7
ergonomia della comunicazione, informatica, marketing, tecniche
della ricerca sociale, teorie della promozione d’immagine e della
comunicazione pubblicitaria.
Il linguaggio usato è volutamente tecnico, sia perché questa ricerca
si rivolge a studiosi e professionisti di settore, sia perché la
cospicua quantità di concetti afferenti agli ambiti sopra elencati è
stata trattata dando per scontato la loro conoscenza per favorire la
sintesi e la fluidità del testo. Ad ogni modo, molte delle spiegazioni
terminologiche sono presenti in nota e, per maggiore comodità, un
piccolo glossario è stato predisposto alla fine del volume.
Lo sviluppo strutturale di questo studio presenta un andamento ad
“imbuto”: il primo capitolo si pone il fine di definire il concetto di
“arte” tramite un’analisi storico-filosofico-semiotica del fenomeno.
Nel secondo capitolo viene preso un caso concreto di sviluppo
tecnologico di uno strumento musicale, la chitarra, per dimostrare
quanto l’espressione artistica dipenda dall’evoluzione dei mezzi
necessari alla sua esistenza.
Il capitolo 3 propone invece una storia psico-sociologico-musicale
dell’heavy metal, confrontando le letterature italiana e
anglosassone in modo da pervenire ad una definizione di
movimento subculturale più ampia di una semplice moda
demografica.
Nel quarto capitolo sono presentati gli strumenti di marketing che
meglio possono essere utili ad affrontare un caso complesso come
una subcultura, e nello specifico si è scelto di utilizzare l’approccio
tribale di Bernard Cova.
Il quinto capitolo è incentrato sull’analisi delle interviste che ho
condotto personalmente a musicisti e professionisti di ambito
discografico, alla luce di quanto è stato concettualizzato
precedentemente, per ottenere uno “spaccato” della situazione del
8
mercato sia dal punto di vista economico che dalla visione
personale che ne hanno i suoi attori.
Infine, il sesto e ultimo capitolo riassume tutto il lavoro traendone
delle conclusioni e delle proposte operative per creare strategie ad
un più profondo livello di coscienza personale e professionale.
Il fine ultimo di tutto l’impianto teorico e pratico ricavati in queste
pagine è non solo rivolto all’ambiente discografico heavy metal, ma
anzi si propone come modello operazionale per tutti i casi simili, in
cui gli strumenti del marketing classico possono risultare di scarsa
efficacia o in cui si cerchi di sviluppare un rapporto più profondo
con i valori propri di un qualsiasi servizio o prodotto di consumo, il
tutto per orientare le decisioni di acquisto del consumatore senza
operare manovre pesanti e invasive, in favore di una maggiore
etica, ergonomia e correttezza nel rapporto umano con l’utente
finale.
Come molte volte si tende a dimenticare, il consumatore siamo noi.
Una bella poesia è un
contributo alla realtà.
Il mondo non è più lo
stesso quando gli si è
aggiunta una bella poesia
Dylan Thomas
Ognuno di noi passa la
vita ricercandone il
segreto.
Ebbene, il segreto della
vita è l'arte.
Oscar Wilde
L’arte non è uno specchio
con il quale riflettere il
mondo, ma un martello
con il quale trasformarlo
Vladimir Majakovskij
12
12
Contorni del problema definitorio di “arte”
Porsi delle domande è una parte fondamentale dell’approccio al
marketing musicale che in questo esposto intendo portare avanti,
visto che di fronte all’incredibile mole di materiale artistico che il
mercato propone al giorno d’oggi diventa fondamentale cercare di
capire i metodi di scelta che stanno alla base di questa molteplicità
di offerte.
La domanda principale diventa quindi: perché?
Riflettendo su questo quesito, viene da chiedersi se l’arte abbia nel
presente una sua autonomia concettuale o se obbedisca
supinamente a pure regole di mercato, che orientano i fruitori delle
opere nella loro ascrizione obbligata ad un concetto astratto di
“arte”.
