6principio, un’illimitata capacità per i liberti di contrarre nozze con altri
membri della civitas
2
.
Le fonti al riguardo sono numerose.
Partiamo da un passo di Macrobio che è di particolare interesse ai fini
della nostra indagine sulla possibilità di matrimonio fra liberta e patrono in
età repubblicana.
Macr. Sat.1.6.11-14: Libertinis vero nullo iure uti praetextis
licebat ac multo minus peregrinis, quibus nulla esset cum
Romanis necessitudo. Sed postea libertinorum quoque filiis
praetexta concessa est ex causa tali, quam M.Laelius augur
refert; qui bello punico secundo duumviros dicit ex senatus
consulto propter multa prodigia libros Sibyllinos adisse et
inspectis his nuntiasse in Capitolio supplicandum
lectisterniumque ex collata stipe faciendum, ita ut libertinae
quoque, quae longa veste uterentur, in eam rem pecuniam
subministrarent. Acta igitur obsecratio est pueris ingenuis
senatoria come è attestato dalle fonti” (p.50).
2
R. LEONHARD, v.“conubium”, in PW.RE 4.1 (1900), 1170 ss.; O.KARLOWA,
Römische Rechtsgeschichte, Leipzig, 1885-1901,2.172; E. COSTA, Cicerone
giureconsulto 1, Roma, 1964, 287 nt.3; P. E. CORBETT, The Roman Law of Marriage,
Oxford, 1930, 31; C. COSENTINI, Studi sui liberti. Contributo allo studio della condizione
giuridica dei liberti cittadini, Catania, 1948, 1.49 ss; A.WATSON, The Law of Persons in
the Later Roman Republic, Oxford, 1967, 32 ss.; S. TREGGIARI, Roman Freedmen durimg
the Late Republic, Oxford, 1969, 82 ss.; ID.,Roman Marriage. Iusti Ciniuges from the
Time of Cicero to the Time of Ulpian, Oxford, 1991, 64; M. KASER, Das römische
Privatrecht, München, 1971, 315; R. VILLERS, Le mariage envisagé comme institution
d’État dans le droit classique de Roma, in ANRW. 2.14 (1982), 295; E. BALTRUSCH,
Regimen Morum: Die Reglementierung des Privatlebens der Senatoren und Ritter in der
römischen Republik und frühen Kaiserzeit, Vestigia 41, München, 1989, 164; R.
ASTOLFI, La lex Iulia et Papia
4
, Padova, 1996, 99; T. A. J. MCGINN, Prostitution,
7itemque libertinis, sed et virginibus patrimis matrimisque
pronuntiantibus carmen: ex quo concessum ut libertinorum
quoque filii, qui ex iusta dumtaxat matre familias nati fuissent,
togam praetextam et lorum in collo pro bullae decore
gestarent
Il brano deve leggersi in relazione agli avvenimenti che in quegli anni
caratterizzano la storia di Roma. E’il periodo della seconda guerra punica e
la pressione delle truppe annibaliche diviene sempre maggiore: la
situazione politica, il timore diffuso, potrebbero contribuire alla vittoria del
valoroso condottiero ed abile stratega cartaginese sull’esercito romano.
A Roma regna la confusione ed un senso di smarrimento diffuso; la
catastrofe sembra imminente: il clima è tale per cui bisogna rinsaldare gli
animi, e riportare ad unità di intenti la popolazione. Si rende, quindi,
necessaria una partecipazione più incisiva degli appartenenti alla classe
libertina: pertanto si interrogano gli oracoli, si rimuovono alcuni
impedimenti e si attua una demagogica parificazione dei liberti agli
ingenui sia pure a livello formale.
Ai libertini
3
, infatti, era vietato l’uso della toga praetexta (Libertinis
vero nullo iure uti praetextis licebat) privilegio esclusivo degli ingenui: in
Sexuality and theLaw in Ancient Rome, New York – Oxford, 1998, 85 ss.
3
Il termine libertini indica la condizione di coloro “qui servitutem servierunt”
(Liv.40.18.7:…civibus Romanis, qui servitutem servissent; Liv.45.15.5….in quem omnes
qui servitutem servissent.; Gai. 1.10-11: Rursus liberorum hominum alii ingenui sunt, alii
libertini. Ingenui sunt qui liberi nati sunt; libertini qui ex iusta servitute manumissi sunt).
