INTRODUZIONE
Ricordo bene il periodo in cui mi sono avvicinata alle opere di Maurice
Merleau-Ponty.
Un collega mi suggerì di leggere i testi del filosofo francese, dopo che gli
avevo parlato delle mie esperienze in teatro e del lavoro accanto a Raffaella
Giordano
1
.
Era la primavera del 2009, poco più di un anno dopo il mio primo incontro
con Raffaella.
Per molto tempo, durante la lettura delle opere del filosofo e degli studi sul
suo pensiero, mi sono interrogata su come sviluppare un lavoro che ponesse
accanto il pensatore francese e la danzatrice
2
. Da un lato l’ abitudine –
acquisita negli anni di studi filosofici – al rispetto della diversità dei periodi
storici, delle situazioni, degli ambienti in cui operano uomini, a loro volta
diversi, e, parimenti, un’abitudine ad un analisi filologica dei testi, mi
tenevano lontana da facili entusiasmi per riconoscimenti universali. Mi
spiego: la storia è piena di tentativi di divulgazione mal riusciti o di dubbi
accostamenti di pensiero in cui le riflessioni dei grandi autori vengono
appiattite con traduzioni discutibili, quando non del tutto errate, sebbene alla
base di queste operazioni ci sia lo scopo – anche ben intenzionato – di far
accostare il grande pubblico alla storia del pensiero umano. Spesso , l’unico
risultato è un ingenuo riconoscersi dei lettori in quei testi
“contemporaneizzati”, trasformati in una serie di aforismi, che rivelano in
1 Scheda biografica p. 148.
2 Uso questa distinzione solo per ovvi motivi di leggibilità. Sarebbe un controsenso –
soprattutto all’interno di un lavoro dedicato ad un pensatore che ha cercato di eliminare le
rigide distinzioni in cui si racchiudeva il mondo – considerare Raffaella Giordano al di
fuori del pensiero che accompagna costantemente la sua attività e, viceversa, Merleau-
Ponty unicamente come un filosofo nel senso più tecnico del termine. La lettura
dell’ultimo paragrafo della tesi e le ultime battute di questa introduzione rischiareranno
quanto ho affermato.
4
ultima istanza un’immutabilità del pensiero e del sentire umano nella storia.
Una consolazione troppo facile, un’umanità che diventa astratta.
Quanto del pensiero, che avevo potuto ascoltare dalla voce della Giordano,
poteva incontrarsi con le parole scritte da Merleu-Ponty tra le macerie del
secondo conflitto mondiale? Quanto ero in grado veramente, io stessa, di
controllare quel certo stato febbrile che scaturiva ogniqualvolta incontravo tra
gli appunti dei laboratori, le opere del filosofo e degli studiosi, espressioni
simili o combacianti? Quanto il mio vissuto avrebbe forzato in direzione
positiva l’idea di un legame tra le esperienze di questi due uomini?
Dall’altro lato, la forza delle riflessioni, che andavo maturando dopo gli
incontri con la grande artista – forza di un pensiero che conasceva al
mutamento della mia condizione, attraverso l’esperienza vissuta di lavoro col
corpo – mi impediva di desistere dal tentativo di intraprendere questo studio
di tesi.
Un senso di convergenza mi appariva nell’intreccio di questi miei vissuti e, al
contempo, un desiderio di esprimerlo.
Di più, avevo da sempre coltivato – da quando, nella mia vita, ho avuto modo
di riflettere su questi temi – il sentire di una storia che non si ripiegasse su di
un superficiale (come ho già detto, consolatorio) universalismo e che non
fosse, però,nemmeno rinchiudibile in rigorosi schemi deterministici. C’è una
dimensione più complessa, d’altronde – non vanto alcun primato in questa
considerazione – basta un minimo livello d’osservazione del mondo, della
nostra condizione a far percepire la complessità del “reale”. Il rapporto con la
storia è completamente avvolto in questa complessità.
