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Introduzione
Chi di noi non è mai stato condizionato da qualcosa o qualcuno? Dal luogo dove siamo nati,
dalle persone che ci circondano, famigliari e non, dalla pubblicità che passa in televisione,
dalla scuola che abbiamo frequentato, dai media e dalle tendenze.
È impossibile definire un elenco esaustivo di tutto ciò che può condizionare la vita di un
essere umano o di una collettività.
Tutto concorre a forgiare il nostro essere, la nostra identità, sia nel modo di pensare, sia nel
modo di agire. Siamo costantemente influenzati da fattori esterni ma questi, delle volte,
possono essere un qualcosa che passo a passo potrebbe distruggerci.
Esistono, infatti, tecniche di condizionamento che tendono al completo controllo della persona
dalle quali ci possiamo difendere solamente prendendo coscienza e conoscenza di ciò che
potrebbe farci del male inducendoci a compiere atti che potrebbero devastare noi stessi e tutto
ciò che ci circonda.
La signora che ci prepara il caffè al bar, l’edicolante, il nostro assicuratore, chiunque potrebbe
essere in grado di manipolare la nostra mente portandoci ad annullarci.
Nel mondo, ma anche vicino a noi, nei confini del nostro Stato, esistono numerosi culti, sette,
che prevedono l’adorazione, il totale affidamento della persona, nelle mani di un leader che
può plasmare la nostra esistenza a sua volontà portandoci ad enormi esborsi di denaro o al
compiere i crimini più disparati quali anche omicidio o suicidio.
È necessario scindere razionalità ed emozioni, studiare i confini tra questi per evitare di
imbatterci in simili situazioni.
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1. Manipolazione mentale: cosa si intende?
Esistono una molteplicità di violenze: morale, fisica, verbale, psicologica. Sono tutte diverse
tra loro ma tutte creano danni più o meno gravi.
La manipolazione mentale rientra nel gruppo delle violenze psicologiche ed è una violenza
molto insidiosa perché avviene in maniera ingannevole, quasi sempre all’insaputa della
vittima che se ne accorge spesso quando è già troppo tardi e la libertà individuale è già stata
minata.
Colui che realizza atti di violenza psicologica mira a soddisfare i propri bisogni a discapito
della salute e della volontà di altri.
Nel 1981, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale, non essendo riconducibile a
condotte certe, il reato di plagio, che prevedeva che “chiunque sottopone una persona al
proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da
cinque a quindici anni”
1
, è stato dichiarato illegittimo: da qui la problematica nell’individuare
quando una condotta possa costituire danno e quando invece questa non configuri fattispecie
pericolose.
Queste tecniche di sottomissione e plagio costituiscono reato quando la volontà della vittima,
la sua autodeterminazione, viene completamente distrutta dal volere del manipolatore. Nella
pratica, questi comportamenti rientrano nel reato di violenza privata ad una condizione:
solamente quando la vittima si trova costretta a subire le violenze del manipolatore a causa
della violenza fisica inflittagli o delle minacce quali prospettazioni di un male ingiusto che la
vittima subirà qualora opponga resistenza o non obbedisca al reo
2
.
Nella manipolazione rientrano tutti quei sistemi e quelle modalità di condizionamento della
personalità o di suggestione finalizzate a porre un’altra persona in uno stato che limiti o
addirittura escluda la sua libertà di autodeterminazione.
1
Art. 603 cod. pen., dichiarato incostituzionale dalla Corte Cost., sent. n. 96/1981 del
08.06.1981.
2
Art. 610 cod. pen.
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La manipolazione psicologica ha come fine quello di soggiogare una persona all’autorità di
un’altra.
Alla base della manipolazione vi è radicata una relazione di potere nella quale chi ha il
controllo applica una serie di strategie che via via distruggono l’identità di un individuo
annullandone l’integrità e l’autonomia decisionale: viene incoraggiata la dipendenza ed il
conformismo a discapito di autonomia e individualismo
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.
L’adepto viene sedotto ed affascinato dal mondo che si crea attorno al leader poiché risulta
l’unico modo, l’unica strada per soddisfare il bisogno di trovare risposta a domande
esistenziali che turbano l’individuo e creano in esso dubbi di carattere personale o spirituale.