In particolare tale termine si riferisce ai manomessi ed ai loro discendenti, quale categoria
sociale da contrapporre agli ingenui. Nelle fonti, inoltre, appare spesso utilizzato anche
libertus per indicare la condizione del manomesso rispetto al manomissore. Al riguardo v.
T. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht, cit., 420 ss.= Le droit public romain, cit., 2 ss.; S.
8occasione del lectisternio, cui fa riferimento Macrobio, tale divieto fu
rimosso (libertinorum quoque filiis praetexta concessa est); di esso
riferisce il motivo e l’occasione l’augure M. Caelius (ex causa tali, quam
M. Laelis augur refert). Con un senatoconsulto emanato a seguito degli
innumerevoli prodigi verificatisi, i duumviri consultarono i libri sibillini ed
annunciarono la necessità di una supplica e di un lectisternio, organizzato
sulla base di una colletta, alla quale pecuniam subministrarent libertinae
quoque, quae longa veste uterentur.
Al carmen presero parte fanciulli, ingenui e libertini, nonché giovinette
patrimis matrisque
4
. Dopo tale cerimonia religiosa fu concesso anche ai
PEROZZI, Istituzioni di diritto romano
2
, I, 274; C. COSENTINI, v. Liberti, in NNDI; IX,
Torino, 1982, 881; M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, 98; F.
CALONGHI, v.Libertinus, in Dizionario Latino italiano, 1990, 1579-1580; V. ARANGIO-
RUIZ, Istituzioni di diritto romano
14
, Napoli, 1993, 51 (“ …ingenui sono coloro che sono
nati liberi e sempre rimasti tali; libertini coloro che nacquero servi o comunque subirono
una iusta servitus dalla quale furono affrancati”); A. GUARINO, Diritto privato romano
10
,
Napoli, 1994, 316, 24.2.
4
La condizione di virgo “patrimia” e “matrimia” era un requisito giuridico richiesto
alle Vestali per potere rivestire il sacerdozio. Per il significato di tale espressione,
accettabile pare la testimonianza di Festo v. “Matrimes ac patrimes”, L.113 “Matrimes ac
patrimes dicuntur, quibus matres et patres adhuc vivunt” dalla quale si desumerebbe che
il significato di patrimi – matrimi, sia quello di fanciulli i cui genitori siano ancora viventi
(così J. MARQUARDT, La vie Privée des Romains 1, Paris, 1892, 84 e, F. GUIZZI, Aspetti
giuridici del sacerdozio romano. Il sacerdozio di Vesta, Napoli, 1968, 83 nt.40, che
ritiene tale requisito necessario per ricoprire il rango di virgo vestalis). Ma sulla base di
altre testimonianze non può escludersi il riferimento alla ingenuità: in tal senso J.
MARQUARDT, Le cult chez les Romanis, Paris, 1889-1890, 274, nt.2). 3) e 4) seguito da F.
Guizzi (Per la storia della “praefectura urbi”, Napoli, 1981) il quale desume da Serv.ad
aen.11.557, Dion.2.22, Macr.3.8.7; Serv.ad Aen.11.543 che la condizione di patrimi e
matrimi riassuma quella di “impuberes” “iuvenis” “liberi” “ingenui”.
Erronea sembra essere la testimonianza di Servio ad Georg.1.31 che fa riferimento ai nati
da un matrimonio confarreato: “unde confarreatio appellabatur, ex quibus nuptiis patrimi
et matrimi nascebantur”. (A tal proposito G.GIANNELLI, Il sacerdozio delle Vestali
romane, 1913, 51 nt.6.) Sull’argomento v. ancora P. DE FRANCISCI, Primordia civitatis,
Roma, 1959, 282 nt. 617; ID., Arcana Imperii, 1970, 282 nt. 17 e relativa bibliografia;
G.FRANCIOSI, Clan gentilizio e strutture monogamiche, cit., 55 nt.13
9figli nati da una “iusta mater familias” il diritto di indossare la toga
praetexta ed i lorum, al quale tenere appesa la bulla.
Il brano ha costituito oggetto di diverse interpretazioni in relazione al
riconoscimento dell’esistenza di conubium fra ingenuo e liberta.
