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Una parabola storico-giuridica, quella conosciuta, dunque, da
Masserano e da Crevacore, interessante e degna di nota;
eppure, è difficile trovarne qualche cenno sia nelle grandi
opere enciclopediche che nelle più accurate collane di storia,
anche in quelle a carattere monografico. L’autorevole e
piuttosto recente Storia d’Italia della Utet, ad esempio, nel
volume dedicato a Il Piemonte sabaudo, ne relega le poche
informazioni in scarne note bibliografiche ; in quello sullo
Stato pontificio non ne fa proprio menzione alcuna
1
. Il che,
per quanto concerne quest’ultimo testo, sarebbe sotto certi
aspetti anche plausibile visto che si trattava, come abbiamo
testé detto, di località rientranti nella sfera giurisdizionale della
Chiesa eusebiana. Ciò non toglie tuttavia che quei due paesi
furono considerati a tutti gli effetti, e per ben oltre tre secoli,
terrae mediate subiectae dello Stato pontificio: da Bonifacio
IX a Benedetto XIV (e quindi dalla fine del XIV sec. alla metà
del XVIII), i liguri Fieschi e poi i Ferrero di Biella che, nei
primi lustri del XVI sec., subentrarono ai primi con il nome
Ferrero-Fieschi, ne erano stati infatti investiti, e ripetutamente
confermati da numerose bolle papali, con “merum et mixtum
imperium cum omnimoda iurisdictione”, investiture per le
quali quei casati avevano sempre regolarmente provveduto a
versare nelle casse della Camera Apostolica il simbolico censo
annuo dovuto.
1
Storia d’Italia, edita dalla UTET e diretta da G. Galasso : P. MERLIN, C. ROSSO, G.
SYMCOX, G. RICUPERATI, Il Piemonte sabaudo, vol. VIII, 1994 ; M. CARAVALE,
A. CARACCIOLO, Lo Stato pontificio, vol. XIV, 1978, rist. 1991.
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Appare evidente, quindi, che il “caso” giurisdizionale
rappresentato da Masserano e da Crevacore dovrebbe essere
fatto oggetto di una cura maggiore da parte degli esperti di
storia della Chiesa e degli ordinamenti giuridici feudali. Ma,
dato che diversi sono gli spunti interessanti che offrono, i due
piccoli paesi del Biellese meriterebbero studi più puntuali ed
analitici pure da parte degli studiosi di storia moderna in
generale. Di peculiare, quanto meno rispetto alla collocazione
geografica, questi luoghi, oltre allo status giuridico, avevano
difatti anche la loro stessa ubicazione, trovandosi nell’estremo
nord-est dell’attuale Piemonte, in pratica sul confine tra il
territorio un tempo sabaudo e quello legato invece alle alterne
fortune della storia di Milano.
Pertanto, se per la S. Sede i due possedimenti ecclesiastici
avevano rappresentato un avamposto della Chiesa di Roma in
un’Europa costantemente turbata da eresie e conflitti di
religione, e quindi, dall’epoca tardo-rinascimentale, una
lontana appendice dello Stato pontificio in una delle zone
strategicamente più rilevanti dell’Italia settentrionale e del
Vecchio Continente, e perciò dotata della funzione più
eminentemente politica di stato-cuscinetto, per i Savoia,
invece, avevano inevitabilmente costituito un’enclave, piazzata
all’interno del loro territorio, estremamente scomoda e
temibile. Masserano e Crevacore, infatti, non erano solo
indipendenti, ma, a causa della loro appartenenza alla sfera del
potere temporale del papa, e almeno sino al tramonto del
confessionalismo, erano soprattutto pressoché “intangibili”.
6
Per la casa sabauda l’ingombrante presenza di quella
inattaccabile isola giurisdizionale divenne poi vieppiù
intollerabile a partire dai primissimi anni del XVII
secolo. Quando, con Carlo Emanuele I (il cui governo coincide
con quello di Francesco Filiberto Ferrero-Fieschi, il principale
protagonista di questa tesi), la dinastia si orientò più
decisamente verso la creazione di un vasto e compatto dominio
in territorio subalpino, i due stati pontifici, per la loro
pericolosa vicinanza al Milanese, si prospettarono infatti come
vera e propria spina nel fianco del loro ducato.