A tutti capita di attraversare fasi della vita in cui ci si pongono domande alle quali non si trova
risposta. In questi momenti siamo persone fragili ed è proprio lì che nasce il rischio di cadere
nella trappola della manipolazione mentale.
I gruppi settari, i leader, approfittano di questi momenti di crisi per instaurare un rapporto con
gli adepti entrando nella loro testa, mostrandosi come unica via di risoluzione alle criticità e ai
problemi che affliggono le persone, presentandosi come una realtà confortevole, aperta,
capace di offrire quiete, pace e sicurezza.
Nel rapporto tra il leader e l’adepto si crea una comunicazione di forte asimmetria: il leader,
colui che detiene il potere, possiede il sapere e rivela un’immagine di onnipotenza
caratterizzata da un legame esclusivo con entità soprannaturali.
Il manipolatore è visto come un “tutto” in grado di conoscere le risposte alle problematiche e
ai disagi degli adepti, una fonte essenziale di vita e di conoscenza che non può essere messa in
discussione.
L’adepto, a sua volta, si abbandona totalmente nelle mani del leader, affida a lui ogni sua
decisione, pensiero, si fa guidare.
In tale legame vengono utilizzate tipologie di comunicazione persuasiva atte ad influenzare
condotte e atteggiamenti altrui, sia dissuasivi che propositivi, e tecniche volte a suggestionare
le vittime.
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S. Hassan, “Mentalmente liberi. Come uscire da una setta”, Avverbi Edizioni, Roma, 1999.
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Come spiegato da Barbel Mechler in diversi studi
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, le tecniche di manipolazione vengono
messe in atto seguendo in realtà degli schemi comuni, talvolta prevedibili, di comportamento.
Manipolare una persona potrebbe anche essere un’azione attuata inconsciamente. Ne sono
esempio situazioni in cui persone spingono altre a tenere determinati comportamenti e a
compiere alcune azioni.
Un esempio pratico di questo condizionamento incontrollato, messo in atto in buona fede, è
quello della madre che, a seguito di richieste inesaudite verso il figlio, domanda la stessa cosa
utilizzando frasi del tipo “se mi vuoi bene” utilizzando, dunque, un ricatto emotivo.
Simili frasi, infatti, possono sembrare del tutto innocue ma, in realtà, possono dar vita a sensi
di colpa che indurranno la persona a soddisfare la richiesta fatta.
Analizzando da un punto di vista esterno la relazione che si instaura a seguito di un dialogo
contenente una sorta di “ricatto emotivo” al suo interno, saremo di fronte ad una posizione di
potere. Tutti siamo stati “manipolati” in questo senso e sicuramente anche noi siamo stati a
nostra volta “manipolatori”.
Ovviamente, una situazione del genere non genera un danno anche se, a lungo andare, una
reiterazione di ricatti “ingenui” potrebbero causare problematiche.
Tutt’altra cosa è invece il controllo mentale che certi individui esercitano volontariamente su
altri traendone un tornaconto a discapito di questi.
Ma com’è possibile che una persona riesca a manipolarne un’altra?
Per alcuni controllare e manipolare le persone è una dote intrinseca nella propria personalità.
Queste sono persone con una predisposizione antisociale, caratterizzati da un sovrastante
narcisismo. Sono convinti che tutto sia loro dovuto.
Nella manipolazione cui ci riferiamo, si innesca una riforma di pensiero sottile e raffinata: la
vittima non viene minacciata direttamente, viene persuasa, ingannata. Solitamente, essendo
più facile la manipolazione di persone fragili e che stanno affrontando momenti critici della
propria vita, la vittima risponde positivamente al processo cui è sottoposta considerando il
manipolatore come un amico, una persona di cui fidarsi, un proprio pari ed è proprio a causa
della percezione di questo legame che non si innesca automaticamente un procedimento di
difesa.
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M. Barbel, “Circondati da psicopatici”, Macro-edizioni, 2017.
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In conseguenza di questo non innescarsi del meccanismo di difesa, la vittima si trova a
collaborare con il proprio manipolatore fornendo lui dati e informazioni senza rendersi conto
che tutto ciò potrebbe essere usato all’occorrenza contro di lei.
