4
Manifatture ceramiche vicentine 1900-1950: introduzione.
Questo studio, pur con tutti limiti del caso, vuole dare un contributo alla
conoscenza della produzione ceramica vicentina in un periodo importante e
significativo quali furono i primi cinquant’anni del secolo scorso.
Pur trattandosi di una provincia e pur essendo la produzione principalmente
localizzata, oltre che nel capoluogo, in un’area minore, ma estremamente
importante, e cioè quella di Nove e Bassano del Grappa, si tratta invero di un
territorio vasto, dalle molteplici caratteristiche, ed al tempo stesso di un periodo
storico ampio, durante il quale accaddero fatti gravi e indelebili per la storia
dell’umanità, in particolare per il vecchio continente.
La scelta di raccontare la storia della ceramica attraverso le manifatture del
settore che hanno operato nel lasso di tempo preso in esame, ha portato quindi
a mettere a confronto il tessuto socio-economico ed il contesto artistico
dell’epoca.
Di fatto parlando di ceramica si entra nel vasto campo delle arti decorative, ed
inevitabilmente la ricerca è stata portata anche sul piano del design e su quello
del gusto contemporaneo.
Vanno fatte alcune precisazioni su ciò che qui si intende per manifatture
ceramiche. Secondo quella che è la definizione dei principali vocabolari ed
enciclopedieTP 1
PT si può ragionevolmente asserire che la ceramica è qualsiasi tipo
di manufatto composto essenzialmente d’argilla e da qualche altro componente,
modellato a freddo, essiccato, consolidato in modo definitivo tramite cottura in
appositi forni.
Questa definizione comprende quindi anche quella che è l’attività laterizia, che
questo studio non ha affrontato, privilegiando invece l’attività ceramica intesa
come produzione di oggetti decorativi, e solo in minima parte oggetti con sola
funzione d’uso. In particolare rientra in quest’ultima categoria l’attività dei
cosiddetti pignattai, dei vasai o comunque di coloro che producevano stoviglie
d’uso comune, di cui non c’è stato un approfondimento vero e proprio (nel
TP 1
PT Cfr. GIACOMO DEVOTO - GIAN CARLO OLI, Il dizionario della lingua italiana,Le Monnier,
Firenze, 1990 e Enciclopedia Europea, Garzanti, Milano, 1977, ad vocem
5
senso che pur avendo qualche notizia su tale attività in provincia, ad esempio le
citazioni di Meneghello in “Libera nos a Malo”TP 2
PT, non si sono cercate notizie più
precise e dettagliate).
Nel territorio vicentino il facile reperimento delle materie prime, la ricchezza di
acque utili per lo sfruttamento molitorio, per il trasporto del legname
combustibile e dei beni finitiTP 3
PT portarono alla nascita di alcune tra le più
significative manifatture ceramiche della storia italiana, la cui tradizione non si è
spenta o affievolita (come in altre zone del Paese), ed ha anzi mantenuto una
sua riconoscibile, caratteristica fisionomia.
In questo senso l’attività svolta dalle manifatture presenti sul territorio vicentino
nel primo cinquantennio del Novecento può essere un’utile documento per
capire l’attività successiva degli anni 60 – 70 fino ai giorni nostri.
In questa sede non si è nemmeno affrontato in modo diretto il problema di
ricostruire la storia degli artisti vicentini (quali possono essere stati Neri Pozza,
Mirko Vucetich, Gino Tossuto, Andrea Parini, Giovanni Petucco, Giovanni
Girardi, Antonio Marcon) che si sono occupati di ceramica, o meglio hanno
usato il mezzo ceramico per realizzare opere uniche o di arte pura, sconnesse
quindi dalla funzione decorativa tipica di una produzione seriale. Questi
personaggi non sono stati ignorati: in molti casi vedremo come proprio
l’intervento di personaggi legati ad ambienti artistici, abbia contribuito se non a
rinnovare completamente, almeno a svecchiare e tentare vie nuove nella
produzione localeTP 4
PT.