Era perciò inevitabile che in quella zona di frontiera - crocevia
non solo tra nord e sud, e quindi tra Europa ed Italia, ma anche
punto di raccordo tra est ed ovest e, dunque, nei decenni che
qui ci interessano, tra ducato sabaudo e Stato di Milano (ergo
tra Francia e Spagna, come da più parti si usava rappresentare
a quell’epoca ) - l’interazione delle forze che si andarono man
mano configurando generasse un assetto politico piuttosto
instabile e, conseguentemente, un quasi permanente stato di
conflitto tra le diverse realtà direttamente coinvolte.
Alla critica posizione geografica e politica appena descritte
(oltre al ducato sabaudo e al Milanese, con relativi referenti
europei, non bisogna infatti dimenticare lo Stato pontificio,
supremo signore di Masserano e di Crevacore), va poi anche
aggiunta la complessa condizione giuridica del feudatario qui
preso in esame, Francesco Filiberto Ferrero-Fieschi. Costui -
nato nel 1576, mentre infuriavano le guerre di religione e le
teorie monarcomache, passato attraverso le due guerre del
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Monferrato, nonché le corti papali, torinesi e le stanze del
palazzo del governo di Milano, e morto nel 1629, a ridosso
della peste di manzoniana memoria, nel pieno, dunque, della
guerra dei Trent’anni e dell’età barocca - era stato infatti primo
principe di Masserano e terzo marchese di Crevacore, ma
anche vassallo dell’Impero per la contea di Lavagna, della
Spagna per i feudi di Casalvalone, Villata e Ponzano, e del
ducato sabaudo per le contee e le signorie di Candelo,
Gaglianico, Benna, Roasio, Zumaglia, Serravalle, Bornate,
Beatino, Sandigliano, Vintebbio e Lozzolo.
Il precario equilibrio geopolitico dei suoi feudi e una tale
“impalcatura” di titoli eterogenei, che si traducevano in
molteplici interessi ed in inconciliabili legami di patronage,
erano pertanto destinati a rivelare inevitabilmente tutte le loro
contraddizioni interne e a crollare sotto i colpi del primo serio
conflitto che doveva opporre la grande monarchia spagnola al
“piccolo” ducato sabaudo : congiuntura verificatasi nel 1613,
quando scoppiò la prima guerra di successione per il
Monferrato.
Inquadrato l’oggetto della tesi, passiamo ora ad illustrare le
ragioni che ci hanno spinto a scrivere una monografia sulla
figura, tragica e ambigua, di Francesco Filiberto Ferrero-
Fieschi, e a spiegare perché ci si è occupati proprio di quella
parte d’Italia, e i motivi per i quali, al fine di introdurre la
storia di questo principe, è stato necessario ripercorrere, per
8
quanto con brevi accenni, anche quella dei suoi due feudi
pontifici
2
.
Cominciamo intanto con il dire che lo stimolo ad occuparsi di
quelle piccole comunità di montagna tra la Val Sesia e la Val
Sessera, quasi ai piedi del massiccio del Monte Rosa, è venuto
semplicemente dal fatto che la famiglia materna di chi scrive, i
Barberis, come pure i Gobbi, tra i maggiorenti del luogo con i
quali i Barberis erano imparentati, erano originarie di
quell’area
3
. Ma l’impulso determinante è venuto dalla lettura
di un piccolo volume “rinvenuto” tra i vari incartamenti e
lettere di quelle due famiglie (molti dei quali relativi agli anni
2
Si segnala che per il presente studio, che non ha certo la pretesa di essere interamente
compiuto ed esaustivo, sono state effettuate ricerche presso : l’Archivio di Stato di
Biella, l’Archivio di Stato di Milano, l’Archivio di Stato di Roma, l’Archivio di Stato di
Torino, l’Archivio Segreto Vaticano, la Biblioteca Apostolica Vaticana, la Biblioteca
Civica di Vercelli e la Biblioteca Reale di Torino.
