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Introduzione
Osservando il nostro mondo ‘civilizzato’ con occhi contemporanei, sembra che
niente sia cambiato dai tempi di Euripide: con la sua Medea del 431 a.C., secondo
una tendenza critica affermata, ha denunciato “la falsa sapienza, la cultura sofistica
che andava emergendo in quegli anni e che imponeva un’immagine mistificata della
realtà e premiava solo le argomentazioni e le ragioni della parte più forte, le tradizioni
sociali maschiliste che negavano alle donne qualsiasi forma di autonomia
intellettuale, il concetto stesso di giustizia che schiacciava i diritti dei più deboli e i
valori umani fondamentali, sotto l’apparenza di difendere una superiore idea di libertà
e uguaglianza”
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.
In maniera analoga, a quanto sembra, Medea è attuale anche nella società
contemporanea caratterizzata dalla logica del profitto, dall’imperialismo formale, dalle
politiche della globalizzazione, dai conflitti d’interesse: soprattutto in presenza di
discriminazione culturale, religiosa, politica ed economica, di sfruttamento,
oppressione e paura del cosiddetto ‘Altro’, ossia del diverso, dello straniero, del
profugo, del ‘primitivo’, del disadattato, dell’intellettuale, della donna nei paesi
patriarcali e così via. Di conseguenza, a partire dalla seconda metà del XX secolo, il
mito degli Argonauti e la Medea di Euripide forniscono ispirazione a molti artisti. Fra
loro, in particolare, Heiner Müller con la sua trilogia Riva abbandonata – Materiale
per Medea – Paesaggio con Argonauti diventa a sua volta un modello per chi intenda
avvalersi delle infinite connotazioni che offre l’archetipo, al fine di mettere in luce i
problemi del proprio tempo.
L’area che oggi definiamo l’ex Jugoslavia (un conglomerato di piccole e
giovani repubbliche) e che associamo con l’immagine dei Balcani corrisponde
nell’immaginario mitico al luogo dove inizia il viaggio meraviglioso degli Argonauti;
ma oggi evoca anche la tragedia di una guerra nata dalle ceneri di regimi monarchici,
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S. Fabbri, Introduzione, in Il mito di Medea. Euripide, Seneca, a cura di V. Di Benedetto, E. Cerbo,
G. G. Biondi, BUR, Milano, 2005, p. 7.
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totalitari e nazionalistici; ed è proprio attraverso questo conflitto che gli autori
balcanici, come si intende mostrare in questo lavoro, rileggono con particolare
frequenza e forza l’archetipo della Medea euripidea. Fonte d’ispirazione, per loro,
sono fenomeni tristemente noti come la successione di regimi non democratici, le
guerre combattute tra le varie etnie, le ideologie ispirate nel profondo alla conquista
del potere, l’esproprio dei territori da parte di profittatori senza scrupoli nell’ultimo
decennio del XX secolo; e ancora i genocidi, le pulizie etniche, le madri senza figli, il
sacrificio delle categorie più deboli e innocenti, il fenomeno dei nuovi emarginati,
degli eroi nazionali, degli esiliati, degli apatridi, il perpetuarsi dell’abuso di potere,
dell’egoismo, della corruzione di pochi e della conseguente povertà di molti. Questi
sono solo alcuni motivi che giustificano una fioritura senza precedenti dei drammi
jugoslavi ispirati al mito degli Argonauti e di Medea, nonché delle rivisitazioni
soprattutto teatrali del dramma euripideo nel corso degli ultimi cinquant’anni.
Lo scopo di questo elaborato è di trattare queste ‘Medee jugoslave’ come
‘sintomi’ delle patologie vigenti nella regione balcanica, ma ancora poco studiate in
sede accademica (con poche eccezioni, fra cui Medea contemporanea)
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. Per poter
affrontare l’argomento ho dunque dovuto procedere a una ricerca preliminare ad
ampio raggio che comprendesse le rivisitazioni di Medea e del mito argonautico nel
teatro, nella lirica, nel cinema e nel balletto jugoslavo dagli anni Sessanta ad oggi; il
risultato è la tavola cronologica riportata in calce a questa premessa. Nel corso della
ricerca ho raccolto una grande quantità di copioni degli spettacoli, video registrazioni
degli stessi, testi critici, articoli, volumi e saggi in varie lingue e di varie nazionalità
che affrontano l’argomento in modo diretto o indiretto e che in parte sono confluiti in
questa tesi. Purtroppo su alcuni di questi drammi ci sono poche informazioni, o
nessuna, e molti sono penalizzati dalla difficile reperibilità fisica o dall’impossibilità di
entrare in contatto con gli autori o i detentori dei diritti. Anche tenendo conto di
questa difficoltà, lo spoglio dei dati confluiti nella tavola cronologica, in primo luogo,
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Rubino, C. Degregori, Medea contemporanea. Lars von Trier, Christa Wolf, scrittori balcanici, a cura
di M. Rubino, D.AR.FI.CL.ET., Genova, 2000; il saggio sugli scrittori balcanici contenuto nel volume
riporta due testi ispirati al mito di Medea, commenti sugli stessi e resoconti di altre tre versioni di
Medea nate nell’ultimo decennio del XX secolo nella ex Jugoslavia.
