Introduzione:
Discutere di una tematica come quella oggetto di questo elaborato significa
affrontare un tema che va ben al di là della semplice trattazione giuridica. In
esso si agitano innumerevoli questioni: relative al passato come al presente, di
carattere sociale quanto economico, di rilievo individuale come collettivo.
E’ stata necessaria, pertanto, un’impegnativa opera di ricerca e sintesi mirata, in
primo luogo, al reperimento di tutte le nozioni essenziali ad una conoscenza il
più possibile approfondita dell’argomento e, successivamente, a dare coerenza ed
omogeneità alle numerose e variegate informazioni ricavate dalla lettura dei
numerosi testi consultati.
L’elaborato non è che il frutto di quest’opera d’indagine ed assemblaggio e suo
fine ultimo è esclusivamente quello di mostrare in modo (si spera) lineare e
comprensibile l’evoluzione che ha avuto, nel corso dei decenni, la
regolamentazione in tutela della maternità, sul cui terreno è stata posta - e si
pone tutt’ora - la complessa e spesso conflittuale dicotomia “produzione-
riproduzione”.
Il lavoro si struttura in tre capitoli: un primo, riguardante l’archè della
legislazione italiana in materia, si estende nel tempo fino all’avvento della
Costituzione repubblicana. Più specificamente, in seno ad esso, si è tentato di
mettere in evidenza le ragioni che hanno portato lo Stato ad emanare i primi
provvedimenti a sostegno della maternità, mostrando al contempo i tratti salienti
delle riforme attuate nel complesso periodo a cavallo delle due guerre mondiali
e cercando, infine, di dare il dovuto risalto ai principi costituzionali che hanno
mosso, ed anche oggi muovono, l’intervento legislativo.
Il secondo capitolo è invece incentrato sui successivi sviluppi della normativa. Il
riferimento, in particolare, va agli effetti prodotti dall’entrata in vigore della
Carta costituzionale, prima, e dall’influsso della giurisprudenza e delle
istituzioni comunitarie, poi, sulle scelte passate e presenti del legislatore
nazionale. Speciale attenzione è stata riservata all’attività normativa degli anni
’70 e ad alcune decisioni della Corte Costituzionale; fondamentali per permettere
di muovere i primi passi verso l’attuale modello di regolamentazione.
All’interno dello stesso capitolo si è proceduto, tra l’altro, alla scomposizione ed
all’analisi delle vigenti disposizioni, e ciò sia allo scopo di farne emergere le
1
principali caratteristiche - e, con essi, gli istituti da queste regolati - sia per
fornire una base utile per il prosieguo dell’esame.
Con il terzo ed ultimo capitolo ci si è rivolti, infatti, oltre i confini italiani.
Mediante una panoramica degli atti di diritto internazionale e, ancor più,
attraverso l’osservazione delle soluzioni offerte dai sistemi di Welfare di alcune
tra le più importanti nazioni europee si è tentato di tratteggiare, nei suo
elementi fondamentali, l’attuale modello di tutela comunitario così come questo
appare agli occhi del giurista neofita.
L’intero corso della trattazione ha, insomma, quale obiettivo costante quello di
far emergere gli istituti a sostegno dei genitori lavoratori, compendiando e
compararando, sempre e comunque nel rispetto dei fisiologici limiti di una tesi
di laura, le numerose tappe evolutive e le profonde differenze disseminate lungo
lo sviluppo spaziotemporale delle diverse esperienze legislative.
La speranza è che l’elaborato possa essere non solo il doveroso compimento di
un ciclo di studi, ma anche l’occasione per offrire interessanti spunti a coloro
che lo leggeranno.