3
I Barberis, di Crevacore, stabilitisi a Masserano sin dal 1590 con Pietro B., “speciaro,
e uno dei primi farmacisti del Biellese”, erano : “casato nobile, con proprio sepolcro
nella chiesa Collegiata >di Masserano ≅, con lo stemma scolpito sulla pietra sepolcrale,
>che ≅ ebbe diversi personaggi illustri come farmacisti e come avvocati....”, e che, nel
Settecento, si legò anche alla famiglia Fieschi attraverso il matrimonio di Teresa
Barberis con Pietro Giuseppe Fieschi, V. BARALE, “Barberis”, in Gente di
Masserano, Biella 1972, pp. 27-28 e “Fieschi”, ibid., p. 82-83; anche i Gobbi potevano
vantare diverse persone di rilievo nella storia di Masserano, tra cui, forse il più
rappresentativo, Gerardo Gobbi (1742-1808) : “Medico illustre. Consigliere comunale
dal 1776. Sindaco dal 1779. Buon letterato ed oratore : disse e fece stampare l’Orazione
funebre per le esequie del Principe Carlo Sebastiano Canuto Ferrero-Fieschi nel 1778.
Medico dei poveri, ebbe la riconoscenza del popolo e del Comune”, V. BARALE,
“Gobbi”, in Gente..., cit., p. 96 e, sempre V. BARALE, cfr. in Il Principato di
Masserano e il Marchesato di Crevacore, Biella, I ediz. 1966, II ediz. 1986, p. 541 e
segg.. L’autore delle due opere citate, il minuzioso lavoro sul notabilato masseranese e
l’impegnativo volume sulla storia di Masserano e Crevacore (dal X alla fine del XIX
sec.), è Don Vittorino Barale (uno dei nomi che saranno più citati nelle prossime
pagine), canonico della collegiata di Masserano il quale, avendo dedicato molti dei suoi
anni a pazienti ricerche compiute nell’Archivio comunale antico e nell’Archivio
parrocchiale di Masserano, nell’Archivio di Stato di Biella e nell’Archivio di Stato di
Torino, e dato quindi alla luce diversi studi storia locale (oltre ai due già nominati,
anche : Curino, pagine di vita e di storia di un piccolo paese tra le rive rosse biellesi,
Biella 1975 ; Brusnengo, Biella 1983 ; Guardabosone, 250 anni di indipendenza, in
“DOCBI”, 1986), si può senza meno considerare uno dei massimi “esperti”
contemporanei in campo di “cose masseranesi”.
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della rivoluzione francese) e contenente diversi fatti ed episodi
di storia locale.
Notizie Antiche, come dalla dicitura apposta a penna sulla
copertina di questa miscellanea di documenti (che, tra recto e
verso, consta di un centinaio di pagine, di cui una buona metà
manoscritte), doveva essere stata redatta e curata, secondo
quanto siamo riusciti a ricostruire dai citati lavori del Barale,
nella seconda metà del Settecento dall’avvocato Barberis di
Masserano
4
, il quale vi aveva inserito numerosi atti legali,
memoriali e scritture inerenti ai disparati ricorsi inoltrati alla
Sede Apostolica - presso la “Sagra Congregazione deputata
sopra gl’affari dello Stato di Messerano e Crevacore” - da
parte de “il Popolo, & Huomini di quello Stato ecclesiastico”.
Si tratta di carte relative soprattutto alla causa, di carattere
giurisdizionale, ma accompagnata da un corollario di
generiche accuse di varia natura, intentata contro Carlo Besso
Ferrero-Fieschi (1663-1730) sulla quale si era pensato in un
primo momento di far vertere questa tesi
5
.
4
Non si sa quale dei due fratelli Barberis, Giovanni Battista e Francesco, essendo
entrambi avvocati. A proposito di costoro, il Barale racconta che in seguito a una
sommossa popolare scatenatasi a Masserano nel 1790 (a ridosso, dunque, della
rivoluzione francese) a causa di uno di quei bandi campestri, che, frequentemente
emanati dalle autorità, incontravano regolarmente la violenta contestazione del popolo,
“alcuni facinorosi avevano sobillato la popolazione, specialmente i più miseri, e li
avevano istigati ad una manifestazione ostile. Molti popolani, armati di bastoni, coltelli,
asce, ecc., gridando e imprecando, dalla piazza del mercato si diressero alla casa dei
fratelli Gio. Batta e Francesco Barberis, avvocati, e a quella del canonico Fieschi ; con
una fitta sassaiola ruppero i vetri delle finestre, sconquassarono le porte ed entrarono in
casa. Depredarono e saccheggiarono nelle varie stanze ; ruppero diversi mobili, ne
asportarono altri e li portarono presso l’albo pretorio ove furono incendiati”, Il
Principato..., cit., p. 638. È facile quindi presumere che altri documenti di quella
famiglia siano andati perduti.