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permette di anticipare almeno un dato su cui torneremo: l’assenza di versioni notevoli
di Medea nel periodo che va dalla metà degli anni ’60 fino alla metà degli anni ’80 (e
di conseguenza tale ventennio esula dalla nostra analisi). In secondo luogo, dato il
vasto materiale raccolto, ho dovuto necessariamente operare una selezione, e
situare ogni produzione in un adeguato quadro storico. L’analisi segue pertanto una
scansione cronologica e si struttura in quattro macro-periodi corrispondenti ad
altrettanti capitoli. In ogni capitolo l’esame delle Medee più rappresentative e
significative del periodo è preceduto da una descrizione del contesto storico-culturale
jugoslavo: rispettivamente il secondo dopoguerra, le guerre in Croazia e nella
Bosnia-Erzegovina (1991-1995), il periodo della relativa pace (1995-2000) e il nuovo
millennio (2000-2010).
Prima che il lettore si addentri nelle Medee jugoslave rinchiuse tra le copertine
di questa tesi, e prima che egli scopra quante esperienze dolorose in realtà si
possano condividere con questa figura archetipica (ripugnante, ma nello stesso
tempo stranamente vicina), mi sembra doveroso chiarire il mio punto di vista
sull’argomento: una tragedia personale e collettiva mi ha spinta ad occuparmi con
maggior passione di questo argomento e – forse – rievocarla potrebbe rendere
anche il lettore italiano un passo più vicino alla tragedia di questa donna ‘jugoslava’.
Sono nata nella vecchia Jugoslavia. Cinque anni dopo la mia nascita la mia
innocente patria iniziò a ‘perdere sangue’: la guerra in Slovenia, la guerra in Croazia,
la guerra in Bosnia-Erzegovina. Solo due anni dopo, la Macedonia non fa più parte
della Jugoslavia. Io continuo a vivere nella stessa città, ma non più nella Repubblica
Socialista Federale di Jugoslavia, bensì nella Repubblica Federale di Jugoslavia
(l’unione delle sole Serbia e Montenegro). Quattro anni dopo si combatte un’altra
guerra nel mio Paese, la guerra in Kosovo. Tre anni dopo le forze NATO
bombardano le città della nuova Jugoslavia per tre lunghi mesi. Quattro anni
passano e il mio Paese ha un nuovo nome: Serbia e Montenegro. Altri tre anni e
Belgrado non è più la mia capitale. Sono sempre nella solita città, ma vivo in un
nuovo Stato indipendente, il Montenegro. Il mio passaporto e la cittadinanza sono
montenegrini. Non parlo più serbo, ma montenegrino (anche se la lingua è sempre la
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stessa…). Infine, non vivo più neanche in Montenegro, ma in Italia: un Paese del
cosiddetto ‘primo mondo’ dove sono straniera, extracomunitaria, sempre diversa,
sempre incompresa, fatico con la lingua e cerco disperatamente di integrarmi.
Proprio come fa Medea una volta approdata in Grecia. La mia situazione è resa
ancora più difficile dal fatto che provengo da un mondo ‘barbaro’ balcanico: come
l’esule Medea, che ha lasciato la sua patria barbara, la Colchide, per emigrare nella
‘civilizzata’ e ‘democratica’ Grecia.
La mia identità, come quella di tanti immigrati e ‘apatridi’, è abbastanza
scossa. Ma credo che col passar del tempo, con la pazienza, con la tolleranza e con
la somma di conoscenze legate alle culture diverse, si arriva finalmente a se stessi e
alla propria casa. Ovunque si sia. Sono jugoslava e ‘jugonostalgica’ e so di non
essere unica ad esserlo, anche se quel paese non c’è più né ci sarà mai più. Tuttavia
non riesco a non sperare che ogni nuovo nato sia più intelligente e più buono del suo
genitore.
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I. Medea nel Secondo Dopoguerra
I.1. Il contesto
La seconda guerra mondiale è finita. La Jugoslavia è liberata dall’occupazione
nazista fascista grazie alla “Fratellanza e Unità” delle forze partigiane provenienti da
tutti i territori della Jugoslavia ormai comunista: la rivoluzione socialista guidata dal
partigiano e Maresciallo Tito riesce a rovesciare il vecchio governo monarchico ed è
così che nasce la Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia
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.