A questo proposito, ricordo un momento di riflessione significativo durante la
settimana di lavoro con Raffaella Giordano a Lecce. Era un momento di
pausa, stavamo per rientrare in sala. Un mio compagno affermò con aria
frettolosa e spazientita l’inutilità del lavoro di un gruppo di teatro storico
internazionale (di cui non è necessario fare il nome) e l’inutilità dei giorni in
5
cui il nostro gruppo aveva lavorato con una delle sue esponenti: << non se ne
può più di quel teatro, ormai sono morti! >>. Raffaella, che lo guardava
attentamente, ripiegò la testa verso il basso in un silenzio denso. Si poteva già
riconoscere in questo gesto quello che avrebbe detto pochi istanti dopo. Un
senso di riflessione profonda, di rispetto per le espressioni umane che si
manifestano nel tempo, un senso di chi guarda al passato, al presente come
dimensioni aperte. Non s’interroga il tempo come successione d’istanti, ma
come spessore di esistenze. Raffaella, che in quei giorni ci mostrava e ci
conduceva a ritrovare un contatto originario del corpo a questo mondo
attraverso gli elementi primari che sostengono la nostra risposta alla vita, –
materia, peso, respiro – rispose a quelle parole: << Dobbiamo ascoltare il
lavoro di chi, come quella donna, ha cercato di abitare la sua condizione in
quel tempo >>.
Mentre lavoravo alla prima parte di questa tesi, in cui ho cercato di collocare
la ricerca del filosofo nel 900 e di descrivere il suo rapporto con il pensiero di
alcuni autori che l’hanno preceduto, ho trovato nelle parole di Merleau-Ponty
quella concezione di storia su cui riflettevo. L’analisi della
temporalità,presente in Fenomenologia della percezione, e alcune riflessioni
rinvenute nelle altre opere consultate mi hanno ulteriormente incoraggiata
sulla scelta di questa direzione.
<< Ogni commemorazione è anche tradimento >>
3
afferma Merleau-Ponty,
all’inizio de Il filosofo e la sua ombra, articolo dedicato specificamente ad
Husserl, di cui << non ci si stanca di ammirare la sottile bellezza >>
4
. Per il
filosofo, l’idea di poter definire esattamente che cosa appartiene ad un
3 Merleau-Ponty, IL filosofo e la sua ombra, in Segni, Il Saggiatore, Milano, traduzione di
G. Alfieri, p. 211.
4 E. Lisciani Petrini, La passione del mondo, saggio su Merleau-Ponty, Edizioni
scientifiche italiane, Napoli, 2002, p.73, cit. E. Levinas, in De l’ intersubjectivité. Notes
sur Merleau-Ponty.
6
pensatore, specie se si tratta di uno studioso dello spessore di Husserl (un
filosofo << la cui opera ha destato tanti echi, apparentemente così lontani dal
punto in cui egli stesso rimaneva >>
5
) è impensabile.
Ecco perché ricordare significa anche tradire e questo accade, continua
Merleau-Ponty << sia che gli facciamo l’omaggio, certo superfluo, dei nostri
pensieri, come per trovare loro un garante di cui non hanno diritto, sia che,
con un rispetto non privo di distanza, lo riduciamo invece troppo rigidamente
a ciò che egli stesso ha voluto e detto >>
6
. Sia che, come ho detto all’inizio,
cediamo a riconoscimenti universali o pieghiamo il pensiero degli altri ai
nostri scopi, sia che cerchiamo di chiudere la storia e il pensiero in strutture
deterministiche. A quel punto del mio discorso ho lasciato “sospesi” alcuni
interrogativi che riguardavano appunto questa oscillazione tra personalismo e
dimostrazione. Una sospensione necessaria, dato che il problema non è tanto
quello di trovare una risposta, una soluzione a queste domande, quanto quello
di constatare l’esistenza di queste oscillazioni nella trama complessa della
realtà , di prendere atto di questa condizione e di mutare il nostro sguardo sul
mondo. Se perderemo la quiete delle facili consolazioni o la sicurezza delle
spiegazioni, guadagneremo forse una vicinanza ad un senso più profondo.
