I V INTRODUZIONE
L’intenzione del presente elaborato è quella di esplorare un tema che ad oggi
risulta ancora molto problematico e dibattuto, quale quello della detenzione
femminile, con particolare riferimento alle questioni legate alla maternità reclusa
e ai “bambini invisibili”, minori spesso condannati a vivere i loro primi anni di
vita in carcere.
Si tratta di un argomento molto controverso che necessiterà l’approfondimento di
due profili di fondamentale importanza: da un lato il diritto tutelato
costituzionalmente alla genitorialità delle madri, e dall’altro il diritto dei figli di
poter mantenere, coltivare o recuperare il rapporto coi genitori nonostante la
detenzione di questi ultimi.
Questa trattazione avrà lo scopo di rispondere a due quesiti: è concepibile che un
minore condivida con il proprio genitore, nello specifico la madre, l’espiazione
della pena per il reato commesso?
È possibile conciliare esigenze di sicurezza e tutela del rapporto madre-figlio
attraverso il ricorso a strutture alternative al carcere?
Attraverso l’analisi delle leggi susseguitesi nel corso degli anni, si verificherà,
quindi, in che misura il Legislatore sia stato in grado di far fronte al problema
della maternità reclusa in accordo al preminente interesse del minore.
Il mio lavoro si articolerà in quattro capitoli.
Nel primo capitolo sarà condotta un’analisi storica del concetto di pena e di
reclusione, a partire dal sistema punitivo dell’Antica Roma fino all’Ottocento,
V passando sinteticamente al vaglio le prime forme di strutture carcerarie nel mondo
e in Italia, per poi giungere ad una analisi sociologica della devianza femminile,
esaminando le più rilevanti teorie elaborate da grandi storici, sociologi e filosofi.
Mediante il ricorso a dati statistici accurati e attuali, elaborati dal Ministero della
Giustizia e dalle associazioni che tutelano i diritti dei detenuti, si evidenzierà
quanto la delinquenza femminile si differenzi rispetto a quella maschile per
quantità e per tipologia dei crimini commessi, e di conseguenza quanto la
detenzione femminile sia percentualmente inferiore a quella maschile e come ciò
rappresenti tuttavia motivo di indifferenza nei confronti delle donne detenute,
considerate tendenzialmente come un problema marginale.
Nel secondo capitolo verrà effettuata una ricostruzione del piano normativo
internazionale riguardante la condizione dei detenuti per comprendere quali siano
gli standard minimi di tutela nei confronti di questi ultimi, e quali indicazioni
abbia recepito il nostro Legislatore.
Si esamineranno i vari strumenti predisposti dal Consiglio d’Europa con
particolare attenzione alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti
dell’Uomo (CEDU), approfondendo la natura dell’articolo 8 di quest’ultima e
alcune delle sue applicazioni giurisprudenziali, e alla Convenzione Europea per la
Prevenzione della Tortura e delle Pene o Trattamenti Inumani o Degradanti
(CPT).
Successivamente si descriverà in breve anche l’attività sovranazionale più
attinente alla condizione delle detenute madri, con l’esame delle Regole minime
ONU del 1955 e le Regole Penitenziarie europee del 1973, nonché le Bangkok
V I Rules con le quali si è dato maggiore riconoscimento ai bisogni specifici delle
donne detenute e delle madri con figli al seguito.
Infine sarà illustrato il concetto del best interest of the child, ricorrente nel corso
di tutta la trattazione e scaturente dalla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia
(CRC). Verrà esaminato il diritto dei minori a mantenere e coltivare il rapporto
con i genitori, contrapponendovi quanto è emerso da un folto numero di ricerche,
ovvero che la carcerazione degli infanti determina numerosi risvolti negativi sul
piano cognitivo, relazionale, psicologico ed affettivo dei minori, e considerando
infine le implicazioni di ciò.
Nel terzo capitolo si passerà al vaglio il ventaglio di tutele apprestate dal
Legislatore nazionale nei confronti delle detenute e dei minori, cominciando dalla
Costituzione, con particolare riferimento agli articoli 3 e 27 che enunciano il
principio di eguaglianza e quello rieducativo e risocializzante della pena, e agli
articoli 29, 30, 31 e 32 che tutelano rispettivamente la famiglia, la maternità,
l’infanzia e la salute, per arrivare poi al ruolo della Corte costituzionale, chiamata
ad intervenire nel corso dei decenni numerose volte nell’ottica del bilanciamento
tra l’interesse preminente del minore, la tutela della maternità e l’opposta esigenza
di difesa sociale.
L’analisi proseguirà con la riforma dell’Ordinamento Penitenziario, attuata nel
1975 con la legge n. 354, commentando le disposizioni che consentono il
mantenimento delle relazioni familiari e le misure alternative alla detenzione
necessarie alla risocializzazione del reo.
V I I A seguire, ci si soffermerà sull’evoluzione normativa, realizzatasi negli ultimi
decenni, finalizzata ad una progressiva decarcerazione, passando in rassegna
anzitutto le leggi n. 663 del 1986 (legge Gozzini) e n. 165 del 1998 (legge
Simeone – Saraceni), che hanno favorito l’accesso ai benefici penitenziari e alle
misure alternative, come la detenzione domiciliare, soprattutto con l’auspicio di
far fronte alla crescente emergenza determinata dal sovraffollamento carcerario.
