aggiungere altri elementi come gli standard di consumo alimentare e gli
orientamenti al consumo in generale: tutti osservabili oggettivamente.
Più complesso è invece ottenere gli indicatori soggettivi, ovvero indicazioni circa
l’esperienza degli individui che vivono in una determinata società, senza che
questi possano essere direttamente osservabili e misurabili (felicità degli
individui, tendenza alla depressione, ansia etc.). In queste circostanze
l’economista svolge il suo ruolo domandando agli individui come si sentono in
rapporto alla vita che conducono, se sono soddisfatti o meno rispetto alla loro
esistenza. Si ottengono in questo modo degli indicatori soggettivi che possono
presentare altissime e inequivocabili correlazioni con quelli oggettivi. Nella
maggior parte dei casi le persone passano dal sentirsi infelici all’essere felici (o
viceversa) quando aumentano le variabili oggettive. Ad esempio con
l’aumentare del livello di occupazione la maggior parte delle persone si sente
più felice. Esistono però alcuni indicatori oggettivi, come il reddito, che non
presentano una correlazione così forte con tali variabili. Per assurdo può
addirittura manifestarsi un'assenza totale di correlazione o una correlazione
negativa, ovvero risultare che all’aumento del reddito diminuisca il livello di
felicità e soddisfazione di una persona.
Occorre sottolineare anche un’altra distinzione di genere economico che non
riguarda più solo alcuni indicatori, bensì l’intero modo di considerare la materia
economica nella sua essenza. L’economia classica infatti si occupa dei modi in
cui le risorse primarie (es. la terra) vengono trasformate in risorse secondarie
fruibili (es. beni) e di come tali soddisfano direttamente o indirettamente i
bisogni umani. A questo riguardo gli economisti assumono due posizioni
differenti: la prima ritiene che l'economia sia autosufficiente, autoreferenziale e
nettamente separata dal mondo dell'etica; la seconda, viceversa, che
l'economia, anche quella ‘di mercato’, debba necessariamente essere fondata su
certi valori morali. Ne deriva una conseguenza importante: secondo la prima
visione il soggetto economico è un soggetto razionale, massimizzante,
ottimizzante, che risolve singolarmente qualsiasi questione che riguardi
l'economia; viceversa, dall'altra parte c'è una visione più limitata della
razionalità, in quanto si ritiene che la razionalità umana sia sottoposta a una
6
serie di vincoli, di condizionamenti, in particolare di premesse di ordine
valoriale. Secondo questa linea di pensiero, la felicità, contenendo in sé anche
aspetti di relazionalità, non è tanto da intendersi come quella derivante dal solo
mero consumo dei beni
3
, bensì soprattutto quella proveniente dai rapporti o
relazioni tra le persone. Non basta quindi possedere per essere felici, anzi,
molto spesso più un individuo è ricco e può permettersi di comprare meno è
felice.
Questo concetto è stato egregiamente dimostrato nel 1974 attraverso il
Paradosso della felicità detto anche Paradosso di Easterlin dal nome dello
studioso che lo ha formulato
4
. Easterlin infatti ricercando le ragioni per la
limitata diffusione della moderna crescita economica, evidenziò che nel corso
della vita la felicità delle persone dipende molto poco dalle variazioni di reddito
e di ricchezza. Questo paradosso può essere spiegato osservando che, quando
aumenta il reddito e quindi il benessere economico, la felicità umana aumenta
fino ad un certo punto, poi comincia a diminuire, mostrando in un grafico
cartesiano a due dimensioni (reddito e felicità) una ‘curva ad U’ rovesciata. Se
indichiamo con F la felicità di un individuo (considerandola una variabile
misurabile cardinalmente), con Y il reddito (inteso come mezzi materiali), con
R i “beni relazionali” e ignoriamo altri elementi importanti possiamo scrivere:
F= f (Y,R) ed esprimere cioè la felicità come una funzione del reddito
individuale e di beni relazionali. Se è vero e ragionevole supporre che l’effetto
complessivo del reddito contribuisce direttamente alla felicità, soprattutto per
bassi livelli di reddito, bisogna anche considerare che, dopo aver superato una
certa soglia, questo può diventare negativo poiché l’impegno per aumentare il
reddito (assoluto o relativo) può produrre sistematicamente effetti negativi sui
beni relazionali, sulla qualità e quantità delle nostre relazioni (ad esempio
impieghiamo risorse eccessive per aumentare il reddito e le sottraiamo ai
3
Si intende qui per bene qualsiasi oggetto disponibile in quantità limitata, reperibile e utile cioè
idoneo a soddisfare un bisogno.