Se inizialmente le manifatture presenti sul territorio non furono molte, è stato più
volte rilevato come quelle che seguirono, nacquero principalmente per
TP 2
PT Cfr. LUIGI MENEGHELLO, Libera nos a Malo, Rizzoli, Milano, 1975 – 1° ed. 1963
TP 3
PT Cfr. NADIR STRINGA Cenni storici sulle ceramiche di Nove e Bassano in Ceramiche a Monte
San Savino. Omaggio a Bassano e Nove (catalogo della mostra di Monte San Savino, 27
giugno-23 agosto 1987), Il Torchio, Firenze,1987, p. 20
TP 4
PT Un esempio su tutti può essere quello di Giovanni Petucco, illuminato artista ed imprenditore,
la cui produzione si può tranquillamente ritenere tra le più innovative dell’epoca. Per una storia
del personaggio cfr. NADIR STRINGA, Giovanni Petucco pittore e ceramista, Grafiche
Chiminello, Marostica(VI), 1971
6
gemmazione da qualche azienda madreTP 5
PT, portando ad un inevitabile
somiglianza della produzione tra le diverse manifatture.
Da dove vennero quindi le novità del nuovo secolo? Vi furono effettivamente
delle novità sul piano tecnico ed artistico? A che tipo di produzione si guardò
per svecchiare gli schemi secolari della ceramica vicentina? Confrontare la
produzione del quasi centinaio di manifatture presenti in questo studio,
confrontarle in base al periodo storico in cui sono nate e sviluppate (ed
eventualmente cessate) ha permesso la delineazione di alcuni punti fermi di
quello che si può considerare l’iter socio-economico-artistico che ha portato alla
nascita di un così grande numero di aziende nell’immediato dopoguerra, dedite
per lo più alla produzione della cosiddetta ceramica artistica.
TP 5
PT Cfr. RAFFAELLA AUSENDA, i due capitoli Presentazione e Nove in La ceramica
dell’Ottocento nel Veneto e in Emilia-Romagna, Poligrafico Artioli S.p.A.- Modena per Banca
popolare di Verona – Banco di S. Geminiano e S. Prospero, 1998, rispettivamente p. 3 e 91.
7
Capitolo 1: note sulla storia e la lavorazione della ceramica
8
Note sulla storia della ceramica: introduzione sulla situazione della
ceramica europea, italiana e vicentina fino all’inizio del 900.
Tra le tante forme e tecniche espressive che l’uomo ha utilizzato nel corso della
sua storia, un posto di tutto rispetto merita senz’altro la ceramica.
La materia ceramica ha coniugato fin dall’antichità la duplice valenza di essere
sia un materiale facile da utilizzare per la realizzazione di oggetti sacri,
raffigurazioni apotropaiche o comunque oggetti artisticiTP 6
PT, sia un materiale per la
creazione di manufatti d’uso comune.
Sembra quasi superfluo in questa sede ricordare l’immagine biblica della
creazione dell’uomo, perché in effetti questo studio rivolge la sua attenzione ad
un periodo molto più avanti nel tempo, precisamente alla prima metà del
Novecento. Un periodo segnato da grandi eventi, scoperte, invenzioni,
rinnovamenti e nuove correnti artistiche che hanno influenzato in modo
significativo gli anni successivi.
Limitandoci all’uso che della ceramica si è fatto nel vecchio continente, spesso
la funzione meramente pratica ha preso il sopravvento: basti pensare alle
anfore per il trasporto dei cereali o dell’olio, le lucerne, le salsiere, i bicchieri e
moltissimi tipi di vasiTP 7
PT. Nel quotidiano quando pensiamo alla ceramica, la nostra
mente pensa immediatamente agli oggetti d’uso quali piatti, tazze, etc.
Al tempo stesso va anche rilevato come anche per quel che riguarda gli oggetti
più umili e comuni, l’uomo abbia solitamente cercato di renderli più appetibili
grazie a delle decorazioni, dalle più semplici alle più complesse anche in
piccole parti o con decori limitati.
Il corso della storia ha visto un’evoluzione dei materiali, delle tecniche e degli
stili, che hanno contraddistinto periodi e luoghi particolari d’Europa.