In particolare Franciosi afferma che nel passo non sembrerebbe esservi
alcun accenno alla problematica del matrimonio fra liberta e ingenuo
5
, in
quanto vi sarebbe soltanto il riferimento ai figli nati dall’unione di una
iusta mater familias con un liberto.
Egli si contrappone, così, alla dottrina precedente che aveva
argomentato diversamente proprio partendo dalla testimonianza di
Macrobio.
In particolare C. Castello
6
leggeva il passo dei Saturnalia
interpretandolo nel senso che prima del lectisternio cui si fa riferimento, la
liberta non poteva vivere neppure in concubinato con il proprio patrono; a
5
Clan gentilizio e strutture monogamiche, cit., 53-55: “Le concessioni fatte ed i
divieti rimossi a favore del ceto libertino hanno un carattere puramente formale ed
onorifico: nessun cenno vi è nel testo alla possibilità di conubium fra ingenuo e liberta
(p.55).
6
In tema di matrimonio e concubinato nel mondo romano, cit., 57 ss. Il romanista
testualmente scrive:“Come si vede dal passo appare chiaro che prima di questo
lectisternio una liberta non poteva vivere in concubinato col proprio patrono: dopo di
allora essa potè vivere con esso anche in matrimonio, ed i figli nati da tale unione furono
ritenuti legittimi. In questo caso è riconosciuta la legittimità ai nati dopo che è stato tolto
un impedimento di carattere religioso” (p.58). E ancora: “Il passo di Macrobio ci attesta
l’epoca in cui fu permesso pure a questi due (ingenuo e liberta propria) di sposarsi, ed in
cui alla donna fu concessa la qualifica di materfamilias” (p.70). Non mi pare, comunque,
che il divieto di matrimonio anche se esistente fra liberta e ingenuo sia riconducibile ad
un impedimento di carattere religioso; l’impossibilità di prendere parte al lectisternio
propiziatorio dovrebbe, invece, essere una conseguenza della scarsa considerazione
sociale in cui ricadevano le nozze fra ingenuo e schiava manomessa. Pertanto, non può
ritenersi che l’impossibilità di partecipare a determinate cerimonie religiose determinasse
l’illegittimità delle unioni con le liberte ma al contrario che fosse proprio la riprovazione
sociale che colpiva siffatte unioni a determinare alcuni impedimenti anche a livello
religioso.
10
far data da tale avvenimento, sostiene sempre Castello, essa potè vivere in
matrimonio ed i figli nati da tale unione furono considerati legittimi.
Cosentini
7
, invece, ritiene che nel testo già si presupponga la legittimità
delle nozze fra ingenui e liberte e, pertanto, esclude che il brano possa
costituire una testimonianza della data a partire dalla quale fu riconosciuta
la legittimità di tali unioni, poiché si fa soltanto riferimento al momento in
cui fu concessa la toga ai figli nati da un liberto sposato con una iusta
mater familias. Dal citato passo di Macrobio il romanista argomenta che
sarebbe stato concesso alle liberte il privilegio di portare la veste lunga,
segno distintivo delle matrone e che, l’avvenimento religioso con la
conseguente concessione della veste lunga alle liberte, sarebbe stato
menzionato soltanto al fine di riferire l’episodio a partire dal quale sarebbe
stata concessa la toga ai libertini. Nessun accenno vi sarebbe, dunque, alla
problematica del conubium con la liberta la cui legittimità è presupposta
8
.
7
Studi sui liberti, cit., 1.57 ss.
8
Scrive testualmente Cosentini (Studi sui liberti loc.ult.cit): “Ma ritengo che il passo
di Macrobio non possa valere neanche a dimostrare che solo a partire dal riferito
lectisternio furono iustae le nozze fra ingenuo e liberta, poiché, a mio avviso, già nel
testo si presuppone la legittimità di queste unioni sin dal tempo anteriore. A me sembra
infatti che il testo di Macrobio possa valere solamente come una testimonianza per
segnare la data a partire dalla quale ai libertini fu concesso di portare la toga pretexta ed il
collare di cuoio (lorum) per tenervi appesa la bulla….. A mio credere nel testo si
menziona l’episodio religioso (lectisternium) in cui fu concessa la veste lunga alle liberte,
solo allo scopo di riferire l’avvenimento a partire dal quale (ex quo) ai libertini fu
concessa la toga” (p. 58). “……Pertanto non crediamo che il testo di Macrobio possa
giovare come una testimonianza per stabilire la data a partire dalla quale fu riconosciuta
la legittimità delle nozze fra liberti e ingenui (e tanto meno fra patrono e liberta come
vorrebbe il CASTELLO). Il testo presuppone, come abbiamo detto, la legittimità di queste
unioni ed ha soltanto riferimento alla data in ci fu concessa la toga ai figli nati da un
liberto con una iusta materfamilias”(p.59-60).
