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Introduzione
In base al presupposto che il linguaggio è unico, ma è l’uso che se ne fa che diverge e
rende esplicita la differente visione di chi si esprime, trattare la narrativa al femminile,
sul femminile, comporta un approccio che tenga conto delle implicazioni sociali,
culturali e storico-politiche del soggetto che scrive, al di là della componente di genere.
Questa infatti, in base ad una prospettiva già post-femminista applicata negli ultimi anni
alla scrittura di genere, non può essere considerata determinante nell’analisi della
produzione letteraria da parte di scrittrici donne. Non si prescinde comunque dal fatto
che l’apporto dello studio di genere iniziato in seguito al diffondersi dei movimenti
femministi, sia stato determinante per l’evolversi di una nozione di scrittura al
femminile considerata “diversa”. Ciò non tanto riguardo ad un carattere fisico,
biologico o psicologico attribuito al sesso di chi scrive, come accadeva nei secoli passati
da parte di numerosi esponenti della scienza o della letteratura, ma per i connotati
sociali, culturali e politici del contesto in cui si trova ad operare e a vivere la scrittrice in
quanto donna.
Nella società spagnola, dalla fine della Guerra Civile nel 1939 e per tutto il periodo
franchista, si assiste ad un profondo arretramento della condizione femminile. Tutte le
conquiste in ambito lavorativo, di accesso allo studio e dei diritti civili ottenute durante
la Repubblica (diritto al voto per le donne nel 1931, legalizzazione del divorzio, ecc.)
vengono cancellate. Il Franchismo infatti ristabilisce l’obsoleto Codice del 1889, che
poneva la donna nelle mani dell’uomo, fosse questo il padre, il fratello o il marito. Alla
donna spagnola della posguerra venne preclusa quindi qualsiasi possibilità di scelta di
vita e di affermazione della propria individualità. Una tale degradazione portò Geraldine
Nichols a definire la donna spagnola, senza esagerazione, “una casta a parte”
1
devalorizzata, come si spinse ad affermare nel 1945 il corrispondente a Madrid del New
York Post,
[a] la Edad Media. Franco le arrebató los derechos civiles y la mujer espaæola no puede poseer
propiedades ni incluso, cuando muere el marido, heredarle, ya que la herencia pasa a los hijos
1
Geraldine Nichols, Des/cifrar la diferencia. Narrativa femenina de la Espaæa contemporÆnea, Siglo
XXI, Madrid, 1992, p. 27.
4
varones o al pariente varón mÆs próximo. No puede frecuentar los sitios públicos en compaæía de
un hombre, si no es su marido, y despuØs, cuando estÆ casada, el marido la saca raramente del
hogar
2
.
La fine della guerra civile aveva lasciato una nazione devastata economicamente, e una
popolazione divisa e decimata da circa un milione di morti per combattimenti,
esecuzioni o stenti e dall’esilio di molti. Lo scopo primario della nuova classe politica
dirigente era riportare l’ordine e il controllo, puntando sulla stabilità della famiglia ed
obbligando quindi la donna a ritornare al focolare domestico, al suo posto di Ængel del
hogar, che le era stato assegnato già dalla metà del XIX secolo in seno alla borghesia
emergente. La Sezione Femminile della Falange si prese carico della missione di
educare le donne ad una femminilità devota, silenziosa, obbediente e paziente, che
anelasse ad essere servitrice di marito e figli, impartendole lezioni di cucina, cucito e
puericultura, gli unici ambiti a lei confacenti. Questa operazione formativa che
annullava la volontà femminile fin dall’infanzia, era naturalmente sostenuta anche dalle
gerarchie ecclesiastiche, che imponevano una morale e un pudore volti ad annichilire
ogni pensiero o desiderio:
“cuando estØs casada, jamÆs te enfrentarÆs con Øl (…) Cuando se enfade, callarÆs, bajarÆs la
cabeza sin replicar; cuando exija, cederÆs (…) Soportar… Øsa es la fórmula”
3
.
L’unica carriera prevista ed ammessa per le donne era quindi quella matrimoniale.
Essere moglie devota e madre di numerosi figli (avere meno di tre figli era considerato
un affronto ad una nazione che necessitava un reintegro della popolazione decimata
dalla guerra)
4
era l’unica aspettativa concessa e l’unica condizione per essere
considerata parte utile della società.
