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PREMESSA
La mia tesi si propone di analizzare l'importanza dell'esperienza e il ruolo delle
emozioni come risorse strategiche per il mercato e come necessaria evoluzione per le
strategie di marketing.
A tal fine ho ritenuto di delineare i cambiamenti culturali, sociali, economici e
politici che si stanno verificando in gran parte come conseguenza dello sviluppo
tecnologico e della globalizzazione, e che vengono genericamente raccolti sotto la discussa
etichetta del “postmodernismo”. E’ stata inoltre analizzata l’influenza che tali cambiamenti
stanno avendo sul consumatore e sulle sue scelte di consumo, la riconsiderazione del ruolo
del brand, e le relative implicazioni sulle strategie di marketing ottimali (§ 1.).
La scelta di partire da un’analisi della postmodernità deriva dalla considerazione che
le sue caratteristiche essenziali rappresentano l’orizzonte di riferimento nel quale prendono
forma imponenti trasformazioni. Tra queste, una delle più pervasive riguarda i luoghi del
consumo (§ 2.).
Oggi parlare di luoghi della distribuzione ha un significato molto diverso che in
passato: il consumatore odierno può fare acquisti in ogni spazio che sia luogo di
aggregazione o di passaggio, i luoghi della distribuzione si espandono senza confini, e in
essi viene presa la maggior parte delle decisioni di acquisto. Il consumo tende ad invadere
aree del tempo libero in cui in passato non era presente, accomunate dall’importanza
attribuita all’intrattenimento e dalla spettacolarizzazione.
I luoghi di consumo sono già da tempo oggetto di studio di varie discipline, tra cui la
psicologia ambientale. In particolare, è stato analizzato l’effetto di specifiche variabili
ambientali (suoni, colori, illuminazione), dapprima singolarmente, poi nei loro effetti
congiunti. Questi studi sono i primi ad indagare il ruolo dei cinque sensi nel generare un
coinvolgimento emotivo da parte del consumatore nell’atto di acquisto. Tale ruolo ha
assunto un’importanza sempre crescente, fino a configurare l’emergere del marketing
sensoriale, uno degli elementi fondanti dell’innovativa strategia di marketing rappresentata
dal marketing esperienziale (§ 3.).
L’Experiential Marketing parte dal presupposto che il consumatore non scelga in
base alle caratteristiche funzionali di un prodotto o ai servizi offerti, ma acquisti
un’esperienza. Il modello concettuale si basa su due concetti fondamentali: i moduli
esperienziali (Sense, Feel, Think, Act, Relate), elementi strategici del marketing
esperienziale, e gli Experience Providers, che ne rappresentano gli strumenti tattici. A tale
modello concettuale si accompagna uno strumento per la gestione strategica delle
esperienze, il Customer Experience Management, di utilità pratica per le aziende.
Il marketing esperienziale nasce dall’esigenza di creare una relazione duratura con il
consumatore, che appare sempre più guidato dalle emozioni nelle sue scelte di consumo. Si
è sentita dunque la necessità di applicare anche al campo del marketing le metodologie di
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studio delle emozioni, tra le quali rivestono un ruolo rilevante alcune tecniche usate nelle
neuroscienze, che possono ricondursi al neuromarketing (§ 4.).
L’assunto di partenza del neuromarketing è la considerazione che, nei processi
decisionali, il cervello reagisce agli stimoli ambientali (immagini, suoni, odori) attivando
alcune sue parti specifiche, e dunque emettendo energia misurabile che induce
cambiamenti dello stato emotivo. Gli stimoli provenienti dal mondo esterno sono elaborati
dalle persone in modo semiautomatico: il 95% dei processi cognitivi avviene nella zona
inconscia della mente. Su questi elementi inconsci, ad elevato coinvolgimento emotivo, si
gioca, secondo i neuroscienziati, il vantaggio competitivo del marketing.
Per svolgere la mia analisi ho tratto spunto ed elementi di riflessione durante i sette
mesi di stage che ho svolto presso la Procter&Gamble, azienda particolarmente attenta
all’applicazione di queste metodologie nelle strategie di marketing. Ho inoltre utilizzato un
gran numero di articoli raccolti durante la mia permanenza presso la Washington State
University at Pullman (USA). A questi si sono aggiunti ulteriori articoli e libri che mi
hanno permesso una maggiore comprensione degli argomenti trattati nella tesi.
