8
La normativa sul maltrattamento di animali è stata oggetto di numerose
trasformazioni: pertanto, prima di affrontare l’esame della disciplina
attualmente vigente, è opportuno ripercorrere le più importanti tappe che
ne hanno segnato l’evoluzione.
Originariamente la materia era disciplinata dall’art. 727 c.p., che
rientrava tra le “contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi”,
contenute nella Sezione I del Capo II del Titolo I del libro III del codice
penale.
Nell’originario codice del 1930 il testo era così formulato: “Chiunque
incrudelisce verso animali o senza necessità li sottopone a eccessive
fatiche o torture, ovvero li adopera in lavori ai quali non siano adatti per
malattia o per età, è punito con l’ammenda da lire 100 a lire 3000
1
.
Alla stessa pena soggiace chi, anche per solo fine scientifico o didattico,
in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, sottopone animali
vivi ad esperimenti tali da destare ribrezzo.
La pena è aumentata, se gli animali sono adoperati in giuochi o in
spettacoli pubblici, i quali importino strazio o sevizie.
Nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, se il colpevole è
un conducente di animali, la condanna importa la sospensione
dall’esercizio del mestiere, quando si tratta di un contravventore
abituale o professionale”.
1.1 Oggetto giuridico della tutela penale
L’interpretazione tradizionale della norma aveva individuato l’oggetto
della tutela nel sentimento comune di pietà e di compassione che l’uomo
prova verso gli animali e che viene offeso quando questi subiscono
crudeltà ed ingiustificate sofferenze e quando vengono sottoposti ad
1
L’ammenda è stata successivamente elevata: da £. 20.000 a £. 600.000; da £. 500.00 a
£. 3.000.000.
9
esperimenti tali da destare ribrezzo in luogo pubblico o aperto o esposto
al pubblico.
“La legge penale protegge il sentimento etico-sociale di umanità verso
gli animali, il quale esige che ognuno si astenga dal maltrattare
ingiustificatamente gli animali stessi (…) La vista o la notizia di
maltrattamenti non giustificabili ad animali offende necessariamente la
nostra civiltà, della quale una delle più essenziali caratteristiche è la
gentilezza dei costumi (…)”
2
.
Si è anche sostenuto che le condotte di maltrattamento degli animali
trovano un’ulteriore ratio punendi nella necessità di promuovere
l’educazione civile e la mitezza dei costumi impedendo quelle
manifestazioni di violenza e di crudeltà che, pur avendo ad oggetto gli
animali, possono egualmente divenire “scuola d’insensibilità” alle
sofferenze umane altrui: “saevitia in bruta est tirocinium crudelitatis in
homines”
3
. La ragione dell’incriminazione di cui all’art. 727 c.p., va
dunque ricercata nella ripugnanza che gli atti di crudeltà verso gli animali
destano nella comunità dei consociati: questi, contrastando con la
gentilezza dei costumi, qualora venissero tollerati, costituirebbero una
scuola di morale insensibilità verso l’altrui dolore
4
.
La stessa collocazione dell’art. 727 c.p. nelle “contravvenzioni
concernenti la polizia dei costumi” conferma questa lettura
5
.
2
Cfr. V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol X, Torino, 1964, 982.
3
Cfr. F. MARENGHI, Nuove disposizioni in tema di maltrattamento di animali, in Leg.
Pen., n. 1, 2005,19.
4
Cfr. M. VALIERI, Il nuovo testo dell’art. 727 del codice penale. Una rassegna
giurisprudenziale. Materiali per una storia della cultura giuridica, XXIX-1, 1999, 234.
5
Sul punto cfr. V. Pocar, Gli animali come soggetti di diritti e la legislazione italiana,
citato da M. VALIERI, Il nuovo testo dell’art. 727 del codice penale. Una rassegna
giurisprudenziale. Materiali per una storia della cultura giuridica, XXIX-1, 1999, 234,
il quale afferma che il presupposto ideologico che è alla base di questa lettura è
l’atteggiamento animalistico generico, ossia un atteggiamento fondato su un generico
sentimento di pietà verso gli animali ed accompagnano da una convinzione didascalica
a minori (chi impara a non essere crudele verso gli animali a maggior ragione non lo
sarà verso gli uomini).
10
La legge penale quindi, nel rispetto del principio secondo il quale
l’animale, non essendo soggetto di diritto né di altri interessi
giuridicamente riconosciuti, ma soltanto l’oggetto materiale, la res su cui
ricade la condotta del reo, protegge non già gli animali considerati in sé
stessi, nella loro entità, ma esclusivamente il comune sentimento di
umanità.