Si rifletterà poi in maniera approfondita sulla legge n. 40 del 2001 (legge
Finocchiaro), la quale ha segnato un profondo cambiamento nella stessa
concezione di pena per mezzo degli istituti della detenzione domiciliare speciale e
dell’assistenza all’esterno dei figli minori e successivamente si passerà alla legge
n. 62 del 2011 che, pur con l’obiettivo di eliminare le criticità del sistema e di
favorire la logica del “mai più bambini in carcere”, ha presentato comunque dei
limiti dovuti soprattutto alla mancanza di indicazioni circa la costruzione delle
strutture atte ad ospitare madri e figli.
A questo punto, verrà illustrata l’esperienza degli Stati Generali dell’Esecuzione
Penale del 2015-2016, che con le sue proposte e i suoi approfondimenti, ha
costituito, e costituisce tutt’ora, fonte di grande ispirazione per il nostro
Legislatore.
Si proseguirà con l’ultima tortuosa riforma, avvenuta coi decreti legislativi 123 e
124 del 2 ottobre 2018, la quale, in realtà, ha determinato ben pochi miglioramenti
in merito alla condizione delle detenute madri, lasciando inalterate le disposizioni
che avrebbero invece potuto favorire l’interazione tra il detenuto e i familiari ed
ignorando le riflessioni elaborate in occasione del Tavolo 3 e del Tavolo 6 degli
V I I I Stati Generali, tanto da poterla designare come una riforma “sorda” rispetto ai
bisogni delle categorie più fragili.
Infine si descriveranno, in maniera più dettagliata, le peculiarità e le differenze tra
le strutture di detenzione diverse dal carcere, ossia gli Istituti a Custodia Attenuata
per detenute Madri (ICAM) e le case-famiglia protette, evidenziando come in
particolare queste ultime rappresentino senza alcun dubbio l’alternativa migliore
al carcere sia per le donne sia per i bambini.
Nel quarto ed ultimo capitolo ci si soffermerà sull’impatto che la pandemia da
Covid-19, esplosa nel corso del 2020, ha avuto sulla popolazione carceraria.
Mediante il richiamo ad eventi accaduti nel corso di questo periodo e documentati
dai più importanti quotidiani nazionali, si metteranno in luce le mancanze che
hanno caratterizzato la decretazione d’urgenza.
Si procederà esaminando sinteticamente le più importanti associazioni, tra le quali
Antigone e Bambinisenzasbarre Onlus, che da decenni sono attente ai bisogni
specifici dei detenuti ed impegnate nel costante supporto, emotivo e pratico, alle
famiglie di questi. Si analizzeranno le concrete proposte di questi enti ed i positivi
risvolti che la loro attività ha determinato, tra cui l’elaborazione della Carta dei
figli dei genitori detenuti del 2014 la cui portata è riconosciuta anche a livello
internazionale e che contiene un catalogo di diritti a tutela dell’infanzia e del
rapporto tra genitore detenuto e figli.
Infine si descriverà la proposta di legge Siani (A.C. n. 2298) presentata a partire
da dicembre 2019, probabilmente il più importante progetto di riforma in tema di
maternità reclusa, attualmente al vaglio della Commissione Giustizia della
I X Camera, il cui obiettivo è di incidere in maniera efficace sulla necessità di
soppiantare la presenza di minori in carcere insieme alle proprie madri
prevalentemente attraverso l’incentivazione di un maggiore ricorso alle case-
famiglia protette.
Il mio auspicio è che, per mezzo di questo elaborato, sia possibile fare luce su
questerealtà invisibili e ancora poco raccontate.
1 CAPITOLO I
DONNE E MADRI NEL CONTESTO CARCERARIO
1. Evoluzione del sistema penitenziario in Italia
1.1 Il concetto di reclusione e il ruolo della Chiesa
Nell’esaminare la condizione della donna detenuta, è necessario anzitutto
individuare le tappe più importanti nella evoluzione del sistema carcerario
italiano.
Il concetto di reclusione nasce, in generale, allo scopo di tutelare la società da
coloro che violano le leggi, allontanandoli dalla stessa e rinchiudendoli in appositi
istituti, dette carceri o prigioni.
Il termine “prigione” deriva dal verbo latino “prehensio”, che indica l’azione del
prendere, del catturare; mentre la parola “carcere” deriva dal latino “carcer”, che
ha la radice dal verbo “coerceo” e significa rinchiudere e punire, indicando il
luogo in cui si rinchiude e si irroga la sanzione.
1
Il sistema carcerario muta essenzialmente al mutare della situazione socio-
economica di una data società, e conseguentemente muta anche il concetto di
“pena”.
In origine il carcere era un luogo di detenzione temporanea in attesa
dell’applicazione della pena nei confronti del reo. Solo successivamente divenne
un mezzo di controllo e di punizione in senso stretto.
Nel sistema punitivo romano le pene potevano essere private o pubbliche: le
1
PALAZZO D., Appunti di storia del carcere in «Rassegna di studi penitenziari», 1967, p. 3.