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1. MARKETING POSTMODERNO
1.1. Il postmoderno
“Acque sempre diverse scorrono per coloro
che si immergono negli stessi fiumi”
(Eraclito, frammento 12)
L‟attuale periodo storico viene considerato da alcuni studiosi come l‟ingresso in una
nuova epoca, di cui si iniziano a delineare i caratteri.
Al concetto di postmodernità, utilizzato dalla metà degli anni „80, viene attribuito
tuttavia un debole statuto epistemologico, in quanto nato per opposizione al moderno
(Secondulfo, 2001). La difficoltà nell‟analizzare questo periodo senza ancorarsi alle
definizioni del passato e senza descriverlo solo in termini di mutamento rispetto al
moderno, è dovuta probabilmente al fatto che i fenomeni che lo caratterizzano sono ancora
in atto. Secondo Secondulfo, il termine “postmoderno” è un‟etichetta attraverso la quale si
cerca di dare un‟immagine integrata e unitaria a fenomeni frammentati. Ne deriva quindi, a
suo parere, un “tipo ideale” multiforme e talvolta contraddittorio che trae il suo fascino
dall‟indeterminatezza che lo caratterizza. Una delle chiavi di lettura proposte dall‟autore
vede la postmodernità come una fase di allontanamento dal moderno e di riflessione sulle
sue caratteristiche e sulla sua natura, per comprendere appieno il significato della
modernità da cui in ogni caso non siamo ancora usciti.
Il tema della cesura o dei legami tra modernità e postmodernità è tuttavia controverso.
Nel parlare di “tramonto” dell‟era della modernità – di cui il consumatore è stato uno
dei protagonisti – e dell‟utopia del progresso su cui tale epoca si era fondata, Fabris (2003)
ci ricorda che la postmodernità non è da intendersi come fase conclusiva della modernità,
bensì come vero e proprio inizio di un nuovo ciclo della storia, allo stato nascente. Per
Fabris, il postmoderno non è soltanto il superamento della fase precedente (come indica il
termine), ma una rottura, una negazione, per molti aspetti, della modernità.
E‟ possibile definire la postmodernità attraverso i caratteri comuni, l‟idem sentire che
accomuna settori anche distanti tra loro: è stata descritta una postmodernità nell‟arte (la
pop art, Warhol), nell‟architettura (come confermato dalla mostra alla Biennale di Venezia
nel 1979 dedicata al postmoderno), nella filosofia (Lyotard, Derrida, Vattimo), nella
sociologia (Baudrillard), nella musica, nel cinema, nel design, nella letteratura.
“Se siamo in grado di avvertire „somiglianze‟ e „differenze‟ fra fenomeni che hanno
però un‟apparenza distantissima, questo vuol dire che „c‟è qualcosa sotto‟. Che, al di là
della superficie, esiste una forma soggiacente” (Ceserani, 1997 cit. in Fabris, 2003, p. 30).
Lyotard (1979), che ha coniato il termine postmoderno, sostiene ancor più radicalmente
che moderno e postmoderno sono sempre coesistiti, anche se il postmoderno ha acquisito
una maggiore importanza ed autonomia solo negli ultimi anni.
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Baudrillard (1979) afferma che ci stiamo muovendo verso una nuova era post-
industriale, la cui sfera culturale è il postmoderno.
Per Jameson (1989), invece, la postmodernità si sviluppa soltanto nella sfera culturale in
corrispondenza all‟evoluzione del sistema capitalistico nel suo terzo stadio: il “tardo
capitalismo”. Più che di postmodernità, l‟autore parlerebbe quindi di “tarda modernità”.