Tale sentimento, il quale esige che ciascuno si astenga dal maltrattare
ingiustificatamente gli animali, concorre a costituire il buon costume
sociale, che dalla generalità è avvertito e ritenuto come indispensabile per
la civile convivenza, e contribuisce ad assicurare il rispetto di quelle
regole di umanità ritenute essenziali dalla civiltà moderna.
L’adozione di una simile prospettiva, che è certamente suscettiva di
essere definita antropocentrica, affonda le sue radici nel Codice Penale
Zanardelli del 1889, che all’art. 491 sanciva: “Chiunque incrudelisce
verso animali o, senza necessità li maltratta ovvero li costringe a fatiche
manifestamente eccessive, è punito con l’ammenda (…) Alla stessa pena
soggiace anche colui il quale anche per il solo fine scientifico o
didattico, ma fuori dei luoghi destinati all’insegnamento, sottopone
animali ad esperimenti tali da destare ribrezzo”.
Nella sua impostazione originaria, la norma contro il maltrattamento di
animali persegue il fine di tutelare l’uomo di fronte a condotte altrui che
possono turbare ed offendere il suo sentimento di pietà e di compassione
verso gli animali e di reprimere le manifestazioni di brutalità e di
inciviltà: fine che continuerà a caratterizzare questa disposizione fino ai
nostri giorni (seppure in maniera non univoca, come avremo modo di
vedere più avanti).
Nell’art. 491 del codice Zanardelli, come si avrà modo di vedere più
avanti, sono inoltre contenuti alcuni dei concetti chiave della legislazione
e del dibattito dottrinale sul maltrattamento di animali: la crudeltà,
l’assenza di necessità, la pubblicità del luogo, il ribrezzo.
11
L’adesione ad una concezione antropocentrica
6
, finalizzata cioè alla
tutela della morale umana, potenzialmente suscettiva di essere lesa dalla
visione di condotte di maltrattamento di animali, ha come evidente
conseguenza che non integra il reato di cui all’art. 727 c.p. il
maltrattamento di qualsiasi animale, ma soltanto quello perpetrato nei
confronti di quegli animali verso i quali l’uomo può provare, per le loro
caratteristiche, pietà e compassione.
1.2 Soggetto attivo e soggetto passivo
Soggetto attivo del reato può essere “chiunque”, e quindi sia il
proprietario, sia il possessore dell’animale, sia un estraneo, nel caso ad
esempio degli esperimenti.
L’art. 727 c.p., infatti, non tutela gli interessi economici del proprietario
bensì il comune sentimento di pietà verso gli animali e questo può essere
offeso anche quando il maltrattamento proviene dal proprietario stesso.
Soggetto passivo è il titolare dell’interesse leso dal reato e quindi
chiunque possa essere, anche solo potenzialmente, turbato nel suo
sentimento di pietà verso gli animali; atteso che il sentimento di tutti può
essere turbato dai maltrattamenti
7
, il reato si caratterizza, sotto questo
profilo, per l’indifferenziata pluralità dei soggetti passivi.
6
La teoria antropocentrica, di origine tedesca, sostiene che lo scopo dell’incriminazione
del maltrattamento di animali è quello di tutelare il sentimento di pietà che l’uomo
avverte verso gli stessi e che potrebbe essere vulnerato da condotte infliggenti atroci ed
ingiustificati maltrattamenti; la sofferenza dell’animale è dunque considerata solo in
quanto mediata dalle conseguenze che tale sofferenza comporta nei confronti della
sensibilità umana.
7
M. MAZZA, Uccisione o danneggiamento di animali altrui, in Enc. dir., vol. XLV,
Giuffrè, 1992, 473; M. VALIERI, Il nuovo testo, cit., 261.
12
2. Elemento oggettivo
Il reato previsto dall’art. 727 c.p. può essere consumato attraverso il
compimento di diverse condotte.
La dottrina
8
prevalente è concorde nell’affermare che l’art. 727 c.p. non
configura diversi reati ma delinea un solo reato, poiché le ipotesi
alternativamente previste hanno la stessa oggettività giuridica e sono
assoggettate alla medesima sanzione.
2.1 Crudeltà
La prima modalità di condotta presa in considerazione dalla legge
consiste nell’ incrudelire verso gli animali.
Incrudelisce verso gli animali colui che, in assenza di un’adeguata
giustificazione, e quindi solamente per ira o per brutalità, infligge agli
animali gravi sofferenze.
La mancanza di un adeguato, seppure non giustificabile, motivo distingue
l’ipotesi della crudeltà da quella delle torture e fa dell’incrudelimento la
più grave modalità di condotta tra quelle punite dall’art. 727 c.p.
Non potendovi mai essere necessità di incrudelire, le legge non richiede,
in questa ipotesi, il requisito della necessità: “la crudeltà è di per sé
caratterizzata dall’assenza di un motivo adeguato, cioè da un motivo
abbietto e futile. Non vi può essere crudeltà necessaria”
9
.