Generalmente furono la disponibilità di materie prime, di forza motrice per la
macinazione delle stesse per gli impasti, di materiale combustile per la cottura e
TP 6
PT Le testimonianze fittili dell’età arcaica sono numerosissime: un esempio su tutti può essere
quello delle cosiddette statuette di Ibiza. Nella nota isola delle Baleari, crocevia di commerci già
all’epoca dei fenici, i rinvenimenti ceramici sono una delle più vive testimonianze della presenza
del “popolo navigatore”. Cfr.J. A. GRANADOS-R. B. NOGUERA, Le statuette di Ibiza. Fittili
enigmi, in ART FMR-Antichità, Franco Maria Ricci Editore-Milano, 1991, Tomo I, pp.111-132.
TP 7
PT Cfr. voce “ceramica” a cura di E. BACCHESCHI in Enciclopedia Europea, Garzanti – Milano,
1977, vol. III, p.181-201.
9
di vie di comunicazione privilegiate per la commercializzazione dei prodotti finiti
che portarono alla nascita di manifatture ceramiche. In particolare la prima
condizione ha fatto sì che molte manifatture europee si specializzassero in
prodotti particolari la cui specificità era dovuta alla diversa reperibilità dei
materiali necessari all’impasto.
Anticamente fu quasi solo la terracotta ad essere lavorata, sia pure con estrema
abilità, in tutto il bacino del Mediterraneo; non va dimenticato, infatti, che la
maggior parte dei prodotti fittili della Magna Grecia erano costituiti da terrecotte
ingobbiateTP 8
PT con colori diversi che hanno dato vita a diverse tipologie (i vasi a
figure nere e figure rosse)TP 9
PT.
Col passare dei secoli vennero via via perfezionate le tecniche di cottura, ma le
linee guida della realizzazione dei pezzi rimase pressochè identica e ha portato
all’uso sempre più sofisticato di oggetti e di materiali. La maiolicaTP 10
PT , il cui nome
sembra essere da ricondurre all’isola di Maiorca, isola verso cui venivano
trasportati oggetti in terracotta rivestita, venne lavorata almeno dalla metà del
XII secolo. In Italia ebbe come centro di irraggiamento Faenza, soprattutto alla
fine del XV secolo, i cui modelli e decori influenzarono la produzione europea e
soprattutto la maiolica francese; solo la Spagna non subì tale influsso perché
erano estremamente radicate la tradizione islamica e la relativa produzione di
azulejosTP 11
PT ed altri elementi decorativi architettonici, oltre a piatti, bacili, alberelli
decorati a lustro metallico.
Un momento importante da ricordare è riconducibile ai primi del 1700, quando
anche in Europa si giunse alla tecnica di preparazione della porcellana dura.
Autore di questa rivoluzionaria scoperta fu l’alchimista J. F. BöttgerTP 12
PT, di
TP 8
PT La ceramica ingobbiata viene realizzata su una base di terracotta (secca, non ancora passata
in forno per la prima cottura) alla quale viene applicato uno strato di argilla con un più alto
contenuto di caolino, quindi bianca. Successivamente essa viene cotta e dipinta nei più diversi
modi, quindi ricoperta da uno strato di vernice piombifera che rende il pezzo impermeabile.
TP 9
PT Cfr. voce “arcaico” a cura di B. ASHMOLE in Enciclopedia Universale dell’arte, Istituto
Geografico De Agostani-Novara, 1999, arcaico, ad vocem, vol. I, col. 587-593
TP 10
PT La maiolica si differenzia dalla terracotta ingobbiata, poiché la base viene ricoperta da uno
strato di smalto a base stannifera dopo la prima cottura. La decorazione viene eseguita
direttamente sullo smalto, e la seconda cottura la fonde con lo smalto sottostante.
TP 11
PT Pannelli maiolicati per la decorazione architettonica.
TP 12
PT Per una storia della ceramica in Europa, con un occhio di riguardo alla produzione novese,
bassanese e vicentina cfr. NADIR STRINGA, Il museo della ceramica. Istituto Statale d’Arte “G.
