.
Egli era noto per avere tra le sue qualità una buona dose d’ironia e così il candidato
democratico decise di rispondere a quella provocazione, chiedendo che sui manifesti
elettorali venisse stampata l’immagine di un asino. Dopo la sua presidenza, quel
simbolo non fu più utilizzato, fino al 1870 quando Thomas Nast, un illustratore
statunitense di origine tedesca, decise di usare l’asinello in una vignetta riguardante il
partito Democratico e così l’asinello iniziò ad essere utilizzato come simbolo del
partito. I politici democratici, ancora oggi, lo considerano un simbolo che
rappresenta intelligenza ed umiltà.
Passiamo ora a parlare dell’altro grande partito statunitense, il partito
Repubblicano (detto anche Grand Old Party), nato nel 1854 da una coalizione
formata dal disciolto partito Whig, dal Free-Soil Party, dal Know-Nothing Party e da
democratici del Nord, accomunata dall’opposizione all’estensione della schiavitù nei
nuovi Stati costituiti con il Kansas-Nebraska Act. Come detto sopra, il primo
presidente degli Stati Uniti appartenente a questo partito fu Lincoln che, abolendo la
schiavitù e conducendo alla vittoria gli unionisti contro gli Stati del Sud nella guerra
civile (1861-1865), permise al suo partito di egemonizzare la poltrona presidenziale,
intervallata solo da tre amministrazioni democratiche, fino all’ascesa di Franklin
Delano Roosevelt nel 1932 (nel 1912 Wilson vinse perché il partito Repubblicano si
presentò diviso, con i candidati William Howard Taft e Theodore Roosevelt). Il
successivo strapotere democratico fu interrotto sono nel 1952 da Eisenhower che
rimase in carica fino alla vittoria di Kennedy nel 1960. Le presidenze Nixon e Ford
(anche a causa della scandalo Watergate) non furono molto popolari e solo con
Ronald Reagan nel 1980 i repubblicani ottennero una larga vittoria, seguita
dall’affermazione del vice presidente uscente George Bush sr. nel 1988 (da molti
considerato come un terzo mandato Reagan). L’ultimo presidente repubblicano,
come sappiamo, è stato George Bush jr., in carica dal 2000 al 2008, anno della
storica vittoria di Obama. Va segnalata l’ascesa negli ultimi anni all’interno del
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partito di un movimento, denominato Tea Party
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, schierato contro l’eccessiva
tassazione, la difesa del libero mercato e promotore delle posizioni più conservatrici
in campo etico e religioso. Esso è sorto, anche attraverso proteste popolari, in seguito
ad alcuni provvedimenti molto controversi presi dall’amministrazione Obama, come
i salvataggi delle banche e la riforma sanitaria.
Anche il partito Repubblicano ha un proprio simbolo che lo caratterizza che
in questo caso è un elefante. L’elefante repubblicano nacque nel 1874, sempre grazie
al vignettista Thomas Nast. Il disegnatore era rimasto colpito dalla notizia, poi
rivelatasi falsa, della fuga di alcuni animali dallo zoo di New York e aveva deciso di
utilizzare quella metafora per rappresentare la paura diffusa sull’eccessivo
dispotismo del presidente repubblicano Ulysses Grant. Nast disegnò, quindi, una
vignetta sull’Harper’s Weekly dove erano raffigurati diversi animali in fuga
terrorizzati e rappresentò l’elettorato repubblicano come un elefante. Il simbolo fu
poi ripreso da molti altri vignettisti e divenne il simbolo ufficiale dei repubblicani
che ne esaltano la dignità e la forza
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, mentre per gli avversari è simbolo di stupidità e
lentezza.
Figura 1.2. Il simbolo moderno del partito Repubblicano, con la sigla GOP e l’elefante, su
sfondo rosso, colore tradizionalmente associato ai repubblicani
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Il nome Tea Party deriva dalla sigla “Taxed Enough Already” (cioè, già abbastanza tassati),
e dal Boston Tea Party, la protesta del 1773 dei coloni del Nord America contro le eccessive tasse
inglesi. Una delle icone di questo movimento è Sarah Palin, ex governatrice dell’Alaska e già
candidata alla vice presidenza degli Stati Uniti nel 2008, al fianco di John McCain.
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Informazioni tratte dal sito ufficiale del partito Repubblicano, http://www.gop.com