La rappresentazione di questa farsa legittimata del mito femminile caduco e
conservatore, imposto dal potere totalitario, di una donna spagnola, sposa, santa e
2
La Hora, 7 de deciembre de 1945, citato da Rosa Isabel Galdona PØrez in Discurso femenino en la
novela espaæola de posguerra, Universidad de la Laguna, 2001, p. 126.
3
Da La muchacha en el noviazgo di padre Enciso, cit. in Carmen Alcalde, Mujeres en el Franquismo.
Exiliadas, nacionalistas y opositoras, Flor del Viento, Barcelona,1983, p. 81.
4
“Para mantener el nivel de población de un país es preciso que, cuando menos, el matrimonio tenga tres
hijos “, consigliava il dott. Clavero Núæez in Antes de que te cases, pubblicato nel 1946, citato da
Inmaculada de la Fuente in Mujeres de la posguerra, Planeta, Barcelona, 2002, p. 51.
5
madre, che deformò e trasformò intere generazioni di madri e figlie si ritrova, come è
ovvio immaginare, nella letteratura delle generazioni di scrittrici che pubblicarono a
partire dagli anni Cinquanta. Ma l’impronta impressa nella cultura e nella società
spagnola è stata tale che vediamo gli stessi temi trattati anche nella narrativa delle
successive generazioni di scrittrici, a conferma che l’attuale situazione della donna
spagnola sconta, ancora oggi, i problemi del passato.
Lo scopo che mi propongo nella redazione della presente Tesi consiste nell’individuare
nei testi narrativi trattati i temi del matrimonio, dell’adulterio e della maternità, tenendo
conto dell’approccio piø o meno realista o critico in considerazione della situazione
socio-culturale e politica in cui si veniva a realizzare l’opera, in epoca franchista o post-
franchista.
Matrimonio e adulterio
Il matrimonio durante il periodo franchista era un obiettivo vitale per le donne, inculcato
fin dall’infanzia in ambito familiare, statale e religioso. Costituiva quindi l’unica
opzione per raggiungere la felicità che veniva concessa alle giovani donne, per le quali
era quindi vitale la realizzazione della “favola del principe azzurro”.
Tutto ciò era naturalmente al di fuori di ogni realtà ed una volta sposate queste giovani
donne si rendevano ben presto conto dell’inganno, vittime inconsapevoli di questa farsa
della felicità, e con loro il marito stesso, cresciuto secondo le regole maschiliste e
misogine dell’epoca. La felicità promessa si rivelava piø prossima a concetti come
sacrificio, rinuncia, rassegnazione e insoddisfazione, e quella gioia meravigliosa che
avevano immaginato esisteva solo nella loro fantasia di donne ingenue, alimentata dalla
letteratura cosiddetta “rosa” e dalle riviste femminili che tanta voga avevano all’epoca.
Come afferma R. I. Galdona PØrez, la maggior parte di queste donne si piegarono alla
situazione, vivendo così una vita fatta di ipocrisia e doppia morale, le basi reali su cui si
fondava la concezione “normale” della famiglia e della società franchista. Una Spagna
delle apparenze rispettabili che nascondevano infamie e condotte indecorose allo scopo
6
di mantenere ad ogni costo l’ideale di società stabile, in cui la donna poteva solo
obbedire o, come unica alternativa, trasgredire e diventare un’esclusa.
La solterona es un ser fracasado y, por tanto, desprestigiado socialmente, que no ha sido capaz de
lograr la única meta digna en la vida de una mujer. (…) Las razones prÆcticas para apoyar esa
condena social de la mujer soltera fueron la necesidad de aumentar la población nacional (…)
5
.
Quelle fra loro che si ribellavano finivano infatti emarginate e tacciate di diverse, strane:
la divorziata, o la solterona indesiderata, vista con pietà e sdegno e identificabile, come
indica Carmen Martín Gaite, perchØ “la que iba para solterona solía ser detectada por
cierta intemperancia de carÆcter, por su intransigencia o por su inconformismo”
6
.
Le voci di queste donne rassegnate o ribelli emergono dai romanzi delle autrici che
pubblicarono le loro prime opere durante il Franchismo e danno testimonianza della
loro lotta silenziosa, delle loro paure, dubbi e speranze.