De Fabris”-Nove, Nove (VI), 1989.
10
Meissen, che nel 1708 giunse alla realizzazione di un impasto di porcellana
dura simile a quella orientale, grazie anche alla presenza di giacimenti di
caolino in Sassonia. Due anni dopo era già attiva, sotto la sua direzione e sotto
la protezione di Federico Augusto di Sassonia, una manifattura dedita proprio a
questo nuovo prodotto dalle eccezionali qualità tecniche.
La diffusione del nuovo prodotto fu relativamente rapida, giacchè già nel 1720
le manifatture Vezzi a Venezia e Du Paquier a Vienna erano funzionanti,
seppure inizialmente con una chiara imitazione dei prototipi tedeschi che a loro
volta si rifacevano ai noti modelli orientali.
Altro passaggio radicale avvenne alla fine del XVIII secolo, allorché in
Inghilterra venne scoperta la terragliaTP 13
PT, impasto più economico e più facile da
lavorare rispetto alla porcellana, ma che permise notevoli risultati, tanto da
rivaleggiare, nel corso del tempo con la porcellana stessa, la quale venne
abbandonata un po’ dappertutto soprattutto al principio del XIX secolo, complice
anche la difficile congiuntura internazionaleTP 14
PT.
In Veneto, ed in particolare nel Vicentino, il XVIII ed il XIX furono secoli
estremamente importanti che videro la diffusione dei prodotti ceramici in tutta
Europa ed anche oltre i suoi confini. La manifattura più importante fu senz’altro
la manifattura AntonibonTP 15
PT che fin dal terzo decennio del XVII secolo, si distinse
per la produzione di maioliche e, in seguito, porcellane e terraglie degne di
concorrere con le manifatture coeve sia italiane che europee.
Naturalmente la manifattura Antonibon non fu l’unica del territorio a prosperare
nei due secoli citati: altre manifattureTP 16
PTdi ceramica artistica sia a Nove, che a
TP 13
PT L’impasto della terraglia viene ottenuto dall’aggiunta di carbonato di calcio e di magnesio
all’argilla plastica: una volta cotto, il pezzo si presenta di colore bianco poroso e può essere
decorato o meno, per venire ricoperto da una vernice piombifera.
TP 14
PT Gli sconvolgimenti conseguenti all’epopea napoleonica ed il nuovo assetto degli stati dopo il
Congresso di Vienna (1815), determinarono cambiamenti vigorosi anche a livello economico; a
Nove ad esempio, la produzione di porcellana venne abbandonata definitivamente nel 1825, e
non si avranno più esempi di manifatture dedite in modo specifico alla lavorazione del nobile
materiale fino alla fondazione, sempre a Nove, nel 1942 della “San Marco Porcellane”.
TP 15
PT Cfr. G. ERICANI-P.MARINI-NADIR STRINGA, La ceramica degli Antonibon, Electa-Milano,
1990.
TP 16
PT Per una storia delle manifatture venete, ed in particolare vicentine del XVIII e XIX secolo, cfr.
La Ceramica nel Veneto.La terraferma dal XII al XVIII secolo, Arnoldo Mondatori Editore-
Verona, 1990; La ceramica dell’Ottocento nel Veneto e in Emilia-Romagna, Banca popolare di
Verona. Banco di S. Geminiano e S. Prospero-Verona, 1998; A. CECCHETTO–L.
11
Bassano, Vicenza e Monticello Conte Otto ebbero modo di distinguersi per
precise caratteristiche, pur rimanendo nel solco di una tradizione ormai
consolidata.