Diventa quindi determinante cercare di definire questo concetto
dandogli dei contorni, se e dove possibile, e scindendolo in unità
organizzabili e misurabili.
Scopo delle pagine che seguono sarà proprio cercare di capire fino
a quale limite la razionalizzazione dei fenomeni artistici è possibile,
utile e soprattutto accettabile.
1.1 Analisi storica
Nella ricerca degli elementi costitutivi del concetto “arte” ritengo
opportuno utilizzare in prima analisi un approccio storico, dal quale
emerge subito come arte e filosofia siano strettamente collegate: il
pensiero presocratico emerge, infatti, dal mito e da alcune forme
religiose come l’orfismo, ma anche dalla poesia e dalla tragedia.
In una cultura prevalentemente orale, la trasmissione della storia e
del credo religioso visto come legittimazione delle norme sociali
13
13
vigenti veniva giocoforza affidata ad un certo formalismo poetico e
musicale che poteva favorire poi il richiamo mnestico. La
trattazione delle parole nella loro componente ritmica e melodica
ha portato quindi ad un’evoluzione delle forme espressive che
serviva ad ottimizzare questa loro funzione, e un esempio su tutti
può essere l’esametro dattilico omeriano1.
La rinuncia alla personalità era comunque una caratteristica
necessaria a coloro che avevano l’incarico di tramandare i valori e
gli ideali di generazione in generazione all’interno della società,
ovvero i poeti; il mantenimento di una visone personale delle cose
non avrebbe loro permesso infatti di essere il giusto tramite fra
l’uomo e la divinità.
Il loro compito era quindi il trasmettere la verità, ma questa si
coglieva tanto nel passato (con la forma della tradizione2) quanto
nel futuro, nella sua natura di sapienza “rivelata” attraverso la
divinazione, considerata anch’essa una forma d’arte.
Sono molte le culture tribali i cui sacerdoti anche oggi affermano di
riuscire a instaurare un rapporto diretto con il trascendente3 grazie
a sostanze psicotrope talvolta unite a danze e canti rituali dal ritmo
ossessivo4 che permettono loro di alterare il proprio stato di
coscienza.
1
L' esametro o più propriamente esametro dattilico, o esametro eroico è il più antico e il più
importante dei metri in uso nella poesia greca e latina, usato in particolar modo per la poesia epica o
poesia didascalica. Secondo le definizioni della metrica classica esso consiste in una esapodia dattilica
catalettica, ossia di un verso formato da sei piedi dattilici ( ), di cui l'ultimo manca di una
sillaba, (catalettico) secondo lo schema:
Ad esempio: ‘ Aνδρα µόι ννεpiε, Μο σα || piολύτροpiον || ς µάλα piολλά (Odissea, I, 1) (con cesura
dopo il terzo trocheo e dieresi bucolica).
2
Il concetto di tradizione è qui inteso come s da cui deriva, tanto etimologicamente quanto
filosoficamente, il concetto di etica.
3
Visto come dimensione spirituale, contatto con i defunti, soprattutto con chi in passato rivestiva la
stessa carica, in una sorta di continuum della saggezza nell’amministrazione della fede della comunità.
4
Si può parlare in questo caso sia di ritmi percussivi (le percussioni hanno vibrazioni profonde che
fanno acquisire fisicità alla musica), che di parole o frasi salmodiate per lungo tempo (come l’aum
tibetano, maggiormente conosciuto come om). Interessante notare come anche il Kyrie eleison,
14
14
E’ interessante notare anche come l’uso di strumenti musicali a
fiato possa portare allo stesso risultato, sia a livello fisico che
simbologico, connotando la musica come proveniente in realtà
dell’interno del corpo, sotto forma di .