4
Richard Easterlin è attualmente professore di Economia all'Università della Southern California
e membro dell'Accademia Nazionale delle Scienze.
7
rapporti umani) e quindi, indirettamente, potrebbe smorzare, o addirittura
ribaltare l’effetto totale diminuendo la felicità.
Anche se ormai con il termine Paradosso della felicità ci si riferisce in senso
stretto al paradosso sopra enunciato, i dati raccolti da Easterlin si basavano su
auto-valutazioni soggettive della felicità ottenute da interviste in cui gli individui
selezionati rispondevano alla domanda: “Nell’insieme, ti consideri molto felice,
abbastanza felice, o non molto felice?”.
I risultati ottenuti evidenziavano una correlazione poco significativa non solo tra
il reddito nazionale (PNL)
5
e la felicità (ovvero i Paesi più ricchi non risultavano
essere significativamente più felici di quelli più poveri)
6
, ma anche tra il reddito
e la felicità delle persone valutata all’interno di un singolo Paese e in un dato
momento. Se, quindi, raggiungere il benessere economico non garantisce una
vita felice, il paradosso di Easterlin induce a riflettere su quali obiettivi, quale
stile di vita sia meglio perseguire e quali siano le prospettive di benessere
sociale per una società che intenda mettere la persona e i suoi bisogni al centro
di ogni decisione pubblica.
Esistono, tuttavia, studi recenti tesi a dimostrare che il benessere di una
Nazione non può essere misurato solo in termini di reddito con l’utilizzo dei
parametri tradizionali, come quello del PIL
7
o del PNL, bensì facendo ricorso alla
misurazione innovativa della “felicità interna lorda” (FIL).
5
Produzione realizzata in un anno dai fattori produttivi di un paese, indipendentemente dal
fatto che si trovino nel paese stesso o all’estero.
6
Tali conclusioni sono state successivamente confutate da altri studi che hanno mostrato in
particolare gli effetti "indiretti" sulla felicità di altri fattori generati dalle economie sviluppate
quali ad esempio la maggiore stabilità della democrazia, la maggiore tutela dei diritti umani e le
migliori condizioni della Sanità.
7
Il valore complessivo dei beni e servizi prodotti all'interno di un Paese in un certo intervallo di
tempo (solitamente l'anno) e destinati ad usi finali (consumi finali, investimenti, esportazioni
nette).
8
Il FIL, così come è stato definito nel 1972 dal sovrano del Bhutan
8
, è divenuto
in poco tempo uno dei capisaldi dei nuovi movimenti di ricerca accademica. Il
concetto, che inizialmente poteva sembrare solo influenzato dalla filosofia
religiosa buddista, si è poi allargato ad una concezione internazionale e si è
perfettamente incastonato entro i temi di alta attualità che riguardano
l’Economia della Felicità.
In accordo con il pensiero celato in questa definizione vi sono ben quattro
pilastri per misurare la felicità interna lorda ovvero: lo sviluppo equo e
sostenibile, i valori culturali e religiosi, l’ambiente e la salute, il buon governo e,
di conseguenza, la fiducia nelle istituzioni.