In particolare tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo vennero fondate
alcune manifatture che ritroveremo attive, pur con diversi passaggi di proprietà,
fino agli inizi del XX secolo. A Nove è questo il caso della manifattura Viero che,
già attiva alla fine del Settecento come fabbrica di cristallineTP 17
PT, divenne nel
corso del XIX secolo la più agguerrita concorrente della manifattura Antonibon,
della manifattura Baccin-Toffanin poi Cecchetto (quest’ultima nata per iniziativa
di uno dei più intraprendenti direttori della Antonibon divenne presto un’ottima
manifattura, famosa anche per la produzione di piatti popolari), della manifattura
Bernardi poi Agostinelli (fondata dal conte Roberti, ma diretta anche in questo
caso da un ex-dipendente dell’Antonibon), della manifattura Tommasi, divenuta
Società Ceramica Cooperativa poi Agostinelli & Dal Prà (avrà riconoscimenti
importanti durante tutta la sua storia) e della manifattura Primon-Zen che, nata
come sodalizio tra i due alla fine del XIX secolo, diede vita ad una delle più
interessanti manifatture del paese, quella di Antonio Zen.
A Bassano del Grappa vanno senz’altro ricordate la manifattura Passarin che,
fondata da Antonio divenne celebre soprattutto grazie all’inventiva del figlio
Raffaele; la manifattura Bonato che, nata alla fine dell’Ottocento si distinse per
una produzione tradizionale ben curata e che continuò di padre in figlio fino a
non molti anni fa; la manifattura Marcon di Angarano che verrà riaperta con il
nuovo secolo da Antonio Marcon, artista-pittore e xilografo.
A Vicenza la manifattura fondata dal conte Carlo Vicentini del Giglio alla fine del
Settecento e nel tempo giunta alla famiglia Sebellin, divenne una delle più
importanti per la produzione di terraglia di qualità di ispirazione neoclassica
oltre che per una produzione di piatti popolari; oltre a questa sono da
menzionare anche le manifatture Luzzato, una delle poche manifatture ad usare
MAGAGNATO-NADIR STRINGA, La ceramica popolare veneta, Electa editrice-Milano, 1978 e
le relative bibliografie, cui si rinvia.
TP 17
PT La cristallina, detta anche vetrina, altro non è che il nome della vernice piombifera trasparente
usata per rendere impermeabili le terrecotte ingobbiate: il nome della vernice è divenuto, per
estensione, il nome del prodotto finito.
12
decalcomanie ancora nel XIX secolo e quella di Giambattista Minghetti,
transfugo dalla manifattura Viero prima, Antonibon poi e direttore per un periodo
della Regia Scuola d’Arte di Nove.
A Monticello Conte Otto la manifattura Todescan, nata nei primi del XIX secolo
fu la più importante manifattura per la produzione di piatti popolari tipici di tutto il
secolo.
Come verrà evidenziato nel prossimo capitolo la quasi totalità delle manifatture
nate nel corso dei due secoli sul territorio vicentino, ebbero come fondatore un
operaio emancipatosi da una manifattura preesistente, ed alla quale, almeno
inizialmente l’epigono s’ispirerà per la nuova produzione.
Per quel che riguarda la situazione vicentina alla fine dell’Ottocento, vale la
pena di prendere in considerazione quanto la Camera di Commercio scriveva
nei consueti resoconti e relazioni sull’andamento della situazione provinciale. In
particolare nell’ultima relazione statistica del secolo in cui si accenna in modo
preciso al settore ceramico, quella del 1885TP 18
PT, viene riferita la presenza di ben
19 manifatture ceramiche in Vicenza e provincia. Non vengono riferiti i nomi di
queste ditte, né vengono distinte in base alla tipologia produttiva tra ceramica
artistica e comune, ma solo l’ubicazione generica di 2 nel capoluogo, ben 9 in
Bassano del Grappa, 7 in Nove ed 1 in Monticello Conte Otto.
Indi vengono messe in luce le due più importanti manifatture e cioè quella degli
Antonibon, di cui si fa una breve storia, e quella dei Viero, di cui, poco oltre, si
sottolinea come la ripresa della produzione in maiolica stile antico si ebbe solo
nel 1880.
Fortunatamente vi sono anche altre notizie generali, in particolare sui principali
mercati oltre a quello italiano, ossia quelli di Francia, Germania ed Inghilterra
per quanto riguarda le maioliche, mentre per le terraglie industriali erano
considerati buoni i mercati del Levante (ove le terraglie erano apprezzate
soprattutto per la buona qualità e convenienza dei prezzi).