11
Humbert
9
afferma, invece, che il passo non può in nessun caso essere
preso in considerazione per la problematica delle nozze fra ingenui e
liberte: esso indicherebbe soltanto che durante la seconda guerra punica
sarebbe stato riconosciuto ai figli di liberti il diritto di indossare la toga
praetexta. A suo avviso, l’interpretazione di Castello
10
, per il quale tale
cerimonia religiosa segnerebbe il momento del riconoscimento della piena
legittimità delle unioni fra liberta e patrono, sarebbe errata, in quanto nel
passo si attribuisce soltanto la qualità di iusta mater familias alla liberta
moglie di un liberto. La testimonianza riguarderebbe solamente le unioni
socialmente omogenee, cioè fra liberti. La liberta, moglie, di un ingenuo
non è mater familias ed i suoi figli non avranno il diritto di indossare la
toga praetexta.
In ogni caso il brano è concordemente considerato irrilevante nella
problematica della legittimità delle nozze fra ingenui e liberte: esso
attesterebbe, piuttosto, la data a partire dalla quale sarebbe stato concesso
anche ai libertini, purché nati da una iusta mater familias, sia essa ingenua
o liberta moglie di un liberto, il diritto di indossare la toga praetexta ed il
lorum al quale tenere appesa la bulla.
A mio avviso, invece, il passo dimostrerebbe l’esistenza del conubium
fra ingenuo e liberta sin da tempo anteriore alla seconda guerra punica.
Deporrebbe in tal senso l’espressione “libertinae quoque, quae longa
veste uterentur”: essa ha costituito oggetto di analisi da parte di Cosentini
il quale, pur rilevando che la veste lunga era segno distintivo delle
9
Hispala Faecenia et l’endogamie des affranchis sous la Républica, in Index , 15
(1987), 144 -145 nt.21.
10
In tema di matrimonio e concubinato, cit., 58
12
matronae, riconduceva, tuttavia, l’estensione di tale privilegio anche alle
libertae soltanto a far data dal menzionato lectisternio
11
, e considerava,
invece, il passo irrilevante nella problematica del matrimonio della liberta.
Le osservazioni di Cosentini, per quanto suggestive, non mi sembrano
fedeli ad un interpretazione letterale del passo: infatti, Macrobio si limita
soltanto a richiamare le libertinae quae longa veste uterentur, senza
indicare in quale momento sarebbe stato esteso ad esse il privilegio di
indossare la veste lunga.
Tale facoltà è, infatti, presupposta dal momento che si fa riferimento
esplicito alle libertinae, quae longa veste uterentur”
12
.
L’elemento di novità sembrerebbe, invece, costituito dalla possibilità
concessa a n c h e alle liberte che indossino la veste lunga e che, quindi,
siano matres familias di prendere parte alla cerimonia religiosa.
La ‘longa vestis’ può identificarsi, a mio avviso, con la ‘stola’
13
che era
la veste lunga tipica delle donne sposate legittimamente
14
: il riferimento a
11
Tale interpretazione, scaturirebbe da una lettura che attribuisce valore finale
all’espressione quae….uterentur. Non mi pare che l’espressione abbia in questo contesto
valore finale; riterrei più aderente ad un’interpretazione letterale del brano considerare
quae introduttivo di una proposizione relativa, con l’uso del congiuntivo secondo le
normali regole grammaticali dell’attrazione modale.
12
In tal senso J. MARQUARDT, La vie privée des Romains, Paris, 1892, II, 217 nt.2, per
il quale queste libertine che indossano la longa vestis sarebbero, senza dubbio, da
identificarsi con le mogli legittime di cittadini romani.