5
Le “ragioni” del principe Carlo Besso, che faceva scrivere alla medesima
congregazione ecclesiastica, “super negotiis Status Messerani” contro gli “homines, et
incolas dicti Status”, si possono trovare presso la Bibl. Ap. Vat., (Racc. Gen., Dir. Civ.,
III 1497). Le due comunità (le cui battaglie legali contro i Ferrero-Fieschi furono
10
Dalle diverse ricostruzioni storico-genealogiche operate in
quelle scritture dai ricorrenti - delle specie di personali gallerie
di ritratti della famiglia Ferrero-Fieschi - risaltava però
nettamente proprio la figura di Francesco Filiberto : era lui,
infatti, il più “malvagio” della sua stirpe, la quale veniva,
comunque, complessivamente descritta come composta da
perfidi tiranni.
Ma per il presente studio il documento-chiave contenuto
nell’incartamento dell’avv. Barberis è stato senz’altro quello
rappresentato dalla trascrizione del monitorio emanato nel
1621 contro di lui dal governatore di Roma : due pagine e
mezzo manoscritte intitolate “Delitti sopra li quali è stato
trasmesso il Monitorio contro il Prencipe di Messerano”, per
un totale di sedici capi d’imputazione che lo accusavano di
omicidi, tentati omicidi, arbitrarietà delle imposte, usurpazioni
di beni ecclesiastici, falsificazioni di monete
6
.
La descrizione particolareggiata dei misfatti di quel principe
con la loro grande varietà, la loro grottesca dinamica e le loro
incongruenze ci hanno colpito e spinto quindi ad indagare
sugli arcana imperii che si dovevano necessariamente celare
dietro un dissidio tra feudatario e vassalli così eclatante e
sempre molto accanite ed agguerrite), contestavano, nel caso di specie, che risale ai
primi due decenni del Settecento, la prerogativa del feudatario di conoscere le cause dei
suoi sudditi nelle seconde e terze istanze, facoltà che essi sostenevano spettasse invece
ai tribunali di Roma.
6
Nella versione contenuta in Notizie Antiche ne vengono contemplati sedici, ma
sappiamo esisterne altre : una stilata dal rev. B. Ratto, conservata presso la Bibl. Reale
di Torino, che, come vedremo, ne enumera solo dodici, e un’altra, attribuita dal Barale
all’ “avv. Barberis”, custodita presso l’Archivio parrocchiale di Masserano, cfr. in Il
Principato ..., cit. Sfortunatamente non ci è stato possibile confrontare le due stesure del
monitorio svolte dal Barberis, in quanto, quando ci siamo recati sul posto, l’Archivio
parrocchiale di Masserano era momentaneamente chiuso, ma dagli stralci pubblicati in
Il Principato, cit., sembrerebbero essere identiche.
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talmente irriducibile da sfociare, infatti, pochi anni dopo in una
sanguinosa rivolta popolare.
E possiamo ritenere di aver fatto delle interessanti scoperte o,
più esattamente, di essere riusciti a focalizzare meglio
l’obbiettivo su quel Ferrero-Fieschi dalla fama così fosca,
integrando le principali fonti documentarie, costituite dai
diversi archivi piemontesi, e l’esigua bibliografia
accuratamente raccolta e riassunta dal Barale (che, a quanto ci
risulta, è cronologicamente l’ultimo studioso che si sia
occupato di quel personaggio), con i fondi masseranesi
disponibili presso l’Archivio di Stato di Milano. Infatti, la
documentazione lì giacente, riportando il punto di vista di
un’altra entità politica e mettendo quindi in luce scenari
differenti da quelli “sabaudocentrici”, è stata molto preziosa
sia perché ha aperto prospettive inesplorate, sia soprattutto
perché ha consentito di comprendere quanto in realtà, sullo
sfondo di quella violenta opposizione popolare, al di là della
presunta crudeltà del principe e di ogni fisiologica dialettica
d’antico regime, campeggiasse proprio l’incombente dinastia
dei futuri re d’Italia ; un ruolo, questo dei Savoia nella storia di
Francesco Filiberto Ferrero-Fieschi, assolutamente
imprescindibile e non certo sorprendente, ma ciononostante
sottaciuto dalla storiografia o, nella migliore delle ipotesi,
quanto meno sottostimato, visto che non giovava alla causa
delle comunità-ribelli, né era propriamente edificante per
l’epopea sabauda.