Sulla letteratura dei decenni del Franchismo si abbatteva implacabile la censura, che
colpiva qualsiasi opera sospettata di irriverenza o immoralità. Chi stava al potere
concepiva l’arte, e quindi anche la letteratura, come esempio per la popolazione di come
doveva essere un’esistenza sana e timorosa di Dio. Il filtro del censore proibiva
tassativamente di presentare il divorzio come un atto giustificato, o l’aborto come scelta
opponibile agli indottrinamenti della Chiesa o della Sezione Femminile della Falange.
Osare trattare tali temi poteva costare la messa al bando della propria opera da parte
della censura, come nel caso di LuciØrnagas
7
, di Ana María Matute, dove l’autrice
trattava l’aborto. Nonostante si fosse classificata semifinalista al premio Nadal nel 1948,
è rimasta inedita nella sua versione originale fino al 1993
8
.
5
Francisca López, Mito y discurso en la novela femenina de posguerra en Espaæa, Madrid, Pliegos,
1995, p. 21, citato in Rosa Isabel Galdona PØrez, Discurso femenino en la novela espaæola de posguerra,
Universidad de la Laguna, 2001, p. 127.
6
Carmen Martín Gaite, Usos amorosos de la posguerra espaæola, Anagrama, Barcelona, 1994, p. 38.
7
Per essere risultata “distruttrice dei valori umani e religiosi essenziali” e per considerarsi “tutto il
romanzo e il suo sfondo… criticabile”: parole del censore che proibì il romanzo LuciØrnagas di Ana
María Matute, raccolte dalla scrittrice nel prologo del tomo II delle sue Obras completas, Barcelona,
Destino, 1975, p. 9.
8
Ana María Matute, LuciØrnagas, prima versione corretta e rivista dalla censura con il titolo En esta
tierra, 1955; versione definitiva, Destino, Barcelona, 1993.
7
Considerando che le idee e, ancor piø, le attività femministe arrivarono in Spagna con
grande ritardo rispetto al resto d’Europa, la scrittura di queste autrici non è certamente
da considerare in alcun modo legata a tali ideologie, nØ all’attivismo politico della
militanza femminista. Di conseguenza i loro romanzi diventano una testimonianza
spontanea della condizione femminile dell’epoca.
Senza denunciare o criticare apertamente, eludendo la censura, rappresentano le
frustrazioni senza importanza, le emarginazioni accettabili, le discriminazioni
convenienti, così come erano imposte dalla società franchista, e mettono in evidenza la
differenza contestuale che soggiogava la donna. Danno voce a quella moltitudine di
donne che non avevano la possibilità di parlare, perchØ non era dato loro il privilegio di
pensare e per questo nemmeno di essere educate a pensare. La mancanza di libertà della
donna, già a fondamento della società borghese sviluppatasi nel secolo precedente,
annullava gli aspetti fondamentali della personalità femminile. Questa personalità
riappare nelle opere delle autrici dell’epoca, che rappresentano tutte la propria visione
della realtà, così come loro stesse l’avevano osservata e vissuta in prima persona.
Il personaggio di Andrea in Nada
9
, la prima opera di Carmen Laforet, ad esempio,
rappresenta la giovane donna adolescente, educata secondo i precetti dell’epoca, che
però rifiuta. Il suo vagabondare per le strade di Barcellona e il piacere che ne ricava
sono un’espressione di quell’anelito di libertà che era negato. Appena arrivata alla casa
dei parenti in calle de Aribau, la zia Angustias si affretta a darle lezione di modestia e
sottomissione, nell’intento di redimere questa nipote un poco ribelle:
Toda prudencia en la conducta es poca, pues el diablo reviste tentadoras formas… Una joven en
Barcelona debe ser como una fortaleza. ¿Me entiendes?
- No tía.
(…)
- Te lo dirØ de otra forma: eres mi sobrina; por tanto, una niæa de buena familia, modosa, cristiana e
inocente. Si yo no me preocupara de ti para todo, tú en Barcelona encontrarías multitud de peligros.
Por lo tanto, quiero decirte que no te dejarØ dar un paso sin mi permiso. ¿Entiendes ahora?
- Sí
10
.
9
Carmen Laforet, Nada, Destino, Barcelona, 1945.
10
Ivi, p. 26.