TP 18
PT Cfr. CCI-VI. Relazione statistica delle condizioni industriali e commerciali della provincia di
Vicenza, Tipografia Longo - Vicenza, CCIAA-VI, 1885,pag. 73
13
Note sulla lavorazione della ceramica: introduzione sui materiali e sui
metodi produttivi dall’artigianato
Nel corso della storia la materia ceramica e la sua lavorazione hanno subito
pochi cambiamenti e solo in tempi recenti le tecniche di modellazione, cottura e
decoro si sono affinate e standardizzate su base industriale.
Fino ad un passato non troppo lontano, infatti, le materie prime, quelle degli
impasti, quelle dei colori e quelle costituenti vernici e smalti vennero reperite in
loco per la loro quasi totalità.
Se la terra rossa fu facilmente reperibile nelle zone vicine a Bassano: San
Michele e Romano d’EzzelinoTP 19
PT, per la realizzazione degli ingobbi o, in un
secondo momento, della terraglia ad uso inglese, ci si dovette affidare alla
famosa “terra bianca di Vicenza”TP 20
PT, di cui abbiamo notizie già dal 1556 ne I tre
libri dell’Arte del Vasaio del Piccolpasso.
Essa veniva, ed è tuttora, estratta dai territori di Torrebelvicino, Sant’Orso,
Tretto e Schio; la fase di estrazione e depurazione veniva eseguita in loco, per
giungere alle manifatture pronta alla miscelazione con gli altri componenti
necessari all’impasto, in particolare la “marmorina”, ossia la polvere di quarzo
ottenuta macinando finemente nei mulini “pestasassi”TP 21
PT i ciottoli raccolti
nell’alveo del fiume Brenta, e il “gesso” di Verona o dei Sette Comuni (non
realmente gesso, ma dolomia costituita da carbonato di calcio e magnesio).
La lavorazione dell’argilla non era terminata poiché i componenti una volta
miscelati tra loro venivano convogliati in apposite vasche di decantazione ove,
per circa tre settimane, la “barbottina”, argilla allo stato semi-liquido,
sedimentava lasciando supernatare l’acqua che veniva man mano tolta.
A quel punto l’impasto, non essendo ancora abbastanza consistente da poter
essere utilizzato per la foggiatura, veniva tolto dalle vasche con delle pale di
TP 19
PT Cfr. Ceramiche a Monte San Savino. Omaggio a Bassano e Nove (catalogo della mostra di
Monte San Savino), Monte San Savino, 1987, p.20
TP 20
PT Di questa lavorazione e storia si è occupato esaurientemente NADIR STRINGA nel saggio
“Ceramisti e ceramiche” in Mestieri e saperi fra realtà e territorio, Neri Pozza-Vicenza, 1999, in
particolare alle pag. 296-298 e 309-313 qui largamente e liberamente ripreso ed alla cui
bibliografia si rinvia.
TP 21
PT Cfr. NADIR STRINGA, Un mulino da “pestar sassi” ultimo retaggio dell’antica Nove in
<<Vicenza>>,VI -1968
14
legno, dalle quali veniva preso in mano e spiaccicato (petà) con forza sulle
pareti di appositi muri con i mattoni a vista.
Passata qualche ora, necessaria a far evaporare e assorbire dai mattoni
l’eccesso d’acqua, questi blocchi informi di terra (pète de tera) si staccavano
dalle pareti per cadere su della tavole predisposte onde non si imbrattassero
con terriccio e polvere. L’operazione era ripetuta più volte, fino a che queste
“focacce” d’argilla venivano disposte nel reparto dei tornianti e degli stampatori.
Ivi a forza di braccia l’argilla veniva manipolata in modo da ottenere un impasto
omogeneo (domatura).
L’argilla a questo punto poteva essere utilizzata per la formatura a mano, sui
torni o per la realizzazione di tutti quei particolari come fiori o foglie e rifiniture
necessari a rendere un pezzo finito.