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CAPITOLO I
Le origini della legislazione in tema di maternità delle
lavoratrici
1. La situazione italiana prima e dopo l’Unità
Alla base delle prime tutele e garanzie relative alla maternità è rinvenibile un
denominatore comune rispetto alla generalità dei tradizionali istituti del diritto
del lavoro. Questo elemento di congiunzione è quel graduale processo di
affermazione dell’economia di mercato, di incremento demografico e
conseguente declino della forza lavoro rurale che va sotto il nome di
“Rivoluzione Industriale”. Ma se, per un verso, non può sottacersi il suo ruolo di
“matrice” di questa specifica branca del diritto nonché di causa della
strutturazione di questa attorno alle sempre crescenti esigenze dei lavoratori, per
altro verso emerge il rischio che un’eccessiva enfatizzazione dei suoi effetti sulla
realtà socio-economica latamente intesa possa ridurne la portata in riferimento
ai profili più specifici, tra cui ve n’è uno, ineludibilmente vincolato
all’argomento in esame, per il quale l’avvento dell’industria assunse
un’importanza particolarmente significativa: quello inerente alla “donna
lavoratrice”.
Al generale impatto innovativo, derivante dalla suddetta trasformazione delle
strutture produttive e sociali, fa difatti da contraltare la connessione specifica tra
questa e la nascita stessa del fenomeno “lavoro femminile”.
La donna, da sempre <<relegata, tranne qualche eccezione, a personaggio
secondario della storia>> , si ritrovò improvvisamente protagonista nel nuovo
1
contesto produttivo della <<industria ottocentesca>> .
2
Si assistette così al massiccio esodo della donna dalle mura domestiche e dai
campi alle fabbriche, cui faceva riscontro una richiesta sempre maggiore di
G. COTTRAU, La tutela della donna lavoratrice, Torino, 1971, 8.
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Questa <<lungi dall’ostacolare, per pruderie borghese, il lavoro femminile, lo aveva
massicciamente sfruttato secondo meccanismi ben denunciati, bisogna riconoscerlo, dalla
letteratura marxista, oltre che cattolica>> (R. DEL PUNTA, La sospensione del rapporto di lavoro.
Malattia, infortunio, maternità, servizio militare, in Commentario al Codice Civile, diretto da P.
SCHLESINGER, Milano, 1992, 572).
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mano d’opera da parte di un mondo imprenditoriale ben consapevole degli
enormi vantaggi di questo nuovo assetto produttivo .
3
Conseguenza di ciò fu un intenso sfruttamento del lavoro femminile e minorile ,
4
a condizioni spesso inumane, in un ambiente generalmente antiigienico, con
orari estenuanti, con mancanza assoluta di assistenza e di prevenzione contro le
malattie e gli infortuni; uno stato di cose che andava ad aggiungersi alla già
carente predisposizione di vere e proprie forme di tutela nei confronti dei
lavoratori nel loro complesso.
Una simile situazione, tuttavia, non poteva perdurare a lungo <<senza travolgere
la società stessa che la consente >>. Essa non solo comportava la violazione nella
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sostanza dei principi di eguaglianza affermati dalla Rivoluzione Francese, ma
era anche e soprattutto motivo di turbamenti politici sfocianti in conflitti sociali
spesso cruenti. Gli Stati europei, pertanto, non poterono che abbandonare quella
posizione di indifferenza verso il mondo del lavoro, in un primo momento
assunta in ossequio alle dominanti concezioni liberiste del tempo, cominciando
ad intervenire in modo diretto nel tentativo di ridurre le iniquità e i contrasti
esistenti .
6
G. COTTRAU, La tutela della donna lavoratrice, cit., 8-9 ; il quale si sofferma sul <<duplice scopo>>:
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da un lato di riduzione dei costi di produzione, dall’altro, grazie alla concorrenza tra forze
femminili e maschili, di freno all’aumento dei salari di queste ultime.
Una caratteristica storica dell’evoluzione del lavoro femminile è stata quella di accompagnarsi
4
con il lavoro dei fanciulli; questi e le donne erano accomunati nella definizione di “mezze-forze”,
in quanto inseriti in un processo produttivo che richiedeva uno sforzo prevalentemente
muscolare.