Numerosi studi di Robert Jay Lifton
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individuano otto elementi caratteristici della
manipolazione della manipolazione psicologica:
1. “Controllo dell’ambiente”.
È il controllo di ogni forma di comunicazione in un determinato contesto sociale. Colui che
controlla aspira alla gestione della comunicazione interna tra gli individui appartenenti al
contesto sociale. Il controllo dell’ambiente è quindi legato al processo di mutazione
dell’individuo. Si forma una cerchia più o meno ristretta totalitaria rispetto al resto della
comunità esterna che viene considerata quale antagonista. Si determina, quindi, una “chiusura
personale”.
2. “Manipolazione mistica”.
Compito del manipolatore è creare una sorta di spontaneità degli adepti che sembra sorgere
spontaneamente come sentimento degli affiliati poiché questi non si rendono conto del
controllo che viene imposto loro. Questo sentimento di spontaneità nasce dall’accettazione dei
leader come mediatori tra i discepoli e il sapere, elogiandoli quali salvatori e fonte di salvezza.
Come ogni dottrina, esistono dei principi rivendicati come esclusivi ed esposti con autorità,
ponendo l’affiliazione quale unica via di salvezza.
3. “Richiesta di purezza”.
È una fase fondamentale per gli adepti, è la necessità di raggiungere l’assoluta purezza
politica e ideologica. L’esigenza di purezza è un percorso senza fine che comprende la
separazione tra puro e impuro, giusto e sbagliato, buono e cattivo, con riferimento tanto alla
società quanto all’individuo. Tramite la necessità di purezza avviene anche la manipolazione
delle vittime: queste, infatti, vengono costantemente colpevolizzate nel nome di un ideale che
impartisce una forma di devozione assoluta. Si avvia così un processo di “confessione” mosso
da sensi di colpa e vergogna.
4. “Culto della confessione”.
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R. J. Lifton, “Thought Reform and the Psychology of Totalism”, the Norton Library, 1963.
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La confessione è essa stessa culto che diviene tramite per l’esternazione delle vulnerabilità
personali. Avvengono delle vere e proprie sedute accompagnate spesso da verbali di critica e
autocritica quale elemento fondamentale per il cambiamento della persona.
5. “Scienza sacra”
I principi a fondamento del culto sono l’incarnazione della verità scientifica sul
comportamento e la psiche dell’essere umano. Questi dogmi risultano sacri e hanno una
valenza morale ed etica e danno ordine e dignità all’esistenza dell’individuo.
6. “Linguaggio ideologicamente connotato”.
All’interno del culto, i vertici istituiscono tra gli affiliati una struttura di linguaggio, un gergo
interno: linguaggi convenzionali, slogan, frasi riduttive e menzionabili facilmente sempre,
però, con l’attenzione che queste abbiano un forte potere psicologico. Tutta questa operazione
di creazione di un linguaggio semplice serve a minimizzare il più possibile la complessità dei
problemi esistenziali.
7. “Dottrina sopra la persona”.
La dottrina prevale sempre e in ogni caso sull’individuo. Tutto è eseguito e concepito in
funzione del culto. La persona assoggetta la propria esistenza al credo. Qualora questa
sottomissione dovesse venire meno, saranno gli altri adepti a condannare il “traditore” al
senso di colpa per non essersi conformato alla dottrina.
8. “La dispensa dell’esistenza”.
È il principio secondo cui chi appartiene al gruppo e chi non vi appartiene sono totalmente
distinti. Chi ne fa parte ha una visione assolutistica della verità. Chi è esterno al loro mondo,
invece, vive ancora nelle tenebre, preda del male e non merita di esistere. C’è dunque una
forte contrapposizione tra l’esistenza e la non esistenza dell’adepto che sente quindi
l’esigenza di ubbidire perentoriamente poiché l’essere accettati all’interno del gruppo è
ritenuto un “privilegio”.
Colui che persegue lo scopo di controllare qualcuno, affinché il suo piano si realizzi, deve
individuare le debolezze della vittima su cui fare leva.