Questo tipo di lavorazione, che per alcune manifatture durò fino agli inizi degli
anni ’60, venne via via abbandonata a favore dell’acquisto del materiale
direttamente da altre manifatture specializzatesi nella lavorazione delle materie
prime o quantomeno maggiormente dotate in quanto ad attrezzature.
Gli altri componenti fondamentaliTP 22
PT come la cristallina o lo smalto per la maiolica
venivano realizzati pressocchè in toto all’interno della manifattura stessa e,
proprio nella preparazione di questi ultimi stavano i “segreti” che rendevano il
pezzo finito particolarmente piacevole e lucente.
Il procedimento era inoltre leggermente più lungo poichè si doveva dapprima
preparare il “marzacotto”, una miscela di sabbia silicea e feccia di vino o tartaro
di botte messa in vasi grezzi di terracotta che poi erano posti sotto il focolare
dei forni durante la cottura. Avvenuta la fusione, la massa vetrosa che ne
risultava veniva tolta dai contenitori, frantumata e macinata in appositi mulini,
dove veniva ridotta in polvere sottilissima da unirsi in seguito al “calcino”.
Quest’ultimo componente era, in effetti, il più difficoltoso da ottenere poiché la
fase di “calcinazione” necessitava di grande esperienza e saggia dosatura delle
parti. L’operazione consisteva nella fusione del piombo in un apposito crogiuolo
posto nel forno e nell’adeguata aggiunta di stagno, che si continuavano a
TP 22
PT Di questi si è occupato esaurientemente NADIR STRINGA in Mestieri e saperi fra realtà e
territorio , Neri Pozza-Vicenza, 1999 nel saggio Ceramisti e ceramiche, in particolare alle p.
311-313, alla cui bibliografia si rimanda.
15
mescolare, con un apposito attrezzo, mantenendo così l’ambiente ad alta
temperatura fino alla completa ossidazione dei metalli. La polvere risultante
veniva anch’essa finemente macinata nei mulini prima della miscelazione con la
polvere di marzacotto. Talvolta il composto veniva rifuso e rimacinato, e
diveniva lo smalto bianco, coprente e brillante atto a coprire le maioliche, con
l’aggiunta di acqua ed un po’ di sale. Percentuali minori di stagno servivano alla
realizzazione di smalti meno pregiati per le maioliche ordinarie, mentre la
“cristallina” o vetrina trasparente, era costituita essenzialmente dalla polvere di
marzacotto, talvolta reso più ricco da aggiunte di ossido di piombo.
I colori erano principalmente ottenuti da terre minerali opportunamente
elaborate con operazioni di fritaggio e calcinazione; ossidi aggiunti
permettevano colorazioni distinte e varie: ossido di rame (ramina) per il verde,
di manganese per il bruno e il viola, di antimonio per il giallo, di ferro (ferraccia o
ferro brusà) per il rosso-arancio, di cobalto (zafara) per il blu ed ancora di zinco
con tracce di ossidi di ferro e piombo (tùtia o mùsbia) che, combinato con il
rame o con il cobalto, dava ottimi verdi e blu.
Conclusa la preparazione delle materie prime, cominciava per il ceramista la
produzione vera e propria dei prodotti ceramici.
Nel caso dei pignattariTP 23
PT la produzione era costituita da semplici catini, ciotole,
boccali, bottiglie, brocche, scaldini, tegami e vasi, ottenuti tramite foggiatura con
tornio a mano, un lavoro duro in cui l’esperienza insegnava tutto ciò che c’era
da sapereTP 24
PT.
Il tornio altro non è che un sistema di dischi che girano solidali attorno ad un
perno centrale verticale: il disco inferiore, che è più ampio e pesante, funge da
volano e la rotazione è impressa direttamente dai piedi del vasaio.
Sull’estremità opposta viene posta una certa quantità di terra che
opportunamente schiacciata con le dita dal vasaio, viene ad assumere di volta
in volta la forma desiderata. Col tempo il lavoro del torniante è stato facilitato
dall’uso del calibro, ossia un braccio meccanico solidale con la base del tornio
che serve a dare la forma interna del pezzo tramite sagome in legno di pero o
TP 23
PT Ossia coloro che producevano pignatte, pentole in terra rossa cotta e verniciata.