Merleau-Ponty continua la sua riflessione, osservando che la problematica
considerata trova posto nella difficoltà generale – di cui anche Husserl aveva
parlato – della comunicazione interindividuale: la percezione dell’altro non è
mai oggettiva.
<< Io mi attingo all’altro, lo costruisco con i miei propri pensieri: questo non è uno scacco
della percezione dell’altro, bensì la percezione dell’altro. Noi non la graveremmo dei nostri
commenti importuni, non la ridurremmo avaramente a ciò che di lui è attestato, se anzitutto
egli non fosse là per noi, non già con l’evidenza frontale di una cosa, ma insediato
5 Merleau-Ponty, IL filosofo e la sua ombra, cit. p. 211.
6 Ibid ., p. 211.
7
trasversalmente nel nostro pensiero, occupando in noi come un altro noi stessi, una regione
che appartiene a lui solo. Tra una storia oggettiva della filosofia, che mutilerebbe i grandi
filosofi di ciò che hanno fatto pensare agli altri, e una meditazione camuffata da dialogo, in
cui faremmo noi le domande e le risposte, ci deve essere qualcosa d’intermedio, ove il
filosofo del quale si parla e colui che parla sono presenti insieme, benché sia impossibile,
anche in linea di diritto, distinguere ad ogni istante, ciò che appartiene a ciascuno >>
7
.
In questa zona intermedia ho cercato allora di porre le riflessioni di questo
lavoro, tenendo inoltre presente la considerazione basilare che la Giordano,
come l’umanità contemporanea in genere, è, senza dubbio, un’erede di quel
patrimonio culturale, in cui il “ripensamento” fenomenologico sull’uomo e sul
mondo occupa un posto fondamentale. Tuttavia, considerate le premesse che
si sono fatte sulla complessità della storia, ritenevo che una nozione così
generica di contemporaneità non soddisfacesse appieno le intenzioni che mi
ero preposte.
E ancora ho incontrato le parole di Merleau-Ponty:
<< Nel fatto che si progredisce solo obliquamente, e che ogni idea nuova diviene, dopo
colui che l’ha istituita, qualcosa di diverso da ciò che era in lui, si deve vedere quasi una
legge di cultura. Un uomo non può ricevere una eredità di idee senza trasformarle per il
fatto stesso che ne prende conoscenza, senza infondervi il suo proprio modo d’essere,
sempre diverso. […] Libero di dire sì o no, e anche di motivare e di circoscrivere
diversamente il suo assenso o il suo rifiuto, lo scrittore non può tuttavia fare a meno di
scegliere la sua vita in un certo paesaggio storico, in una data situazione di problemi che
esclude certe soluzioni, anche se non se ne impone nessuna, e che dà a Gide, a Proust e a
Valery, per quanto possano essere diversi, la qualità irrecusabile di contemporanei >>
8
.
7 Ibid., pp. 211, 212.
8 Maurice Merleau-Ponty , L’uomo e l’avversità, in Segni, Il Saggiatore, pp. 294, 295.
8
Un’idea di contemporaneità, che non viene ricostruita in modo rigoroso, ma è
orientata a svelare quelle affinità segrete che emergono nell’esistenza
interindividuale, in cui le idee, la storia sono sedimentate e sono diventate la
nostra sostanza. << Noi siamo gli stessi uomini che hanno vissuto come un
problema loro lo sviluppo del comunismo, la guerra, che hanno letto Gide,
Valery, Proust, Husserl, Heidegger, Freud >>, afferma più avanti l’autore.
Non siamo, dunque, gli stessi uomini, nel senso di un’umanità immutabile,
ma siamo gli stessi uomini che hanno vissuto … Le idee sono legate
indissolubilmente all’esistenza.