Giddens (1994) vede il mutamento soltanto all‟interno di una serie di capisaldi
strutturali (le quattro dimensioni istituzionali della modernità), che restano invariati. Il
realismo utopico (concetto che richiama le grandi utopie della modernità), caratterizzato
dalla volontà dei movimenti sociali di eliminare le disuguaglianze, porterebbe alla
sostituzione del capitalismo in post-scarsità, dell‟industrialismo in un‟umanizzazione della
tecnologia, del potere militare in una demilitarizzazione globale, e della sorveglianza in
una partecipazione democratica e pluralista. La continuità e i rimandi tra le due condizioni
culturali fanno parte del passaggio tra due fasi successive, inevitabilmente legate tra loro
(sebbene per Fabris l‟idea che il cambiamento debba essere uniforme e lineare sia una
superstizione più che una realtà storica).
Quello su cui tutti gli autori concordano è che siamo in un periodo di grande
cambiamento, guidato dalla rivoluzione della tecnologia dell‟informazione.
Secondulfo (2001) analizza il postmoderno e il postindustriale come due letture distinte
del cambiamento: la prima legata alla sfera culturale, la seconda ad aspetti economico-
sociali. Ne individua quindi separatamente le caratteristiche chiave.
Servendomi della sua analisi e degli spunti tratti dal libro di Fabris e da altre letture,
preferisco qui riportare alcuni elementi che differenziano il “mondo” in cui viviamo oggi
dalla realtà del passato, senza soffermarmi troppo sulle possibili differenziazioni
terminologiche o di aree concettuali. Credo, infatti, che sia utile, per capire i cambiamenti
avvenuti nel consumatore e nel marketing degli ultimi anni, avere un quadro d‟insieme dei
cambiamenti della società in cui il consumatore vive e agisce quotidianamente.
1.2. Il consumatore verso il postmoderno
Risulta piuttosto difficile separare tra loro i vari mutamenti che attraversano il vivere
sociale e l‟identità degli individui/consumatori, e ancor più difficile separare le tendenze
nella sfera del consumo da tali cambiamenti generali. La suddivisione in paragrafi che
segue è quindi più il frutto di un tentativo di semplificazione che una effettiva distinzione
tra argomenti. Ho voluto focalizzare la mia attenzione su alcuni aspetti del cambiamento
che sembrano avere un impatto più diretto sul mercato, e rendono quindi necessaria una
evoluzione delle strategie di marketing.
1.2.1. La società dell’informazione: l’“Era dell’Accesso” e i beni intangibili
Il tessuto connettivo, l‟impianto strutturale della società postmoderna (come di quella
postindustriale, se vogliamo mantenere tale differenziazione), è creato dal diffondersi della
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tecnologia digitale, dall‟avvento della società dell‟informazione e dei nuovi media e dal
cambiamento dei modi di produzione. La produzione, infatti, resa flessibile dall‟uso
dell‟informatica, avviene ora in località del mondo lontane dagli headquarter e dai Paesi
più industrializzati. Tale delocalizzazione produttiva e la minore necessità di forza lavoro
(sostituita in gran parte dalle “macchine” informatiche), hanno dei risvolti sulla divisione
internazionale del lavoro e sulla tipologia stessa della produzione (Fabris, 2003). La
produzione perde il suo primato rispetto al consumo, che assume maggiore centralità.
La nuova società rappresenta in forma più compiuta il concetto di società
dell‟informazione teorizzato da Touraine (il primo ad usare il termine “società
postindustriale”, nel 1970) e Bell (1973, da cui deriva il significato attuale del termine).
Secondulfo (2001) individua i fattori che caratterizzano la visione del mutamento di Bell:
ξ il passaggio dalla produzione di beni all‟economia dei servizi;
ξ la preminenza della classe dei professionisti e dei tecnici;
ξ la centralità del sapere teorico e della conoscenza;
ξ la gestione dello sviluppo scientifico e il controllo normativo della tecnologia;
ξ la creazione di nuove tecnologie dell‟informazione e la loro applicabilità ad ogni
settore di attività;
ξ il predominio del terziario e dei brain workers, impiegati nell‟area dei servizi;
ξ il modificarsi dei rapporti con lo spazio e con il tempo.
L‟analisi di Touraine appare invece più interessata alle dinamiche del conflitto sociale,
nelle mani non più di sindacati o lavoratori, ma di gruppi eterogenei. Tali gruppi lottano
per diminuire il potere dei tecnocrati, che con la globalizzazione (§ 1.2.3.) hanno visto
crescere a dismisura la loro influenza, e per difendere la libera produzione di conoscenza,
valore fondamentale nella società post-industriale.