R. DEL PUNTA, La sospensione del rapporto di lavoro. Malattia, infortunio, maternità, servizio militare, cit.,
5
572.
Riconoscimento dei sindacati ed emanazione di leggi in tema di tutela delle condizioni di
6
lavoro furono tra i primi risultati di tale “pubblico interessamento”, ed <<è risaputo come sia
stato proprio il fenomeno dell’utilizzazione indiscriminata delle cosiddette mezze-forze a dar
luogo, in tutti i paesi europei [...] alle prime realizzazioni di legislazione sociale>> (R. DEL
PUNTA, La sospensione del rapporto di lavoro. Malattia, infortunio, maternità, servizio militare, cit., 572).
4
Per quel che specificamente concerne l’Italia, nel periodo antecedente l’unità si
rilevano solo scarni e sporadici interventi, per lo più limitati al solo campo del
lavoro minorile . Relativamente alle donne invece, unica (parvenza di) forma di
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tutela era quella predisposta in favore delle lavoratrici madri iscritte alle società
di mutuo soccorso .
8
L’assenza di una reale protezione da parte dello Stato e l’annessa condizione di
insicurezza cui era sottoposto un sempre maggior numero di lavoratrici,
raggiunsero però un grado talmente elevato di pervasività da influire non
soltanto sulla loro salute, ma anche <<sull’essenziale funzione della maternità,
con risultati preoccupanti in relazione al futuro stesso della stirpe >>. Si rendeva
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perciò indispensabile un intervento drastico, che attribuisse quelle garanzie utili,
se non a risolvere la questione, perlomeno a limitarne la gravità degli effetti. Ma
vuoi per un più lento sviluppo della industrializzazione italiana rispetto agli
altri paesi europei, vuoi per l’avversione - retaggio delle originarie dottrine
economiche liberali - rispetto a qualsiasi forma di intromissione pubblica nel
settore della produzione, l’iniziativa statale tardò a manifestarsi.
Per assistere ad un concreto cambiamento nel senso sopradetto fu dunque
necessario attendere sino (ed oltre) l’unità, dalla cui stabilità politica e sociale
discesero i primi frutti prodotti dal neonato Stato italiano in materia, più
risalente dei quali è senza dubbio la legge 11 febbraio 1886, n. 3567.
Con questa il diritto italiano non solo si dotava di una primigenia normativa
sociale diretta alla salvaguardia delle fasce più deboli del mercato del lavoro, ma
introduceva nell’ordinamento il primo corpus di norme finalizzate alla tutela del
lavoro subordinato globalmente inteso . La statuizione, non priva di limiti e
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<<Nel periodo [...] rinveniamo la disposizione del 1843 che vietava il lavoro nelle fabbriche ai
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fanciulli in età compresa tra i 9 e i 14 anni e la legge mineraria sarda del 1859 che proibiva di
far lavorare in miniera i fanciulli di età inferiore ai 10 anni. E’ soltanto però all’inizio del XX
secolo [...] che la disciplina legislativa di tutela del lavoro femminile viene realizzata insieme alla
tutela del lavoro minorile.>> (C. ASSANTI, Relazione, in La disciplina giuridica del lavoro femminile; atti
delle giornate di studio di Abano Terme 16 e 17 Aprile 1977 , Padova, 1977, 44).
Tramite il versamento di un contributo mensile alle casse di mutua assistenza, la lavoratrice
8
aveva diritto ad un’indennità che le permetteva di assentarsi dal lavoro per circa 3 settimane
dopo il parto.
G. COTTRAU, La tutela della donna lavoratrice, cit., 10.
9
Cfr., O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, 3° edizione, Milano, 2011, 163 e G. COTTRAU, La tutela
10
della donna lavoratrice, cit., 11.
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contraddizioni , fu tuttavia il mezzo mediante il quale il parlamento italiano
11
riuscì a porsi sulla stessa via degli altri legislatori europei, con ciò generando
quella attenzione crescente verso il fenomeno delle mezze-forze dalla quale
derivò, a poco più di un decennio di distanza, la legge 19 giungo 1902, n. 242,
secondo (e ben più importante) risultato raggiunto dal “giovane” legislatore
nazionale.