TP 24
PT Cfr. G. PETUCCO I veci pignatari delle Nove in “La ceramica”, IX, settembre 1960
16
metallo. La forma esterna viene generalmente facilitata dall’uso di forme o
stampi in gesso, di grosso spessore.
Quando un oggetto non era ottenibile al tornio si utilizzava il sistema della
calcatura a mano in appositi stampi in gesso riproducenti la forma esterna
dell’oggetto. L’argilla veniva compressa a mano contro le pareti dello stampo,
determinandone quindi anche lo spessoreTP 25
PT.TP
PT
Tutte queste tecniche di realizzazione non vennero abbandonate con il nuovo
secolo ed anzi il loro utilizzo si protrasse ben oltre la fine della Seconda Guerra
Mondiale. Tuttavia questi metodi tradizionali, ed in particolare la calcatura a
mano, venne via via sostituita dalla formatura a colaggio, introdotta nelle
aziende vicentine solo nel dopoguerra, pur esistendo alcune eccezioni
precedenti, quali ad esempio i Ronzan di Bassano del Grappa.
Con il grande boom economico della fine anni ’50 – inizi ’60, che portò ad
un’industrializzazione rapida e senza precedenti, vennero anche introdotte le
prime presse ed i primi torni meccanici con notevoli ripercussioni sugli standard
di realizzazione e sulla qualità dei prodotti.
TP 25
PT Cfr. NADIR STRINGA, Cos’è la ceramica, Infogiovani-Comune di Nove (VI), 2003
17
Capitolo 2: storia delle manifatture ceramiche vicentine 1900-1950
18
1° periodo: età giolittiana e Grande Guerra.
La cosiddetta età giolittiana (da Giovanni Giolitti) e cioè quell’arco di tempo
compreso tra il 1900 e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, passò alla
storia come uno dei periodi più fecondi per l’economia italianaTP 26
PT; durante il
governo del noto statista ebbero modo di crescere e svilupparsi i rapporti con
l’estero e vi fu soprattutto un decisivo passo in avanti nel processo
d’industrializzazione anche se in ritardo rispetto al resto d’EuropaTP 27
PT.
In ambito artistico era oramai stato abbandonato l’Eclettismo, a favore della
cosiddetta arte nuova o stile Liberty.
Le numerose Esposizioni Internazionali che, fin dalla metà dell’Ottocento,
furono organizzate in Europa, favorirono la diffusione dell’uno o dell’altro stile
nei vari stati europei.
La partecipazione a queste Esposizioni, che seguitarono ad essere organizzate
con successo anche nel nuovo secolo, portò i ceramisti italiani al confronto con
realtà diverse ed all’avanguardia. A livello locale portò anche alcuni tra i
vicentini al raggiungimento di lusinghieri risultati sia in Italia che all’estero, a
partire dalla grande Esposizione Internazionale di Parigi del 1900, cui seguirono
quella di Verona dello stesso anno, quella di Torino del 1902, quella di Udine
del 1903, quelle di Londra e Liegi del 1904, quella di Milano del 1906, quella di
Vicenza del 1908, quella di Lonigo del 1909 e le grandi Esposizioni a Torino-
Milano-Firenze-Roma del 1911.
All’estero si era già giunti a recepire le novità dell’arte nuova (Art Nouveau) e a
capire come la sua modernità consistesse nel sapere recepire quanto le epoche
passate avevano prodotto, rivisitando il tutto con un occhio attento alla funzione
reale degli oggetti.
TP
26
PT Cfr. G. A. MURARO, I centodieci anni di storia della Banca Popolare di Marostica 1892-2002,
Grafiche Novesi Editore – NOVE(VI), 2002, p. 77 e sgg.
TP 27
PT Cfr. “Età giolittiana” in F. GAETA-C. PETRACCONE-PASQUALE VILLANI, Storia
contemporanea, Casa Editrice G.Principato S.p.A.-Milano, 1992, p. 255