Rifkin (2000), individua la principale causa di mutamento nel ruolo della proprietà.
Per tutta l‟età moderna proprietà e mercato sono stati quasi sinonimi: l‟economia
capitalistica è fondata sul concetto di scambio di proprietà nel mercato. L‟accumulazione
di proprietà è parte integrante della nostra identità. Ora questo fondamento sta crollando, i
mercati stanno diventando un mezzo per entrare in contatto in un network di relazioni, e il
possesso sta per essere sostituito dall‟“accesso”. Lo scambio di mercato non è più tra
venditori e compratori, ma è una relazione di accesso a breve termine tra server e clienti.
Nell‟economia di rete è infatti possibile usufruire delle proprietà fisiche e intellettuali
senza necessità di scambio a lungo termine.
Il capitale fisico è visto sempre più dalle aziende come una spesa di gestione anzichè
come un valore (quindi da prendere in prestito più che da possedere).
La forza trainante della nuova era è il capitale intellettuale.
Le aziende hanno iniziato la transizione dal possesso all‟accesso: stanno vendendo le
proprietà immobiliari, dando in leasing le dotazioni, in outsourcing le attività. Si stanno
liberando da ogni proprietà fisica. Non si parla più di venditori e compratori, ma di
fornitori e utenti (Rifkin, 2000).
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Le transazioni di mercato danno il via a nuove forme di alleanze strategiche, co-
sourcing, accordi per la divisione del guadagno. Le aziende non si vendono più le cose ma
le dividono, si uniscono in reti di fornitori-utenti. La vita economica si organizza
concentrando il potere economico nelle mani di poche grandi aziende. Il successo
economico dipende dalla capacità di stabilire relazioni commerciali. L‟enfasi si sposta dal
prodotto al servizio, e dal servizio alla relazione col cliente.
Anche il cliente ha iniziato la transizione dal possesso all‟accesso: “accede” ai beni
costosi (come auto o case) tramite leasing a breve termine, affitti, membership e altri
servizi che permettono di usufruirne provvisoriamente.
Il leasing ha avuto inizio nel mercato delle auto con Ford. Attualmente, in Inghilterra,
Mercedes permette di cambiare modello di auto in qualunque momento: offre un servizio
di trasporti più che un singolo veicolo. In aree ricche come la California più del 60% delle
auto è in leasing. In tutti gli Stati Uniti è in leasing un terzo delle auto. La ragione della
diffusione di questo fenomeno è la possibilità per il gestore di automobili di instaurare
relazioni a lungo termine con il cliente: alla Ford, ad esempio, hanno verificato che un
cliente che riporta una Ford presa in leasing nel 50% dei casi prende una seconda Ford.
La transizione ci porta verso l‟economia delle esperienze: il nuovo termine operativo
nel mondo commerciale è il lifetime value (LTV), misura teorica del valore che un cliente
ha per l‟azienda in base alla somma del valore economico di tutte le interazioni che
l‟impresa potrà instaurare a lungo termine col cliente.
Anche Davis e Meyer (1998) sostengono che il nuovo obiettivo delle aziende è
l‟instaurarsi di relazioni a lungo termine con i clienti. E‟ possibile perfino anticipare i
futuri desideri dei clienti grazie alla massa di informazioni sul loro stile di vita raccolte nel
corso delle interazioni, e grazie ai database on-line. Le nuove tecnologie sono “R-
technologie”: tecnologie relazionali. La strategia descritta da Rifkin (2000) usa i dati sul
cliente per fini commerciali, ed è da lui definita “controlling the customer”. Secondo
l‟autore, in un mondo dove il possesso personale di proprietà non è più visto come
un‟estensione del sè e una misura del proprio valore, il modo in cui le future generazioni
percepiranno la natura umana sarà totalmente differente. La natura del sistema capitalistico
sta cambiando dalla produzione industriale a quella culturale. Il quinto più ricco della
popolazione mondiale spende più per l‟accesso ad esperienze culturali che per beni di
necessità e acquisto di prodotti. Il nuovo “ipercapitalismo” commercia in accesso alle
esperienze culturali. Di conseguenza, i nuovi giganti del capitalismo culturale sono le
grandi aziende transnazionali che usano la tecnologia digitale per connettere il mondo:
Viacom, Time Warner, Disney, Sony, Seagram, Microsoft, News Corporation, General
Electric, Bertelsmann A.G., PolyGram. Sono gatekeeper, in quanto detengono il
monopolio commerciale globale. La sfera commerciale dall‟essere orientata ai servizi
diventa orientata all‟esperienza (Rifkin, 2000).