Per completare l’involucro di questo mio lavoro ho considerato, quindi, nella
suddetta zona intermedia di presenza, quest’idea di contemporaneità come
affinità legata ad una pulsazione d’esistenza interindividuale. Un articolo
molto interessante di Mauro Carbone, intitolato Il problema della razionalità 9
,
ha costituito un appropriato ponte discorsivo per legare la prima parte del
lavoro, dedicata al filosofo francese, alla seconda, costituita dalle riflessioni
scaturite dall’incontro con Raffaella Giordano. Carbone prende in analisi la
nuova idea di ragione teorizzata da Merleau-Ponty, una ragione che non
dimentichi il proprio sfondo d’irragionevolezza, una ragione che si scopra
precaria rispetto all’abissale mondo della vita e che allo stesso tempo non si
ritenga, per questo, fallimentare. Nella sedimentazione del tempo,
l’esperienza della Giordano partecipa di questa nuova idea di ragione, che
guarda al mondo nel suo mistero e che riscopre nel corpo, a sua volta
enigmatico, il veicolo primo del nostro legame al mondo. Ne deriva un
atteggiamento mutato nei confronti della capacità di pensiero umana: la
riflessione non avrà più il compito di rischiarare l’esistenza, ma di com-
prenderne le stratificazioni inesauribili.
9 Mauro Carbone, Il problema della razionalità, in Merleau-Ponty, Esistenza,
filosofia,politica. A cura di G. Invitto, Guida Editori, Napoli, 1982.
9
Alla base del mio lavoro ci sono dunque queste considerazioni di
convergenza. Ho scelto di indagare questo mutamento di sguardo sulla realtà
attraverso le riflessioni che il filosofo francese compie nelle prime due opere
– La struttura del comportamento e Fenomenologia della percezione –,
riflessioni che preparano il terreno a quel superamento della fenomenologia
stessa, che l’autore porterà a compimento nei sui ultimi lavori. Uno studio su
queste ultime opere , orientato ad indagare le dimensioni più prettamente
estetiche della ricerca merleau-pontyana e, parimenti, uno studio delle
conseguenze che la ricerca dell’artista torinese porta al modo di intendere lo
stare in scena, potrebbero senz’altro costituire – insieme ad ulteriori
considerazioni sull’etica, sulla libertà, sul concetto di umanesimo – materiale
per lavori successivi.
In questa tesi, sebbene siano presenti importanti riferimenti all’arte, ho scelto
di soffermarmi, invece, sugli elementi iniziali del percorso del filosofo
francese, nel tentativo di stabilire una convergenza tra i due autori nella
dimensione di un mutato modo d’intendere la nostra relazione col mondo.
Fatte queste premesse, la tesi si compone di tre parti: la prima parte si
sviluppa attorno alle considerazioni merleau-pontyane sulla trasmissione delle
idee nella storia (ed è volta a collocare l’analisi del pensatore francese nel suo
contesto storico-filosofico in generale , nel vasto movimento fenomenologico
in particolare) e all’osservazione del rapporto che egli instaura con alcuni dei
suoi maggiori interlocutori.
Ho scelto non casualmente d’intitolare il primo capitolo Merleau-Ponty
dentro il Novecento , per sottolineare il senso d’appartenenza vissuta del
filosofo al suo periodo storico e anche la profondità della sua interrogazione
della realtà. Da qui quel “lettore non frettoloso”, titolo del primo
paragrafo,che definisce, oltre alla suddetta capacità profonda di riflessione,
anche la capacità di continua ripresa del pensiero degli autori cui Merleau-
Ponty rivolge la sua attenzione. Attraverso il saggio La passione del mondo,
10
di Enrica Lisciani Petrini
10
, mi inoltro, poi, a considerare quell’idea di uno
sfondo opaco ineliminabile, che caratterizza il nostro legame primordiale col
mondo e che, a vari livelli, esprime il nucleo fondamentale di tutta la ricerca
merleau-pontyana. Attraverso il confronto con due dei grandi interlocutori del
filosofo francese, verrà alla luce il significato di questo nucleo fondamentale
costituito dalla paticità del mondo. Merleau-Ponty decide di sondare
quell’abisso, costituito dal mistero del corpo e del mondo, che Cartesio aveva
con un tremito immediatamente richiuso 11
, giacché egli aveva distinto << il
corpo quale è concepito dall’uso della vita, dal corpo quale è concepito
dall’intelletto. Ma per lui, questo sapere singolare che noi abbiamo nel nostro
corpo solo perché siamo un corpo, rimane subordinato alla conoscenza per
idee,[…] >>
12
. E, ancora, il filosofo francese decide di rischiare l’ impensato
di Husserl, quella tesi del mondo, anteriore a tutte le tesi, quell’Essere grezzo,
selvaggio che il pensatore di Lovanio << lo volesse o meno,contro i suoi
disegni e secondo la sua audacia essenziale >>
13
aveva risvegliato.