I valori connessi a tale considerazione sono stati visti durante la
storia in modo diverso. L’esempio più rimarchevole è dato dal fatto
che nell’iconografia medievale relativa agli strumenti musicali, le
rappresentazioni infernali sono sempre associate agli strumenti a
fiato, mentre quelle paradisiache agli strumenti a corda, in cui il
suono è generato interamente dall’esterno del corpo. Il , la
forza vitale interna che serve a produrre il suono, è vista quindi
come una natura maligna e riprovevole. A riprova di questo, il fatto
che l’unica eccezione sia costituita dagli oggetti della divinità
positiva che ispirano sentimenti di paura e sconforto, ovvero le
Trombe del Giudizio.
Secondo Platone (Fedro, 244 a-b) era la divinazione raggiunta
tramite la manìa (follia) l’arte più bella, che veniva chiamata
appunto maniké (arte folle). La perdita del raziocinio sembra infatti
essere stata interpretata come l’unica via per ottenere una visione
perfetta del futuro.
Nel Timeo (71e-72a) si può leggere:
Vi è un segno sufficiente che il dio ha dato la divinazione
alla dissennatezza umana: difatti nessuno che sia padrone
dei suoi pensieri raggiunge una divinazione ispirata dal
dio e veridica. Occorre piuttosto che la forza della sua
intelligenza sia impedita dal sonno o dalla malattia,
oppure che egli l’abbia deviata essendo posseduto da un
dio. Ma appartiene all’uomo il ricordare le cose dette nel
Christe eleison delle celebrazioni cattoliche abbia in realtà la stessa funzione. Su queste tematiche,
consiglio l’ottimo Gilbert Rouget, La music et la trance, Gallimard, Paris, 1980.
15
15
sogno o nella veglia dalla natura divinatrice ed
entusiastica, il riflettere su di esse, il discernere con il
ragionamento tutte le visioni allora contemplate, il vedere
onde quelle cose ricevano un significato e a chi indichino
un male o un bene, futuro o passato o presente. A chi
invece è esaltato e persiste in questo stato non spetta
giudicare le apparizioni e le parole da lui stesso dette…
Si avrebbe quindi da una parte la figura dell’invasato che presta il
corpo alla divinità e dall’altra quella di chi, con il ragionamento,
riporta le cose dette all’interno di un preciso campo (di senso)
culturale e sociale che deriva comunque da un elemento
mitologico, in un cerchio che si chiude perfettamente su se stesso.
Lo scopo dell’arte in tutto questo processo era quindi quello di
raffigurare questo insieme delle cose che è l’universo, nella sua più
ampia accezione, atemporale, di realtà delle cose.
1.2 La sussistenza della realtà
Già a questo punto si può quindi avere una prima definizione di
arte, che fa sentire comunque la necessità di soffermarsi sui due
concetti fondamentali di realtà e di rappresentazione.
Il fatto che esista o meno una realtà al di fuori del nostro universo
percettivo è una questione che da sempre divide studiosi di
molteplici discipline, e ognuna di queste porta validi ragionamenti a
difesa delle sue prese di posizione.
Sul piano filosofico-religioso, è possibile trovare diversi tipi di
approccio all’esistenza del creato, dove fondamentalmente si ha un
“Tutto” che presuppone un “Nulla”.
I Taoisti, ad esempio, indicano questo concetto di
complementarietà degli opposti simboleggiandolo con lo yin
16
16
(femminile, passivo, intuitivo) e lo yang (maschile, attivo,
razionale), che sono rappresentati da una serie di segmenti
spezzati e continui, le cui varie combinazioni generano i 64
esagrammi degli I Ching, i quali a loro volta codificano tutti i
possibili aspetti della realtà.
La scuola Rinzai del buddhismo zen affronta invece la presenza di
aspetti contrapposti tramite i koan, che mostrano come
un’apparente contraddittorietà logica possa nascondere uno stato
di maggiore coerenza delle cose inesprimibile dal linguaggio.
Gli induisti privilegiano una visione di interconnessione alla
contrapposizione di due elementi attraverso l’immagine della rete
di Indra, una maglia di perle disposte in modo che su ognuna si
possa vedere il riflesso di tutte le altre.