La trasformazione della cultura in valore economico crea un cambiamento
fondamentale nella natura del lavoro. Il lavoro fisico e mentale viene svolto da macchine
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pensanti, i software. Nel 2050 basterà un 5% della popolazione per gestire e operare
nell‟industria tradizionale. Le persone saranno pagate per servire bisogni culturali e
desideri. Qualunque attività al di fuori della famiglia diventa una “paid-for experience”, e
gli obblighi tradizionali (empatia, solidarietà, fede) sono sostituiti da relazioni contrattuali
(sottoscrizioni, membership, tasse e ritenute).
Compriamo il tempo degli altri, il loro affetto, la loro attenzione e simpatia.
Comunicazione, comunità e commercio sono indistinguibili, la vita e il tempo diventano
merci, la stessa cultura rappresenta una risorsa commerciale: compriamo esperienze da
vivere. La prima generazione nata nell‟era dell‟Accesso è flessibile, si adatta ai
cambiamenti, considera più importante essere connessi che possedere. Ogni persona è un
nodo di una rete di interessi condivisi e di relazioni reciproche, anzichè un autonomo
agente Darwiniano in competizione con gli altri.
Aumenta, oltre al gap generazionale, il gap con la parte povera del mondo, che resta
esclusa (solo un quinto della popolazione mondiale vive l‟esperienza del cyberspazio). Il
gap tra chi è connesso e chi è disconnesso è oggi maggiore di quello tra possidenti e non
possidenti, soprattutto se si fa riferimento al divide tra aree diverse del mondo: per cogliere
le possibilità di progresso offerte dalle tecnologie della comunicazione e
dell‟informazione, i tassi di impiego di tali tecnologie dovrebbero crescere più rapidamente
nei paesi più arretrati rispetto alle aree più ricche (Anzera e Comunello, 2005). Questo è
reso difficile da condizioni economiche e politiche che frenano lo sviluppo tecnologico di
tali paesi. Nei paesi Occidentali, invece, il ritmo della vita cresce d‟intensità, l'innovazione
non accenna a rallentare il passo e il cambiamento influenza ogni aspetto della vita delle
persone coinvolgendole in un vortice frenetico costituito da un'abbondanza incredibile
d‟informazioni, prodotti e tecnologia, ma fatto anche di instabilità ed incertezza. A questo
proposito Panzarani (2005) parla dei “tre pilastri” della new economy che costituiscono il
concetto di “blur”: velocità del cambiamento; tecnologia/interconnessione, che consente la
creazione di una rete di collegamenti sempre più ampia; immaterialità, che coincide con il
patrimonio delle idee e della creatività.
La tecnologia continua a sviluppare le possibilità di interconnessione. Le crescenti
possibilità di interconnessione conducono a una maggiore volatilità. La maggiore volatilità
accresce l‟importanza di sviluppare maggiori capacità adattative. Le nuove tecnologie
diminuiscono il costo dello sviluppo di capacità adattative (Panzarani, 2005).
In uno scenario in cui l‟innovazione si nutre di scambi, confronti, interazioni, diventa
fondamentale sviluppare un dialogo anche tra le imprese.
La dematerializzazione è un fenomeno sempre più evidente. Coyle (1997) ricorda che la
differenza di valore tra importazioni ed esportazioni veniva misurata, fino a un tempo
recente, in base al peso. Oggi sarebbe impensabile: un microchip ha un peso minimo ma un
potere enorme. I prodotti si stanno miniaturizzando, anche grazie alla microelettronica: la
transizione è verso un‟economia dei servizi, in cui al posto dei prodotti vengono scambiati
segni, immagini, messaggi (Fabris, 2003). Il valore d‟uso del bene viene sostituito dal