La seconda parte della tesi è costituita dall’analisi delle prime due opere
dell’autore, in cui prende avvio la profonda riconsiderazione della realtà, di
cui si è detto, l’interrogazione merleau-pontyana sulla sensibilità e i suoi
enigmi, verso una riabilitazione ontologica del sensibile.
In particolare, l’analisi si muoverà dalla concezione di un nuovo rapporto
dialettico tra il corpo e il mondo, che l’autore – soprattutto attraverso il
riferimento alla Gestaltpsicologie – raggiunge in La struttura del
comportamento, verso l’ indagine sul corpo come veicolo dell’ essere-al-
10 E. Lisciani Petrini, La passione del mondo, saggio su Merleau-Ponty, cit.
11 Ibid ., p. 64.
12 Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Studi Bompiani, Milano 2003,
traduzione di Andrea Bonomi, p. 271.
13 Merleau-Ponty, IL filosofo e la sua ombra, cit. p. 234.
11
mondo – che abita lo spazio e il tempo – svolta da Merleau-Ponty in
Fenomenologia della percezione.
Ho scelto in entrambe le analisi, di dare molto spazio all’apparato
esemplificativo presente nelle due opere, nella convinzione che gli esempi
fatti dall’autore rivelassero non solo, ancora, la sua capacità di penetrazione
della realtà, ma anche – a prova dell’intento merleau-pontyano fondamentale
di affermare la realtà come insieme di relazioni – un’attenzione all’effettività
concreta e complessa di ciò che l’esperienza ci rivela.
Inoltre, le analisi delle due opere sono precedute da alcuni frammenti di questi
testi stessi, scelti, sia per il loro potere di sintesi (anche metaforica) dei
concetti che vengono esposti nelle pagine successive, sia per un mio tentativo
di individuare nel linguaggio merleau-pontyano un potere espressivo che
supera le caratteristiche dell’argomentazione puramente filosofica.
Se l’intero percorso di ricerca di Merleau-Ponty è teso a riportare il pensiero
nella pesantezza del corpo, non apparirà per nulla strano il fatto che egli tenti
di raggirare, anche nelle sue opere, un linguaggio prettamente tecnico.
Questo aspetto è stato, d’altronde, già messo in evidenza da Claude Lefort,
autore della prefazione francese a L’occhio e lo spirito:
"L'Oeil et l'Esprit n'indique pas seulement ce chemin, il le trace déjà par un certain mode
d'écriture; il ne formule pas seulement une exigence, il la rend sensible. La méditation sur
la peinture donne à son auteur la ressource d'une parole neuve, toute proche de la parole
littéraire et même poétique, d'une parole qui argumente, certes, mais réussit à se soustraire
à tous les artifices de la technique qu'une tradition académique avait fait croire inséparable
du discours philosophique." (p. VIII).
Alla luce di questa riflessione, inoltre, nel tentativo di descrivere la mia
esperienza di lavoro accanto a Raffaella Giordano, l’ultimo paragrafo di
questa tesi presenterà, insieme ad un linguaggio più “tecnico”, un linguaggio
narrativo-poetico. Significativamente,infatti, ho intitolato questo paragrafo
12