Il FIL (Felicità Interna Lorda) può così risultare un indicatore di benessere
alternativo al PIL (Prodotto Interno Lordo) basato su valori morali e non
economici.
Un ultimo tentativo di spiegazione del paradosso della felicità è dato dallo
stesso Easterlin e da altri studiosi con la teoria dell'“effetto treadmill””, ovvero
tappeto rullante, così definita perché paragona le conseguenze derivate
dall’aumento del reddito e della ricchezza alla corsa su di un tappeto rullante:
pur correndo e pensando di stare andando avanti, si rimane sempre allo stesso
punto. Si possono distinguere tre effetti di questo tipo:
ξ l'hedonic treadmill: secondo la teoria dell’adattamento, è il meccanismo
per il quale la nostra soddisfazione o il benessere conseguente all'acquisto di
un nuovo bene di consumo dopo un miglioramento temporaneo ritornano
rapidamente al livello di partenza;
ξ il satisfaction treadmill, meccanismo che dipende dall'innalzamento del
nostro livello di "aspirazione al consumo". al migliorare del reddito,
nonostante la "felicità oggettiva" migliori, si necessita di continui e sempre
più intensi piaceri per mantenere lo stesso livello di soddisfazione o la stessa
"felicità soggettiva";
8
Il Regno del Bhutan è un piccolo stato montuoso dell'Asia (circa 650.000 abitanti stimati nel
2005) localizzato nella catena himalayana. Confina a nord con la Cina e a sud con l'India.
9
ξ il positional treadmill: mette l’accento sugli effetti "posizionali" dei beni di
consumo in base ai quali il benessere che traiamo dal consumo dipende
soprattutto dal valore relativo del consumo stesso, cioè da quanto esso
differisce da quello degli altri con i quali ci confrontiamo.
Sicuramente il paradosso di Easterlin implica un ampliamento della categoria dei
beni. Come abbiamo inizialmente osservato occorre infatti inserire nell’analisi
della ricchezza anche i beni relazionali (come l’ambito familiare, affettivo e civile
della partecipazione alla vita sociale) e il patrimonio ambientale su cui
confluiscono gran parte delle esternalità negative (inquinamenti di vario tipo e
consumo delle fonti non rinnovabili) non conteggiate nel bilancio della logica
economica del mercato.
Alla luce di quanto scritto finora è necessario iniziare a considerare che se tutto
ciò è vero riferito alla società, e quindi agli adulti, ci si deve domandare se
possa essere vero anche per i bambini, se già anche nelle menti dei piccoli si
riscontri la realtà del paradosso della felicità. In particolare si deve riflettere su
quale ruolo abbiano i valori materiali nella determinazione del benessere dei
bambini e di conseguenza sul motore del consumismo che sta alle loro spalle.
Se è difficile valutarlo per gli adulti, lo è ancora di più per i bambini.
È noto che lo scopo storico dell’economia è quello di rendere i beni di consumo
sempre più accessibili ad un numero di persone sempre più vasto; nel mondo
infantile poi è ancora più automatico che un aumento dei beni di consumo sia
inevitabile nella realtà odierna in cui i mezzi di comunicazione tendono a
bombardarci e a conquistare le fasce di età più tenere. I rischi quindi della
cattiva influenza di questi fattori sul benessere dei bambini sono maggiori e la
consapevolezza è minore.
Stefano Bartolini
9
ha ritenuto nel corso dei suoi studi che la spiegazione al
paradosso della felicità sia che gli effetti positivi sul benessere dovuti al
9
Stefano Bartolini è Docente di Economia dell’Organizzazione e di Economia Sanitaria presso
l’Università di Siena e autore di numerosi articoli su riviste accademiche internazionali e di saggi
a carattere divulgativo. La sua ricerca parte dalla osservazione che l’attuale ordine economico e
sociale sembra insostenibile da almeno tre punti di vista: il degrado dell’ambiente, quello delle
relazioni tra le persone e quello del loro benessere.