L’incrudelimento, quindi, presuppone concettualmente l’assenza di
qualsiasi giustificabile motivo da parte dell’agente.
Di conseguenza, il giudice che abbia accertato un fatto in cui si
concretizza l’incrudelimento, non è tenuto ad indagare sulla mancanza di
necessità.
8
Cfr. F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte speciale, vol. I, Milano, 1957,
405 s; V. Manzini, Trattato, cit., 551.
9
Cfr. Cass., sez. III, 19 giugno 1999, n. 9668, in Cass. Pen., 2000, 1599.
13
Le crudeltà non possono essere che fisiche, sebbene gli animali siano
suscettivi di sofferenze morali, poiché l’art. 727 c.p. punisce
esclusivamente ciò che può più gravemente turbare il sentimento
collettivo di pietà verso gli animali.
Sicché ad esempio, costituisce reato colpire selvaggiamente l’animale
con un bastone e lasciarlo volutamente privo di cibo e di acqua nonché
legarlo strettamente per lungo tempo senza necessità impedendogli ogni
movimento
10
.
2.2 Sottoposizione degli animali ad eccessive fatiche o torture
La seconda modalità della condotta presa in esame consiste nel
sottoporre gli animali ad eccessive fatiche o torture senza necessità.
La fatiche sono considerate “eccessive” quando sono tali da implicare
tutto lo sforzo di cui l’animale è capace o quando sono tanto intense da
non poter essere sopportate o compiute senza notevole pericolo o danno
per l’animale
11
.
A differenza dell’incrudelimento, la sottoposizione degli animali ad
eccessive fatiche e torture può essere giustificata dalla necessità, sicché il
fatto è punibile solo quando si svolge al di fuori dei limiti imposti da tale
presupposto.
La necessità viene dunque ad essere causa di legittimazione del fatto, ma
alla sola condizione che si tratti di un’attività diretta al conseguimento di
uno scopo lecito, necessaria nel caso concreto.
Tale non può essere considerata, ad esempio, l’attività relativa a giochi o
spettacoli pubblici che comportino strazio o sevizie, nei quali non può
mai ritenersi necessario il maltrattamento di animali.
10
Cfr. F. COPPI, voce Maltrattamento di animali in Enciclopedia del diritto, XXV,
Milano, 1975, 268s.
11
Ibidem.
14
Il concetto di necessità di cui all’art. 727 c.p. non ha alcuna relazione con
lo stato di necessità di cui all’art. 54 c.p. (“Non e' punibile chi ha
commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessita' di salvare se'
od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da
lui non volontariamente causato, ne' altrimenti evitabile, sempre che il
fatto sia proporzionato al pericolo…”), giacché, facendo riferimento a
tutti quei comportamenti che la coscienza comune accetta in relazione
all’impiego degli animali, è molto più ampio di quello riferibile al
disposto dell’art. 54 c.p
12
.
L’art. 54 c.p. richiama una necessità assoluta, e cioè una necessità che
costringe all’azione senza possibilità di altra scelta, mentre l’art. 727 c.p.
richiama una necessità relativa, ossia una necessità che concede la
possibilità di scegliere, tra i diversi sistemi di sfruttamento economico
degli animali, quello che non oltrepassa il limite del rispetto del
sentimento etico sociale di umanità verso i medesimi.
Non possono quindi ritenersi giustificate dalla necessità le fatiche che
non sono riconosciute dalla coscienza comune come accettabili in
relazione all’impiego degli animali e che, come tali, possono offendere il
sentimento di pietà umana, mentre è considerata lecita, a fronte della
"necessità" di domare e istruire certi animali per porli al servizio
dell'uomo, l'utilizzazione di strumenti idonei a produrre una moderata
sofferenza, come la frusta per i cavalli o il pungolo per i buoi, purché non
vengano utilizzati per infliggere loro inutili tormenti al solo scopo di
malvagità (condotta che integra l’ipotesi di incrudelimento).
Le torture si concretano invece in tutti quegli atti che causano agli
animali un dolore di forte intensità.
Anche in questa ipotesi il fatto, per essere punibile, deve essere
commesso senza necessità, da intendersi come relativa, anche se appare,
12
Ibidem.
15
a mio avviso, difficile poter immaginare e giustificare episodi di tortura
sorretti dalla necessità.
A tal proposito, valgono le stesse considerazioni fatte per le fatiche
eccessive.
Costituisce inutile tortura, ad esempio, l’allevamento di animali in
ambienti che ne impediscono i movimenti.
2.3 Destinazione degli animali a lavori ai quali non sono adatti per
malattia o per età
La terza modalità di condotta presa in considerazione dall’art. 727 c.p.
consiste nell’adoperare gli animali in lavori ai quali non siano adatti per
malattia o per età.