Meglio conosciuta come “Legge Carcano ”, il provvedimento (diretto in modo
12
esclusivo alle mezze-forze impiegate nell’industria, nelle miniere e nell’edilizia )
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doveva costituire il primo vero nucleo consolidato di una disciplina
giuslavoristica delle donne che avesse come specifica funzione quella di
<<salvaguardare la loro capacità di procreazione>> .
14
Strumento per realizzare suddetto fine fu l’introduzione di un periodo di
inibizione dall’attività lavorativa successivo al parto al quale si abbinavano la
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previsione di uno o più riposi intermedi, l’allestimento delle c.d. “camere di
allattamento” (nelle fabbriche che impiegassero donne), e la determinazione di
un limite generale all’orario di lavoro giornaliero .
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Il valore della legge, ad ogni buon conto, va ben oltre le sue specifiche
disposizioni e i suoi limitati effetti concreti ; è solo a partire da questa (rectius:
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dalla interdizione obbligatoria con questa istituita) che il problema della
Il provvedimento, oltre ad escludere nella sua versione definitiva il lavoro femminile dal
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proprio ambito di applicazione, finì per non trovare alcuna concreta attuazione nel tempo.
In onore di Paolo Carcano, ministro delle finanze che la propose durante il Governo
12
Zanardelli.
All’interno del settore agricolo una forma di protezione fu più tardi assicurata con il R.D. 1
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agosto 1907, n. 636 (T.U. delle leggi sanitarie). In particolare è l’art. 82 del decreto a porsi in
evidenza in quanto, disponendo il divieto di adibire al lavoro le mondariso anche durante
l’ultimo mese di gestazione, di fatto introduceva per la prima volta l’interdizione obbligatoria pre-
partum nel nostro ordinamento (sulla quale v. infra nel testo).
M.V. BALLESTRERO, Dalla tutela alla parità, Bologna, 1979, 22.
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Ai sensi dell’art. 6, le puerpere non potevano essere impiegate a lavoro se non dopo trascorso
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un mese da quello del parto. In via eccezionale avrebbero potuto riprendere l’attività anche
prima di questo termine, ma in ogni caso non prima di tre settimane e sempre che da un
certificato dell’ufficio sanitario risultasse che le condizioni di salute avrebbero permesso loro di
compiere, senza pregiudizio, il lavoro nel quale erano occupate.
V. gli artt. 7, 8, e 10 della l. n. 242 del 1902.
16
La legge, che già escludeva le lavoratrici agricole e a domicilio dal proprio ambito di
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applicazione, prevedeva sanzioni di scarsissima entità nelle ipotesi di inadempienza (cfr., art. 13)
e subì inoltre <<una serie di correzioni e mutilazioni che ridussero di gran lunga la sua portata
innovativa>> (M.V. BALLESTRERO, Dalla tutela alla parità, cit., 20 e ss.).
6
maternità viene concretamente posto sul tavolo del diritto del lavoro nazionale,
gettando così le basi per una specifica strutturazione della materia .
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Dimostrazione di ciò la si ritrova, d’altro canto, nella copiosa attività legislativa
dei successivi anni del XX secolo, un’epoca caratterizzata da burrascosi quanto
notori mutamenti, la cui portata storica non poteva che influire anche in questo
particolare settore dell’ordinamento giuridico.
<<Non erano ancora previsti sussidi o indennità, ma si avviava già in quegli anni la
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discussione, che si protrarrà a lungo, sulla necessità di un sussidio, sull’obbligatorietà
dell’assicurazione e sul concorso dello Stato>> (A. D’ANDREA, Il sistema di tutela e sostegno della
maternità; il “dialogo” della legislazione italiana con la normativa comunitaria, in lav. prev., 2001, 1276)
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