I neoconfuciani propendono per il concetto di ch’i (etere), visto
come una forma di materia-energia che pervade il cosmo
animandolo, e i cui riflessi sono paragonabili alle diverse immagini
della luna riflessa nelle acque della terra sottostante.
In occidente, sia Eraclito che Plotino hanno fatto del concetto di
“Uno” la radice della loro filosofia, mentre il concetto di rete è
rintracciabile nella Monadologia di Leibniz, che si ricollegherebbe
comunque al pensiero neoconfuciano. La complementarietà degli
opposti è poi una costante del pensiero moderno, dalla dialettica di
Hegel al decostruzionismo di Derrida.
Dal punto di vista scientifico, e fisico in particolare, è possibile
notare come i principi di separabilità, realtà e località, enunciati dai
filosofi presocratici e abbracciati poi dalla fisica classica, avessero
posto forti limiti nella formulazione di teorie volte a rappresentare
la realtà fenomenica. Il punto di svolta che ha permesso il
superamento di questi vincoli è giunto con la cosiddetta
interpretazione di Copenaghen, del 1927. Il suo autore, il danese
Niels Bohr, sosteneva la necessità di “considerare la teoria non
17
17
come una descrizione ontologica del mondo ma come una
descrizione epistemologica della nostra conoscenza di esso”; in
altre parole, la teoria dovrebbe essere vista come la descrizione dei
risultati di esperimenti in funzione delle condizioni degli apparati di
misurazione, inclusi gli osservatori.
Una delle conclusioni indirette di questa presa di posizione è che si
può dunque ignorare l’ipotetica realtà delle cose al di là
dell’esperimento, considerando come reali solo gli oggetti della
misurazione e la misurazione stessa.
Questa si figurerebbe come una versione aggiornata dell’idealismo
che si trovava già nella massima esse est percipi del vescovo
irlandese Berkeley o, alleggerendo la questione, sulle rime del
prelato Ronald Arbuthnott Knox:
Si stupiva un dì un allocco:
“Certo Dio trova assai sciocco
che quel pino ancora esista
se non c’è nessuno in vista”
alle quali un anonimo rispondeva:
Molto sciocco, mio signore,
è soltanto il tuo stupore.
Tu non hai pensato che
Se quel pino sempre c’è
È perché lo guardo io.
Ti saluto: sono Dio.
Questo dissenso alla posizione di Bohr è stato sostenuto
apertamente da Einstein, che nel 1935, in un famoso esperimento
con Boris Podolsky e Nathan Rosen, dimostrò che “dai principi di
18
18
separabilità, realtà e località segue l’incompletezza della meccanica
quantistica”, e quindi seguire l’idealismo comporterebbe
l’abbandono del principio di realtà, secondo il quale l’universo ha
una sua esistenza oggettiva.
Tornando comunque al discorso artistico è bene notare che,
tralasciando il rapporto con un io trascendente, l’opera d’arte in
generale è un costrutto realizzato dall’uomo per essere fruito
dall’uomo, e questo porta all’introduzione di un diverso approccio
anche al concetto di realtà, che secondo me risulta più adatto a
questa analisi.
La semiotica tende a ritenere l’esistenza umana immersa in uno
spazio semiotico, ovvero, citando il De Carli, in uno spazio “nel
quale cose, eventi e fatti s’impongono alla coscienza sotto la specie
di segni resi intelleggibili dall’attività interpretativa della semiosi”5.
Questo comporta che ogni cosa non ha esistenza effettiva di per sé,
ma solo in funzione del suo significato, espresso nei termini di una
posizione relativa che essa ha all’interno di un sistema strutturato,
nel contesto del modello di un mondo.
In questo modo si arriva al concetto introdotto dal semiologo e
storico della letteratura russo Jurij Lotman di “semiosfera”, luogo
semiotico entro il quale le cose ed i fatti del mondo diventano
comprensibili. Riportando la definizione che ne dà lo stesso
Lotman, “la semiosfera è quello spazio semiotico al di fuori del
quale non è possibile l’esistenza della semiosi”.
