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Capitolo primo
Il contesto storico: il giornalismo italiano negli anni ‘30 del fascismo
“L’ascesa di Mussolini scaturì da condizioni storiche, strutturali e contingenti, che
non possono certo ridursi alla manipolazione dell’opinione pubblica, ma il ruolo della
stampa nella nascita della dittatura e nel mantenimento del consenso al regime fu
fondamentale.”
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Con l’ascesa di Mussolini al potere, la comunicazione giornalistica
italiana subisce una graduale, ma forte e ben articolata soppressione alla libertà di
stampa. Consapevole del ruolo determinante che i quotidiani ricoprono nella costru-
zione del consenso, Benito Mussolini attua un’“efficace strategia repressiva- ingloba-
tiva”
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al fine di “fascistizzare” tutti i giornali italiani in circolazione, strategia che si
concretizza in diverse forme. I primi interventi sono rappresentati dalla violenza e
l’intimidazione fisica: un esempio ne è l’assalto del 1926 alla sede del quotidiano ge-
novese riformista “Il Lavoro”, atto che provoca tre morti e venti feriti e la devastazio-
ne della tipografia e della redazione del giornale. A rendere il processo di fascistizza-
zione più semplice è il fatto che quasi la maggior parte dei giornali italiani è gestita da
editori “non puri”, pronti ad assecondare la volontà del regime. Col passare del tempo
s’instaura una dinamica che prevede l’accordo tra governo ed editori privati (indu-
striali) per ciò che concerne la nomina dei direttori dei quotidiani, ulteriore manovra
per consentire sempre maggior controllo sulla gestione dell’informazione giornalisti-
ca. Nel frattempo l’Agenzia di stampa italiana Stefani si trasforma nella diretta ap-
pendice del governo Mussolini. Nel 1926 viene istituito l’Albo dei Giornalisti, teori-
camente creato al fine di ufficializzare lo statuto professionale dei giornalisti, ma di
fatto strumento per escludere dalle redazioni elementi non graditi al governo. La de-
purazione di soggetti avversi al regime trova infine il suo coronamento nella creazio-
ne della Commissione Superiore della Stampa, capeggiata da Arnaldo Mussolini, fra-
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Bergamini Oliviero, La democrazia della stampa, Editori Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 242
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Ibid., ivi p. 245.
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tello del Duce, che tra i suoi compiti include anche quello di poter giudicare presunte
ingiustizie subite dai giornalisti ed esaminare i ricorsi di quest’ultimi. Il tutto non do-
po aver ordinato ai prefetti l’ordine di agire secondo le indicazioni del regio decreto,
al fine di impedire le licenze editoriali a chi vuole creare nuove riviste o quotidiani e
per rendere più semplice il controllo sulle testate esistenti.
Secondo gli ideali di Mussolini, l’informazione giornalistica doveva abbandonare la
libertà di stampa per partecipare attivamente alla costruzione della nuova Italia fasci-
sta, e proprio con quest’obiettivo furono introdotte le cosiddette “veline” – ossia fogli
di carta velina inviate dal Ministero; queste direttive cartacee giungevano giornal-
mente alle redazioni dei quotidiani e riportavano le condizioni per il trattamento delle
varie notizie del giorno . In breve tempo, anche la cronaca italiana venne sottoposta a
censura e manipolazione, metodo teso a decantare i successi del regime e a nascon-
derne le difficoltà. Nell’enorme fabbrica del consenso che il governo stava realizzan-
do, si spinsero i giornalisti ad abbandonare il vecchio stile retorico del regime demo
liberale per accoglierne uno più energico ed asciutto, in linea con lo spirito della nuo-
va politica. Questo crescendo di provvedimenti costringe la notizia giornalistica in
una gabbia linguistica dove l’espressioni utilizzate si riempiono di metafore belliche o
mirano alla costruzione di miti, il Duce su tutti.
L’unica eccezione, se così si può definire, in termini di sottomissione del quarto pote-
re alle imposizioni del governo, è rappresentata dalla stampa cattolica che, pur alline-
ata, “non fu mai davvero irreggimentata”
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e che costituirà di fatto un problema mai
realmente risolto dal governo Mussolini. Questa mancanza di completo allineamento
si concretizza, per le redazioni giornalistiche, nella possibilità di sfuggire alle disposi-
zioni presenti nelle “veline” muovendosi con maggior libertà fra le notizie: ancor più
liberamente poi con “L’Osservatore Romano” che, grazie alla sua extraterritorialità,
può fornire informazioni e letture critiche vietate ai giornali italiani e immancabil-
mente riprese dai quotidiani cattolici.
Nel frattempo dall’estero giunge un nuovo giornalismo basato su riviste (l’americano
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G.Farinelli et alii, Storia del giornalismo italiano dalle origini ad oggi, Torino, UTET Libreria, 2004
p. 288, in Cannistraro, La Fabbrica del consenso.
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“Life”, per esempio) che puntano ad un’informazione di “attualità resa ancor più pre-
sente dall’immediatezza fotografica”
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la quale sancisce un esempio di giornalismo
destinato ad essere imitato anche in Italia. È proprio il grande Leo Longanesi a con-
cretizzare per primo questa nuova immagine dell’informazione: il settimanale “Om-
nibus” nasce il 3 aprile del 1937, e riprende lo stesso formato dei quotidiani nazionali.