Il lavoro è considerato inadatto quando è tale da cagionare all’animale
sofferenze notevoli o da aggravare il suo stato patologico; se l’uso
dell’animale non è tale da causare i predetti effetti, non può offendere il
sentimento comune di pietà verso gli animali e non può dunque
configurarsi come maltrattamento.
La giustificazione speciale della necessità non è ammessa per questa
modalità di condotta.
Rientra infatti nel quadro normale dell’impiego degli animali
l’eventualità che i medesimi possano essere adoperati in lavori che, in
relazione alla necessità del caso concreto, comportano fatiche eccessive o
tormenti, ma non rientra nel quadro normale dell’impiego di animali la
destinazione di animali molto giovani o molto vecchi a lavori a cui non
sono adatti.
13
13
Cfr. F. COPPI, Enciclopedia, cit., 270.
16
2.4 Sottoposizione di animali vivi ad esperimenti tali da destare ribrezzo
in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico
L’ultima ipotesi prevista dall’art. 727 c.p. riguarda la sottoposizione,
anche a solo fine scientifico o didattico, di animali vivi ad esperimenti
tali da destare ribrezzo in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico.
Tale disposizione avrebbe probabilmente dovuto essere coordinata con le
disposizioni contenute nella legge 12 giugno 1931, n. 924 in tema di
vivisezione, onde evitare l’insorgere di interferenze che determinano
perplessità dell’interpretazione.
La legge 924/31
14
vieta infatti la vivisezione e gli esperimenti sugli
animali vertebrati a sangue caldo (mammiferi ed uccelli) “quando questi
non abbiano lo scopo di promuovere il progresso della biologia e della
medicina sperimentale (…)”, prevedendo una sanzione massima di lire
32.000 in caso di violazione.
La legge sulla vivisezione restringe quindi la sua previsione ai vertebrati
a sangue caldo; tale limitazione, però, vale soltanto agli effetti della legge
medesima ed è proprio ciò che la distingue dall’art. 727 c.p. (con
riferimento agli esperimenti condotti sugli animali).
L’art. 727 c.p., comma II, punisce infatti gli esperimenti compiuti su
animali vivi, anche per solo scopo scientifico o didattico, atti a destare
ribrezzo, a condizione che siano eseguiti in luogo pubblico o aperto o
esposto al pubblico.
Il termine “anche” potrebbe indurre a ritenere che nell’art. 727 c.p.,
comma II, vadano ricompresi gli esperimenti compiuti per un fine
diverso da quello scientifico o didattico; si tratta di una supposizione
errata giacché, come vedremo più avanti, gli esperimenti compiuti per un
fine diverso sono puniti, a seconda che comportino o meno crudeltà o
14
La legge 12 giugno 1931, n. 924 è stata successivamente modificata, in alcune
disposizioni, dalla Legge 1 maggio 1941, n. 615 e dal decreto legislativo n. 116 del 27
gennaio 1992, attuativo della direttiva CEE n. 609/86 in materia di protezione degli
animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici.
17
torture non necessarie, dalla prima parte dell’art 727 c.p. o dalla legge
sulla vivisezione.
Il termine “anche” andrebbe quindi più correttamente inteso come
“ancorché”.
La pubblicità del luogo in cui avviene l’esperimento o il suo essere
aperto o esposto al pubblico è determinante in quanto, solo al verificarsi
di essa vi è la possibilità che l’esperimento, di per sé suscettivo di destare
ripugnanza, offenda il sentimento di umanità.
Ne segue che l’esperimento, se compiuto in luoghi predisposti o
autorizzati, è di per sé lecito e che assume valore penalmente rilevante
solo quando è realizzato in luogo pubblico o aperto o esposto al
pubblico
15
.
La seconda parte dell’art. 727 c.p. punisce quindi gli esperimenti atti a
destare ribrezzo nel pubblico indipendentemente dalla “qualità” degli
animali, purché si tratti di specie che suscitino il sentimento di pietà
umana.
Per l’applicabilità della disposizione in esame, è inoltre necessario che gli
esperimenti siano in sé stessi legittimi, cioè eseguiti nei casi preveduti e
nelle condizioni richieste dalla legge, e tali da destare ribrezzo.
Le legge non esige che il ribrezzo sia effettivamente stato suscitato e che
ne venga fornita prova: è sufficiente che l’esperimento risulti idoneo a
destare ribrezzo.
Perché un esperimento possa destare ripugnanza, è necessario che
consista in operazioni chirurgiche determinanti alterazioni raccapriccianti
ovvero in altro trattamento che procuri all’animale grandi sofferenze, tali
da poter essere percepite dall’uomo mediante la vista o l’udito.
15
Cfr. F. COPPI, Enciclopedia, cit. 270s.