13
Così BIEBER, v. “stola”, in PW.RE. 4 –A/1, 1931, 59, col.20; G. LEROUX, v. “stola”,
in Daremberg-Saglio, Dictionnaire des Antiquités Grecques et Romaines, 4/2, 1969,
1522.
14
Cfr. Paul. Fest.ep.sent. 125,15. Matronas appellabant fere quibus stolas habendi ius
erat; D.34.2.23.2 Ulp.44 ad Sab. …muliebria sunt, quae matris familiae causa sunt
comparata, quibus vir non facile uti potest sine vituperatione, veluti stolae, pallia tunicae;
Cic. Phil. 2. 18.44. Sed cito Curio intervenit, qui te a meretricio quaestu abduxit et,
tamquam stolam dedisset, in matrimonio stabili et certo collocavit; Mart. Epigr. Quis
Floralia vestit et stolatum permittit meretricibus pudorem?
13
tale indumento è indizio della circostanze che le liberte, che parteciparono
alla colletta per organizzare la cerimonia religiosa propiziatoria, fossero
sposate con ingenui
15
. Il richiamo alla veste costituirebbe, quindi, una
metonimia e starebbe ad indicare le liberte legittimamente sposate per
distinguerle da quelle che invece vivevano in concubinato e, che, quindi,
non potendosi fregiare della vestis longa, ancora in quest’epoca non erano
considerate matres familias ed in quanto tali non avevano diritto di
partecipare alle cerimonie religiose, prerogativa esclusiva delle mogli
legittime.
Pertanto il diritto di partecipare alla cerimonia religiosa viene, in
occasione dei nefandi avvenimenti ai quali Macrobio si riferisce esteso, a
n c h e alle liberte legittimamente sposate. Chiara espressione di ciò è ‘q u
o q u e’ : anche le liberte coniugate possono accedere a quelle cerimonie
religiose che sino ad allora avevano costituito privilegio esclusivo delle
donne ingenue.
Una conferma sull’uso della veste lunga da parte delle donne sposate è
data anche da una fonte non prettamente tecnica.
CIL I
2
.1570.
Boneis probata inveisa sum a nulla proba
fui parens domineis senibus huic autem opsequens
In relazione all’uso della stola, abito caratteristico della mater familias, da intendersi
quale donna unita in giuste nozze, cfr. J. MARQUARDT, (La vie privée des Romains, cit., 1,
72; 2, 216 ss.) il quale così scrive: “C’est au cours de la 2
e
guerre punique que nous
trouvons pour la première fois mentionnée la longa vestis à titre de privilège pour les
femmes mariées, et cette tradition se maintint, toutefois avec une légère modification à
partir du siècle d’Auguste” (p.217).
15
In tal senso, G. LEROUX, v. “stola”, cit., 1522.
14
ita leibertate illei me hic me decoraat stola.
a pupula annos veiginti optinui domum
omnem supremus fecit iudicium dies
mors animam eripuit non veitate ornatum apstulit.
L’iscrizione è dedicata a Larcia Horaea, schiava manomessa da P.
Larcio Nicia e da sua moglie Saufeia e sposata al loro figlio. Essa attesta
che la liberta era moglie legittima del figlio dei patroni dal momento che fa
riferimento esplicito alla stola, indumento tipico delle donne sposate
16
.
La circostanza che la stola
17
sia da identificare con la veste è
confermata anche da
CIL.I.1216
Omnes hei mei sunt: filius illum manu,
ille illam mereto missit et vestem dedit.
Quoad vixsi, vixsere omnes una inter meos.
Eundem mi amorem praestat puerilem senexs.
Monumentum indiciost saxso saeptum ac marmori
circum stipatum moerum multeis millibus.
16
J. MARQUARDT, La vie privée des Romains, cit., 217 nt.2; T.A.J. MCGINN,
Prostitution, sexuality, and the law in ancient Rome, New York-Oxford, 1998, 154
nt.120.
17
Così, B. KÜBLER, VI. Über das ius liberorum der Frauen und die Vormundschaft
der Mutter, ein Beitrag zur Geschichte der Rezeption des römischen Rechts in Ägypten, in
ZSS. 31 (1910), 182.