10
miglioramento nel tempo delle condizioni economiche siano stati compensati
dagli effetti negativi dovuti al peggioramento delle relazioni tra persone. In
particolare ritiene che l’economia conti molto per la felicità perché conta nel
plasmare la dimensione relazionale nella quale gli individui vivono. La proiezione
di queste considerazioni nello scenario infantile genera automaticamente
sentimenti di perplessità e paura e domande sulla realtà cui vanno incontro i
bambini di oggi, adulti del domani.
In questo studio abbiamo voluto concentrarci sui bambini perché riteniamo
(sulla base anche delle considerazioni di Heckman
10
per quanto concerne la
teoria del capitale umano
11
) che essi siano il fondamento del futuro, indicatori
molto più esaustivi del livello di felicità perché portatori di benessere nella
nostra società del futuro.
Grande ispirazione ci è stata data dallo studio effettuato da Juliet Schor tra il
2001 e il 2003 negli Stati Uniti, divenuto oggetto del saggio Nati per comprare.
Salviamo i nostri figli, ostaggi della pubblicità.
12
In esso l’autrice ha svolto
un’indagine in merito all’effetto dannoso della pubblicità e della tendenza al
consumismo sul quadro psicologico e il livello di felicità di circa trecento bambini
americani di età compresa tra i 10 e i 13 anni residenti a Boston e dintorni. Il
quadro delineato è risultato talmente sconcertante da voler cercare di
comprendere se in Italia i livelli siano allo stesso modo così preoccupanti ovvero
se la felicità dei nostri bambini sia a rischio a causa della povertà relazionale a
cui il mercato e la società di oggi li costringe.
In particolare, nel nostro studio, abbiamo voluto concentrarci su diversi fattori
che riteniamo possano essere cruciali nella determinazione del benessere.
L’indagine infatti è stata basata su un questionario, composto da ottanta
domande, presentato a voce e individualmente a sessanta bambini di età
10
James Heckman, economista e statistico statunitense, premio Nobel per l’Economia nel 2000.
11
L’educazione e qualunque attività formativa insegnata ai bambini è fondamentale per lo
sviluppo del cittadino.
12
Juliet B. Schor, Nati per comprare. Salviamo i nostri figli ostaggi della pubblicità, Milano,
Edizioni Apogeo, 2005.
11
compresa tra 8 e 12 anni (nati tra il 2000 e il 1996) suddiviso per più gruppi di
argomenti:
GRUPPO I: Reddito netto annuo percepito nel nucleo familiare;
GRUPPO II: Coinvolgimento nella cultura del consumo;
GRUPPO III: Utilizzo dei media e rapporto con essi (televisione, videogiochi,
internet, libri/periodici);
GRUPPO IV: Rapporto con ambiente e natura;
GRUPPO V: Rapporto con i genitori;
GRUPPO VI: Valutazione soggettiva della felicità;
GRUPPO VII: Livello di depressione infantile.
Per rilevare dei dati attendibili in quest’ultimo gruppo abbiamo sottoposto ogni
bambino a un test psicologico ovvero a una scala di valutazione della
depressione (Children Depression Inventory) somministrabile a soggetti dagli 8
ai 17 anni di età. Sotto forma di questionario, il test valuta un’ampia varietà di
sintomi quali i disturbi dell’umore, della capacità di provare piacere, delle
funzioni vegetative, della stima di sé e del comportamento sociale e dà una
valutazione circa l’esistenza o meno di disturbi depressivi nei bambini.
Il campione di bambini è stato selezionato casualmente dall’elenco di iscritti di
uno studio medico specializzato in Pediatria e Neuropsichiatria infantile che ha
due sedi in Italia: una in Lombardia, per l’esattezza nel comune di Cantù
(Como) e una in Toscana, nel comune di Gaiole in Chianti (Siena). Le differenze
sociali e culturali di queste due aree hanno giocato un ruolo fondamentale nella
produzione dei risultati.
12