La “Fratellanza e Unità” tenute sotto controllo dal regime fanno della
Jugoslavia un Paese dal socialismo autogovernato, o meglio, un Paese totalitario
con un forte elemento propagandistico che orienta il futuro dei popoli jugoslavi
scegliendo le ‘verità’ da trasmettere alle nuove generazioni del tempo di pace. Per
comprendere la produzione teatrale del periodo post-bellico, e anche di quello
successivo, è necessario ripercorrere brevemente i principi dell’ideologia della
Jugoslavia comunista. Queste sono, in particolare, le prime direttive: innanzitutto, è
necessario ‘dimenticarsi’ della guerra civile che si svolge parallelamente alla guerra
di liberazione: i partigiani (comunisti atei) contro i cetnici (l’esercito monarchico
ortodosso) e gli ustascia (croati nazisti cattolici). I cetnici contro i partigiani e gli
ustascia, gli ustascia contro i cetnici e i partigiani. In altri termini è una guerra di
religione, oltre che politica, a insanguinare la nascita della Jugoslavia comunista;
occorre anche ‘dimenticarsi’ del fatto che un milione di fratelli, figli e mariti innocenti
muoiono per mano ‘fraterna’ nel conflitto delle ideologie, vengono buttati nelle fosse
comuni o ferocemente massacrati nei campi di concentramento come per esempio
quello di Jasenovac nella Croazia nazista – Stato Indipendente di Croazia (1941-
1945). Si è indotti a credere che ci sia un sostanziale equilibrio nel numero di vittime
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Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia o semplicemente Jugoslavia, era la federazione di sei
repubbliche oggi indipendenti (Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Serbia, Montenegro e
Macedonia) nelle quali vivevano uniti cinque popoli slavi del Sud: sloveni, croati, serbi, montenegrini e
macedoni.
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cadute da ciascuna parte (il motto “Fratellanza e Unità” è basato sul principio di
uguaglianza tra i popoli e le nazionalità); l’ateismo di Stato diventa la religione di
Stato comunista e quindi anche l’ora di religione viene abolita nelle scuole: la
rinuncia pubblica e la soppressione della religione è giustificata con il fatto che le
differenze religiose inaspriscono le differenze tra le nazionalità jugoslave, minando la
fratellanza e unità per poi, a sua volta, portare alla nascita del nazionalismo e dello
sciovinismo; il regime assegna grande importanza alle commemorazioni della
Seconda guerra mondiale. Molte energie politiche e intellettuali vengono investite
nella costruzione di migliaia di monumenti e memoriali in tutto il paese che celebrino
la grande epopea partigiana e il progetto di costruzione di una società nuova. A
partire dal ’43 si creano gli ordini, decorazioni, medaglie (utilizzati per tutta la storia
della Jugoslavia): l'ordine dell'Eroe nazionale, l'ordine della Liberazione nazionale,
l'ordine della Stella partigiana, l'ordine della Fratellanza ed Unità, l'ordine e la
medaglia per il Coraggio.
Dal 1948 in poi, cioè a partire dalla rottura di Tito con Staljin, chiunque osi dire
qualcosa contro il regime titino o nominare Staljin con apprezzamento viene liquidato
o portato sull’Isola Calva (Goli Otok)
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dove è costretto a praticare il lavoro forzato di
natura ‘educativa’ per tornare in società ‘depurato’, politicamente rieducato e
convertito al titoismo, l’unica ‘corretta’ prassi dell’ideologia marxista-leninista. Grazie
alla repressione e alla propaganda, il popolo man mano viene addestrato a ricevere
gli stimoli ideologici propagati dallo Stato, ossia a vedere il mondo in bianco e nero:
attraverso la TV bianca e nera e altri media del contenuto propagandistico e
monotono e attraverso le espressioni culturali che hanno come scopo principale
quello di glorificare e esaltare il regime o di essere politicamente neutrali.
Nel nostro caso specifico, per meglio valutare l’unica riscrittura (di cui si ha
notizia) di Medea del periodo, occorre ricordare che le donne hanno svolto un ruolo
di grande importanza per il buon esito della guerra di liberazione popolare e della
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Goli Otok fu la sede di un campo di concentramento della Jugoslavia (oggi in Croazia) destinato a
ospitare gli oppositori al regime di Tito (comunisti, jugoslavi e non, vicini alle posizioni staliniste). Oltre
a questi il campo ospitò detenuti politici anticomunisti e criminali comuni.