Le prospettive aperte da questo tipo di approccio appaiono subito
interessanti in quanto forniscono la risposta ad una domanda
determinante: la copia di un’opera d’arte è a sua volta un’opera
d’arte?
5
Lorenzo De Carli, Internet. Memoria e oblio, Bollati Boringhieri editore srl, Torino, 1997.
19
19
Questo quesito non appare di facile soluzione in quanto, parlando
di copie di opere, si crea un insieme all’interno del quale ci sono sia
le contraffazioni più o meno legali che i fenomeni di mercato che
vanno tanto di moda oggi in ambito musicale, ossia il lancio di
nuovi interpreti tramite la riproposizione di canzoni di altri, le
cosiddette “cover”.
Riprendendo l’approccio semiotico, bisogna considerare che ogni
qualvolta viene creata un’opera che rappresenta la realtà, vista
dunque come interpretazione dell’universo generatore di senso,
l’opera stessa va poi ascritta all’universo semiotico stesso, proprio
in virtù del fatto che essa esiste, e quindi genera a sua volta del
senso.
Dunque la copia dell’opera diventerebbe logicamente una nuova
interpretazione di questo universo, e non un mero clone; questo
comporterebbe, d’altro canto, che qualunque copia è a sua volta
considerabile “arte”, ma tale conclusione appare subito un po’
troppo semplicistica.
Aristotele, nella “Poetica”, valorizzava comunque l’arte come
imitazione sia perché la realtà sensibile, che anche la poesia
rappresenta, è vera realtà, sia perché secondo lui l’arte non si
limiterebbe a riprodurre passivamente le cose ma ne metterebbe in
luce l’aspetto universale.
Platone al contrario aveva un atteggiamento di condanna nei
confronti dell’arte, e le sue argomentazioni erano le seguenti: se la
realtà è copia delle idee, l’arte ne è una copia depotenziata, in
quanto copia della realtà, dunque copia di una copia.
Tornando quindi alla domanda che ci si è posti all’inizio di questo
capitolo, si avverte la necessità di trovare un fattore che, fin qui
giunti, costituisca un discriminante per dividere ciò che è “artistico”
da ciò che non lo è.
20
20
Questo fattore può essere costituito dall’intenzionalità dell’artista,
che mette in opera un processo artistico, ossia un “fare” che non è
solo il semplice utilizzo di materiali piuttosto che di gesti o di suoni,
ma che parte da un’attenta analisi della realtà che ha come fine la
fruizione da parte di altri della sua rappresentazione concreta.
L’approccio storiografico impone comunque di notare che il tipo di
intenzionalità varia a seconda dei popoli e delle epoche, e lo stesso
modello con cui ci si avvicina al problema definitorio è influenzato
dal contesto storico-culturale di chi scrive, rendendo così
impossibile una generalizzazione assoluta non verificabile. Questo è
sicuramente un grosso limite, ma è anche vero che la stessa
negazione della possibilità di definire univocamente l’arte non ci
sottrae dall’esigenza di farlo.
1.3 La rappresentazione della realtà
Si è parlato fin qui del problema della sussistenza della realtà,
optando per soffermarsi su quell’universo semiotico che permea
fisiologicamente gli atti e i fatti degli esseri umani, veri protagonisti
di tutto quanto è arte. Ma questa realtà deve essere interpretata
dagli artisti e restituita sotto forma di opera, per essere poi fruita
dal pubblico con finalità catartiche6, emozionali o di puro svago
dalla quotidianità.
Mutuando un concetto dalle scienze che studiano il linguaggio, è
possibile considerare la rappresentazione come la stesura di una
mappa della realtà stessa, con tutte le limitazioni che ne
conseguono.
Innanzitutto, bisogna valutare il rapporto che una mappa ha con il
suo territorio (quindi l’opera d’arte con la realtà), tenendo presente
6
Secondo Aristotele, nella già citata “Poetica” (opera che si occupa prevalentemente della tragedia),
nel concetto di “catarsi” vengono sottolineate sia la valenza conoscitiva che quella etica dell’arte.