È un momento importante per la stampa italiana,
non solo perché si tratta del primo settimanale stampato a rotocalco, ma perché tecnica di stampa, gra-
fica e cura delle illustrazioni sia fotografiche che vignettisti, titolazioni, fondini e criteri
d’impaginazione riescono a farlo elevare a modello del settimanale moderno pur nel poco tempo a di-
sposizione concesso al foglio dalle rispettive palesi insofferenze tra direzione e Regime.
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A questo riguardo è di particolare importanza sottolineare come proprio Longanesi
accolga la collaborazione di Maria Vittoria Rossi (con lo pseudonimo di Irene Brin)
alle pagine dell’”Omnibus”:
Nell'Omnibus di Longanesi, il settimanale più intelligente e meno conformista che sia stato pubblicato
negli anni del fascismo alla pagina intitolata 'giallo e rosso', tra l'articolo di critica drammatica di Al-
berto Savinio e quello di critica musicale di Bruno Barilli, stava l'articolo di Irene Brin. Erano cose vi-
ste, raccontini, registrazioni di conversazioni e di piccoli avvenimenti in margine ad avvenimenti più
grandi sul piano di una cronaca apparentemente svagata ma effettualmente attenta e pungente, si tratta-
va dello stesso mondo, della stessa società, che Moravia ritraeva nei suoi romanzi e racconti: il mondo
borghese e burocratico della capitale (e perciò il giallo e rosso, i colori romani)
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.
Importante rifugio e luogo di evasione è rappresentato dalla cosiddetta terza pagina:
mentre la cronaca si sta rivelando tra censura e retorica, la terza pagina offre una sorta
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G.Farinelli et alii, Storia del giornalismo italiano dalle origini ad oggi, Torino, UTET Libreria, 2004,
p. 294.
8
Ibid.
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Sciascia L., commento nel risvolto di copertina dell’opera di Irene Brin Cose Viste 1938-1939, Pa-
lermo, Sellerio Editore, 1994.
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di riparo privo di rischi, dove penne più o meno autorevoli della stampa italiana fir-
mano articoli di tipo culturale o personale, sempre comunque innocui e raffinati. Dal
punto di vista dell’innovazione tecnica della stampa italiana, gli anni trenta rappresen-
tano un momento di rinnovamento: seguendo in particolare i modelli francesi, le varie
testate nazionali cominciano ad aumentare la foliazione e a raggiungere le dodici pa-
gine, diversificando il contenuto in sezioni (politica, esteri, cronaca …). Viene creato
il numero del Lunedì (quasi tutto sportivo), si infittisce la collaborazione con “le
grandi firme del giornalismo”( proprio attraverso la terza pagina) e la distribuzione
diviene più rapida. A ciò si aggiunge, come prima citato, l’uso più intenso
d’immagini fotografiche, nonché una titolazione ed impaginazione più vivace (dovuta
molto anche alle richieste del Regime). Alcune redazioni giornalistiche vedono la
comparsa di nuove rotative e l’introduzione di edizioni locali o serali, mentre i mag-
giori quotidiani italiani cominciano a contare fino ad un centinaio di giornalisti. An-
che nel settore dell’editoria si verificano movimenti rilevanti: in questo periodo muo-
vono i primi passi le case editrici di Arnoldo Mondadori e Angelo Rizzoli, proprieta-
rie di rotocalchi di genere di notevole successo. La fase di modernizzazione tecnica e
giornalistica delle testate prosegue anche tra i quotidiani di provincia che consolidano
la loro presenza sul territorio mentre la sfera dei periodici si allarga.
Questi sono anche gli anni che vedono sorgere, in particolar modo a Milano, le pub-
blicazioni rivolte ad un pubblico femminile: compaiono riviste come “Amica” (1929),
“Rakam” (1930), “Eva”, “Annabella” e “Grazia” (1933), che con i loro consigli di
bellezza e salute, le ricette in cucina, i resoconti mondani e le proposte di moda offro-
no ben poco spazio alla cronaca politica e alle notizie di attualità. Di fronte alla pro-
paganda ufficiale contro l’emancipazione della donna ed il lavoro extradomestico la
moda rischia di diventare sinonimo di trasgressione. Del resto, nel loro insieme le ri-
viste di questo periodo non offrono un ritratto unitario riguardo alla posizione e al
ruolo della donna nella società. Esiste inoltre una netta separazione tra le riviste di
lusso e quelle popolari: le prime sono rivolte ad una donna la cui situazione economi-
ca permette un determinato grado di libertà culturale rispetto alla propaganda del re-
gime; al contrario, le seconde sono indirizzate ad un pubblico femminile di livello
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medio - basso, che accetta l’idea di una donna limitata alla famiglia e alla casa. Anche
per ciò che concerne l’aspetto prettamente estetico dell’immagine femminile, nel
1931 vengono emanate una serie di direttive relative alla produzione dei disegni e
delle fotografie nelle quali si richiede venga presentata una figura di donna sana che
possa divenire madre di figli sani. Nella realtà tutte le pubblicazioni del settore e non
solo continuano a suggerire una femminilità delicata e longilinea, assai lontana dalla
figura materna richiesta dal fascismo. È fuori dubbio che
Il giornalismo è lo specchio del Paese. Riassume, interpreta e rende visibili i costumi, le dinamiche,
politiche, i sentimenti e la cultura. Dove c’è la libertà l’informazione aiuta il corretto svolgersi della
vita democratica, dove la libertà manca registra il grigiore dei governi. La storia del giornalismo può
diventare un utile strumento interpretativo di un momento particolare o di un’epoca. Per l’Italia lo è
sicuramente
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G.Farinelli, et alii, Storia del giornalismo italiano dalle origini ad oggi, risvolto di copertina, Utet
Libreria, 2004.